Repubblica Sociale Italiana

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(RSI) Denominazione assunta dal regime fascista repubblicano instaurato il 23 settembre 1943 da B. Mussolini, nella parte di territorio italiano occupato dai Tedeschi. Comprendeva le regioni del Centro-Nord a eccezione del Trentino, dell’Alto-Adige, della provincia di Belluno, del Friuli e della Venezia Giulia, dell’Istria, annesse di fatto al Terzo Reich. Il nuovo governo si insediò nei pressi di Salò, sul Lago di Garda (da cui la denominazione Repubblica di Salò), mentre i ministeri furono dislocati in varie sedi dell’Italia settentrionale. Il programma della RSI, esposto nel «manifesto di Verona» e approvato dal congresso del Partito fascista repubblicano (Verona 15-16 novembre 1943), riesumava, nel tentativo di conquistare il consenso popolare, le formule rivoluzionarie del primo fascismo e prevedeva, tra l’altro, l’abbandono delle corporazioni e la creazione di una Confederazione nazionale del lavoro, forme avanzate di legislazione sociale e la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Il programma, osteggiato dai Tedeschi e dagli ambienti industriali e finanziari, non fu realizzato mentre, a partire dagli scioperi del marzo 1944, si sviluppò una crescente opposizione operaia alla RSI. Subordinata ai Tedeschi, quest’ultima svolse un’azione prevalentemente amministrativa e militare nel conflitto con l’esercito alleato e il movimento partigiano.

Il termine repubblichino – già usato da V. Alfieri in una lettera a Mario Bianchi del 15 aprile 1793, con riferimento ai fautori della Rivoluzione francese del 1792 – fu riesumato, con valore spregiativo, per la prima volta da U. Calosso in una trasmissione di Radio Londra, alla fine del 1943, e si diffuse poi in Italia per indicare dapprima i soldati chiamati alle armi dalla R., poi più genericamente gli appartenenti a tale Repubblica.

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