RESTAURO

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Restauro

Giorgio Torraca
Gianfranco Spagnesi
Maria Grazia Castellano

(XXIX, p. 127; App. II, ii, p. 698; IV, iii, p. 210; V, iv, p. 470)

La voce restauro è presente fin dall'inizio nell'Enciclopedia Italiana e, per la parte relativa al Restauro dei monumenti, è stata redatta da G. Giovannoni che ha illustrato la cosiddetta teoria intermedia della scuola italiana del restauro. L'argomento è stato poi ripreso nell'App. II da C. Brandi che lo ha strutturato nei sottolemmi Restauro delle opere d'arte, Restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra e Restauro dei libri e dei manoscritti, e lo ha successivamente aggiornato nella IV Appendice. M. Cordaro nell'App. V ha posto in rilievo le problematiche e i dibattiti sorti negli ultimi decenni intorno alla teoria e alle tecniche del r. delle opere d'arte e dei monumenti in generale, mentre i problemi relativi al Restauro delle opere dell'antichità classica e al Restauro architettonico e urbano sono stati rispettivamente trattati da A. Melucco Vaccaro e da P. Fancelli. In questa Appendice il problema del r. dei beni librari e archivistici è trattato nella voce beni culturali e ambientali; quello relativo ai materiali fotografici nella voce fotografia: Conservazione e restauro. I diversi interventi operati sul materiale cinematografico sono descritti nella voce cinema: Innovazioni tecnologiche. *

Tecnologia del restauro

di Giorgio Torraca

La tecnologia del r. presenta caratteristiche che la differenziano dalle tecnologie industriali correnti (meccaniche, chimiche ecc.). Il r. viene infatti eseguito su oggetti che sono qualificati bene culturale in quanto a essi vengono attribuiti dei valori (storico, estetico ecc.) che l'intervento deve preservare o mettere in luce; per quanto il r. operi sulla materia di cui gli oggetti sono composti, il suo risultato viene giudicato in base all'effetto prodotto su questi valori immateriali che non sono misurabili obiettivamente. Questi oggetti sono anche portatori di informazioni nascoste (per es., data, tecnica di esecuzione) la cui decodificazione può condizionarne o rettificarne l'analisi storico-critica; il r. deve, quindi, disturbare il meno possibile l'informazione latente nell'oggetto, lasciandola a disposizione dei metodi futuri di indagine, sicuramente più efficienti di quelli attuali.

Principi base dell'intervento di restauro

L'osservazione dei danni prodotti in passato da r. basati su un'inadeguata conoscenza dei processi di degrado ha consentito di formulare alcuni principi guida la cui applicazione può limitare i rischi inerenti a ogni nuovo intervento.

Uno dei principi basilari nel r. è quello della reversibilità. Poiché il degrado è inevitabile anche per i materiali oggi usati nel r., è probabile che quello che noi facciamo debba essere disfatto in futuro. Di conseguenza, occorre operare in modo che sia possibile ritornare allo stato precedente senza eccessiva spesa e senza eccessivi pericoli per l'integrità dell'oggetto trattato.

L'inserzione di nuovi materiali in un contesto di materiali antichi può provocare contrasti per i movimenti causati da variazioni di temperatura o di umidità e da sollecitazioni meccaniche esterne. Il risultato è un aumento della velocità di degrado per il materiale meno resistente, quasi sempre quello più antico. Il fattore essenziale per il successo di un r. è quindi non la forza e durabilità del materiale impiegato ma la sua compatibilità con quello originale: la compatibilità costituisce appunto il secondo principio basilare del r. moderno. In altre parole, occorre che l'assieme composito - materiale originale e materiale di r. - si comporti in modo soddisfacente nelle condizioni ambientali in cui verrà a trovarsi, e che il materiale di r. sia il primo a deteriorarsi quando il degrado comincerà. Esistono almeno tre tipi di compatibilità: compatibilità fisica (somiglianza di alcune caratteristiche fisiche, per es. coefficiente di dilatazione termica, porosità); compatibilità meccanica (somiglianza di alcune caratteristiche meccaniche, per es. modulo elastico, durezza); compatibilità chimica (assenza di produzione da parte del materiale di r. di sostanze pericolose per la conservazione dei materiali originali, per es. ruggine, sali solubili, vapori acidi). Per queste ragioni nell'intervento di r. è ammesso l'impiego di materiali moderni accanto a quelli antichi, a condizione che la compatibilità sia verificata in sede di progetto.

I problemi di reversibilità e compatibilità, insieme all'esigenza di non alterare l'informazione latente nell'oggetto da restaurare, portano a limitare l'intervento a ciò che è strettamente necessario per i fini del r. (conservare l'oggetto e/o rendere più evidenti i suoi valori), secondo quello che si definisce principio di minimo intervento. La calibrazione di un intervento di r. al livello minimo richiede però una conoscenza approfondita sia della condizione attuale dell'oggetto, sia della velocità con cui il suo degrado sta progredendo; da questa necessità deriva l'importanza dello studio scientifico preliminare dello stato di conservazione, affiancato dallo studio storico dei precedenti interventi. Il principio di minimo intervento determina anche la tendenza a operare il più possibile sulle condizioni esterne che influenzano la velocità di degrado, riducendo l'importanza delle operazioni che si eseguono sull'oggetto. Per es., i massicci interventi di tipo chirurgico che hanno dominato la storia lontana e recente del r. (trasporto di dipinti su tavola, strappo o stacco di dipinti murali, laminazione di documenti su carta, consolidamento con ferro e cemento di strutture architettoniche ecc.) oggi sono ammessi solo in casi considerati disperati, o sono addirittura proibiti.

La progettazione del r. non deve mirare esclusivamente alla massima durabilità: il fine non è quello della conservazione dei beni culturali in aeternum bensì quello di preservarli fino all'eventuale successivo intervento. Anche il principio di minimo intervento risulta, quindi, applicabile solo in connessione con una ben organizzata prassi di manutenzione.

Tecnologie di controllo e d'intervento

La tecnologia del r. nelle sue varie applicazioni, dalla prevenzione all'intervento sull'opera, non può prescindere dai principi sopra indicati. Per quanto riguarda la prevenzione, tecnologie di controllo ambientale sono rivolte a creare intorno agli oggetti da conservare condizioni tali da rallentare la velocità di degrado, mediante il controllo di fattori quali temperatura, umidità, luce, inquinamento.

Il controllo della temperatura e dell'umidità dell'aria può essere realizzato con meccanismi attivi (ventilatori, deumidificatori ecc.) o con sistemi passivi (materiali 'tampone' capaci di fornire acqua in ambiente secco e assorbirla in ambiente troppo umido). I sistemi di condizionamento attivi devono evitare mutamenti bruschi dei parametri ambientali che imporrebbero stress eccessivi a materiali indeboliti e devono essere fail safe, cioè tali da non creare condizioni pericolose nel caso di un imprevisto (ma in realtà, a lunga scadenza, molto probabile) arresto del loro funzionamento. L'applicazione di tali sistemi nell'ambito della tecnologia del r. è complessa e non può avvalersi di metodologie standard elaborate per altri contesti. Il controllo delle radiazioni che colpiscono le superfici implica la limitazione sia della quantità di luce, sia di lunghezze d'onda pericolose mediante l'uso di filtri e sorgenti speciali.

Una specifica branca della tecnologia di controllo ambientale è dedicata allo studio del problema dell'umidità che per cause diverse può essere presente nelle strutture murarie, e ai metodi per eliminarla, allo scopo sia di conservare le strutture stesse (e le opere d'arte sulle loro superfici) sia di controllarne le condizioni ambientali. In questo settore, alle tecniche tradizionali (ventilazione, intercapedini, taglio delle murature, sistemazione di coperture, gronde e cornici) si sono affiancati metodi più recenti e meno costosi (creazione di barriere per iniezione, spostamento elettrico dell'acqua), che però, per il momento, non sembrano altrettanto affidabili.

Specifiche tecnologie d'intervento si sono sviluppate nei vari campi del r., da quello sulle strutture e sui supporti a quello sulle superfici. Il dissesto strutturale è evidentemente caratteristico dei beni architettonici, ma si manifesta pure, in scala più ridotta, in oggetti quali altari, sculture ecc. In passato gli interventi di consolidamento strutturale implicavano il rinnovamento di larga parte dei materiali costituenti la struttura, in una concezione del r. che considerava valore essenziale l'immagine, mentre il materiale interno, importante solo per la sua funzione, era sostituibile con qualsiasi altro che potesse esercitare la stessa funzione.

Dopo la Seconda guerra mondiale, alle tecniche tradizionali di sostituzione dei materiali strutturali degradati (per es., reintegrazione di parti delle murature con la cosiddetta tecnica cuci e scuci, cambio delle travature, rifacimento dei solai) si sono affiancati il consolidamento dei materiali portanti mediante iniezioni (cemento o resine sintetiche) o l'inserzione di elementi ad alta resistenza meccanica e piccolo ingombro (acciaio, vetroresina) all'interno della struttura pericolante. I nuovi metodi di intervento permettono di preservare buona parte della struttura originale e introducono in essa caratteristiche di resistenza a trazione, ma possono creare anche fenomeni di incompatibilità, quali la differenza di dilatazione termica tra i materiali originali e quelli inseriti, la corrosione dei ferri e la migrazione di sali solubili formati dai cementi. I difetti di compatibilità possono essere attenuati grazie a un'adeguata progettazione che tenga conto delle particolarità di ogni singolo caso; in passato, però, un'applicazione indiscriminata ha provocato diversi risultati negativi e una reazione in favore di un ritorno alle tecnologie tradizionali.

La condizione delle superfici determina l'immagine dell'oggetto da restaurare (sia esso un'architettura, una scultura, un dipinto ecc.) e anche la sua resistenza ai fattori ambientali di degrado; pertanto l'intervento sulle superfici risulta particolarmente importante e delicato. Nelle superfici di opere d'arte lo spessore del segno che crea l'immagine è minimo (fino a un centesimo di millimetro), e perciò il rischio di danno per un trattamento improprio è grandissimo. Anche nel caso delle superfici architettoniche l'intervento richiede un'attenzione a livello millimetrico da parte dell'operatore, dal momento che solo in questo modo è possibile restituire alle superfici un aspetto corretto e un'adeguata resistenza ai fattori ambientali di degrado (acqua, acidi atmosferici, polveri, sali, radiazioni, sbalzi termici, attacchi microbiologici ecc.).

La tecnologia del r. delle superfici comprende un largo ventaglio di tecniche di intervento, alcune di impiego abbastanza generale, altre specifiche di una data classe di oggetti (per es.: carta, metalli, ceramiche, dipinti su tela ecc.), che si possono raggruppare in base alle tre operazioni principali: pulitura, consolidamento e finitura.

