Rene

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Organo proprio dei Vertebrati, dotato di due attività essenziali per la vita: la funzione escretoria e quella endocrina.

Anatomia comparata

fig. 1

I r. si originano, nell’embrione dei Vertebrati, dal mesomero (nefrotomo). Sono rappresentati da una serie di tubuli metamerici (nefridi) che sboccano medialmente nel celoma attraverso un imbuto ciliato (nefrostoma) e, distalmente, in un collettore (dotto di Wolff) che decorre da ambedue i lati per tutta la lunghezza del celoma e convoglia i prodotti di escrezione all’esterno. Questa condizione primitiva del r., detta archinefro o olonefro, rappresenterebbe la condizione ancestrale, conservatasi nell’embrione dei Missini attuali e dalla quale si sarebbero evoluti i tre tipi di r. dei Vertebrati che, nello sviluppo dell’embrione, si succedono in senso antero-posteriore: il r. primordiale o r. cefalico, così detto perché situato immediatamente dietro la regione branchiale (pronefro); il r. primitivo o corpo di Wolff (mesonefro), che segue immediatamente il r. cefalico; il r. definitivo (metanefro), successivo al mesonefro (fig. 1).

R. primordiale. Il r. primordiale, che sotto certi aspetti ricorda l’archinefro, consta di tubuli segmentali aperti nel celoma, ai quali si accompagnano i glomeruli, reti mirabili delle arterie renali (derivate in ordine metamerico dall’aorta), che possono essere separati, uno per ciascun tubulo, o riuniti in un glomo unico. Sia i glomeruli sia il glomo sono situati medialmente nella parete dorsale della cavità celomatica, in cui sporgono come glomeruli esterni, oppure, in alcuni casi, sporgono nelle camerette pronefriche; queste sono dilatazioni dei tubuli in cui si raccolgono i prodotti di rifiuto che, filtrati attraverso i glomeruli (interni), pervengono all’esterno attraverso il dotto di Wolff. Il r. primordiale, il primo a formarsi durante lo sviluppo, fa una comparsa transitoria in tutti i Vertebrati, limitata in genere ai primi stadi della vita embrionale. A eccezione di lamprede, missine e di alcuni Teleostei, nei quali rappresenta il r. funzionale dell’adulto, si ritiene che negli altri Vertebrati esso non abbia alcuna funzione escretoria e presto degeneri, sostituito dal r. primitivo. Il dotto del pronefro, che si apre nella cloaca, diviene il dotto escretore del mesonefro o dotto di Wolff.

R. primitivo. Nel mesonefro i tubuli renali sono assai più numerosi, avendo perso in parte (Ittiopsidi) o totalmente (Amnioti) le loro connessioni con la parete peritoneale. Così negli Amnioti i tubuli mesonefrici mancano di nefrostoma. Associato a ciascun tubulo si trova un glomerulo circondato dalla capsula di Bowman, che è una vescichetta a doppia parete prodottasi in seguito all’invaginazione della parete splancnica del nefrotomo nella cavità nefrocelica. Capsula di Bowman e glomerulo costituiscono il corpuscolo renale o di Malpighi. Il mesonefro è il r. funzionante dell’adulto degli Elasmobranchi, di altri pesci e degli Anfibi, ma può essere anche funzionante nei primi periodi di vita postembrionale in alcuni Sauri, nell’echidna e in qualche Marsupiale.

