Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Paleolitico superiore

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Paleolitico superiore

Arturo Palma di Cesnola
Alberto Broglio
Janusz K. Kozlowski
Yvette Taborin
Antonio Guerreschi
Marcello Piperno
Grazia Maria Bulgarelli

Aurignaziano

di Arturo Palma di Cesnola

Cultura del Paleolitico superiore che prende nome da Aurignac, nel dipartimento dell’Alta Garonna. Presenta strumenti litici caratteristici (grattatoi carenati e a muso, bulini busqués e carenati, lame con marcato ritocco a scaglie, lamelle e puntine a dorso marginale di tipo diverso: Dufour, Font-Yves, Krems, ecc.) e un’industria in osso, corno e avorio rappresentata da tipiche zagaglie a base spaccata, a losanga allungata e più o meno appiattita, fusiformi a sezione ellittica e rotonda, a base sbiecata.

L’A., inserito da G. de Mortillet tra il Solutreano e il Maddaleniano nella sua sequenza della “età della Renna”, fu correttamente collocato prima del Solutreano da H. Breuil, che lo articolò in tre fasi (inferiore, medio e superiore), risultate tipologicamente eterogenee. D. Peyrony conservò la definizione di A. solo per la fase media, che corrisponde all’attuale A. L’A. nella sua nuova accezione (che è a tutt’oggi valida) fu suddiviso in cinque fasi, ciascuna delle quali caratterizzata da un tipo particolare di zagaglia in osso; più recentemente vi è stata aggiunta una fase più antica (A. “0”).

L’origine dell’A. costituisce ancora un problema; apparve nell’Europa centro-orientale (Bulgaria, Ungheria, Slovacchia) in forme arcaiche, risalenti a oltre 40.000 anni da oggi e rientranti quindi nell’interstadio del Würm II-III (Hengelo - Les Cottés), raggiunse il suo pieno sviluppo geografico nella fase fredda del Würm III iniziale e nel successivo interstadio di Arcy; in certe aree perdurò forse fino al pieno Würm IV, con date più recenti di 20.000 anni da oggi. Secondo alcuni autori l’A. si sarebbe diffuso dall’area balcanico-danubiana verso l’Europa occidentale e più tardi verso l’Est.

I siti aurignaziani, procedendo da est verso ovest, occupano la valle del Don nella Russia meridionale, l’Ucraina, la Moldavia, la Romania e la Bulgaria, forse anche la Grecia, la Polonia meridionale, la Slovacchia, l’Ungheria, la ex-Jugoslavia, l’Austria, la Germania, l’Italia e, più a ovest, il Belgio, la Francia e la Penisola Iberica.

Abitati aurignaziani sono noti sia in grotta, sia all’aperto; la caccia fu rivolta a diverse specie (cavallo, asino idruntino, uro, bisonte, cervo, capriolo, ecc.), ma in alcune aree divenne specializzata: la renna in Francia, il mammut nelle vaste pianure dell’Est europeo. L’attenzione verso i defunti si espresse in forme complesse con l’uso dell’ocra nelle sepolture, con corredi funerari e acconciature costituite da conchiglie, denti forati e altri ornamenti. Si può dire che l’arte nasca con l’A.: è notevole la scultura a tutto tondo in avorio, che raffigura animali quali il cavallo, il mammut, felini, ecc., fiorita in alcuni siti della Germania (Vogelherd, Geissenklösterle, ecc.); eccezionale una statuetta maschile, rinvenuta a Hohlenstein-Stade. In Francia furono realizzati anche importanti esempi di arte parietale (Grotta Chauvet e Grotta Cosquer). In Italia l’A. è noto in tre principali entità culturali: un A. a dorsi marginali, diffuso dalla Liguria (Riparo Mochi), alla Toscana (La Vallombrosina, Grotta La Fabbrica), alla Campania (Grotta di Castelcivita, Serino, Grotta della Cala), nel Veneto (Riparo di Fumane, Riparo Tagliente) e nel Gargano (Grotta Paglicci); un A. a punte ossee o classico, noto in Liguria (Riparo Mochi, Grotta dei Fanciulli e altre cavità dei Balzi Rossi), nel Lazio (Grotta del Fossellone), in Abruzzo (Grotta Salomone); un A. contenente elementi di tradizione uluzziana, o Uluzzo-aurignaziano, nell’area di diffusione del-l’Uluzziano, dal quale viene fatto direttamente derivare, presente in Toscana (stazioni all’aperto di Armaiolo, Felceti, Pian della Carrozza, San Melario II, Vadossi, forse anche Caldanelle), in Calabria (Punta Safò) e in Puglia (Grotta di Serra Cicora).