La pulitura può avere un fine visuale (rendere l'immagine correttamente leggibile), oppure conservativo (allontanare i materiali che potrebbero causare ulteriore degrado e permettere l'adesione di materiali usati per consolidamento e protezione). Non sempre i due fini coincidono: per es. la rimozione di uno strato superficiale stabile potrebbe essere utile per la lettura dell'immagine ma sconsigliabile da un punto di vista conservativo. La pulitura è sempre un'operazione potenzialmente pericolosa; il progresso tecnico ha permesso di ridurre il margine di rischio ma non di abolirlo. I metodi oggi più frequentemente usati per i diversi tipi di intervento sono: solventi organici (liquidi o sotto forma di gel), acqua (spesso nebulizzata), impacchi (a base di argilla, fibre di carta o altro, con soluzioni di agenti chimici), raschiatura a bisturi (spesso al microscopio), abrasione a mano (spugne abrasive, gomme da cancellare, spazzolini speciali), microsabbiatura (a pressione ridotta con abrasivi teneri e/o finissimi), laser, enzimi. Acidi e basi forti sono esclusi dal r.; si usano però oggi le resine scambiatrici di ioni (in pratica acidi e basi solidi) la cui azione è limitata alle superfici con cui vengono a diretto contatto.

Importanti interventi di r. riguardano il consolidamento delle superfici, allo scopo di ridare compattezza a un materiale degradato permettendogli così di affrontare l'ambiente nelle migliori condizioni possibili. Il consolidamento, in alcuni casi, deve precedere la pulitura (preconsolidamento) per evitare perdite di materiale instabile. Esistono molte tecniche di consolidamento e la loro scelta dipende dal tipo di degrado che si intende curare. Per materiali che hanno perso coesione e tendono a frazionarsi in piccole particelle si ricorre all'impregnazione, eseguita con consolidanti organici (soluzioni di polimeri o resine che polimerizzano dopo la penetrazione) o inorganici (silicato di etile, barite); microiniezioni, per materiale che si sfalda, eseguite con materiale organico (polimeri acrilici in emulsione o resine epossidiche) o inorganico (malte idrauliche opportunamente formulate); stuccatura, per materiale che presenta fessure e/o piccole lacune superficiali, eseguita con uno stucco di caratteristiche compatibili con quelle del materiale originale circostante; incollaggio, per pezzi separati o che si separano nel corso del trattamento, eseguito con adesivi non strutturali (resine sintetiche termoplastiche o adesivi naturali) o strutturali (resine epossidiche) se il carico da sopportare è importante, talvolta anche con l'inserzione di perni resistenti a trazione (metalli inossidabili o vetroresina).

Nell'ambito delle operazioni di consolidamento rientra la foderatura, tecnica tradizionale di consolidamento di supporti sottili (tipicamente: tele o fogli di carta) ai quali viene applicato, con adesivi compatibili, uno strato di rinforzo. Recenti modifiche sono basate sull'uso di nuove attrezzature (tavola riscaldante a vuoto) e nuovi adesivi.

Interventi di finitura delle superfici possono avere un fine estetico (per es., ritocco, patinatura) o protettivo (applicazione di uno strato trasparente). Uno strato trasparente di finitura può avere un effetto sia ottico, grazie alla soppressione degli effetti di dispersione della luce (scattering) causati dalle irregolarità di superfici deteriorate, sia protettivo, per es. mediante l'assorbimento di radiazioni e/o la creazione di una barriera contro gli agenti atmosferici. Un tale strato si degrada però progressivamente assumendo colorazioni che ostacolano l'osservazione (per es., l'ingiallimento delle vernici) e perdendo la capacità idrorepellente; per i materiali oggi disponibili (cere microcristalline, resine acriliche, resine siliconiche, fluopolimeri) la vita utile è abbastanza lunga se la superficie è esposta all'interno, ma limitata nel caso di esposizione all'esterno, e ciò richiede interventi di rinnovo abbastanza ravvicinati.

Documentazione e normativa

La tecnologia moderna è caratterizzata non solo dai procedimenti di produzione ma anche dall'uso di manuali di progettazione, informazioni sulle specifiche dei materiali, norme di collaudo e manuali di manutenzione. Questo insieme di documenti informativi e normativi deve garantire la riproducibilità dei procedimenti, la riduzione degli errori e la rispondenza del prodotto finito alle caratteristiche richieste dal progetto. Nell'ambito della specifica tecnologia del r. i primi segni di una normativa stanno appena emergendo (1998), data l'obiettiva difficoltà di standardizzare operazioni che mantengono in buona parte un carattere artigianale. Molto avanzata è, invece, la documentazione grafica e fotografica dello stato degli oggetti prima e dopo il trattamento, ma anche in questo caso i sistemi di archiviazione risultano insufficienti.

Un elemento essenziale dello sviluppo tecnologico è lo studio del comportamento degli oggetti prodotti, e quindi il ritorno dell'informazione (feedback) a chi è responsabile della produzione perché si proceda alla revisione dei sistemi produttivi. Nonostante che la prassi di controllo e feedback sia di difficile applicazione nel r., perché il risultato degli interventi si apprezza dopo tempi lunghi, e di fatto risulti finora raramente impiegata, la sua attivazione sistematica resta un punto essenziale, perché solo per questa via è possibile mettere a punto tecniche di intervento realmente affidabili e durevoli.

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Il restauro architettonico e urbano

di Gianfranco Spagnesi

Il pensiero di C. Brandi (1963) rappresenta il momento più alto nell'elaborazione teorica del r. moderno che, identificato dal suo essere rivolto alle sole opere d'arte riconosciute, viene definito come un atto critico fondato sulla conoscenza storico-artistica. Dopo questa formulazione può dirsi che non siano stati compiuti nuovi sostanziali avanzamenti, malgrado il progressivo allontanarsi dal pensiero brandiano e lo sviluppo di dialettiche contrapposizioni, anche molto vivaci.

Una precisa applicazione della teoria di Brandi al r. architettonico è stata portata avanti da R. Bonelli (1963), il quale ne riafferma l'essenza come atto critico, estendendo il suo intervento a tutto il costruito storico: il progetto di r. va oltre la semplice conservazione, definendosi come un progetto di architettura contemporanea capace di realizzare la reintegrazione dell'immagine. Si tratta di un nuovo modo di intendere il r. architettonico che mette da parte il cosiddetto r. scientifico di Boito-Giovannoni, pure mai del tutto dimenticato (De Angelis d'Ossat 1995).

Accanto a questa posizione teorica si sono formate, a partire dalla prima metà degli anni Settanta, due nuove linee di ricerca distinte e contrapposte, legate l'una alla manutenzione e al ripristino, l'altra alla pura conservazione, posizioni originate da un'identica aspirazione conservativa, ambedue fondate su una concezione parzializzante della conoscenza storico-architettonica: una storia del cantiere e delle tecniche costruttive per la manutenzione e il ripristino, solo cronaca, mai intesa come atto valutativo, per la pura conservazione. Gli equivoci che ne derivano sono evidenti.

L'intervento di r. più ingannevole è certamente quello di ripristino, poiché, pur legato a ricerche filologicamente corrette sul cantiere antico, propone la falsificazione dell'autenticità del testo esistente, alterando il suo valore sia storico sia artistico, per riproporre una pretesa figuratività originaria dell'opera di architettura. Un modo, questo, di far tornare indietro la storia, criticamente improponibile e fortemente condannato da tutto il pensiero sul r., da J. Ruskin e C. Boito sino ai nostri giorni, e anche da Brandi.

Un discorso diverso va fatto per la pura conservazione che, pur non alterando l'autenticità del testo architettonico, non si pone il problema della conservazione del suo valore artistico, valutato per mezzo della conoscenza storica. Un intervento di questo tipo non può essere considerato come un vero e proprio r., ma si configura come una ricerca, tecnologicamente sempre più avanzata, sulla conservazione della fisicità dei materiali del cantiere antico.

Queste posizioni teoriche hanno in comune l'interesse prevalente per i soli 'monumenti': opere d'arte quasi sempre eccezionali, sempre riguardate nel contesto degli spazi urbani e del tessuto edilizio delle città cui appartengono. Gli stessi centri storici sono visti come opere d'arte complessive, luoghi dove esiste la maggiore concentrazione di spazi urbani e singole architetture monumentali. Tutto ciò deve essere senz'altro ritenuto criticamente corretto, anche se il momento attuale sembra suggerire la ricerca di maggiori precisazioni ed estensioni degli ambiti spaziali di riferimento e di intervento.

In questo contesto emerge la difficoltà di conciliare l'attenzione sempre più diffusa alla conservazione dei monumenti su tutto il territorio con la necessità di affrontare, con strumenti critici e operativi idonei, il progetto di r. di tutto il costruito storico, di tutte le 'preesistenze'. Inoltre la necessità di 'utilizzare' le architetture, monumentali e non, propone una serie di problemi che non possono essere racchiusi in rigide, ancorché qualificate, 'teorie' del r. monumentale. Da tutto ciò deriva come sia sempre più difficile riguardare al r. architettonico come a un'operazione di sola conservazione, dovendosi molto spesso affrontare problemi di notevole complessità che, a seconda dei casi, possono proporsi anche come trasformazione. Si rende quindi necessaria una riflessione critica che ne affronti le principali tematiche: dalle motivazioni del r. e della conservazione, alla definizione del progetto del r. architettonico e urbano-territoriale delle architetture, sino agli specifici interventi di consolidamento, di reintegrazione dell'immagine, di riabilitazione conservativa e del r. dell'architettura contemporanea.

Restaurare un edificio del passato o una parte di esso, quando la realtà economico-sociale dell'ambiente a cui appartiene ne suggerirebbe l'abbandono, vuol dire attribuirgli un significato tanto forte e importante da trascendere ogni considerazione di pratica convenienza. È questa un'affermazione che occorre chiarire perché spesso alla base di incomprensioni che rendono difficile ogni operazione di salvaguardia o r., vista come un'ingerenza all'interno di interessi particolari. Al contrario, apparendo scontata agli addetti ai lavori, è causa di un malinteso senso del modo di riconoscere l'impegno culturale che si rivolge, per lo più, verso la richiesta di vincoli generalizzati e generici, cui non corrisponde alcuna tutela. Va sottolineato, inoltre, come ne soffra anche la riuscita del progetto di r., quando questo non viene finalizzato alla trasmissione al futuro di 'valori' correttamente individuati. La natura di questi valori, la sola che possa giustificare ogni tipo di intervento, va ricercata in un ambito affatto diverso rispetto a quello più usuale che considera ogni realtà attuale come bene d'uso e, quindi, economico.

Ogni edificio ha un valore economico, rappresentato dalla sua redditività, dal suo grado di conservazione e dal valore dell'area su cui insiste: quando vengono meno i primi due fattori, o l'area cresce troppo d'importanza rispetto al loro valore (quando cioè diminuisce il reddito di un edificio o il suo livello di conservazione è mediocre, oppure il valore dell'area diventa troppo alto rispetto al reddito realizzabile), la sorte di un'architettura, pur importante, è segnata, e solo un intervento di tutela e/o di r. può consentirne la sopravvivenza. È chiaro che tale tipo di intervento è contrario alle più elementari leggi di mercato. Si pensi, per es., come la rendita di posizione delle aree su cui insistono gli edifici dei centri storici sia stata la principale causa di tanti interventi di ridisegno urbanistico-edilizio del passato. È evidente che per prevalere su interessi così forti e contrari a ogni forma di conservazione non è sufficiente alcuna affermazione in senso contrario di tipo moralistico: è solo l'acquisizione ponderata di valori diversi nella coscienza collettiva che può condurre a un modo alternativo di riguardare alla realtà attuale in genere, e alle architetture, intese come memorie del passato dell'uomo, in particolare.

