Responsabilità civile. Il risarcimento del danno

Libro dell'anno del Diritto 2012

Responsabilita civile. Il risarcimento del danno

Marco Rossetti

Responsabilità civile
Il risarcimento del danno

Il 2011 ha fatto registrare due grosse novità in materia di risarcimento del danno biologico. La prima è stata la uniformizzazione dei criteri di liquidazione del danno, introdotta in via nomofilattica dalla Corte di cassazione attraverso l’indicazione ai giudici di merito del criterio elaborato dal tribunale di Milano come criterio univoco da adottare su tutto il territorio nazionale. La seconda è l’approvazione da parte del governo dell’atteso decreto concernente il risarcimento del danno alla persona derivante da sinistri stradali e che abbia causato danni alla persona con postumi permanenti superiori al 9%, in attuazione della delega contenuta nell’art. 138 c. assicurazioni.

La ricognizione

Nel 2011 sono state due le più importanti novità in tema di liquidazione del danno, e segnatamente del danno non patrimoniale. La prima novità è stata di natura giurisprudenziale, ed è rappresentata dalla decisione con la quale la Corte di cassazione ha di fatto imposto a tutti i giudici di merito di adottare un criterio unitario per la liquidazione del danno biologico, indicato nella tabella a tal fine predisposta dal Tribunale di Milano (Cass., sez. III, 7.6.2011, n. 12408). La seconda novità è stata di natura normativa, ed è rappresentata dall’approvazione dello schema di regolamento amministrativo col quale, in attuazione della delega contenuta nell’art. 138 c. assicurazioni (d.lgs. 7.9.2005 n. 209) sono state approvate le tabelle delle menomazioni e le tabelle dei valori monetari del punto d’invalidità, necessarie per la liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali.

1.1 La sentenza n. 12408/2011 della Corte di cassazione

La Corte di cassazione, con l’importantissima decisione pronunciata dalla sez. III, 7.6.2011, n. 12408, ha affermato che: a) il concetto di «equità», di cui all’art. 1226 c.c., si compone di due elementi: da un lato la valutazione di tutte le circostanze del caso concreto; dall’altro la parità di trattamento tra i casi simili1; b) la liquidazione equitativa del danno pertanto deve sì garantire l’adeguato apprezzamento delle conseguenze che ne sono derivate, ma deve anche assicurare che pregiudizi di natura identica, e che abbiano prodotto le medesime conseguenze, devono essere risarciti in misura identica. Per garantire questo risultato, la S.C. ha perciò stabilito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge (e quindi, per quanto si dirà nel § seguente, al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 138 e 139 c. assicurazioni) il criterio di liquidazione cui tutti i giudici di merito devono attenersi, al fine di garantire l’uniformità di trattamento, è quello predisposto dal Tribunale di Milano (preferibile in quanto già ampiamente diffuso sul territorio nazionale), salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono. Merita di essere ricordato che la sentenza n. 12408/2011, cit., si è fatta anche carico di dettare dei princìpi, per così dire, di «diritto intertemporale ». L’obbligo di adottare le tabelle milanesi infatti potrebbe far sorgere dubbi sulla sorte delle sentenze di merito depositate prima della sentenza 12408/2011, e nelle quali il giudice abbia liquidato il danno biologico adottando criteri diversi da quelli imposti dalla S.C. Di tali dubbi si è fatta carico la sentenza di cui si discorre, stabilendo che le decisioni di merito le quali hanno liquidato il danno con criteri diversi da quelli milanesi potranno essere impugnate per cassazione solo ove ricorrano due condizioni: a) la parte interessata abbia correttamente sollevato, nei gradi di merito, la questione relativa alla necessità dell’adozione dei criteri di liquidazione milanesi; b) le tabelle del Tribunale di Milano siano state tempestivamente prodotte in giudizio.