Bibliografia

D. de Sonneville-Bordes, Le Paléolithique supérieur en Périgord, I, Bordeaux 1960.

A. Palma di Cesnola, L’Uluzzien et ses rapports avec le Protoaurignacien en Italie, in Aurignacien et Gravettien en Europe, Liège 1982, pp. 271-88.

Id., Ipotesi di una suddivisione dell’Aurignaziano italiano in filoni paralleli, in Origini, 15 (1990-91), pp. 103-19.

Id., Il Paleolitico superiore in Italia, Firenze 1993.

Castelperroniano

di Alberto Broglio

Complesso diffuso in un’area della Francia e della Spagna settentrionale compresa tra il Massiccio Centrale e la costa atlantica, che si estende dalla Loira fino ai Pirenei e ai Cantabri e occupa una posizione cronologica intermedia tra i complessi musteriani e l’Aurignaziano.

In alcuni studi pubblicati all’inizio del secolo, H. Breuil stabilì la cronostratigrafia della fase antica del Paleolitico superiore dell’Europa occidentale atlantica, identificata nell’Aurignaziano. L’Aurignaziano veniva suddiviso in un orizzonte inferiore (niveau de Châtelperron, attualmente chiamato C.) e in due orizzonti più recenti (Aurignaziano medio, corrispondente all’Aurignaziano inteso in senso moderno e Aurignaziano superiore, corrispondente al complesso ora chiamato Gravettiano); il termine “Aurignaziano inferiore” non fu usato a lungo.

D. Peyrony concepiva la fase antica del Paleolitico superiore del-l’Europa occidentale come lo sviluppo parallelo di due tipi umani e di due diverse culture, Aurignaziano (corrispondente al solo “Aurignaziano medio” di H. Breuil) e Perigordiano. In questa prospettiva, l’industria castelperroniana veniva interpretata come Perigordiano inferiore, cioè come il termine più antico della linea perigordiana, comprendente anche un Perigordiano medio (individuato nell’industria dello strato B del Riparo di Laugerie Haute) e un Perigordiano superiore (quest’ultimo corrispondente all’Aurignaziano superiore di H. Breuil). Con l’abbandono di questa teoria, in seguito al riconoscimento dell’inconsistenza della linea perigordiana, sono stati proposti i termini C. (o Chatelperroniano) per indicare il complesso più antico, il termine Gravettiano per indicare il complesso più recente. Attualmente solo alcuni autori, prevalentemente francesi, usano ancora il termine Perigordiano.

Spetta a F. Bordes l’aver mostrato il legame filetico tra Musteriano di tradizione acheuleana e C., espresso dalle affinità tipologiche tra i due complessi, diffusi all’incirca nella medesima area. Sulla base della scoperta, fatta nella Grotta di La Roche à Pierrot di Saint-Césaire (Charente-Maritime), di una sepoltura neandertaliana in un deposito castelperroniano, sono state avanzate nuove ipotesi: il C. e i suoi equivalenti cronostratigrafici, come l’Uluzziano della penisola italiana, sarebbero l’ultima espressione culturale dei Neandertaliani, ormai venuti a contatto con i primi Cromagnonoidi diffusisi in Europa.

Bibliografia

H. Breuil, L’Aurignacien présolutréen. Epilogue d’une controverse, in RPrehist, 8-9 (1909), pp. 220-87.

H. Delporte, L’industrie de Châtelperron et son extension géographique, in Congrés Préhistorique de France, XIV session, Strasbourg - Metz 1955, pp. 233-49.

C. Farizy (ed.), Paléolithique moyen récent et Paléolithique supérieur ancien en Europe. Ruptures et transitions: examen critique des documents archéologique. Actes du colloque international (Nemours 9-11 mai 1988), Nemours 1990.

Epigravettiano

di Arturo Palma di Cesnola

Complesso di industrie con punte a dorso, che in Italia occupano cronologicamente il posto del Solutreano e del Maddaleniano designato da G. Laplace (1964, 1966) col nome di E., denominazione generalmente in uso, nonostante lo stesso autore abbia successivamente introdotto e utilizzato il termine Tardigravettiano. In seguito, lo schema di correlazione è stato parzialmente modificato: l’E. antico rimane parallelo al Solutreano e al primo Maddaleniano, mentre l’E. evoluto è correlato solo alla fase media del Maddaleniano e l’E. finale al Maddaleniano finale e all’Aziliano.