In tal senso, ogni possibile cultura della conservazione e del r. (così come quella della difesa dell'ambiente) si contrappone, di fatto, a ogni tipo di cultura (o ideologia politica) che lega allo sviluppo dell'economia industriale e alla massimizzazione del suo profitto (privato e/o pubblico) la realizzazione del 'progresso' e del benessere sociale delle comunità umane. Tutto ciò è oggi evidente, anche se nei paesi più ricchi e avanzati la politica dei beni culturali viene portata avanti brillantemente, seppure con molte contraddizioni (per es., la distruzione delle Halles a Parigi e la demolizione dei grattacieli di Sullivan a Chicago), mentre nei regimi collettivistici, privilegiando soltanto alcuni settori economici nel loro sviluppo, si è di fatto favorita una sorta di forma passiva di tutela e di salvaguardia, sovente sbandierata come impegno culturale.

Nella posizione di chi sostiene che i monumenti del passato debbono essere conservati per la loro trasmissione al futuro è tuttavia presente l'errore di attribuire un valore etico-politico a ciò che, al contrario, deve rappresentare soltanto una chiara presa di coscienza dell'esistenza di un problema culturale: è lo stesso pensiero moderno che, riconoscendo alla storia il valore di metodo di conoscenza, conferisce a tutte le opere dell'uomo il valore di indispensabile testimonianza, la cui conservazione è obbligatoria. È in un contesto di questo tipo che deve essere riconosciuto il valore attuale delle architetture antiche, legato alla loro storicità, costituente nell'attuale momento storico il significato e i ruoli diversi che sono stati di volta in volta assegnati alle opere di architettura. Questo, e soltanto questo, è il motivo che spinge alla salvaguardia, alla conservazione e al r. dell'architettura: una motivazione culturale che potrebbe anche mutare con l'automatica riproposizione di tutta la problematica in modo diverso. Un tale modo di pensare deve far parte della coscienza collettiva, così da poter divenire un impegno spontaneo per tutti. Sarebbe un errore considerare tutto ciò un impegno etico (avendo riconosciuto come il culto dei monumenti non sia sempre stato lo stesso nelle varie epoche storiche), o politico (se non durante periodi transitori), non essendo identificabile con alcuna ideologia.

La conservazione e il r. dovranno allora essere finalizzati alla trasmissione al futuro (e quindi alla tutela) del 'valore' di ciascuna architettura, inteso come insieme di segni che testimoniano il passaggio dell'opera nel tempo, permettendone l'individuazione della successione delle fasi (periodizzazione storica) del processo di trasformazione, da cui deriva la sua realtà attuale. Quest'ultima esiste in quanto sintesi di tutto il processo di trasformazione che, dalle origini, ha caratterizzato un'architettura: eliminando anche una singola fase di tale processo se ne muta il valore attuale, alterandone il significato. Di qui la necessità di restaurare e conservare, assunta, in questo presente storico, come esigenza fondamentale e indispensabile alla salvaguardia delle fonti della conoscenza storica. Ne discende che l'impegno attuale di tramandare al futuro la memoria storica (come quella artistica di un particolare momento), per testimoniare il passaggio dell'uomo nel tempo, può condizionare la qualità di un progetto attraverso cui (tanto per le architetture, che per le città o il territorio) si programma e si realizza qualsiasi operazione di conservazione o restauro. Sono questi i caratteri disciplinari specifici entro cui è necessario inquadrare ciò che va considerato anche come un modo di fare architettura contemporanea: quello che viene di norma indicato come restauro architettonico.

Il progetto di restauro architettonico

Ogni intervento sullo spazio fisico costruito dall'uomo, tanto per modificarlo quanto per conservarlo, presuppone la formulazione di un progetto fondato sulla conoscenza della realtà attuale: conoscenza e progetto stanno tra loro in un rapporto di stretta interdipendenza, anche se qualsiasi indagine storico-critica non può mai essere finalizzata a una utilizzazione specifica. Tutto ciò è ancora più vero per il progetto di r. architettonico, legato com'è al fine della trasmissione al futuro del valore attuale delle architetture (delle città e del territorio). È quindi opportuno premettere alcune definizioni entro le quali ritrovare tutto l'ambito disciplinare del r. architettonico: il r. consiste in un complesso di azioni volte alla tutela e alla conservazione del valore attuale degli edifici antichi; il 'valore attuale' è dato dalla sintesi fra il valore storico e il valore artistico della realtà attuale delle singole architetture, riconosciuti per mezzo della ricerca storica; gli 'edifici antichi' sono tutti quegli spazi costruiti nel passato dall'uomo per soddisfare alle esigenze della propria vita, singola o associata, riconosciuti come tali dalla storia dell'architettura; la tutela e la conservazione sono il risultato di tutte le azioni che tendono alla salvaguardia e al mantenimento dell'autenticità dei materiali di ogni parte delle architetture, testimonianze delle fasi del loro processo di trasformazione; la ricerca storico-critica sulle singole architetture consiste nel riconoscimento del loro processo di trasformazione attraverso l'individuazione di tutte le fasi che lo compongono, da quella originaria sino alla contemporaneità; gli interventi con cui si realizzano la tutela e la conservazione devono essere mirati esclusivamente a mantenere l'autenticità dei materiali delle architetture, o di quelle parti di esse, dalla cui presenza dipende il riconoscimento delle diverse fasi del processo di trasformazione; l'individuazione del 'valore attuale' si afferma subito come l'obiettivo della conoscenza, restando al 'progetto' di attuare la conservazione per la trasmissione al futuro.

Il significato di tutte queste affermazioni si precisa specificando cosa si vuole tramandare e, subito dopo, con quali strumenti o accorgimenti. L'affermazione della prevalenza del 'valore attuale' non è, da sola, sufficiente senza precisarne gli elementi attraverso cui esso può essere individuato, così come senza avere ben chiari gli strumenti o le metodiche operative con cui realizzarne la conservazione. Ogni valore è di per sé legato al riconoscimento di qualità (positive o negative indifferentemente, o di sola relazione rispetto a un contesto morfologico o storico), reso possibile dalla presenza, nella fisicità delle architetture, di 'segni' comunque lasciati dal passare del tempo: dalle tipologie strutturali, ordini architettonici, particolari decorativi, secondo i quali può precisarsi il contesto di appartenenza, ai materiali con cui l'opera è stata realizzata, che si modificano per l'usura del tempo e per l'inquinamento atmosferico. Qualsiasi valore può essere individuato, compreso e trasmesso, soltanto riuscendo a comprendere il significato di ciò che tali elementi trasmettono alla percezione: spetta al progetto di r. architettonico stabilire i metodi e gli strumenti operativi per garantire la loro permanenza nel tempo. Il progetto deve rivolgersi allora alla fisicità di ciascuna architettura (ai suoi materiali, particolari di finitura e quant'altro attiene alla sua funzionalità), il cui mantenimento in essere resta la condizione essenziale del manifestarsi, anche nel futuro, di tutti quei valori (storici, artistici, attuali) individuati per mezzo della 'conoscenza' storica. Naturalmente il valore attuale di un'opera raccoglie in sé sia quello storico sia quello artistico: il primo è sempre e comunque presente, essendo ogni edificio testimonianza del tempo intercorso dalla sua origine al presente. Al contrario, la sua artisticità (in qualche modo sempre relativa, legata com'è alla cultura di ciascun presente storico) può anche non esistere o presentarsi molto alterata per il mutare del contesto originario di appartenenza. L'esempio più evidente è rappresentato dalle architetture dell'età classica allo stato di rudere, la cui artisticità non esiste più per la casualità del loro essere presenti come forme, appartenendo a un contesto in cui prevalgono gli aspetti naturalistico-paesaggistici, lontano da ogni pratica utilizzazione. Al contrario, il valore storico di un rudere è altissimo, così come deve essere preso in considerazione anche un valore artistico, che deriva dal gusto con cui la cultura archeologica, in genere, ha affrontato nel tempo il problema della sua sistemazione e del r. (non sarebbe difficile tracciare i lineamenti di una storia dell'architettura dei ruderi). Un altro esempio, a carattere generale, è rappresentato dai centri storici delle città, nei quali il valore storico è sempre molto grande in ogni loro parte, mentre il valore artistico è legato all'importanza delle loro emergenze architettoniche e alla qualità di alcuni spazi urbani: il cosiddetto colore locale, l'ambiente, non hanno nulla a che fare con tutto questo. È chiaro a questo punto come il 'valore attuale' sia il risultato della sintesi fra il valore storico (comunque e sempre presente) e quello artistico (se ancora esistente al momento del suo riconoscimento). Si tenga presente che il valore attuale è relativo alla presente epoca storica, in cui si è avvertita l'esigenza della sua conservazione e trasmissione al futuro. In altri periodi storici tale tipo di valore non è stato avvertito, prevalendo ora solo quello storico, ora solo quello artistico.

Riconosciuto nel 'valore attuale' l'oggetto della conoscenza, questa dovrà mettere in evidenza le fasi del processo di trasformazione (riconoscendo quelle parti strutturali, tipologiche, decorative di ogni architettura che testimoniano di ogni singola fase, quali elementi filologici di riconoscimento) di cui questo è il prodotto come sintesi. Al tempo stesso, un altro tipo di analisi con l'uso di tecnologie sempre più avanzate (indagini ricognitive sulla fisicità delle architetture) offrirà la conoscenza dello stato di conservazione dei materiali (degrado) e delle strutture (per il loro consolidamento), per mezzo dei quali ogni opera è stata realizzata, oltre alla definizione del loro grado di funzionalità per valutare di conseguenza la futura utilizzazione del monumento. Non è possibile distinguere la conoscenza del valore di un'architettura da quella dello stato della sua fisicità, da cui è determinata l'esistenza dello stesso valore. Bisogna, inoltre, tenere conto che in molti casi l'analisi sullo stato fisico delle architetture è in grado di mettere in evidenza, come un vero e proprio dato filologico, il verificarsi di una o più fasi del suo processo di trasformazione, contribuendo in tal modo a definirne almeno il valore storico (si pensi, in particolare, a tante modifiche strutturali, che nel tempo hanno provocato danni maggiori di quelli contro i quali erano state messe in opera).

Tutto il processo di conoscenza, che è specifico di ogni singola architettura, precede il momento del progetto vero e proprio e ne condiziona la redazione, e a questo sono affidate tutte le scelte legate all'intervento sulla fisicità delle opere tendenti a mantenerle in efficienza. Il progetto e, di conseguenza, l'intervento di r. debbono essere rivolti al mantenimento o al ristabilimento di tutti quegli elementi (o parti) delle singole architetture dalla cui presenza dipende la possibilità di individuarne e comprenderne il valore attuale. In un ambito di riferimento di questo tipo, tra gli interventi di semplice manutenzione, di consolidamento strutturale, di ristrutturazione o di ricomposizione di parti mancanti di un monumento non esiste alcuna differenza, rientrando tutti nella più generale disciplina del r. architettonico. Al contrario, queste tre tipologie di intervento sono azioni diverse per il diverso grado di trasformazione che determinano.