R. definitivo. Negli Amnioti, cioè Rettili, Uccelli e Mammiferi, rappresentato nell’embrione dal corpo di Wolff, il mesonefro degenera e il metanefro rappresenta il vero e proprio r. funzionale. Del mesonefro restano soltanto rudimenti e il dotto che, nel maschio, vengono compresi nell’apparato riproduttore. Il r. metanefrico non ha alcuna connessione col peritoneo né mostra in alcuna fase del suo sviluppo traccia di metameria. Si origina da un diverticolo dell’estremità terminale del dotto di Wolff che, crescendo parallelamente a questo, raggiunge il blastema metanefrico situato in continuazione del tessuto nefrogeno da cui si erano originati i tubuli mesonefrici. Il diverticolo metanefrico del dotto di Wolff, che diverrà l’uretere, si ramifica ripetutamente dando origine a numerosi tubuli collettori, dilatandosi, almeno nei Mammiferi, nel tratto ove si è compiuta la prima ramificazione; tale dilatazione rappresenta la futura pelvi o bacinetto renale. Dalla parete di questo si originano i calici renali e i condotti papillari. Nel blastema metanefrico si differenziano frattanto i tubuli secretori che si ripiegano a S, connettendosi ciascuno a un’estremità con un tubulo collettore, mentre all’altra si costituisce un tipico glomerulo.

Più complicato è lo sviluppo del r. negli Uccelli e nei Mammiferi, perché intorno a ciascun glomerulo, circondato dalla capsula di Bowman, si differenziano altri tubuli secretori che si ripiegano a U formando le anse di Henle con un tratto ascendente e un tratto discendente. I tubuli secretori con le rispettive capsule di Bowman diventano numerosi: si calcola, per es., che ciascun r. dell’uomo contenga circa 1 milione di corpuscoli renali. Anche il r. definitivo funziona in modo pressappoco simile al mesonefro, infatti i prodotti di rifiuto vengono eliminati attraverso gli ureteri; questi sboccano in genere nella cloaca, eccetto che nei Mammiferi, nei quali gli ureteri convogliano l’urina in un serbatoio, la vescica urinaria o urocisti, la quale, per il suo sviluppo, si può considerare una evaginazione ventrale della cloaca. Nei Rettili i r., piccoli e compatti, sono situati nella regione pelvica. Posseggono una vescica urinaria la maggioranza dei Sauri e le tartarughe, ne sono privi i serpenti e i coccodrilli. Negli Uccelli i r. sono lobati e spesso fusi posteriormente con ureteri corti che sboccano indipendentemente nella cloaca. Nei Mammiferi, infine, i r., dalla tipica forma di fagiolo, sono attaccati alla parete dorsale della cavità del corpo, in situazione retroperitoneale. Nell’Uomo scompare la struttura lobare del r. ancora presente negli altri Mammiferi: tuttavia istologicamente il r. è suddivisibile in lobi e in lobuli.

Anatomia umana

Nell’uomo il r. è un organo pari, simmetrico, situato ai lati della colonna vertebrale, dietro al peritoneo, fra le ultime due vertebre dorsali e le prime due o tre lombari. I r. hanno forma caratteristica, simile a un fagiolo, con asse maggiore longitudinale e margine concavo, mediale che presenta nel suo terzo medio l’ilo del r., attraverso il quale penetrano i vasi e origina l’uretere (il complesso degli organi che fuoriescono dall’ilo, arterie e vene renali, bacinetto, costituiscono il peduncolo renale). I r. misurano in media 12 cm di lunghezza, 6 di larghezza e 3 di spessore; hanno massa di 130-160 g ciascuno; hanno colore rosso-brunastro. Ciascun r. è avvolto da una capsula fibrosa ed è tenuto in sede da varie strutture tra cui l’uretere e i vasi renali, ma soprattutto dalla fascia renale. Questa si sdoppia in due foglietti: uno anteriore (foglietto di Toldt), e uno posteriore (fascia di Zuckerkandl), che delimitano la loggia renale, nel quale sono inclusi r., surrene e capsula adiposa del rene.