In Italia l’E. si svolge tra 20.000 anni circa da oggi e la fine del Pleistocene (10.000 anni ca. da oggi), sebbene in alcune aree sembri prolungarsi fino al primo Olocene (Pre-boreale e forse anche Boreale). Per l’E. antico (da 20.000 a 16.000 anni ca. da oggi), A. Palma di Cesnola (1993) ha proposto una periodizzazione in una fase “iniziale”, che riproduce gli aspetti generali del Gravettiano finale alto-tirrenico ed è presente in Liguria (Riparo Mochi, strato C), in Toscana (Aia al Colle), in Puglia (Grotta Paglicci, str. 18A e Grotta delle Veneri di Parabita, strato A1), in una fase a pezzi foliati, infine in una fase a pezzi a cran (punte e lame). L’E. evoluto dura poco più di un millennio e s’inserisce nell’Interstadio di Angles-sur-Anglin, con date oscillanti tra 16.320±850 e 14.470±850 B.P. (Grotta della Cala); non possiede aspetti tipologici suoi propri e costituisce il periodo di passaggio al più caratterizzato E. finale. È interessante notare che nell’E. evoluto sembrano già delinearsi alcuni aspetti corrispondenti a due aree geograficamente distinte: una a est degli Appennini con dorsi troncati particolarmente abbondanti, l’altra a ovest con motivi geometrici (triangoli in particolare). Nell’E. finale, che ebbe una durata di circa cinque millenni (da 14.500 anni circa da oggi fino all’inizio dell’Olocene), le direzioni evolutive preannunciate dall’Epigravettiano evoluto si moltiplicano e tendono a regionalizzarsi con una frammentazione della relativa unità originaria del-l’E. in facies locali diverse.

La geometrizzazione e la microlitizzazione di talune industrie (Veneto, Toscana settentrionale, Campania) sembrano preludere alla formazione locale di complessi mesolitici di tipo sauveterriano, mentre in altre regioni la conclusione del ciclo è caratterizzata da una inflazione di piccoli grattatoi circolari e subcircolari (Penisola salentina, versante alto-tirrenico) e in altre ancora da denticolati (medio e basso Tirreno, Abruzzo).

Nella sfera dell’arte, l’E. finale ha lasciato numerosi graffiti, a motivi veristici, geometrici e astratti: lo stile naturalistico franco-cantabrico è documentato nell’arte mobiliare dal Nord (Riparo Tagliente nel Veneto) fino al centro della penisola (Grotta di Vado all’Arancio, in Toscana, Grotta Polesini, nel Lazio), mentre nel Sud si sviluppa lo stile veristico “mediterraneo”, di cui restano testimonianze importanti soprattutto nell’arte parietale (Grotte del Romito in Calabria; Grotta di Levanzo, dell’Addaura e di Niscemi in Sicilia). I motivi geometrici, presenti praticamente in tutte le aree, sono frequenti nelle fasi più tarde dell’E. finale della Puglia meridionale (Grotta Romanelli, del Cavallo e delle Veneri di Parabita in provincia di Lecce), dove spesso si associano a motivi astratti e a figure seminaturalistiche.

Bibliografia

G. Laplace, Les subdivisions du Leptolithique italien. Etude de typologie analythique, in BPI, 73 (1964), pp. 25-63.

Id., Recherches sur l’origine et l’évolution des complexes leptolithiques, Paris 1966.

A. Broglio - J. K. Kozłowski, Il Paleolitico, Milano 1987, pp. 301-306.

A. Palma di Cesnola, Il Paleolitico superiore in Italia, Firenze 1993, pp. 210-383.

Federmesser

di Janusz K. Kozłowski

Complesso culturale del Paleolitico finale sviluppatosi durante il Tardiglaciale. La denominazione di F. deriva dalla parola tedesca che indica la punta a dorso convesso.