1.2 Il danno biologico causato da sinistri stradali

schema

Quando il danno biologico sia stato causato da sinistri stradali, a loro volta provocati da veicoli soggetti all’obbligo di assicurazione, la liquidazione è disciplinata dalla legge, e deve avvenire con i criteri dettati dagli artt. 138 e 139 c. assicurazioni. Tali criteri coincidono con quelli elaborati dalla giurisprudenza, con la sola differenza che il valore monetario del punto di invalidità è direttamente stabilito dalla legge. Nel 2011 la liquidazione del danno biologico causato da sinistri stradali ha visto due importanti novità. La prima è stata introdotta dalla Corte di cassazione, la quale ha stabilito che i criteri dettati dagli artt. 138 e 139 c. assicurazioni possono essere utilizzati solo per la liquidazione dei danni derivanti da sinistri stradali, e non possono essere applicati in via analogica per la liquidazione del danno alla persona derivante da altre cause (Cass., 7.6.2011, n. 12408). La seconda importante novità del 2011, in materia di risarcimento del danno alla persona causato da sinistri stradali, è rappresentata dalla approvazione da parte del Governo (con cinque anni di ritardo) dello schema di regolamento contenente le tabelle necessarie per la liquidazione dei danni alla persona derivanti da sinistri stradali e che abbiano causato postumi compresi tra il 10 ed il 100% (schema di d.P.R. approvato dal Consiglio dei ministri il 3 agosto 2011, attualmente in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Lo schema di d.P.R. del 2011, più in particolare, contiene l’approvazione di due tabelle (una contenente il grado di invalidità associato a ciascuna menomazione fisica, l’altra contenente il valore monetario assegnato a ciascuna percentuale di invalidità in funzione dell’età della vittima) e delle relative note esplicative.

La focalizzazione

È noto che la liquidazione del danno biologico non è disciplinata dalla legge, eccezion fatta – sino ad oggi – per le ipotesi di danni causati dalla circolazione di veicoli e che abbiano avuto effetti micropermanenti (abbiano, cioè, causato una invalidità permanente non superiore al 9%), ex art. 139 c. assicurazioni; e per le ipotesi di danni alla salute causati da infortuni sul lavoro (art. 13 d.lgs. 23.2.2000 n. 38). Ciò aveva indotto la giurisprudenza di merito ad adottare criteri diversi per la quantificazione del danno biologico: diversi non solo per il quantum, ma anche per il metodo su cui erano fondati. Così, nel corso degli anni, si erano succeduti il criterio del triplo della pensione sociale, del reddito medio nazionale, del punto elastico d’invalidità e del punto variabile d’invalidità. Quest’ultimo, detto anche criterio «milanese» (perché adottato per la prima volta nel 1995 dal Tribunale di Milano) è quello divenuto assolutamente prevalente, se non addirittura unanime, negli ultimi anni. Attraverso questo sistema il risarcimento si ottiene moltiplicando il grado di invalidità permanente residuato alle lesioni per una somma di denaro rappresentativa del valore monetario del singolo punto di invalidità, e quindi abbattendo il risultato in funzione dell’età della vittima. La peculiarità del sistema consiste nel fatto che il valore monetario del punto di invalidità non è costante, ma varia in funzione del grado di invalidità permanente: più è elevato quest’ultimo, maggiore è il «peso» pecuniario del punto. La liquidazione del danno biologico si ottiene dunque con la seguente formula:

R = [Vp(x) * IP * d] Dove: R = risarcimento del danno; Vp(x) = valore monetario del punto di invalidità, crescente in funzione del grado di invalidità permanente; IP = grado percentuale di invalidità permanente; d = demoltiplicatore in funzione dell’età della vittima al momento del sinistro.

