CLÉMENT, René

Enciclopedia del Cinema (2003)

Clément, René

Bruno Roberti

Regista cinematografico francese, nato a Bordeaux il 18 marzo 1913 e morto nel Principato di Monaco il 17 marzo del 1996. Al centro del suo cinema vi è la nozione di conflitto, sia nel senso di un'indagine sulle vicende e le ferite della Seconda guerra mondiale, sia, più in generale, nella resa visiva di azioni e passioni umane osservate lucidamente e nella dimensione esistenziale che sovente imprigiona i suoi personaggi in un ingranaggio implacabile. L'inventiva e il virtuosismo tecnico di C. risultano così, di volta in volta, agganciati all'analisi, spinta fino all'evidenza crudele, di situazioni limite, esemplari delle condizioni di crisi cui l'azione del film offre sbocco psicologico e snodo drammatico. Così avviene nel resoconto resistenziale di La bataille du rail (1946; Operazione Apfelkern), nell'apologo sul funesto destino nazista di Les maudits (1947; I maledetti), nella descrizione amara del disincanto e delle piaghe del dopoguerra di Au-delà des grilles (1949; Le mura di Malapaga), tutti e tre premiati nelle rispettive edizioni del Festival di Cannes, e l'ultimo vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero. Tale premio fu attribuito nel 1953 anche a Jeux interdits (1952; Giochi proibiti), dolente e cruda raffigurazione, intrisa però di lirismo, dei traumi provocati dalla guerra nell'animo di due adolescenti, che vinse inoltre il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1952.

Fin da ragazzo C. si appassionò al cinema realizzando alcuni film amatoriali e, alla morte del padre, lasciati gli studi di architettura iniziati all'École des Beaux-Arts, trovò lavoro come operatore. Sotto le armi fu impegnato nel servizio cinematografico dell'esercito. Fu autore di documentari, alcuni, come La grande pastorale (1943), esemplari per efficacia realizzativa; altri, come Arabie interdite (1937), girati al seguito di una spedizione archeologica, indicativi di quel respiro documenta-ristico e di quella cadenza avventurosa che caratterizzeranno poi il suo cinema. Nel 1938 realizzò, con l'attore-regista Jacques Tati, un cortometraggio a soggetto, Soigne ton gauche. Dopo essere stato assistente di Yves Allégret per La boîte aux rêves (1943), collaborò alla regia con Jean Cocteau per La belle et la bête (1946) e, nello stesso anno, insieme all'attore Noël Noël che ne aveva scritto il soggetto, realizzò Le père tranquille (1946; Eroi senz'armi) che costituì con La bataille du rail e Les maudits quasi una trilogia sulla resistenza al nazifascismo e sulla Seconda guerra mondiale, raccontate con il senso di un'epopea antiretorica. La bataille du rail è il prolungamento naturale di un'indagine sulla realtà dei lavoratori delle ferrovie francesi compiuta con un suo precedente documentario del 1942, Ceux du rail, e rintraccia, con un senso di immediatezza epica, un episodio di lotta e sabotaggio contro l'occupazione nazista, subito prima dello sbarco in Normandia. Quasi in tempo reale, costruendo la narrazione sul campo, a ridosso degli avvenimenti, e senza i filtri della ricostruzione, C. seppe esaltare l'unicità di un'esperienza filmica di tal genere, facendo così emergere uno stile che univa l'efficacia drammatica dei film bellici statunitensi alla scabra durezza del Neorealismo italiano. In Le père tranquille, invece, riuscì nel doppio intento di demistificare e celebrare la lotta partigiana durante l'occupazione attraverso la figura di un buon padre di famiglia che, clandestinamente, conduce la resistenza armata, insinuando la filigrana drammatica degli eventi bellici nell'atmosfera domestica di interni piccolo-borghesi. Anche in Les maudits scelse un'angolazione insolita, estrema, claustrofobica, quella di un sottomarino tedesco teatro della mostruosità e della mitomania assassina di un gruppo di nazisti che finiscono per eliminarsi l'un l'altro in un tetro cupio dissolvi. Il tema della guerra e dell'occupazione tedesca sarebbe stato successivamente ripreso da C. anche in Le jour et l'heure (1963; Il giorno e l'ora), troppo appiattito sulla lucida accumulazione degli snodi melodrammatici, e in Paris brûle-t-il? (1966; Parigi brucia?), racconto della Resistenza nella Parigi occupata, in cui l'intento celebrativo e l'intreccio polifonico di personaggi e situazioni, supportato da un cast internazionale, risultarono d'impaccio alla voluta esemplarità del ritmo di montaggio (che C. aveva già sperimentato 'a caldo' nel 1944 con il film di repertorio sull'occupazione nazista Paris sous la botte).