Non è soltanto una questione terminologica, derivando da una precisa presa di coscienza che ogni intervento, su di uno spazio costruito dall'uomo, induce sempre una modificazione, sia pure minima, del suo stato precedente. In questo senso, l'intervento di r. sarà tanto più efficace quanto meno questa modificazione provocherà alterazioni. Il buon senso deve così prevalere nella ricerca delle soluzioni più idonee per limitare gli effetti di questa nuova, inevitabile, fase del processo di trasformazione rappresentata dal restauro. Deve essere considerata ancora valida, in questo senso, l'antica indicazione (ripresa da Boito) che suggeriva il doversi preferire la manutenzione al consolidamento, e quest'ultimo a qualsiasi altro più radicale tipo di intervento: una manutenzione continua e sollecita, insieme al mantenimento di una destinazione d'uso compatibile in ragione delle attuali necessità funzionali, rappresenta lo strumento migliore per la conservazione del valore attuale dei monumenti.

Questo modo di proporre il progetto, con l'intervento che ne deriva, deve essere esteso anche alla città e al territorio, per le esigenze di tutela e conservazione che essi manifestano come 'monumenti' nella loro più grande dimensione e maggior complessità del loro valore attuale. È evidente che il variare della dimensione fisica del problema non muta il metodo, mentre impone precisazioni e aggiornamenti per individuare i materiali nella loro autenticità, la cui tutela e conservazione sono l'obiettivo del progetto di restauro.

I materiali della città sono rappresentati da un insieme di elementi tra loro relazionati. Questi sono: i diversi percorsi e la gerarchia che fra essi si stabilisce, da cui trae origine l'organizzazione funzionale delle città; le diverse tipologie edilizie, viste anche come elementi di una gerarchia evolutiva, quali elementi minimi di aggregazione che realizzano il tessuto edilizio della città; la dimensione fisica di tutte le aree non costruite (strade, piazze, cortili, zone verdi). Elementi, questi, non confrontabili con i materiali degli edifici antichi. Pur avendo anch'essi una dimensione fisica, al concetto di percorso, strada, piazza, tipologia edilizia e al loro grado di funzionalità è legata anche la possibilità di comprendere, riconoscendone la realtà sensibile, la loro funzione utilitaria. Tutto ciò è ancora più evidente per i materiali del 'territorio', dati dalla logica dei percorsi e dalle loro reciproche funzioni, da tutte le tracce degli insediamenti umani nel tempo (anche se isolati o singolari), dall'insieme delle colture agricole o dei sistemi arborati (boschi, zone coltivate, brughiere ecc.), dall'orografia caratteristica di ciascun luogo (morfologia). Vero è che nel territorio non possono esistere i valori artistici ma solo quelli storici: in nessun caso il territorio può essere considerato come un'opera d'arte, ma soltanto come un'articolata relazione fra i luoghi diversi che nel loro insieme testimoniano (con il maggior numero di informazioni) della storia della vita dell'uomo, dei suoi insediamenti, della sua attività lavorativa e dei sistemi di organizzazione sociale e amministrativa.

Questa specifica qualità del territorio determina la natura del suo progetto, diverso da quello della città e degli edifici antichi. Questo non potrà prevedere soltanto interventi di conservazione, perché non è possibile evitare quel continuo processo di trasformazione che si determina al mutare dei valori culturali, sociali ed economici. Ogni suo momento deve essere reso compatibile con le necessità di conservazione dei materiali che supportano l'esistenza dei valori della sua storia. In questo senso il progetto dovrà incanalare il necessario sviluppo nel rispetto dei valori storici acquisiti, in modo da poter risolvere automaticamente tutti i problemi di natura ecologica, di tutela del paesaggio e di tutti i beni culturali in genere. Il concetto stesso di 'paesaggio' viene meno, ritrovandosi in quello di 'forma' e 'storia' del territorio. Esso non potrà più essere inteso come il prodotto di un rapporto estetico con la natura, ma sarà il riconoscimento di 'emergenze' territoriali che nel loro insieme danno forma oggi al territorio come prodotto del processo di trasformazione rappresentato dalla sua storia.

A qualsiasi opera dell'uomo si rivolga (edifici antichi, città, territorio), il progetto di r., così come l'intervento che ne deriva, si definisce stabilendo un preciso rapporto di relazione e dipendenza con la realtà attuale delle preesistenze: un modo possibile per porre in relazione il r. architettonico, ampliandone la disciplinarità, con tutto il fare architettura sul già costruito. Ma va distinto il fine principale del r. (la trasmissione al futuro del valore attuale delle architetture) dall'affermare una necessaria continuità con il processo di trasformazione, storicamente conosciuto, nel progetto di architettura contemporanea. Nel primo caso si ha il r. vero e proprio, nel secondo un progetto del nuovo. Tuttavia, quando il progetto affronta la tutela dei centri storici e del territorio, il r. e il progetto del nuovo possono confondersi fra loro e coincidere (in particolare nell'adattamento e nella riutilizzazione degli edifici monumentali cui vengono attribuite funzioni specialistiche). Ne deriva che il r., riguardato nel suo più ristretto ambito disciplinare, dovrebbe rivolgersi soltanto a eventuali 'risarcimenti', 'consolidamenti', 'manutenzioni' delle architetture eccezionali (emergenze architettoniche, monumenti). Occorre tuttavia chiedersi se sia lecito distinguere tra il r. e il progetto di nuovi spazi di vita da costruire. Ai due tipi di progetto può essere senza dubbio comune il metodo di conoscenza del processo di trasformazione specifico di ogni realtà attuale dello spazio costruito dall'uomo, di cui si proponga la trasformazione. Diversa è la qualità delle rispettive proposte in rapporto alla maggiore o minore importanza che viene data al valore attuale così riconosciuto. Come diverso sarà il risultato nella forma e nella sostanza, essendo evidente la prevalenza che può venir data, o meno, al nuovo rispetto all'esistente, e viceversa. Ma questo dovrebbe essere valido solo in rapporto a specifiche ricerche figurative, dovendosi sempre mantenere, come un assioma, la necessità di un progetto di definire la fase successiva del processo di trasformazione, riconosciuto attraverso la ricerca storica. La conservazione del valore attuale è in tal modo comune sia al progetto di r., sia a quello del nuovo, mentre la prevalenza di questo sul già esistente dipenderà esclusivamente dalla specifica consistenza dello spazio fisico che si intende modificare. Ciò equivale a dire che, se pur la conoscenza storica non può essere mai finalizzata, resta comunque lecita l'utilizzazione dei suoi risultati, intesi come riconoscimento del valore attuale dello spazio fisico di vita dell'uomo, costruito e non: la continuità con il processo di trasformazione da cui deriva può essere o meno la scelta di un modo contemporaneo di 'progettare'. Lo deve essere sempre nel caso di un progetto di r. architettonico. Questa posizione critica è in antitesi sia con gli interventi di ripristino, sia con quelli di totale innovazione (rispetto a queste due posizioni il contrasto è identico: ambedue propongono una profonda modificazione del valore attuale dell'opera di architettura).

Con il ripristino si realizza, attraverso il completamento o la riproposizione di parti scomparse da tempo (anche se filologicamente individuate in modo corretto), l'unità figurativa relazionata a un preciso momento storico (talvolta quello originario), ben lontano dalla contemporaneità. A sua volta l'intervento innovativo (più o meno dissonante), con l'aggiunta di parti o elementi 'moderni', pur senza alcuna alterazione fisica delle preesistenze antiche, realizzando un contesto del tutto nuovo, produce una totale ridefinizione del valore attuale dell'opera. L'errore di queste posizioni è evidente. Se il fine del r. è la conservazione del valore attuale delle singole architetture, qualsiasi intervento che tenda a variarne la qualità è improponibile. All'idea di 'conservazione' non possono accompagnarsi né quella di privilegiare un momento particolare della storia di un monumento, né quella di cancellare tutto il suo passato, proponendo qualcosa di nuovo; l'intervento 'moderno' si propone, d'altra parte, in totale antitesi con tutta la sua storicità, cosicché l'artisticità risulterà sempre e comunque reinventata. Il ricordo corre subito, in questo senso, ai 'restauri' di E.-E. Viollet-le-Duc (Notre-Dame di Parigi, il Castello di Pierrefonds ecc.), come ai più recenti episodi di ridipinture delle facciate di tanti antichi palazzi, e ai pur bellissimi interventi di F. Albini e C. Scarpa, in specie nelle sistemazioni museali (Museo di Palazzo Bianco a Genova, Castelvecchio a Verona ecc.). L'importante resta comunque stabilire che progetti di questo tipo non vadano riconosciuti come interventi di r. architettonico: Viollet-le-Duc fa parte dell'architettura neogotica del 19° sec., mentre Albini e Scarpa sono due maestri del movimento moderno italiano. L'istanza di conservare il valore attuale delle singole architetture è propria del nostro tempo, ne connota la cultura architettonico-figurativa e come tale si accompagna al fare architettura contemporanea.

Come si è detto, poche altre epoche storiche hanno avuto, come quella attuale, l'istanza della conservazione, ed è questo un carattere distintivo cui non è possibile rinunciare.

I materiali delle architetture

Per materiali delle architetture si intendono i componenti (pietra, tufo, laterizi) delle murature di ogni tipo e dei conglomerati (semplici o armati), che costituiscono la gran parte delle strutture portanti di un edificio o che ne rappresentano il paramento esterno o interno; sono inoltre da intendere come tali anche quelle materie (legno e/o ferro) con cui vengono realizzati alcuni tipi di strutture orizzontali portanti, gli infissi e altre varie opere di finitura; infine tutti quegli elementi che costituiscono le superfici finite (intonaci interni ed esterni, riquadrature, decorazioni di qualsiasi tipo, tanto in pietra che in stucco). I criteri per la conservazione di tali diversi materiali non possono essere univoci, ma debbono variare a seconda dei casi e del significato che assumono nel contesto specifico di ogni architettura. Innanzitutto va riaffermata la distinzione per la quale l'intervento di conservazione sui materiali è possibile solo in quanto essi sono struttura e non aspetto (Brandi), pur tenendo conto dei problemi specifici posti dalla realtà delle architetture. Si pensi alla conservazione dei valori cromatici rispetto al problema analogo delle pitture, così come agli inevitabili rifacimenti che si rendono necessari a fronte di situazioni di degrado, per mantenere efficiente la funzionalità di un edificio. Il degrado dei materiali costituisce il punto di partenza da cui prende avvio il progetto di r., ponendosi il problema di stabilire metodologie, strumenti e modi di intervento atti a stabilirne la più corretta valutazione.