La cultura a F., così denominata da H. Schwabedissen e da lui individuata nei Paesi Bassi e nella pianura tedesca, è caratterizzata da punte a dorso convesso e grattatoi corti, talvolta unguiformi, generalmente su scheggia. Questa cultura fa parte di un complesso più ampio, esteso su quasi tutta la Grande Pianura dell’Europa settentrionale, chiamato da R. Schild Arch-Backed Point Complex. Alcuni autori includono la cultura a F. nel tecnocomplesso aziliano sensu lato. La cultura in questione è rappresentata da più gruppi regionali: il gruppo di Whelen caratterizzato da punte allungate a dorso convesso che ricordano quelle di La Gravette, grattatoi a ventaglio, grattatoi doppi su lama, una percentuale importante di bulini che comprende i carenati e i trasversali; il gruppo di Tjonger, con punte a dorso convesso passante al dorso ad angolo e con una percentuale importante di grattatoi corti; il gruppo di Rissen, caratterizzato da una tecnica di scheggiatura soprattutto a schegge o a lame irregolari e da punte a dorso convesso più piccole e irregolari. A questi gruppi, distinti da H. Schwabedissen, bisogna aggiungere anche il gruppo di Tarnowa, il più orientale, caratterizzato da punte a dorso convesso obliquo, numerosi grattatoi su scheggia e bulini trasversali. Lo sviluppo dei gruppi a F. inizia durante l’interstadio di Alleröd come indicano le datazioni al radiocarbonio di siti quali Westerkappeln C, Rissen, Budel 11, Duurswoude I e i siti rinvenuti nel paleosuolo di Usselo, ma continua durante il Dryas III e anche fino all’inizio del Preboreale, ad esempio a Meer in Belgio. I gruppi a F. sono conosciuti soprattutto dai giacimenti nelle sabbie eoliche della Grande Pianura e presentano quasi esclusivamente concentrazioni litiche le cui dimensioni sono variabili. Secondo una tesi largamente accettata, i gruppi a F. rispecchiano una diffusione nella Grande Pianura dei cacciatori del Maddaleniano tardo dell’Europa sud-occidentale. Recentemente si pensa anche a una possibile filiazione a partire dall’Amburgiano, entità che precede i F. nella stessa area. Lo sviluppo ulteriore dei gruppi a F. è documentato dai siti riferibili all’inizio dell’Olocene che mostrano un passaggio verso il Mesolitico antico con le culture di Duvensee e Komornica.

Bibliografia

H. Schwabedissen, Die Federmesser-Gruppen des Nordwesteuropaischen Flachlandes, Neumünster 1954.

K. Bockelmann, Ein Federmesserfundplatt bei Schalkholz, in Offa, 35 (1978), pp. 35-54.

R. Schild, Terminal Palaeolithic of the North European Plain: a Review of Lost Chances, Potential and Hopes, in AWorAr, 3 (1984), pp. 193-270.

Gravettiano

di Arturo Palma diCesnola

Cultura del Paleolitico superiore antico europeo caratterizzata principalmente dallo sviluppo delle punte a dorso rettilineo, dette appunto di La Gravette (dal sito eponimo in Dordogna).

L’attuale complesso G. costituì la fase superiore dell’Aurignaziano nella proposta di classificazione di H. Breuil del 1909, mentre D. Peyrony, nel 1933, lo inquadrò nel suo “Perigordiano superiore”. Attualmente si preferisce inquadrare le fasi finali del Perigordiano (IV- VII) nel G., articolando quest’ultimo in tre fasi: antica (ex Perigordiano IV), evoluta (Perigordiano V) e finale (Perigordiano VI-VII). Il G. antico in Francia è costituito dalle tipiche punte di La Gravette, da microgravettes, da punte a dorso marginale dette fléchettes, da rari pezzi à cran, bulini, grattatoi su estremità di lama e su larga scheggia; all’Abri Pataud è stato datato a 28.000 anni fa circa. Nel G. evoluto della stessa area, sviluppatosi tra il 27.000 e il 26.000 da oggi, vengono introdotti tipi più specializzati, come le punte a codolo (dette di La Font Robert), lame e lamelle a dorso troncato, bulini su lamella (detti di Noailles), ecc. Nel G. finale compaiono rare punte a faccia piana e bulini di Corbiac. Le date al radiocarbonio, in Francia, vanno da 24.000 a 22.000 anni circa da oggi. Il G. nella sua accezione più ampia è diffuso praticamente in tutta l’Europa, dalla Russia, Ucraina, Romania e Bulgaria, a est, attraverso l’Europa centrale (Ungheria, Piccola Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania, Austria) fino al margine sud-orientale dei Cantabri, a ovest, nonché al sud (Grecia, Italia). In questa vasta area, il G. assume aspetti diversificati, che hanno spinto alcuni autori a creare termini particolari, come “Willendorfiano” (dal sito di Willendorf, in Austria), “Pavloviano” (da Pavlov, in Moravia), “Kostienkiano” (da Kostienki, in Russia), ecc. Nel suo complesso, il G. si sviluppa tra 30.000 e 20.000 anni circa da oggi; tuttavia in Europa centrale non mancano date più antiche: 31.700±1.000 B.P. (Dolní Věstonice, in Moravia); 32.000±3.000 B.P. e 30.500±900-800 B.P. (Willendorf II, str. 5).