In sezione si possono macroscopicamente distinguere due porzioni del parenchima renale: una interna (sostanza midollare), e una periferica (sostanza corticale). La prima è formata da una serie di 8-12 formazioni (piramidi di Malpighi) a sezione approssimativamente triangolare, con base rivolta verso l’esterno e l’apice tronco verso il seno renale, contenenti tubuli (tubuli retti di Bellini), e vasi, principalmente vene (vasi retti di Henle). L’apice di ogni piramide, o papilla renale, presenta numerosi forellini, che insieme formano la cosiddetta area cribrosa. La base di ogni papilla è circondata da particolari formazioni dette calici minori o piccoli calici, che convergono in analoghe formazioni più grandi, i calici maggiori o grandi calici, che mettono capo in un serbatoio comune, il bacinetto, o pelvi renale, da cui origina l’uretere, il dotto escretore che convoglia l’urina in vescica. La sostanza corticale occupa la periferia del r. insinuandosi anche fra le piramidi di Malpighi con propaggini a colonna (colonne di Bertin). In corrispondenza della base delle piramidi di Malpighi la corteccia costituisce le cosiddette piramidi di Ferrein (o raggi midollari di Ludwig), che si dirigono verso la superficie del rene. Lo strato periferico dell’organo, subito all’interno della capsula fibrosa, prende il nome di cortex corticis. Con linee condotte dalla superficie esterna del r. verso le papille, l’organo può essere suddiviso in lobi (in numero di 8-12, come le piramidi di Malpighi), ciascuno dei quali consta di numerosi lobuli (400-500 per ogni lobo, come le piramidi di Ferrein).

Il r. riceve il sangue arterioso dall’arteria renale, ramo dell’aorta addominale, con una portata di circa 500-600 ml di sangue al minuto, e in misura minore dalle arterie capsulari e spermatica interna. L’arteria renale, prima di giungere all’ilo, forma alcuni rami che entrano nel seno renale (una profonda escavazione del rene, circondata da ogni lato dal parenchima renale tranne che in corrispondenza dell’ilo): sono le arterie interlobari, che si dispongono attorno a ogni piramide di Malpighi, alla base della quale formano le arterie arciformi. Da queste in senso radiale si dipartono, verso la corticale, le arterie interlobulari situate tra le piramidi di Ferrein, da cui originano le arterie afferenti dei glomeruli e le arteriole rette vere delle piramidi di Malpighi. Tutte le arterie del r. sono terminali. Le arteriole afferenti del glomerulo si dividono in capillari che si distribuiscono nel tessuto tubulare adiacente: qui e in corrispondenza della capsula si origina il sistema venoso che, seguendo a ritroso la distribuzione delle arterie, si raccoglie infine nella vena renale, che sbocca nella cava inferiore. I linfatici del r. sboccano nelle linfoghiandole situate ai lati dell’aorta e della cava inferiore. I nervi provengono dal plesso celiaco.

fig. 2
3

Dal punto di vista dell’anatomia microscopica, l’unità morfologica e funzionale del r. è costituita dal nefrone, di cui si può distinguere una parte vascolare e membranosa (corpuscolo renale) da una parte canalicolare (tubulo). Si calcola che in ciascun r. vi siano circa un milione di nefroni. I corpuscoli sono formazioni sferiche di 0,1-0,2 mm di diametro, disseminate nella porzione corticale ed essenzialmente costituite da un piccolo groviglio vascolare (glomerulo di Malpighi o solo glomerulo), avvolto da un’esile membrana. Il glomerulo è formato da un’arteriola afferente che entra nel corpuscolo per il ‘polo vascolare’, si divide in numerosi capillari avvolti gli uni sugli altri; questi tornano a confluire in un’unica arteriola afferente, che fuoriesce attraverso il polo vascolare (fig. 2, 3), in prossimità del quale è localizzato l’apparato iuxtaglomerulare. Tale apparato consta di tre aggruppamenti cellulari: le cellule iuxtaglomerulari propriamente dette, un agglomerato di cellule epitelioidi (cellule di N. Goormaghtigh) e la macula densa. La membrana che avvolge il glomerulo, detta capsula glomerulare di Bowman, è costituita da due foglietti, di cui quello esterno, si continua con un sistema di tubuli, distinti in tre tratti: tubulo contorto prossimale, ansa di Henle, tubulo contorto distale.