Questa operazione dev'essere preceduta e guidata dall'avvenuto riconoscimento del valore attuale della singola architettura, ottenuto attraverso la sua 'storia': senza di essa viene a mancare l'oggetto dell'intervento di r. o anche della sola salvaguardia. Chiaro è, altrettanto, che l'operazione attraverso cui si riconosce il valore attuale non va confusa con una 'valutazione', essendo soltanto una 'conoscenza'. L'interesse delle valutazioni deve rivolgersi esclusivamente a indagare le caratteristiche e lo stato dei materiali, con l'ausilio di tutti quegli strumenti che la tecnologia e le scienze chimico-fisiche e altro mettono a disposizione. I risultati che si ottengono rappresentano i dati quantitativi della realtà di ogni architettura, la cui qualità viene riconosciuta soltanto per mezzo della conoscenza storica. Vero è che, talvolta, questi risultati possono essere assunti come dati filologici di supporto alla stessa ricerca storica. Anche in tal senso è chiara l'importanza di qualsiasi tipo di valutazione, sempre indispensabile per la definizione dell'intervento di r. architettonico. Una trattazione analitica così svolta esula dall'ambito di un discorso teorico generale sul r. architettonico. A questo spetta piuttosto la definizione dell'importanza di tali valutazioni e della specifica loro utilizzazione. È questo anche un modo di mettere in evidenza la multidisciplinarità del r. architettonico, alla cui realizzazione debbono necessariamente concorrere competenze diverse che solo l'architetto-storico dell'architettura può coordinare. In questo contesto vanno anche segnalate le valutazioni di tipo economico-gestionale, indispensabili alla riuscita di ogni operazione di r., per le implicazioni di carattere politico-amministrativo che comportano (si pensi ai problemi di gestione dei piani di recupero nei centri storici) e per la necessità che corrette procedure di programmazione permettano la migliore utilizzazione delle risorse pubbliche e private destinate allo scopo. Chiaro è che anche queste ultime, regolandone la fase di attuazione, rappresentano un momento indispensabile e propedeutico del progetto di r. architettonico. Questo, in sintesi, sarà costituito da un insieme di azioni molto complesse, multidisciplinari, che talvolta vanno al di là dello stesso oggetto del r. e dei suoi materiali, configurandosi sempre più come un preciso e capillare programma di azioni successive volte all'indagine, all'intervento vero e proprio e alla regolamentazione degli aspetti finanziari e amministrativi da cui dipende la sua attuazione.

Il consolidamento degli edifici antichi

Il r. (anche di sola manutenzione o di consolidamento) dei materiali di quelle parti delle architetture da cui dipende l'esistenza del valore attuale è il risultato dell'applicazione di tecnologie o metodiche diverse, proprie di più campi disciplinari, che debbono essere sempre guidate e coordinate dall'architetto restauratore. Ogni intervento è legato alla possibilità di applicare tecniche specifiche, talvolta tradizionali, altre nuovissime, la cui conoscenza è data dalla consuetudine con le ricerche applicate di varia natura. Lo studio sistematico di tali tematiche esula dalla volontà, sinora seguita, di approfondire un inquadramento teorico generale: come per le analisi valutative, si rinvia alle specifiche trattazioni di ogni singola disciplina applicata (chimica, fisica, scienza delle costruzioni ecc.). Ciò equivale a riaffermare che ogni problema del r., in ciascuna sua fase, non dipende in alcun modo dalla scelta di particolari tecnologie o tecniche esecutive, e che questo vale anche nel caso del consolidamento, a sua volta determinato solo dalle scelte 'conservative', più che da quelle tecniche d'intervento.

Resta tuttavia vero che un gran numero di problemi, come quelli derivati, per es., dalle necessità poste dagli interventi sull'edilizia di base dei centri storici, è riconducibile con maggiore difficoltà a un rigoroso rispetto di rigide enunciazioni disciplinari: in tal senso può essere opportuno individuare alcune tematiche relative al più generale problema del consolidamento, da cui trarre anche altre precisazioni per approfondire l'applicazione di un metodo. Per es., a livello teorico, il r. delle strutture portanti (tanto verticali che orizzontali) dipende in genere dal maggiore o minor valore che si attribuisce ai caratteri tipologici degli edifici antichi. Anche se, in qualche modo, la struttura 'non si vede', tutte le superfici che delimitano i volumi vuoti e/o pieni esistono come manifestazione sensibile di un impianto strutturale, realizzato con l'uso di particolari materiali o con l'applicazione di specifiche tecnologie. Le strutture di un edificio (a differenza della tavola o della tela di un dipinto) non possono essere considerate come semplice supporto all'aspetto dell'opera, essendo parte inscindibile del suo contesto figurativo. Se così non fosse le architetture potrebbero identificarsi con le scenografie, immagini ambigue, strutture effimere, piuttosto che spazio costruito per le esigenze di vita dell'uomo.

In sostanza, il valore di un'architettura sta sempre nella sua figuratività; quest'ultima esiste in quanto sono state usate tipologie strutturali e tecnologie ben precise. Proprio per questo in architettura non vale l'assunto brandiano (prima ricordato e per altri versi accettato): è infatti difficile distinguere la materia intesa come struttura da quella intesa come aspetto. Al tempo stesso, il fatto che l'architettura debba continuare a essere funzionale - ciò che garantisce la sua stessa vita futura - impone interventi necessari, anche se dolorosi per le trasformazioni prodotte. Di qui l'esigenza di specificare, affrontandoli, alcuni problemi d'interesse generale, in modo da poter trarre dalle loro soluzioni alcune regole di comportamento.

Il consolidamento delle strutture murarie può essere riguardato in vari modi, ciascuno dei quali offre più risposte, a seconda del punto di vista da cui lo si considera. Si prendano in esame alcuni tra i principali casi che si possono presentare al momento delle scelte operative. Un primo problema si presenta considerando l'uso nel r. di materiali e tecnologie moderni. In linea di principio questi non dovrebbero essere ammissibili per l'evidente alterazione della tipologia strutturale antica che ne deriva. In qualche caso, tuttavia, una loro utilizzazione potrebbe essere l'unico modo di salvare il monumento, specie quando l'uso delle tradizionali tecniche murarie si rivelasse poco affidabile. Un intervento di questo tipo deve comunque rappresentare un'eccezione rispetto alle necessità poste dalla corrente, continua operatività.

Questo tipo di scelta, tuttavia, pone di fronte al problema del rapporto fra struttura e figuratività nelle opere di architettura. Occorre infatti porsi la domanda se sia lecito, o meno, nascondere le nuove strutture al fine di mantenere intatta l'esteriorità formale del monumento, e quale sia, in questo caso, il nuovo significato dei suoi spazi. Non vi è dubbio che mutare la tipologia strutturale di un edificio equivale a sostituire la tavola o la tela deteriorate nei dipinti: nelle architetture, come si è detto, la struttura concorre in modo inscindibile alla loro figuratività e non può esserne separata. Se così fosse, occorrerebbe domandarsi di nuovo se l'architettura debba essere conservata nella sua realtà e integrità attuale, oppure come sola apparenza, immagine non costruita e solo percepita, tale in ogni caso da doversi considerare molto importante. Il che equivarrebbe a dire che la grande qualità di alcune sue parti può giustificarne il sacrificio della tipologia strutturale. È chiaro che non è sempre possibile dare risposte valide a livello teorico, in quanto il contemperare esigenze diverse rappresenta il solo modo concreto di operare.

Va anche considerato come gli interventi che prevalgono siano quelli che tendono a nascondere l'intervento di consolidamento, anche nel caso in cui questo è particolarmente distruttivo della tipologia strutturale: tendenzialmente prevale dunque l'atteggiamento puro-visibilista.

Al contrario, l'intervento di consolidamento ottenuto mettendo in opera tecniche tradizionali murarie resta naturalmente, dove possibile, la soluzione ideale perché non dà luogo (se non limitatamente) ad alterazioni della tipologia strutturale. In questo caso, tuttavia, occorre guardarsi dalla tentazione del ripristino, specie quando si è in presenza di strutture ammalorate (tanto da esserne preferibile la demolizione e ricostruzione) che potrebbero essere 'riprodotte' con materiali e tecnologie identici a quelli originali: sarebbe questa, in ogni caso, la proposizione di un falso storico e artistico. Naturalmente leciti sono quegli interventi che, senza alcuna 'ricostruzione' ma solo con aggiunte, si propongono di rafforzare le capacità portanti delle strutture esistenti.

Un altro caso è rappresentato da un consolidamento che comporti aggiunte alle strutture esistenti tali che (non trattandosi di un ripristino) ne risulti modificato lo spazio preesistente. In questo caso, con il r. si progetta la ridefinizione di un nuovo organismo strutturale, dalla rinnovata articolazione e figuratività del suo spazio. Chiaro è che l'opportunità, o meno, dell'intervento è determinata dall'importanza dei valori che si intendono conservare, e non può mai essere vista in assoluto, seguendo parametri di giudizio che risulterebbero astratti. Come sempre nel r., è difficile che esistano due casi identici da cui trarre leggi generali.

La restituzione dell'immagine

L'idea di poter procedere alla restituzione dell'immagine di un'architettura rappresenta uno dei maggiori impegni della cultura del r. in ogni tempo, fondata com'è sull'affermazione che possa esistere soltanto una 'immagine' come manifestazione visibile del suo significato intrinseco. Concetto, questo, che nel tempo è stato variamente elaborato e presentato, sia per il completamento di opere interrotte, sia per il rifacimento di grandi parti mancanti rovinate nel tempo. Non si intende parlare di ripristino (sempre inammissibile in quanto tale e quindi da escludersi da ogni ragionamento sul r. architettonico), ma soltanto di quelle esperienze che, rispettose della storicità e della esteticità dell'opera, ne propongono in diversi modi il completamento. Si viene a negare, in tal modo, la sequenza delle immagini successive che, manifestazioni visibili di ogni fase, ne rappresentano il processo di trasformazione. In realtà, l'unica 'immagine' concreta effettivamente esistente è quella attuale (dell'ultima fase del processo di trasformazione) che, in quanto tale, non ha bisogno di alcuna 'reintegrazione' (in quanto integra per la prevalenza del valore della sua storicità), ma solo di eventuali risarcimenti per migliorarne la funzionalità. L'immagine dell'architettura esiste così com'è, e qualora si renda necessario attualizzarne le funzioni, può trasformarsi dando luogo a una nuova fase del processo del suo costante divenire o, nei casi quantitativamente meno rilevanti, ricostruendo e sostituendo piccole parti mancanti (cornici, riquadrature, soglie ecc.) venute meno per il trascorrere del tempo.

In ogni caso, il problema che si pone non è quello della reintegrazione, se non di modesti completamenti di parti decorative, ma di una vera e propria trasformazione, compiuta nella logica continuità del suo riconosciuto valore storico.

Per affermare meglio questo concetto può dirsi che, senza alcun dubbio, il celebre restauro di R. Stern e di L. Valadier dell'Arco di Tito sarebbe oggi del tutto improponibile: nessuno potrebbe pensare di demolire le mura antiche dei Frangipane che inglobavano i resti del monumento, e neppure si penserebbe alla reintegrazione della sua immagine avendolo ritrovato come 'rudere'. Questo r. va visto, come è logico, nel contesto del momento storico al quale appartiene, in cui prevale il valore di testimonianza dell'antichità classica. Un discorso analogo vale anche per gli 'speroni' del Colosseo, altro esempio cui, come al precedente, si deve riguardare quale manifestazione della cultura architettonica del tempo e non come restauro.

La stessa ricomposizione in anastilosi resta lecita soltanto per i 'ruderi' dei monumenti di qualsiasi epoca storica, in quanto non più 'architetture' ma testimonianze di un passato più o meno lontano. Si conferma, in tal modo, l'attuale validità, tanto della distinzione fra 'monumenti vivi' e 'monumenti morti' di G. Giovannoni, quanto della definizione di Brandi del 'rudere' come privo di valore d'arte, destinato per la rilevanza del suo valore storico alla sola conservazione della sua materia residua. Infine deve essere presa in considerazione un'istanza irrinunciabile: la necessità di mantenere in efficienza un'architettura del passato, che deve sempre prevalere rispetto a quella di conservarne il valore storico.