L’arte del G. è rappresentata da sculture a tutto tondo di pietra, osso o avorio a soggetto muliebre (cd. Veneri) e zoomorfo, realistiche o schematiche; in Moravia sono note anche figurine modellate in argilla, che veniva poi cotta. Nell’arte mobiliare compaiono i primi graffiti, naturalistici o geometrici. Sepolture gravettiane con corredo e acconciatura sono state rinvenute in Moravia (Prédmostí, Dolní Věstonice).

In Italia il G., dopo una fase antica “indifferenziata” o a punte a dorso (in Liguria, Campania e Puglia), è presente dalla Liguria alla Campania, con la facies a bulini di Noailles, che nella fase finale, a Nord, si rarefanno sensibilmente. Lungo il versante adriatico, oltre ad alcuni insiemi molto poveri e pertanto difficilmente classificabili del Veneto, sono da ricordare in Puglia quelli della Grotta Paglicci – strati 21 (a rare punte de La Font Robert), 20-19B (a dorsi troncati), 19A-18B (fase finale a punte a dorso angolari e foliati) – e della grotta delle Veneri di Parabita (a dorsi troncati).

Sull’origine del G. sono state avanzate ipotesi diverse: alcuni sostengono una genesi policentrica, a partire da substrati a dorsi profondi locali (con i quali tuttavia il G. non sembrerebbe in continuità cronologica e filetica). A suo tempo G. Laplace prospettò la possibilità di una derivazione del G. dall’Aurignaziano a dorsi marginali tipo Krems; questa ipotesi è stata recentemente sviluppata da A. Broglio, dopo la scoperta della Grotta di Fumane nel Veneto.

Bibliografia

D. de Sonneville-Bordes, Le Paléolithique supérieur en Périgord, I, Bordeaux 1960, pp. 179-226.

M. Otte, Le Gravettien en Europe centrale, Brugge 1981.

A. Broglio - J.K. Kozłowski, Il Paleolitico, Milano 1987, pp. 283-88, 290-91, 296-301, 306-27.

A. Palma di Cesnola, Il Paleolitico superiore in Italia, Firenze 1993, pp. 168-209.

K. Valoch, L’origine du Gravettien de L’Europe centrale, in XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences (Forlì 8-14 September 1996), Colloquium XI, Forlì (1996), pp. 203-11.

Maddaleniano

di Yvette Taborin

Individuato a La Madeleine nel 1864 da E. Lartet e riconosciuto in Périgord e Charente in giacimenti famosi (Laugerie-Basse), sin dal 1912, fu suddiviso da H. Breuil in sequenze cronologiche basate sulle differenti caratteristiche dell’industria su osso, che vennero più tardi completate con gli studi di D. Peyrony, A. Cheynier, F. Bordes e D. de Sonneville-Bordes.

L’epoca maddaleniana, che si sviluppa tra 15.000 e 11.000 B.P., inizia con un clima ancora fresco e attraversa le oscillazioni climatiche sempre più temperate (Bölling) con le quali termina il Pleistocene.

I giacimenti che attestano occupazioni maddaleniane di lunga o breve durata si concentrano in vere province maddaleniane dalle quali sono sortite espansioni più o meno frequenti che, a loro volta, sono diventate centri di origine in aree lontane.

I grandi centri sono in Périgord, Charente, Pirenei (Francia) e nella Spagna atlantica. Sin da 14.000-13.000 B.P., importanti gruppi sono insediati in Svizzera (Champréveyres), nel Giura svevo (Petersfels), in Renania (Gönnersdorf, Andernach), nel Bacino parigino (Pincevent, Etiolles). Avamposti avanzano verso il nord in Turingia (Oelknltz) e verso il centro dell’Europa fino in Polonia (Maszycka): ogni regione mantiene forti affinità con le altre, ma sviluppa aspetti originali sempre più marcati.

La creatività tecnica è costante nel campo della lavorazione degli oggetti in corno di renna (armature di zagaglie, arponi). I rapporti sociali sono molto attivi tanto nell’apprendimento della scheggiatura della selce che nella riproduzione e scambio di oggetti: le distanze percorse giungono a centinaia di chilometri (conchiglie mediterranee in Svizzera, Renania e Périgord). I Maddaleniani, società organizzate e previdenti, come dimostrano il ritorno dei gruppi negli stessi luoghi (filoni di selce, luoghi di caccia), la costituzione di riserve di carne, di lame di selce e piccoli strumenti, hanno costruito una vita economica e culturale equilibrata.