Tuttavia, se molti tribunali nel corso degli anni hanno adottato il metodo cd. «milanese», non tutti ne hanno adottato anche i valori monetari. È così accaduto che molti uffici giudiziari si son venuti dotando di «tabelle» per la liquidazione del danno alla persona, nelle quali il valore di base del punto di invalidità (“Vp” nella formula che precede) era variamente determinato: sicché, nonostante l’adozione di un metodo concettualmente uniforme, il quantum del risarcimento differiva di fatto da tribunale a tribunale. Ad esempio, i Tribunali di Milano, Roma, Palermo e Venezia adottano tutti il criterio del punto variabile, ma le rispettive «tabelle» erano estremamente differenti, a causa appunto del differente valore di partenza del punto d’invalidità. Tentativi, anche raffinati, per garantire l’uniformità di trattamento vennero tentati sia dalla giurisprudenza (ad esempio, mediando i valori liquidati dai principali uffici giudiziari italiani), sia dalla dottrina, ad esempio elaborando nuove tabelle di liquidazione. Nessuno di questi tentativi di uniformare i criteri di risarcimento ebbe avuto successo. Le «medie» di tabelle adottate da qualche ufficio giudiziario hanno formato oggetto di pronunce rimaste isolate2, così come ben poche sono state le sentenze che hanno deciso di adottare la «Tabella indicativa nazionale»3. Tale stato di cose aveva indotto autorevole dottrina a parlare di «Babele» o «lotteria» risarcitoria e di «giurisprudenza per cantoni»4: tuttavia mai la Corte di cassazione aveva ritenuto di porvi rimedio, trincerandosi dietro la massima consolidata secondo cui la liquidazione equitativa del danno alla salute, ex art. 1226 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Il tradizionale atteggiamento della Corte di cassazione tuttavia poteva risultare difficilmente accettabile, sul piano etico prima ancora che su quello giuridico, nella misura in cui accettava che danni uguali potessero essere liquidati in modo anche molto diverso da diversi uffici giudiziari, e che tutte e due tali liquidazioni potessero ritenersi «eque» ex art. 1226 c.c. Va perciò salutata come una conquista di civiltà l’importante decisione n. 12408/2011 della corte di cassazione (di cui si è detto supra, § 1.1), per effetto della quale d’ora innanzi la sentenza di merito la quale, nella liquidazione del danno biologico non derivante da sinistri stradali, dovesse adottare criteri di liquidazione diversi da quelli elaborati dal Tribunale di Milano, senza spiegare per quale ragione nel caso di specie tali criteri sarebbero stati iniqui, sarà per ciò solo viziata da error in iudicando, per violazione dell’art. 1226 c.c. La sentenza n. 12408/2011 costringerà altresì l’interprete a porre particolare attenzione anche su questioni, per così dire, di «diritto intertemporale». Si è già visto come, secondo il giudice di legittimità, la sentenza di merito la quale abbia liquidato il danno biologico con criteri diversi da quelli adottati dal tribunale meneghino non sarà per ciò solo censurabile in Cassazione, ma potrà esserlo solo se la relativa questione sia stata tempestivamente sollevata nei gradi di merito, e se le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano siano state ivi ritualmente prodotte. Da ciò parrebbe doversi desumere che la sentenza di primo grado, la quale non abbia applicato le tabelle di Milano per la liquidazione del danno, anche se depositata prima della sentenza n. 12408/2011, potrà comunque essere appellata. Tuttavia, anche se la Corte di cassazione non lo dice, parre corretto ritenere che anche in questo caso l’appellante deve avere tempestivamente depositato in atti il testo delle suddette tabelle: esse infatti non costituiscono un provvedimento normativo, e non potrà invocarsi il principio iura novit curia. La sentenza di cui si discorre contiene poi un terzo principio di grande rilievo pratico: l’inutilizzabilità dei criteri di legge, dettati dagli artt. 138 e 139 c. assicurazioni, per la liquidazione del danno biologico non derivato da sinistri stradali provocati da veicoli soggetti all’obbligo di assicurazione. Con l’affermazione di tale principio la Corte ha disatteso l’opinione precedentemente accolta da diversi giudici di merito (ex multis, Trib. Bari, 31.3.2006, in Corr. merito, 2006, 1010), ma a dire il vero esso sembra in singolare contrasto con l’altro principio, curiosamente affermato nella stessa sentenza ed appena esaminato, secondo cui la liquidazione equitativa deve garantire in primo luogo l’uniformità di trattamento. Appare infatti arduo accettare che la frattura del femore di un pedone debba essere liquidata con 100 se causata da un motociclista, e con 120 se causata da un ciclista. Secondo la Corte di legittimità, i criteri di liquidazione dei danni causati dalla circolazione stradale non sarebbero applicabili al di fuori dei casi previsti dagli artt. 138-139 c. assicurazioni, perché quelle contenute negli artt. appena citati costituiscono norme di settore, dettate al fine principale di contenere i costi assicurativi. Ma tale argomento prova troppo: presupposto dell’applicazione analogica di una norma è infatti, per definizione, proprio che essa disciplini casi diversi da quelli ai quali la si intende estendere analogicamente. Sicché, a seguire ad litteram il ragionamento della Corte, l’applicazione analogica non potrebbe mai avere luogo, perché la norma da applicare analogicamente risulterebbe sempre dettata per altri e diversi fini.