Fisiologia

L’attività fondamentale del r. è l’eliminazione delle sostanze inutili, nocive e in eccesso: prodotti terminali del metabolismo (urea, acqua ecc.), prodotti anomali derivanti dal metabolismo intermedio (corpi chetonici ecc.), sostanze medicamentose, tossiche, o loro metaboliti, sostanze che, pur essendo normali costituenti del sangue, vi abbiano raggiunto una concentrazione eccessiva (es. glucosio). L’urina si forma nel r. a livello del nefrone. Le anse capillari del glomerulo costituiscono un’ampia superficie semipermeabile attraverso cui passa, per raccogliersi nella capsula di Bowman e defluire nei tubuli, il cosiddetto filtrato glomerulare (preurina). La quantità globale della preurina è di gran lunga maggiore di quella dell’urina definitiva (ca. 180 l nelle 24 h). La progressiva concentrazione del filtrato glomerulare e la sua trasformazione in urina (ca. 1,5 l nelle 24 h) avviene nei tubuli, che provvedono al riassorbimento di acqua, elettroliti e altri elementi essenziali. I tubuli, oltre al riassorbimento hanno funzione di escrezione e secrezione attiva, anche contro gradienti di concentrazione (meccanismo attivo). Sia i processi di riassorbimento, sia quelli di escrezione e secrezione hanno un limite critico (capacità massima di riassorbimento e/o secrezione), oltre il quale la sostanza viene eliminata nell’urina. La composizione finale delle urine è quindi condizionata dall’intervento di una serie di fenomeni di membrana (diffusione, diffusione facilitata e trasporto attivo). Tali fenomeni sono influenzati da molti ormoni: in particolare, il riassorbimento dell’acqua e del sodio a livello dei tubuli è favorito dall’ormone antidiuretico postipofisario e dall’aldosterone, elaborato dal surrene.

Oltre alla funzione emuntoria il r. esplica una serie di funzioni metaboliche, come per es. la regolazione dell’equilibrio acido-base, grazie alla capacità del r. stesso di formare urina a pH variabile (da 4,8 a 8), la produzione ormonale (renina, eritropoietina), la regolazione della pressione arteriosa, il controllo del metabolismo calcio-fosforico ecc.

Patologia

Alterazioni. Nel r. sono relativamente frequenti le anomalie congenite: anomalie di numero (agenesia di ambedue o uno dei r.; r. soprannumerario); di forma (r. a ferro di cavallo, fuso, a focaccia); di posizione (distopia, distopia crociata uni- e bilaterale); di sviluppo (iperplasia e ipoplasia). Tra le alterazioni acquisite, frequenti sono quelle di natura circolatoria, quelle di natura infettiva o degenerativa; quelle di natura interstiziale. Piuttosto frequenti le cisti isolate o multiple, come nel r. policistico (malattia ereditaria, con r. di dimensioni aumentate per la presenza di numerose cisti di varie dimensioni), le ptosi acquisite, o nefroptosi (spostamento del r. verso il basso, per lo più dovuto a deperimento generale o a traumi), la calcolosi (nefrolitiasi; ➔ calcolo). Il r. può anche essere sede di tumori sia benigni sia maligni.

Nefrosclerosi. La nefrosclerosi individua le malattie croniche e bilaterali del r. caratterizzate da lesioni sclerotiche più o meno diffuse. Sono generalmente distinte in primitive e secondarie, a seconda che le alterazioni del parenchima renale siano conseguenza diretta della sclerosi dei vasi del r. oppure di processi morbosi (nefriti croniche o cronicizzate; ➔ nefrite) che abbiano coinvolto i glomeruli o il tessuto interstiziale. Queste affezioni comportano atrofia del parenchima e sostituzione di parte di esso con tessuto connettivo sclerotico, che va incontro a retrazione e provoca un caratteristico raggrinzamento della superficie dell’organo (r. grinzo). Nelle forme secondarie (r. grinzo secondario: postnefritico, pielonefritico, idronefrotico ecc.) la prognosi è più o meno seria a seconda della gravità del processo che ha causato il raggrinzamento; nelle forme primitive essa è in rapporto all’estensione delle lesioni sclerotiche vascolari: relativamente buona quando queste riguardano soltanto l’arteria renale con i suoi rami grossi e medi; più grave se la compromissione vascolare si estende anche alle più piccole diramazioni arteriose e ai glomeruli.

