RESIPISCENZA

Enciclopedia Italiana (1936)

RESIPISCENZA

Ottorino Vannini

. Resipiscenza del reo, giuridicamente rilevante, è quel contegno del colpevole, volontario ed efficace a impedire o attenuare o eliminare le conseguenze del reato. Soltanto per la morale, ma non anche per il diritto, ha un significato la resipiscenza che al soggetto sconsiglia di tradurre in un principio di attuazione il formato proposito delittuoso. Gli effetti giuridici della resipiscenza sono diversi a seconda del momento in cui questa utilmente incide nell'iter del delitto. Pertanto: a) può il pentimento intervenire dopo l'inizio dell'attività esecutiva e impedire il completarsi dell'azione esecutiva stessa, come nel caso di colui che, alzato il braccio armato di pugnale per vibrare il colpo sulla vittima designata, preso da un senso di pietà, apra la mano e lasci cadere l'arma a terra. Si parla qui di desistenza volontaria, ossia di desistenza originata dalla volontà libera del colpevole; dalla volontà, cioè, non coartata, né in senso assoluto né in senso relativo, dall'intervento effettivo o supposto di circostanze che per l'impresa criminosa esprimono ostacolo all'azione o inutilità dell'azione. Di tale forma di resipiscenza fa parola il terzo comma dell'articolo 56 del codice penale del 1930, quando, in materia di conato, dispone che "se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso"; b) nei delitti materiali può il pentimento intervenire dopo compiuta l'azione esecutiva, riuscendo a impedire il verificarsi dell'evento (c. d. ravvedimento attuoso); come nel caso del reo, che, dopo avere propinato alla vittima una dose idonea di veleno, volontariamente ed efficacemente interviene somministrandole un contravveleno. Ciò è previsto, sempre in materia di tentativo, dall'ultimo comma dell'art. 56: "se volontariamente (il colpevole) impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà"; c) dopo la consumazione del reato può il ravvedimento operoso efficacemente intervenire a impedire l'effettuarsi di più gravi conseguenze o a riparare il danno prodotto. È la legge che, dopo aver fissato il principio generale che al risarcimento e all'operoso, spontaneo ed efficace ravvedimento assegna la funzione di attenuante comune (art. 62, n. 6, c. p.), di volta in volta dispone, di fronte a casi particolari, quando l'utile resipiscenza del colpevole conduca all'impunità (per es., ritrattazione del falso: art. 376), magari estinguendo il reato (per es., art. 544), oppure assurga a mera attenuante specifica (v. art. 525).

L'efficacia esimente o attenuante della resipiscenza del reo, oltre che fondarsi su motivi di giustizia (minore entità dell'offesa al diritto) e su ragioni sintomatiche (minore capacità a delinquere), trova la sua giustificazione anche nell'opportunità di creare nel colpevole motivi d'incitamento a limitare il più possibile gli effetti lesivi dell'infrazione compiuta. E della resipiscenza deve il giudice tener conto, fuori delle illustrate ipotesi, nell'applicazione discrezionale della pena (art. 133). La resipiscenza è circostanza soggettiva (art. 70, 2°) e, come tale, non estensibile ai concorrenti nel reato, a meno che diversamente disponga la legge (v., ad es., l'art. 544).

Bibl.: A. Schoetensack, Tätige Reue, in Vergleichende Darstellung des deut. und ausl. Strafrechts, parte generale, Berlino 1906, II, p. 435 segg.; A. D. Tolomei, Il pentimento nel diritto penale, Torino 1927; E. Florian, Parte generale del diritto penale, Milano 1934, p. 667 segg.