I profili problematici

È agevole prevedere che l’approvazione dello schema di decreto del 3.8.2011, con il quale sono state approvate le tabelle per la liquidazione del danno biologico che abbia causato invalidità dal 10 al 100%, solleverà molti più problemi di quanti non ne abbia risolti. Ciò sia sotto il profilo medico legale, sia sotto il profilo della quantificazione del risarcimento. Sotto il profilo medico legale, la tabella allegata sub II allo schema di decreto del 2011 presenta almeno tre mende: a) è incompleta; b) è generica; c) non è del tutto coerente con la legge delega. La tabella di cui si discorre è innanzitutto incompleta, sotto due aspetti: l’esiguità delle voci previste e l’assenza totale di indicazioni su questioni rilevantissime nella valutazione medico legale del danno biologico, quali la determinazione del grado di invalidità permanente a fronte di preesistenze o di lesioni plurime monocrone. La tabella prevede infatti solo 156 «voci» corrispondenti ad altrettante invalidità permanenti: troppo poche, ove si ponga mente all’infinito numero di patologie che possono lasciare postumi superiori al 10%. Si consideri, a mo’ d’esempio, che la tabella contenente le voci di invalidità utilizzata dall’Inail per l’indennizzo del danno biologico derivante da infortuni sul lavoro (d.m. 12.7.2000) prevede ben 387 voci di invalidità, e che uno dei più recenti ed autorevoli baréme medico legali italiani ne prevede oltre 4005. Non meno biasimevole è la superficialità con la quale la nota introduttiva alla tabella (Allegato I allo schema di decreto) liquida la complessa questione delle lesioni plurime e delle preesistenze: vi si legge infatti che «nel caso in cui gli esiti permanenti di un’unica lesione possono [sic] essere rappresentati da più voci tabellate o in caso di danno permanente da lesioni plurime monocrone ..., non si dovrà procedere alla valutazione con il criterio della semplice sommatoria delle percentuali previste per le varie strutture del distretto colpito o per il singolo organo od apparato, bensì alla valutazione complessiva che avrà come riferimento l’inquadramento tabellare dei singoli danni e la globale incidenza sulla integrità psico-fisica della persona. Nella valutazione medico-legale di lesioni plurime monocrone si terrà conto, di volta in volta, della maggiore o minore incidenza di danni fra loro concorrenti». A parte l’uso disinvolto del congiuntivo, il testo che precede lascia di fatto al medico legale una sconfinata libertà di valutare le lesioni monocrone e le preesistenze. Detto, infatti, che le singole invalidità tra loro non si sommano, resta irrisolto il problema di come le si debba computare. Sia il ristretto numero di voci, sia il sostanziale silenzio sui criteri di valutazione delle lesioni plurime avranno come effetto di aumentare la discrezionalità del medico legale chiamato alla valutazione del danno e, specularmente, di ridurre la prevedibilità delle decisioni e quindi di aumentare il contenzioso. Oltre che incompleta, la tabella approvata con lo schema di decreto del 2011 è poi generica. Per alcune voci infatti si prevede un raggio amplissimo tra l’invalidità minima e la massima: così, ad esempio, per la sindrome prefrontale organica di tipo medio-grave la tabella prevede una invalidità compresa tra il 21 ed il 50%. Ciò vuol dire che se il danno è stato patito da un giovane di vent’anni, il risarcimento potrà oscillare tra 44.090,96 e 203.276,51 euro! Nella nota illustrativa allegata sub I allo schema di decreto questi enormi divari (quello di cui si è dato conto non è affatto isolato) si giustificano col fatto che molte patologie possono assumere forme assai diverse tra loro, variabili da persona a persona, e che solo una «forchetta» assai ampia poteva giustificare una adeguata valutazione personalizzata dell’invalidità permanente. Una simile giustificazione tuttavia lascia alquanto stupefatti: sia perché la personalizzazione del risarcimento è opera del giudice e non del medico legale, e riguarda il quantum del risarcimento e non il grado di invalidità permanente; sia – soprattutto – perché nulla avrebbe impedito, anche per le patologie caratterizzate da un maggior grado di soggettività, di descrivere in tabella i vari comizi sintomatici che le accompagnano più di frequente, e dividere così una voce in tante sottovoci a ciascuna delle quali assegnare un grado preciso di invalidità permanente, ovvero un range di valori ristretto. Per contro, prevedere una tabella medico legale nella quale si dica che la patologia «x» può comportare una invalidità dal 20 al 50% è operazione che non serve a nessuno: non serve al medico legale, perché non gli dà alcun valido strumento di valutazione; non serve al giudice, che dinanzi ad una discrezionalità così ampia non potrà seriamente controllare l’operato dell’ausiliario; e non serve nemmeno alle parti, le quali non potranno formulare ex ante alcuna ragionevole previsione sulla misura del risarcimento. Infine, la tabella di cui si discorre appare non del tutto coerente con la legge delega, sotto due aspetti. Il primo è rappresentato da quanto si dice nel § «criteri applicativi» delle note illustrative allegate sub I allo schema di decreto