La scomparsa della grande fauna pleistocenica (renne, bisonti, mammut) intorno a 10.500 B.P. rompe questo equilibrio e provoca la fine della cultura maddaleniana.

Bibliografia

J.-Ph. Rigaud (ed.), Le Magdalénien en Europe. Actes du Colloque La structuration du Magdalénien (Mayence 1987), in ERAUL, 38 (1989).

Y. Taborin, Le Magdalénien, in J. Garanger (ed.), La Préhistoire dans le monde, Paris 1992, pp. 411-38.

Perigordiano

di Alberto Broglio

Nel 1912 la fase antica del Paleolitico superiore dell’Europa occidentale-atlantica (precedente il Solutreano) fu chiamata da H. Breuil “Aurignaziano”. Essa comprendeva, oltre alle industrie a grattatoi carenati e a punte d’osso a base fenduta (elementi caratteristici del “livello di Aurignac”, descritto già nell’Ottocento), anche le industrie a punte di Châtelperron (attribuite all’“Aurignaziano inferiore”) e le industrie a punte de La Gravette (“Aurignaziano superiore”). Nel 1933 D. Peyrony, interpretando in modo errato la successione stratigrafica di Laugerie Haute e La Ferrassie, ritenne che nel Périgord fosse riconoscibile una linea filetica continua di industrie a punte a dorso, per la quale propose il termine “P.”, parallela al complesso Aurignaziano (corrispondente all’ “Aurignaziano medio” di H. Breuil), e considerò le due entità tassonomiche come espressioni di due popolazioni di uomini moderni (Combe Capelle e Cro Magnon).

Lo stesso autore propose nel 1933 una periodizzazione del P., basata sulle associazioni di determinati tipi di strumenti, riconoscendovi cinque stadi di sviluppo: I (a punte di Châtelperron); II (a lamelle a ritocchi marginali); III (a lame e lamelle a dorso, a troncature e flechettes); IV (a punte di La Gravette); V ulterioremente suddiviso in Va (a punte peduncolate di La Font Robert), Vb (a pezzi troncati) e Vc (a bulini di Noailles). Successivamente (1946) propose una suddivisione del P. in due gruppi, il primo caratterizzato da lame e lamelle a dorso, costituito dal P. I, III a elementi troncati, IV, Va; il secondo caratterizzato da lamelle a ritocchi marginali, costituito dal P. II a lamelle Dufour, III a lamelle di Font-Yves e a flechettes; il Vc è stato dimostrato inconsistente da autori successivi, che hanno ricondotto le industrie a lamelle a ritocco marginale tipo Dufour e Font-Yves all’Aurignaziano.

Attualmente si preferisce il termine “Castelperroniano” per indicare le industrie a punte di Châtelperron (diffuse esclusivamente nelle regioni atlantiche dell’Europa occidentale) e il termine “Gravettiano” per le industrie a punte di La Gravette, che hanno avuto una diffusione ben più ampia, ma ancora oggi alcuni autori utilizzano i termini P. I, IV, V e nuovi termini che stanno a indicare una ulteriore evoluzione della linea perigordiana: P. VI (corrispondente al III di Peyrony) e VII, corrispondente al Protomaddaleniano.

Bibliografia

H. Breuil, Les subdivisions du Paléolithique supérieur et leur signification, in Congrés Intérnational d’Anthropologie et d’Archéologie Préhistorique, Genève 1912, pp. 165-238.

D. Peyrony, Une mise au point au sujet de l’Aurignacien et du Périgordien, in BPrHistFr, 43 (1946), pp. 1-6.

H. Delporte, La séquence aurignacienne et périgordienne sur la base des travaux récents réalisés en Périgord, in BPrHistFr, 88 (1991), pp. 243-56.

Sauveterriano

di Antonio Guerreschi

Termine proposto nel 1928 da L. Coulonges per indicare le industrie a microliti geometrici triangolari rinvenute a partire dal 1923 nel riparo di Martinet a Sauveterre-la-Lémance (Lot-et-Garonne, Francia).

Questo fenomeno fa parte di un evento più ampio (Mesolitico) che sembra interessare tutta l’Europa e l’area mediterranea e che avviene nell’Olocene antico, con preludi nel Tardiglaciale würmiano, all’interno del quale si osserva una forte microlitizzazione dell’industria litica, lo sviluppo della tecnica del microbulino e delle forme geometriche; inoltre si ha una maggiore capacità di sfruttamento dell’ambiente che, unita con le migliorate condizioni climatiche, porterà a un notevole aumento demografico.