La puntualità nel costruire un'architettura filmica che in modo stringente si attagliava alla progressione drammatica, coadiuvata in questo dall'incisività luminosa e dalla fluidità nel muovere la macchina da presa in situazioni elaborate e difficili di un grande operatore come Henry Alekan, restò caratteristica di molte opere di Clément. In Au-delà des grilles accompagnò gli esiti del romanticismo urbano, tipico del cinema francese d'anteguerra, verso un realismo depurato da ogni sen-timentalismo, risolto nell'amarezza disillusa di Pierre (Jean Gabin), legato da un infelice amore a Marta (Isa Miranda), donna altrettanto sola e provata, in una Genova ferita dalla guerra e raccontata con piglio neorealista (alla scrittura del film collaborarono, con Jean Aurenche e Pierre Bost, anche Cesare Zavattini e Suso Cecchi d'Amico). In Le château de verre (1950; L'amante di una notte) C. trasse dal romanzo di V. Baum, Sait-on jamais, un congegno antipsicologico, la dissezione fredda dei meccanismi melodrammatici di una storia di tradimento e di fuga, scandita da un'ardita costruzione temporale che colloca nel presente dell'azione le sue conseguenze future. In Jeux interdits il regista fece emergere una sommessa delicatezza lirica nella descrizione delle ferite infantili, unita alla descrizione crudele di una familiarità con la morte e al severo giudizio morale sull'orrore della guerra. Il taglio analitico nella messinscena del rapporto ambiente-personaggio venne da C. confermato nello scrupolo con cui in Gervaise (1956) risulta resa la minuziosità naturalistica dell'Assomoir di É. Zola, evidenziandone con puntiglio fotografico l'oppressiva e sordida descrizione di Parigi come città-verminaio; e prima ancora in Monsieur Ripois (1953; Le amanti di Monsieur Ripois), in cui si racconta con impeccabile distacco critico l'incapacità di amare di un dongiovanni contemporaneo, la cui 'tragedia ridicola' viene resa in modo sofferto da Gérard Philipe, sullo sfondo di una Londra arida e impassibile.

La precisa scansione spazio-temporale, la solida architettura del montaggio e il rapporto paesaggio-personaggi in La diga sul Pacifico (1957), produzione italiana dal romanzo omonimo di M. Duras, illustrano lo sgretolamento di una famiglia di proprietari terrieri nell'Indocina francese. La meticolosità e il brio compositivo dell'altra coproduzione italiana, Che gioia vivere! (1961), ricostruiscono decorativamente una Roma agli albori del fascismo percorsa da fremiti anarchici. Ancora italiano fu il paesaggio, cromaticamente esaltato nella sua luce mediterranea, di Plein soleil (1960; Delitto in pieno sole), dal romanzo di P. Highsmith The talented Mr. Ripley riportato nel 2000 sullo schermo da Anthony Minghella. Qui C. scioglie la rigidità delle sue intelaiature visive in una disinvoltura formale che rende un'ambiguità sottile e un'atmosfera indolente e amorale, costruendo finemente il congegno del mistery, meccanismo narrativo che caratterizzò tutta l'ultima parte della sua carriera. Ne sono esempi Les félins (1964; Crisantemi per un delitto), Le passager de la pluie (1970; L'uomo venuto dalla pioggia), La maison sous les arbres (1971; Unico indizio: una sciarpa gialla), La course du lièvre à travers les champs (1972; La corsa della lepre attraverso i campi), Jeune fille libre le soir, noto anche come La baby-sitter (1975; Baby sitter ‒ Un maledetto pasticcio), tutte variazioni sul thriller che, pur nella loro macchinosità e nell'accentuazione contorta delle psicologie, testimoniano l'abilità di C. nel costruire ingranaggi drammaturgici capaci di trasmettere suggestione e angoscia, ma anche di comunicare la densità precisa di un ambiente e di un personaggio, il senso concreto dell'ambiguità del reale.

Bibliografia

P. Kast, Le jeu de grâce des petits anges, in "Cahiers du cinéma", 1952, 13, p. 64.

A. Bazin, Il più dopoguerra dei registi francesi, in "Cinema nuovo", 1953, 2, pp. 20-21.

G. Ferrara, Psicologia e simbolo in René Clément, in "Filmcritica", 1953-54, 33, p. 69, 34-35, p. 121, e 36, p. 184.

E. Chaumeton, Situation de René Clément, in "Positif", 1956, 18, pp. 3-9.

J. Siclier, René Clément, Paris 1956.

A. Canziani, Cinema francese 1945-1967, Milano 1968, pp. 199 e segg.

R. Armes, French cinema since 1946: the great tradition, New York 1970.

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