in parola. ivi si legge che quando il danno biologico incide su particolari aspetti della vita di relazione della vittima, la relativa incidenza va formulata «con equo e motivato apprezzamento da parte del medico valutatore». Trattasi anche in questo caso di una previsione che sembra non tenere conto del fatto che la personalizzazione del risarcimento è ufficio eminente del giudice, non del medico legale, e che spetta al primo e non al secondo stabilire se ed in che misura il risarcimento standard debba essere aumentato, e sempre iuxta alligata et probata. Il secondo è rappresentato da quanto si dice nel § «Revisione della tabella», l’ultimo della nota illustrativa allegata sub I allo schema di decreto in parola. Ivi si legge che «saranno disposte revisioni periodiche della tabella anche sulla base di ulteriori acquisizioni scientifiche e della dottrina». Ora, la possibilità per il governo di modificare un regolamento amministrativo delegato esige anch’essa una delega: delega della quale non v’è traccia nell’art. 138 c. assicurazioni. Il comma 4 di tale norma prevede infatti l’aggiornamento della sola «tabella unica nazionale» (cioè dell’importo del risarcimento) secondo l’indice Istat del costo della vita, ma non prevede alcuna delega per l’aggiornamento anche della tabella delle invalidità. Anche con riferimento alla tabella dei valori di punto lo schema di decreto presenta, a parer mio, tre grosse mende. La prima è che la funzione algebrica di crescita del valore monetario del punto d’invalidità era stata ricavata, così come indicato nella relazione introduttiva, per estrapolazione dal valore di punto stabilito dalla legge per la liquidazione delle micropermanenti, e ciò al fine di «evitare che, al passaggio fra gradi di invalidità dal 9% al 10% si concentri una eccessiva differenza economica» (allegato III allo schema di decreto, 1). Tale opinione tuttavia appare in contrasto con le acquisizioni di autorevoli esponenti del mondo scientifico, sino ad oggi mai seriamente smentite da alcuno, concordi nel ritenere che il valore del punto d’invalidità, per i casi di cd. «micropermanenti », debba crescere secondo una funzione diversa e più progressiva rispetto a quella prevista per le macropermanenti, in ossequio alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza6. La seconda menda della bozza di tabella è che essa prevede un duplice abbattimento del valore del punto in funzione dell’età: il primo in ragione dello 0,5% per ogni anno di età della vittima successivo al 10° (analogamente a quanto previsto dall’art. 139 c. assicurazioni per l’ipotesi di micropermanenti); il secondo, diverso per maschi e femmine, in funzione della speranza media di vita futura della vittima, desunta dalle tavole di mortalità elaborate dall’Istat. Le due previsioni di cui si è appena detto (funzione di crescita identica per micro e macropermanenti; e soprattutto il doppio abbattimento in funzione dell’età, che non pare affatto consentito dall’art. 138 c. assicurazioni) hanno fatto sì che il risultato finale è stato una tabella notevolmente riduttiva rispetto ai valori applicati in precedenza dalla maggior parte degli uffici giudiziari, come risulta dalla tabella che segue, fondata sui criteri adottati dai tribunali di Roma e Milano, soprattutto per i danni di maggiore gravità. La terza pecca dello schema di d.P.R. del 2011 è un vero e proprio errore, e per di più assai grave. Risulta dalla nota introduttiva alla tabella del valore del punto, all. sub III al decreto in questione, che il valore base del punto di invalidità posto a fondamento della tabella è pari ad euro 674,78. Tale valore è sensibilmente inferiore a quello del punto-base per la liquidazione delle invalidità fino al 9%, attualmente pari ad euro 759,04 in virtù del d.m. 17 giugno 2011. La spiegazione di questa antinomia è dovuta al fatto che il Governo, nell’approvare il testo del decreto concernente il risarcimento dei danni dal 10 al 100%, non ha fatto altro che riesumare la bozza predisposta dal ministero della salute sin dal 2006, senza mutarne nemmeno una virgola, nonostante il valore monetario del punto di invalidità per le micropermanenti dal 2006 sia stato annualmente aggiornato. Al momento della redazione del presente scritto, come accennato, il testo del decreto di cui si discorre non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ed è pertanto auspicabile che prima di allora il governo si avveda dell’autentico infortunio in cui è incorso e provveda al «riallineamento» delle due tabelle, quella per le micro- e quella per le macroinvalidità. Ove ciò non dovesse accadere, il nuovo decreto sui risarcimenti per le macroinvalidità nascerebbe già viziato da un ulteriore vizio: la violazione dell’art. 138, co. 4, c. assicurazioni, il quale imponeva al legislatore delegato di provvedere all’aggiornamento periodico del valore del punto d’invalidità. Ovviamente, poiché il decreto in questione costituisce un atto normativo di secondo grado, tale vizio non obbligherà il giudice a sollevare un incidente di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 Cost., ma lo legittimerà a provvedere alla sua disapplicazione, ai sensi dell’art. 4 della l. 22.3.1865 n. 2248.