L’area di maggior diffusione del S. corrisponde, principalmente, alla penisola italiana, alla Francia meridionale, al Levante spagnolo, con espansioni verso la Slovenia e la Slovacchia. Il S. sembra avere origini locali dai complessi paleolitici postgravettiani, come l’Aziliano, l’Epigravettiano finale italico, ecc.

Nell’Italia del Nord, l’area dove questo fenomeno è stato meglio studiato sulla base delle sequenze stratigrafiche scavate (conca di Trento e principalmente Romagnano III), il S. viene suddiviso in quattro fasi localizzate dal 7950 al 5800 a.C., che corrispondono al Preboreale e al Boreale. La periodizzazione è stata fatta in base all’analisi dell’industria litica, in cui predominano armature microlitiche, punte a punte a doppio dorso, doppie punte a doppio dorso (punta di Sauveterre), dorsi a troncatura e triangoli normalmente scaleni. Con il S., oltre che a un migliore sfruttamento dell’ambiente con una predilezione degli ambienti umidi, si assiste anche a una massiccia colonizzazione, stagionale, della montagna.

Bibliografia

J.-G. Rozoy, Les derniers chasseurs. L’Épipaléolithique en France et en Belgique. Essai de Synthèse, in BSocAChamp, 1978.

A. Broglio - S.K. Kozłowski, Tipologia ed evoluzione delle industrie mesolitiche di Romagnano III, in PreistAlp, 19 (1983), pp. 93-148.

A. Broglio - S. Improta, Nuovi dati di cronologia assoluta del Paleolitico superiore e del Mesolitico del Veneto, del Trentino e del Friuli, in AttiVenezia, 153 (1995), pp. 18-45.

Solutreano

di Marcello Piperno

Cultura del Paleolitico superiore diffusa nella regione francocantabrica tra il Perigordiano e il Maddaleniano, con datazioni per lo più comprese tra il 19.000 e il 16.000 a.C., identificata per la prima volta nel 1864 nella regione di Les Eyzies da E. Lartet e H. Christy e che prende il nome dal sito di Solutré (Saône-et-Loire, Francia).

Sono state avanzate diverse ipotesi sulla sua origine. Secondo alcuni autori deriverebbe dallo Szeletiano dell’Europa centrale, secondo altri dall’Ateriano dell’Africa settentrionale, mentre M. Otte e J. K. Kozłowski ritengono invece probabile una sua derivazione dai complessi dell’Europa settentrionale.

Il S. si caratterizza soprattutto, dal punto di vista della sua tecnologia litica, per l’impiego di un ritocco piatto, più o meno invadente su una o su entrambe le facce dei manufatti. Di particolare effetto estetico risultano alcuni prodotti litici, quali le foglie di lauro e le punte peduncolate con intaccatura, mentre l’industria su osso non appare particolarmente sviluppata. Per quanto riguarda l’arte parietale, sono famosi alcuni fregi di animali scolpiti a basso rilievo, come, ad esempio, a Roc-de-Sers e al Fourneau du Diable in Francia. In alcuni siti, come Laugerie-Haute, Badegoule in Dordogna e Cuzoul nel Lot, sono state riconosciute strutture di abitato e aree di attività (combustione, scarico di rifiuti, ecc.).

L’area di massima diffusione del S. è limitata, in Francia, tra la Loira e i Pirenei, mentre non sembra aver superato a Nord la Senna. In Spagna, oltre a un S. simile a quello cantabrico, è stata riconosciuta una facies che si diffonde lungo il versante Mediterraneo e che prende il nome di “facies iberica”.

Bibliografia

P. Smith, Le Solutréen en France, Bordeaux, 1966.

B. Schmider, Le Solutréen, in J. Garanger (ed.), La Préhistoire dans le monde, Paris 1992, pp. 396-404.

Szeletiano

di Marcello Piperno

Termine con il quale attualmente si indica la fase iniziale del Paleolitico superiore in Moravia, Ungheria settentrionale, Slovacchia occidentale e in una parte della Polonia meridionale e dell’Austria. Il termine deriva dalla grotta di Szeleta (Ungheria settentrionale) e venne proposto nel 1927 da I. L. Červinka.

Le industrie dello S. sono rappresentate da una tecnologia sostanzialmente ancora musteriana, con nuclei irregolari, talvolta discoidali e raschiatoi. Sono anche caratteristiche le punte foliate, i bifacciali di tipo micocchiano e i foliati a dorso, insieme a tipi più evoluti quali grattatoi carenati, bulini diedri o su troncatura, ecc., mentre appare praticamente inesistente l’industria su osso.