Senza alcun intervento, talvolta radicale, ogni architettura diventerebbe, nel tempo, un 'rudere': questo accadimento, in antitesi con J. Ruskin, non può essere accettato. Un rudere è tale perché viene ritrovato, in genere in conseguenza di uno scavo (oppure per dissesti avvenuti in tempi ormai lontanissimi), nel suo stato di rudere: è un'architettura senza più efficienza né figuratività, e mantiene il solo valore di documento storico: in nessun caso potrà essere rimesso in pristino.

Assai diverso è il caso di un'architettura, anche molto degradata, che per il suo valore sia storico sia economico si vuole conservare, sia pure a costo di radicali interventi innovativi (soprattutto a scapito dell'autenticità della sua materia), certamente tali da modificarne il valore storico. Ma questo è un altro problema, che permette di ampliare il campo d'intervento del r. architettonico e delle sue metodologie operative alla vasta problematica legata alla riabilitazione di quegli edifici che, pur non avendo rilevante importanza artistica, rappresentano comunque una memoria storica e hanno un notevole valore economico.

La riabilitazione conservativa dei vecchi edifici

Affrontare questo problema significa esplorare i limiti tra r. architettonico e progetto del nuovo. Si tratta di casi in cui si è di fronte a edifici dalla relativa monumentalità, interessanti solo per valore storico e, generalmente, in uno stato di grave degrado: esempi diversi che non possono essere suddivisi in rigide tipologie, per i quali esiste il problema della conservazione per l'importanza che rivestono, per es., per la storia della città. Si tratta, di norma, di edifici specialistici (edifici industriali, collegi, scuole, carceri e convitti ecc.), realizzati negli anni tra l'Ottocento e il Novecento, che hanno un valore economico che non può essere ignorato. Altrettanto può dirsi di alcune tipologie residenziali ottocentesche (unifamiliari, in genere, ma anche plurifamiliari), cui non è possibile mantenere la destinazione d'uso originaria per il loro mutato ruolo nel contesto dello sviluppo della città.

Questa vasta casistica deriva dal tumultuoso sviluppo urbano della seconda metà del 20° secolo. Ciò ha creato problemi un tempo inesistenti per il consumo rapidissimo di alcune tipologie specialistiche e per il sorgere di questi edifici su aree ormai divenute centrali e interessate da funzioni direzionali. Tutto ciò lega in modo indissolubile questa problematica a quella della ristrutturazione e soprattutto del r. delle città attuali, obiettivi che possono essere perseguiti soltanto con un'attività di programmazione dell'uso degli spazi urbani, che deve precedere qualsiasi intervento su scala edilizia: tutte le scelte funzionali, per es., appartengono agli indirizzi operativi del 'piano' che, in tal modo, si propone come il quadro di riferimento in cui si individua il prevalente interesse di ogni singolo episodio rispetto al contesto generale. La città è essa stessa un monumento, per cui il progetto del r. urbano resta comunque legato alle stesse procedure e metodologie di conoscenza e di scelte operative derivate dal r. architettonico.

Come si è detto, tuttavia, l'estrema varietà delle situazioni che possono presentarsi, dipendenti dalla diversità dei luoghi e delle circostanze che portano a favorire interventi di riutilizzazione edilizia, impedisce la formulazione di regole generali, favorendo procedure basate sull'analisi del caso per caso. Giova infine sottolineare come in questa categoria di interventi si collochino tutti quelli riguardanti la cosiddetta archeologia industriale, che va considerata non come categoria a sé stante di edifici, ma nell'ambito della storia dell'architettura del 19° e 20° secolo. Considerarli in modo autonomo, come spesso avviene, significa attribuire loro un significato che non hanno (quello del 'rudere' industriale), dando luogo a un'artificiosa distinzione fra tipologie edilizie appartenenti a uno stesso periodo storico e dalle simili qualità figurative. Nonostante questi equivoci, tuttavia, resta il valore storico e talvolta artistico di alcuni di questi episodi e, in ogni caso, l'importante testimonianza del significato dello sviluppo industriale delle diverse comunità: chiaro è che allo stesso modo vanno riguardati tutti gli episodi di insediamenti residenziali, legati allo stesso periodo, memoria viva del modo di interpretare la crescita delle città.

Per tutte le varie tipologie di edifici non esiste un'unica logica di intervento. Il r. architettonico, più o meno conservativo, ne impedirebbe quasi sempre un adeguamento rispetto a qualsiasi rinnovamento funzionale, indispensabile per la loro ristrutturazione. Si pensi ai grandi spazi interni degli edifici industriali, che dovrebbero rimanere integri anche se non più adeguatamente fruibili; oppure alle ville dei quartieri borghesi della fine dell'Ottocento che, come residenze unifamiliari, non possono più avere ragione d'essere; e ancora a carceri dismessi (per es., quelli fiorentini delle Murate e di S.Verdiana), realizzati per lo più dopo l'unità d'Italia ristrutturando radicalmente antichi conventi tanto da renderli irriconoscibili; si rifletta, infine, che non si tratta di pochi esemplari isolati, costituendo il loro grande numero un notevole problema di ricerca sulla destinazione d'uso.

Di fronte a tutto ciò diventa evidente che occorre definire nuovi parametri d'intervento, che affrontino il tema della 'riabilitazione' funzionale e strutturale dei diversi tipi di edifici, in modo che questa risulti 'conservativa' del loro prevalente valore attuale di memoria storica e anche di quanto può essere importante della loro artisticità, se esistente, riguardata e conosciuta nell'ambito del proprio momento di appartenenza. Ciò equivale a dire che dovrà essere posta in atto una nuova fase del loro ancor breve processo di trasformazione: questa, tuttavia, pur se in logica continuità, non potrà che proporsi come fortemente innovativa, dovendosi procedere, di necessità, a una riprogettazione. D'altronde, l'alternativa sarebbe la loro distruzione mentre, in tal modo, non è soltanto l'edificio ma anche tutto il contesto di questa parte più recente della città a essere conservato. Il ridisegno degli spazi interni diviene il tema fondamentale del progetto, il cui unico limite può essere dato dalla conservazione dei percorsi di accesso, di risalita (rampe e scale) e di distribuzione. Sono questi gli unici elementi del tipo originario che, con il disegno delle facciate, possono essere mantenuti.

Le scelte funzionali, legate come sono alle specifiche destinazioni d'uso, vanno riportate totalmente alle scelte di programmazione urbanistica. Vale la pena sottolineare che la linea della 'riabilitazione conservativa' si oppone all'urban renewal, scegliendo quale suo prevalente interesse quello della salvaguardia di ogni momento della storia della città. Tutto questo senza il timore di fuoriuscire dalle rigide definizioni disciplinari del restauro.

Il restauro dell'architettura contemporanea

Occorre stabilire quale sia in generale il valore attuale delle architetture contemporanee, e quali esse siano. Anche se tali possono essere dette tutte quelle realizzate durante il 20° sec., è meglio prendere in considerazione, in prima istanza, tutte quelle riconducibili entro il cosiddetto Movimento moderno, fino a quelle di questi ultimi decenni, a qualunque corrente appartengano. Un insieme molto vario e complesso che ha in comune la negazione del classicismo come contesto figurativo di riferimento, riproposto talvolta solo come citazione, oltre l'uso di tecnologie costruttive legate quasi esclusivamente all'impiego del ferro e del cemento armato e ai materiali più nuovi. Ultima caratteristica è l'individuazione di nuove tipologie edilizie, molto specialistiche e prive di riferimento alla tradizione storica.

Il valore attuale delle architetture del Movimento moderno può farsi coincidere con quello originario, del momento del loro progetto e realizzazione. Malgrado la rilevanza e il numero degli avvenimenti di questo secolo, che pur hanno prodotto notevoli cambiamenti politico-sociali in un contesto di grande progresso tecnologico, il tempo trascorso resta comunque breve; molti protagonisti sono scomparsi solo da poco, tanto che le architetture non hanno generalmente subito, a meno del degrado fisico, alcuna alterazione: non si è ancora innescato alcun processo di trasformazione.

Altrettanto può dirsi per i materiali e le strutture identici a quelli ancora in uso (salvo alcuni, particolari, andati fuori produzione). Va inoltre considerato come il ruolo che svolgono questi edifici nelle città non sia mutato, anche se al r. si deve spesso una proposta di nuova utilizzazione funzionale: può dirsi che in tal modo sia proprio il r. ad avviare la prima fase di un processo di trasformazione. Si consideri, intanto, che nei casi più gravi, ove la presenza di una nuova fase sembrerebbe più evidente, si tratta di aggiunte superfetative dovute al variare della destinazione d'uso e che possono agevolmente essere rimosse. È chiaro come in questi casi (e solo in questi) l'unico tipo di intervento debba essere quello di ripristino, che tale tuttavia non è, ponendosi il fine della conservazione del valore attuale (identico a quello originario) di queste architetture: si tratta ancora una volta di un modo per rifiutare il ripristino. Va comunque evidenziato come questo modo di intendere il r. possa essere applicato solo a quelle opere cui venga riconosciuto un valore (in questo caso prevalentemente artistico) e non a tutte le architetture contemporanee: l'attuale cultura storico-artistica non riconosce alcun valore alla maggior parte di esse (si pensi all'edilizia delle moderne periferie), cui non può essere applicato nessun tipo di r., se non su scala urbana. In quest'ultimo caso a prevalere sarebbe il valore del tessuto edilizio, se esistente, rispetto alla mancanza di qualità figurative dei singoli edifici. È questa una prospettiva nuova, sconosciuta e da approfondire, sperimentando anche precise metodologie operative per una più specifica conoscenza storica. Ma questo è solo un proponimento da verificare: e da esso può iniziare la ricerca sul 'restauro' della città contemporanea.

Per tutte le altre architetture del 20° sec. (la maggior parte delle quali realizzate prima del 1940), diverso è il loro valore attuale: grande è l'importanza delle esperienze liberty e floreali e di quelle legate all'applicazione del ferro e della ghisa, per la loro qualità d'arte; mentre tutte le altre hanno soltanto un valore storico, legato per lo più al loro ruolo essenziale di tessuto edilizio di base dell'espansione urbana di quegli anni. In ogni caso dignitose nella loro veste storicista, ancorché eclettica, spesso realizzate in strutture murarie, rappresentano un'estensione della cultura ottocentesca. Per tutti questi edifici (come per quelli del Movimento moderno) non si è manifestato alcun processo di trasformazione, se non per l'aggiunta di elementi superfetativi, oltre talvolta il loro degrado fisico. Al contrario, profonda è sempre la variazione della destinazione d'uso. Va accennato come il problema dell'intervento di r., malgrado la complessità delle diverse tipologie edilizie e delle esperienze figurative, si presenti comunque in maniera identica e sempre da ritrovarsi entro i criteri già indicati per gli edifici più antichi. Malgrado il tempo trascorso sia relativamente breve, la distanza che separa culturalmente queste esperienze architettoniche dal momento attuale è talmente grande da non potersi ammettere nessuna forma di ripristino senza riproporre un falso storico. A tutto ciò occorre aggiungere l'incapacità attuale, soprattutto a livello della qualità della mano d'opera, di affrontare, se non a costi altissimi, la riproposizione di apparati decorativi spesso molto raffinati.