Nefropatie. Il termine nefropatia designa qualunque malattia a carico di uno o entrambi i reni. Si usa generalmente distinguere un gruppo di processi morbosi che si avvale soltanto di terapie mediche (nefropatie mediche), da un altro gruppo di affezioni (nefropatie chirurgiche) in cui è colpito in modo esclusivo o prevalente uno dei due r., nelle quali è possibile, nella maggioranza dei casi, una cura operatoria. Appartengono al gruppo delle nefropatie chirurgiche i tumori e le cisti del rene, il r. policistico, la calcolosi renale (o nefrolitiasi), l’idronefrosi e la pionefrosi, la nefroptosi, la tubercolosi del r. (la quale, peraltro, può, nelle forme iniziali, guarire con cure mediche specifiche). Particolarmente numerose, complesse e varie sono le nefropatie mediche. L’approccio diagnostico deve tenere conto del danno anatomico, il cui riscontro è consentito dalla nefrobiopsia e da indagini eseguibili sia in microscopia ottica sia ricorrendo al microscopio elettronico, e dallo studio del danno funzionale (valutazione della clearance glomerulare e creatininemia).

La nefropatia da avvelenamenti si verifica per lo più nel corso di avvelenamenti da mercurio, bismuto, arsenobenzoli, permanganato di potassio, cantaride, tetracloruro di carbonio; si tratta di un gruppo eterogeneo di nefropatie che in comune hanno solo il decorso acuto, mentre sono polimorfe per quadro anatomico e sintomatologia.

La nefropatia gravidica designa un’affezione a caratteri propri e a patogenesi non ancora precisata, che si manifesta in gestanti non prima del sesto mese, o anche in donne portatrici di mola vescicolare, e che non va confusa con altre possibili manifestazioni di sofferenza renale in corso di gravidanza. Oltre a un esteso interessamento del r. (alterazioni a carico dei glomeruli e dei tubuli) si possono produrre lesioni anche in altri organi: focolai necrotici nel fegato, alterazioni vascolari nel cervello e nella retina. La malattia si manifesta con due ordini di sintomi: uno tipico delle nefrosi (diminuzione delle proteine del plasma, edemi diffusi ecc.) e uno delle nefriti con diffuso interessamento glomerulare (come l’ipertensione arteriosa e altri disturbi vascolari). Nel periodo che precede, accompagna e segue il parto possono comparire fenomeni convulsivi (➔ eclampsia). La prognosi della malattia varia a seconda dell’entità delle manifestazioni cliniche e della tempestività dei provvedimenti adottati.