Lo S. è compreso tra la fine del Würm antico e l’interstadio di Hengelo. Le datazioni 14C dello strato inferiore di Szeleta risalgono a un’epoca intorno a 41.700 B.P., quelle di Vedrovice V sono comprese tra 39.500 e 37.650 B.P. Secondo L. Vértes lo S. può essere suddiviso in un Gruppo di Bükk e in un Gruppo Transdanubiano, rappresentato, ad esempio, nella grotta di Jankovitch. M. Gabóri, nel 1976, ha utilizzato il termine di Jankovitchiano suggerendo che le industrie a esso attribuite siano ancora riferibili al Paleolitico medio.

Bibliografia

G. Freund, Die Blattspitzen des Paläolithikums in Europa, Bonn 1952.

F. Proèek, Széletien na Slovensku, in SlovA, 1 (1953), pp. 133-94.

M. Oliva, Die Herkfunt des Szeletien im Lichte neuer Funde von Jezerany, in Časopis Moravskeo Muzea, 64 (1979), pp. 45-78.

Uluzziano

di Grazia Maria Bulgarelli

Facies del Leptolitico arcaico europeo che trae il nome dalla baia di Uluzzo (Lecce), sulla quale si apre la Grotta del Cavallo, dove fu riconosciuta per la prima volta da A. Palma di Cesnola (1965) in livelli (E-D) successivi a un orizzonte del Musteriano finale (strato F).

L’U. è diffuso nell’area centro-meridionale della penisola italiana (Puglia, Calabria, Campania, Toscana), lungo i versanti adriatico, ionico e tirrenico, dove è attestato in giacimenti in grotta (Grotta del Cavallo, Grotta di Uluzzo C, Grotta-riparo di Uluzzo nel Salento; Grotta di Mario Bernardini e di Serra Cicora, il riparo esterno della Grotta delle Veneri di Parabita; Grotta di Castelcivita in Campania, Grotta de La Fabbrica in Toscana) e all’aperto. L’industria è essenzialmente su scheggia, con un indice di laminarità poco sviluppato. I nuclei, poco regolari, sono monodirezionali o a due piani di percussione opposti, numerosi nei contesti in cui è utilizzata la tecnica bipolare, documentata anche dalla frequenza di pezzi scagliati, talvolta usati come supporto per gli strumenti. Lo strumentario comprende rari bulini, numerosi grattatoi per lo più corti, pezzi a ritocco erto, raschiatoi a ritocco marginale, infine punte e lame a dorso, che, insieme ai geometrici (semilune), costituiscono l’aspetto più tipico della facies. Il tipo più caratteristico è rappresentato da una punta, piuttosto tozza, a dorso profondo parziale, con andamento convesso a ritocco bipolare. Rara è l’industria in osso costituita da semplici punteruoli e punte a sezione circolare. Nella Grotta del Cavallo sono stati rinvenuti alcuni oggetti di ornamento, rappresentati da conchiglie forate e sostanze coloranti costituite da masserelle di ocra e limonite.

In base alle datazioni radiocarboniche, ottenute per il deposito della Grotta del Cavallo (livello E I > 31.000 B.P.) e della Grotta di Castelcivita (livello inferiore 33.220±780 B.P.; livello medio >34.000; livello superiore 32.470±650 e 32.930±720 B.P.), l’U. si svilupperebbe dalla fine dell’interstadio Würm I-II fino a un momento avanzato del Würm III.

Gli unici resti umani associati all’industria uluzziana sono due denti da latte rinvenuti a diverse profondità nel livello dell’U. arcaico della Grotta del Cavallo: quello raccolto a maggiore profondità presenterebbe caratteri moderni, mentre quello raccolto circa 20 cm più in alto sembrerebbe avvicinabile ai Neandertaliani.

Bibliografia

A. Palma di Cesnola, Il Paleolitico superiore arcaico (facies uluzziana) della Grotta del Cavallo (Lecce), in RScPreist, 20, 1 (1965), pp. 33-62.

Id., Datazione dell’Uluzziano con il metodo del 14C, ibid., 24, 2 (1969), pp. 341-48.

C. Pitti - C. Sorrentino - C. Tozzi, L’industria di tipo Paleolitico superiore arcaico della Grotta La Fabbrica (Grosseto). Nota preliminare, in AttiSocScNat, ser. A, 83 (1976), pp. 174-201.

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