Resta, infine, il problema della loro destinazione d'uso, risultando difficile progettare soluzioni congruenti, sia per il gran numero dei casi, sia per i mutamenti profondi del ruolo di questi nel contesto urbano. Dovrà porsi, allora, il problema di affrontare la definizione di una nuova fase per avviare una trasformazione, anche se alterativa del loro valore attuale. Una casa unifamiliare può, per es., trasformarsi in una unità per residenze multiple; un edificio di abitazione in un hotel, se non in un palazzo per uffici, purché l'intervento sia regolato da uno strumento di programmazione urbanistica. Trasformazioni, queste, che possono essere realizzate nel rispetto delle tipologie edilizie, dei loro percorsi interni, delle strutture e delle decorazioni originali, cioè a dire, di tutti quegli elementi che rappresentano il valore attuale di un edificio, per riproporre il ruolo conservativo del r., in alternativa alle operazioni di ristrutturazione urbanistico-edilizia, attualmente portate avanti in ogni parte del mondo, soprattutto per promuovere la 'riabilitazione', nelle città, dei quartieri del più recente passato.

bibliografia

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Restauro delle opere d'arte contemporanea

di Maria Grazia Castellano

Il r. nasce, anche per l'arte contemporanea, dall'esigenza di trasmettere al futuro la testimonianza artistica e storica della nostra epoca. Il r. di opere di recente esecuzione è, in realtà, un'evenienza più frequente di quanto si pensi e non soltanto conseguente a incidenti o atti vandalici.

Problemi specifici relativi all'arte contemporanea sono connessi a procedimenti spesso estremamente individualizzati e volti alla sperimentazione di nuove tecniche e nuovi materiali. Il comportamento nel tempo di alcuni materiali, così come le loro interazioni in opere polimateriche, non è stato ancora verificato; d'altra parte il problema della vita dell'opera nel tempo può essere considerato irrilevante nell'ambito del processo creativo e, anzi, l'uso consapevole di materiali deperibili, e conseguentemente il deterioramento e la fine materiale dell'opera, è spesso parte integrante del progetto artistico. Anche tecniche di antica tradizione, come l'affresco o la pittura a tempera o a olio, possono essere state impiegate in modo anomalo e, quindi, comportano nell'intervento di r. soluzioni specifiche. Un fattore di degrado è costituito, poi, dai più frequenti spostamenti cui le opere contemporanee sono sottoposte per la loro presenza in varie mostre personali dell'artista o in rassegne collettive. Il trasporto è talvolta eseguito con imballaggi non idonei ad assicurare un'adeguata protezione; variazioni termoigrometriche di rilievo, dovute a escursioni giornaliere e stagionali o allo spostamento in ambienti che abbiano caratteristiche diverse (più caldi e secchi o, al contrario, più freddi e umidi), possono determinare variazioni strutturali dei materiali.

Si deve aggiungere che alcune espressioni d'arte contemporanea possono essere, o apparire, provocatorie, suscitando atti vandalici di protesta o di irrisione: può accadere così che ai buchi sulla tela di un Concetto spaziale di L. Fontana venga aggiunto un nuovo buco, o che ai segni a pastello e a matita di C. Twombly se ne aggiunga uno a penna biro.

Sia per garantire un'adeguata conservazione, sia per eventuali interventi di r., sono necessari, dunque, oltre a un'analisi storico-critica che consenta la comprensione dell'opera e quindi la trasmissione del suo messaggio artistico, un approfondito esame delle tecniche e dei materiali, ottenuto anche attraverso analisi merceologiche e scientifiche, e un'ampia documentazione di supporto.

È importante che le opere di proprietà di musei e collezioni siano accompagnate da schedature e documentazioni riguardanti dati tecnici (compresa una scheda di rilevamento dello stato di conservazione e di eventuali precedenti interventi di r.) e da notizie raccolte attraverso fonti letterarie o testimonianze di contemporanei, in primo luogo dell'artista, da fotografie e video, documentazione, questa, particolarmente utile per opere effimere o deperibili. Se molte collezioni pubbliche e private possiedono già apparati documentari, è necessario che questi trovino uniformità metodologica e formale e un'applicazione il più possibile diffusa. Significative in tal senso sono, per es., le iniziative del Ministero della Cultura francese, quali il Vidéomuséum, promosso nel 1987, che documenta le opere del 20° sec. conservate in musei, fondazioni e collezioni pubbliche in Francia, o il progetto europeo NARCISSE (Network for Art Research Computer Image Systems in Europe) del 1990, che offre un sistema multilingue di gestione e consultazione di dati determinanti, nella conservazione e nel r. (v. anche arte: Tecnologie avanzate nella conoscenza e nella fruizione dell'opera d'arte, in questa Appendice).

Si deve inoltre accennare al fatto che interventi di r. su un'opera di un artista vivente comportano aspetti legali non ancora regolamentati da una precisa normativa. L'artista, pur mantenendo una sorta di diritto d'autore sulla sua opera, non ne dispone più dal momento della sua alienazione, poiché è il proprietario che può decidere di restaurarla affidandola nuovamente all'autore, sempre che egli sia d'accordo, o a un restauratore professionista. L'artista da parte sua non è obbligato a restaurare le proprie opere, nel caso gli fosse richiesto; ma a tutela della sua reputazione, di fronte a un pesante stravolgimento dell'opera causato da un intervento mal eseguito - per imperizia del restauratore o per un'errata richiesta del committente - o, al contrario, provocato dall'incuria che ne abbia determinato una drastica alterazione, può decidere di disconoscerne la paternità. È opportuno, quindi, che qualora un intervento di r. presenti dei problemi particolari venga eseguito con l'approvazione ed eventualmente con la consulenza dell'artista stesso.

Sebbene non vi siano ancora metodi e criteri generalmente applicati per la conservazione e il r. dell'arte contemporanea, data la sua variegata gamma espressiva, si deve prendere atto che in ambito internazionale si tenta di formulare criteri-guida o modelli operativi che consentano di eseguire interventi non arbitrari, storicamente, esteticamente e tecnicamente corretti, e rispettosi dei principi deontologici. Fondamentale è il riferimento a un'impostazione metodologica di base, che può coincidere con i principi teorici del r. applicati all'antico validamente espressi nella Teoria del restauro di C. Brandi (1963). Come per l'arte antica, dunque, il r. di un'opera contemporanea è la conseguenza di un atto di ricognizione critica e dell'analisi delle tecniche e dei materiali impiegati. Benché questa analisi vada condotta individualmente e specificamente per ogni singola opera, è possibile identificare alcune categorie tipologiche.

In una prima categoria possono rientrare opere eseguite con tecniche tradizionali (olio su tela, tempera su tavola ecc.) o semi-tradizionali (vinilico o acrilico su tela ecc.): per il loro r. si seguono gli stessi principi metodologici validi per quelle antiche, si applicano, cioè, le stesse norme di rispetto per il materiale originale, adottando gli stessi criteri di documentazione e reversibilità. Apparentemente legate a tradizioni secolari, queste tecniche presentano, tuttavia, anche insidie.

Negli anni Trenta alcuni artisti hanno utilizzato tecniche, come la tempera all'uovo e la tempera encaustica, ispirate da antichi trattati: non è un caso che Il libro dell'Arte di C. Cennini, scritto alla fine del 14° sec., sia stato ristampato più volte nel corso del Novecento, divenendo un testo guida per molti artisti moderni. La tempera all'uovo è stata adoperata da G. De Chirico, autore tra l'altro del Piccolo trattato di tecnica pittorica (1928), fonte preziosa anche per altre tecniche da lui usate, e da C. Cagli: come De Chirico, questi ha adoperato la tempera all'uovo su supporti di cartone, tavola e - alla v Triennale di Milano del 1933 - su muro (questi ultimi dipinti furono distrutti alla fine della mostra). La tecnica mista adoperata da Cagli per il dipinto murale con la Corsa dei Barberi (1935, Roma, Sala palatina dell'Accademia di danza) ha causato non pochi problemi alla conservazione dell'opera (Arte contemporanea. Conservazione e restauro, 1994, pp.171-86). Persino uno dei maggiori esponenti della Scuola di New York, M. Rothko, ha adoperato la tempera all'uovo, applicata insieme a strati di olio e vernice dammar, per la pittura delle sue tele; inoltre, nei dipinti eseguiti nel 1962 per la Harvard University, ha verniciato con chiara d'uovo strati di colori a olio molto diluiti con la trementina e impoveriti quindi di legante. Rothko probabilmente conosceva le ricette di Cennini attraverso un manuale di tecnica pittorica molto diffuso nelle scuole d'arte newyorkesi, The materials of the artist and their use in painting (New York 1934), traduzione del testo Malmaterial und seine Verwendung im Bilde (1921) di M. Dörner (1870-1939), professore all'Akademie der Kunst di Monaco. Il metodo di applicazione del colore di Rothko era tuttavia una libera interpretazione del metodo classico, e se gli consentiva di ottenere i caratteristici effetti di trasparenza ha, però, causato rapidamente la comparsa di sbiancamenti superficiali, scolorimenti e sollevamenti della pellicola pittorica. La restauratrice del Fogg Art Museum, che nove anni dopo l'esecuzione rilevò il cattivo stato di conservazione delle opere di Rothko, aveva scoperto, intervistando l'artista, che, oltre ad aver adoperato una tecnica anomala, egli aveva usato colori a olio di pessima qualità (Crammer 1987).

L'applicazione delle ricette dei trattati antichi, generalmente piuttosto sommarie, è estremamente diversificata e talvolta creativamente impropria, con conseguenze spesso negative ai fini della conservazione delle opere. La diversità dei procedimenti e dei materiali (colori molto diluiti o, al contrario, spessori materici molto accentuati, tele di preparazione industriale molto sensibili all'acqua ecc.), oltre ad altre considerazioni generali, come, per es., che un colore meno invecchiato risulta meno resistente ai solventi e al calore, fa sì che le tecniche e i materiali da adoperare per il r. di dipinti contemporanei siano spesso diversi da quelli adoperati tradizionalmente per i dipinti antichi. Le alterazioni che interventi pesanti possono causare su pellicole pittoriche estremamente delicate ed essenziali possono essere, ancor più che per l'arte antica, irreversibili.

Per il r. di opere contemporanee è molto importante che gli interventi siano minimi, strettamente necessari alla conservazione. È necessario pertanto approfondire la conoscenza dei materiali moderni (dai supporti diversi ai colori sintetici) e delle loro modalità di degrado. Il laboratorio del Museum of Modern Art di New York, in collaborazione con il Conservation Centre dell'Institute of Fine Arts della New York University, sta studiando metodi di identificazione dei leganti acrilici. Il progetto di ricerca, che include anche test di invecchiamento accelerato per conoscere il degrado a lungo termine di questi materiali, è importante per valutare gli effetti di puliture o verniciature protettive (gli acrilici generalmente non sono verniciati) senza incorrere col tempo in effetti secondari non previsti.

I monocromi, e con loro tutte le opere con vaste campiture di colore piatto (per es., i Concetti spaziali di L. Fontana ma anche gli Achrome di P. Manzoni, le strutture monocrome di E. Castellani, le sculture di tela di P. Pascali, le shaped canvases di E. Kelly o F. Stella), presentano alcune particolarità: essi infatti hanno superfici omogenee, perfette, metafisiche, nelle quali non sono previsti né macchie né alcun tipo di deterioramento. Talvolta gli artisti li eseguono con rulli o a spruzzo, per non avere neppure la traccia del pennello. Anche per queste opere è necessaria un'efficace prevenzione dei danni, che può consistere, quando possibile, in una protezione delle superfici con vetri antiriflesso.