Le nefrosi designano nefropatie caratterizzate, dal punto di vista anatomo-patologico, da lesioni renali bilaterali a carattere degenerativo primario e, clinicamente, da edemi, proteinuria, diminuzione del contenuto in albumine del plasma sanguigno, funzionalità renale più o meno conservata, almeno nella fase iniziale. Nella maggior parte dei casi mancano l’ipertensione arteriosa e la presenza di sangue nelle urine. Le alterazioni istologiche degenerative delle nefrosi hanno sede primitiva nei glomeruli e coinvolgono solo secondariamente (anche se in modo appariscente) i tubuli. Il termine nefrosi tende a essere sostituito dall’espressione sindrome nefrosica (o anche dal termine glomerulonefrosi, per sottolineare la partecipazione del glomerulo, oltre che dei tubuli). Poiché dalla biopsia renale e dal relativo reperto istologico si possono trarre valide indicazioni prognostiche e terapeutiche, le diverse sindromi nefrosiche vengono suddivise in base ai caratteri delle lesioni istologiche glomerulari. Nell’ambito delle sindromi nefrosiche a eziologia poco nota e di natura autoimmune si possono distinguere le forme: a) con lesioni glomerulari iniziali (non evidenziabili con il microscopio ottico ma con quello elettronico); possono decorrere lungamente, anche per oltre un decennio, prima di provocare segni d’insufficienza renale; b) con lesioni membranose pure (membrana basale del glomerulo ispessita, deformata e con granulazioni formate da accumuli di ‘complessi antigene-anticorpo’); hanno lenta evoluzione; c) con lesioni membrano-proliferative (accentuata compromissione della membrana basale, proliferazione e rigonfiamento delle cellule endoteliali); si possono osservare in caso di lupus eritematoso e di collagenosi; sono seguite da insufficienza renale dopo un decorso di 3-8 anni; d) con proliferazione intercapillare; si possono osservare nel diabete avanzato e per cause imprecisate, hanno prognosi più o meno severa.

Insufficienza renale. Le malattie che colpiscono il r. provocano in genere alterazioni del ritmo e della quantità e qualità delle urine emesse. Si definisce insufficienza renale ogni condizione morbosa in cui i reni perdono la loro fondamentale funzione di mantenere costante la composizione chimica e le proprietà fisicochimiche del sangue. In rapporto alle modalità di comparsa, si distinguono: l’insufficienza renale acuta e l’insufficienza renale cronica. La prima è caratterizzata da una rapida riduzione della funzione renale con conseguente ritenzione acuta dei prodotti tossici normalmente escreti con le urine; il quadro clinico è dominato da una marcata riduzione della quantità di urine emesse, fino all’anuria completa (blocco renale). L’insufficienza renale cronica, invece, è caratterizzata da una lenta e progressiva riduzione della funzione renale. Segni e sintomi clinici possono comparire dopo un periodo di tempo variabile (mesi o anni), quando la funzione renale residua è inferiore al 20%; lo stadio terminale dell’insufficienza renale cronica è chiamato uremia. È da notare che le capacità di compenso funzionale del r. sono numerose e, di conseguenza, i segni e i sintomi di insufficienza renale si manifestano solo quando il danno renale è avanzato. La definizione dell’entità del danno non può prescindere da esami strumentali (ecografia, scintigrafia, biopsia).

Segni di insufficienza renale cronica lentamente progressiva si manifestano nel nanismo (o rachitismo) renale, malattia ereditaria caratterizzata da nanismo, alterazioni ossee di tipo rachitico, ipoevolutismo. La malattia è dovuta a un deficit di riassorbimento dei fosfati a livello del rene e dell’intestino e non è pertanto sensibile al trattamento con vitamina D. R. artificiale Apparecchiatura biomedicale che permette di sostituire in parte la funzione del r. in corso di insufficienza renale (➔ emodialisi).

Diagnostica e chirurgia

Il complesso delle metodiche atte a esplorare l’attività funzionale del rene costituisce le prove di funzionalità renale. La renografia è l’indagine diagnostica rivolta a valutare la funzionalità renale con l’impiego di radioisotopi. Si attua mediante iniezione endovenosa di un radionuclide e registrazione della radioattività dei reni in rapporto al processo escretivo della sostanza iniettata; permette lo studio dell’attività escretoria di ciascun r. e dà indicazioni sulla pervietà delle vie escretrici.

Il r. può essere aggredito chirurgicamente quando si renda necessaria la sua fissazione per nefroptosi (nefropessi), o quando si debba procedere all’ablazione dell’intero organo (nefrectomia). In quest’ultimo caso il r. controlaterale presenterà in breve tempo una ipertrofia vicaria.

Per il trapianto del r. ➔ trapianto.

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