Note

1 Per questo aspetto della nozione di «equità» sia consentito il rinvio a Rossetti, Risarcimento del danno alla persona ed equità: le «radici comuni» degli ordinamenti europei, in Assicurazioni, 2006, I, 427.

2 E cioè la tabella messa a punto dal «Gruppo di ricerca C.N.R. sul danno alla salute» partendo alla media dei valori delle liquidazioni desunte da un campione di circa 1.500 sentenze, depositate tra il 1990 ed il 1995. Tale tabella risoluta es- sere stata adottata soltanto da Trib. Massa Carrara, 19.12.1996, in Danno e resp., 1998, 354; Giud. pace Bari, 5.7.1997, in Arch. giur. circ., 1997, 1008; Giud. pace Roma, 6.6.1997, in Riv. circ. trasp., 1997, 885.

3 Pret. La Spezia 18.4.1998, in Danno e resp., 1998, 809; Trib. Busto Arsizio, 7.2.1997, in Arch. giur. circ., 1997, 613; Pret. Lucca, 28.10.1996, in Riv. circ. trasp., 1997, 139.

4 Busnelli, Scopi e limiti del rapporto, in Bargagna-Busnelli (a cura di), Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute, Padova, 1997, 8.

5 Ronchi-Mastroroberto-Genovese, Guida alla valutazione medico legale dell’invalidità permanente, Milano, 2009, 139 ss.

6 Comandé, Dalla ricerca alla prassi operativa nella liquidazione del danno alla salute, in Danno e resp., 1997, 9; Turchetti, Gli sviluppi dello studio sulla determinazione del valore monetario base del punto di invalidità, in Bargagna-Busnelli (a cura di), Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute, cit., 171 ss., ma specialmente 180-181.

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