Poiché queste opere male accettano i segni del tempo e dei r., spesso vengono ridipinte, nel tentativo di mantenerle impeccabili. La pratica della ridipintura, che è molte volte iniziata o autorizzata dagli stessi artisti, non evita tuttavia l'invecchiamento delle superfici, provocando anzi crettature e fessurazioni del materiale pittorico dovute agli spessori. Col tempo, inoltre, compaiono cadute di colore e modificazioni della tonalità, e può perdersi completamente la texture della superficie dell'opera, con il risultato, talvolta, di non riconoscere più il materiale di cui è costituita. E l'intervento di ridipintura, che ha spesso la finalità di mantenere intatto il valore di mercato di un'opera, finisce per comprometterne l'autenticità. Per l'esecuzione del r. si deve ricorrere quindi, anche per i monocromi, all'intervento accurato e competente di uno specialista che restituisca leggibilità e gradevolezza estetica all'opera mantenendone l'autenticità materica e storica.

Un'altra categoria può essere costituita da opere eseguite con materiali atipici manipolati dall'artista, come le sculture in celluloide di N. Gabo e A. Pevsner, le plastiche di A. Burri, oppure opere polimateriche, a partire dai collages fino ai combine paintings di R. Rauschenberg. Anche per queste opere la prevenzione del degrado deve essere un imperativo categorico. È noto, per es., che alcuni materiali plastici, come il nitrato e l'acetato di cellulosa, il cloruro di polivinile (PVC), il politene, il polistirolo e alcune gomme naturali e sintetiche (poliuretani), sono estremamente sensibili a fattori ambientali quali la luce, l'ossigeno, l'umidità e la temperatura, e in condizioni ambientali non favorevoli deperiscono rapidamente; tuttavia, la gran parte dei musei e delle collezioni private non è ancora equipaggiata per affrontare le specifiche problematiche espositive e di immagazzinaggio di opere costituite da questi materiali. Per questi motivi ci si può trovare di fronte a opere danneggiate che l'osservanza di semplici precauzioni sarebbe bastata a mantenere in condizioni migliori. Espressione della ricerca artistica contemporanea, queste opere sono oggetto di studi tecnici specialistici volti a definire metodologie per bloccare o rallentare il degrado con adeguate misure di intervento e prevenzione.

Tra le istituzioni che conducono le ricerche più avanzate in tale settore si ricordano la Conservation Unit of the Museums and Galleries Commission e la Plastics Historical Society di Londra, il Canadian Conservation Institute di Ottawa e il Getty Conservation Institute di Marina del Rey (California). Presso quest'ultimo, in collaborazione con il Museum of Modern Art di New York, sono stati eseguiti degli studi per indagare il degrado e i metodi più idonei di conservazione di un materiale plastico estremamente problematico, la celluloide (nitrato di cellulosa), di cui sono costituite alcune sculture degli anni Venti di Gabo e di Pevsner che fanno parte della collezione del museo. La celluloide, un materiale deperibile e infiammabile, fu adoperata, soprattutto per la fabbricazione di giocattoli e palline da ping-pong, fino agli anni Quaranta, quando venne sostituita dall'acetato di cellulosa, non infiammabile e meno deperibile. Le sculture del Museum of Modern Art mostravano alterazioni come crettature e fessurazioni, scolorimento, depositi di liquido sulla superficie e danni strutturali. Il risultato di questa ricerca è stato, in prima istanza, quello di ridurre il rischio di ulteriori alterazioni soprattutto attraverso una corretta conservazione ambientale. Studi in questa direzione sono ancora in corso, tuttavia allo stato attuale non è possibile restituire plasticità al materiale alterato per la perdita di plasticizzante volatile.

Una plastica più resistente all'invecchiamento è invece quella adoperata da Burri nel Grande Rosso del 1964, della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma: la plastica rossa, panneggiata su un supporto e saldata con la fiamma ossidrica, è un copolimero di policloruro di vinile ed etilene acetato (di vinile). Questo materiale ha una struttura stabile e una buona flessibilità, e non ha bisogno, come altre materie plastiche, di plastificanti esterni, la cui migrazione, con l'andar del tempo, provocherebbe crettature e fessurazioni della superficie per perdita di elasticità.

Quando sono elementi costitutivi del progetto artistico, strappi, bruciature, tagli possono rendere l'opera maggiormente soggetta all'azione deteriorante del tempo. Se il deterioramento non compromette l'esistenza dell'opera e non è in contrasto con l'intenzione dell'artista, non è necessario un intervento di r., altrimenti - come comunemente avviene per analoghi danni - tagli, abrasioni e lacune vengono risarciti e reintegrati con piccoli interventi locali.

Problemi diversi presentano opere costituite da materiali prodotti industrialmente e assemblati, che possiamo considerare appartenenti a una terza categoria. In questo caso, se i materiali adoperati per l'assemblaggio si sono deteriorati, disturbando la fruizione e talvolta anche la funzionalità dell'opera, e non possono essere restaurati senza provocare un'alterazione dell'aspetto e dell'idea artistica, si può ricorrere, senza commettere un atto di falsificazione, a una sostituzione di parti fino alla replica dell'intera opera. Paradossalmente, in alcuni casi proprio questo intervento consente di non perdere il messaggio artistico e con esso l'autenticità dell'opera.

Nella vasta produzione di Pascali del 1968 possiamo trovare esempi per questa categoria di opere. Liane, Trappola chiusa, Ponte sono lavori realizzati con pagliette di ferro - di quelle che si usano in cucina per pulire le pentole - assemblate insieme. Le pagliette di ferro in alcune di queste opere si sono deteriorate e, non potendo essere restaurate senza alterare la povertà del materiale, essenziale al messaggio artistico, sono state sostituite con altre pagliette identiche ancora in commercio. Sempre di Pascali è la serie dei Bachi da setola, del 1968, costituiti da scovoli di plastica blu, rossi e verdi montati su una struttura di ferro, che presenta nei vari esemplari un diverso stato di conservazione: alcuni, esposti lungamente a una luce molto forte, sono scoloriti; altri, esposti in condizioni ambientali più favorevoli, hanno mantenuto il colore originale. In questo caso, la sostituzione degli elementi più alterati non è possibile in quanto questi oggetti sono ormai fuori produzione.

Un altro ciclo di opere di Pascali è costituito da vasche di lamiera di ferro verniciata che durante gli allestimenti vengono riempite di acqua colorata di blu: l'acqua è un materiale costitutivo ed è anche il principale elemento estetico (Canali di irrigazione, del 1967). Dopo numerose installazioni le vasche presentavano gravi problemi di corrosione che non potevano più essere risolti con interventi di stuccatura dei fori e riverniciatura ad antiruggine. Le vasche di Canali di irrigazione appartenenti a una galleria privata sono state sostituite; anche il Kröller-Müller Museum di Otterlo, che conserva un altro esemplare dell'opera, dopo un approfondito esame, sembra orientato a sostituirle, conservando però le vasche originali, restaurate, come documentazione.

Anche le opere di arte cinetica o di videoarte possono richiedere manutenzione o sostituzioni di parti. Motori o congegni meccanici, elementi essenziali dell'opera cinetica, monitor e congegni elettronici, strumenti della videoarte, possono danneggiarsi e, in molti casi, è possibile ripararli o sostituirli senza compromettere né l'assetto né l'aspetto dell'opera. Tuttavia possono presentarsi anche situazioni più complesse e problematiche.

Nella scultura filiforme di J. Tinguely, Sculpture méta-mécanique automobile (1954), il motore è parte integrante della struttura e dell'immagine: attorno a una barra centrale, ruote ed elementi geometrici in lamiera dipinta si muovono grazie a una serie di ingranaggi collegati a un congegno meccanico saldato alla stessa barra. Entrata nel Musée national d'art moderne di Parigi (1981) in cattive condizioni, quest'opera necessitava di un intervento di r. per il quale è stato interpellato lo stesso autore: secondo le sue direttive non si è intervenuti sul congegno meccanico fuori uso, la cui sostituzione avrebbe modificato l'assetto e l'aspetto dell'opera, e solo in maniera limitata si è intervenuti sulle alterazioni della policromia mentre si sono ricostituiti alcuni raggi delle ruote (Conservation et restauration des œuvres d'art contemporain, 1994).

L'evenienza di tali danni ha ancor più messo in evidenza un aspetto importante nella conservazione delle opere, quello cioè della documentazione. Allo Stedelijk Museum di Amsterdam è stata filmata l'opera di Tinguely Gismo (1960) in movimento, registrandone il suono che ne scaturisce, cosicché, quando la complessa costruzione meccanica non sarà più restaurabile, esisterà una documentazione cinetica e sonora dell'opera ormai statica e muta. Questa documentazione può inoltre essere utilizzata nell'esposizione anche per non sottoporre a usura i delicati meccanismi ancora debolmente funzionanti.

Altro caso esemplare è rappresentato da un'opera di N.J. Paik, Buddha's catacombs (1974): una testa in bronzo di Buddha è sistemata di fronte a un televisore, dietro al quale è una telecamera che riprende il Buddha, trasmettendogli sul monitor la sua immagine. L'opera fu acquisita dal Musée de l'Abbaye Sainte-Croix di Les Sables-d'Olonne nel 1986, ma due anni dopo il televisore non funzionava più; l'artista decise allora di sostituire il televisore, originariamente piccolo, sferico e in bianco e nero, di un design tipico degli anni Settanta, con un televisore a colori e rettangolare del 1988. Questa soluzione, però, alterava la storicità dell'opera e nel 1992, in occasione di una mostra, fu finalmente possibile, grazie ad abili specialisti, riparare il televisore originale. Tuttavia la storia di quest'opera non era finita: durante un'altra mostra, sempre nel 1992, il televisore fu rubato, e solo dopo una laboriosa ricerca fu trovato un piccolo monitor in bianco e nero, usato, molto simile a quello originale, che ha permesso di ripristinare la natura estetica e storica dell'opera (Conservation et restauration des œuvres d'art contemporain, 1994).

L'opera di Paik Buddha's catacombs ci consente d'introdurre un'altra problematica legata a una particolare espressione dell'arte contemporanea, quella cioè delle installazioni. La conservazione di un'opera da riassemblare per ogni esposizione, come, per es., le installazioni di J. Beuys, di M. Merz, di M. Pistoletto o di G. Paolini, presuppone una conoscenza dell'intenzionalità artistica, espressa anche in piccoli dettagli, quali, per es., gli spazi da lasciare tra un pezzo e l'altro. Riallestire un'installazione è un po' come intervenire ogni volta sull'opera, con il rischio di alterarne il senso. L'esecuzione corretta di un allestimento è paragonabile a quella di uno spartito musicale: chi la esegue, e non può sempre essere l'autore, deve conoscere bene il testo. Gli allestimenti eseguiti con la consulenza dell'artista vivente, o di assistenti e contemporanei di artisti scomparsi, devono essere documentati fotograficamente e filmicamente per poterli correttamente riproporre. Il singolo oggetto che fa parte dell'assemblaggio di un'opera può, come si è detto, essere sostituito con un oggetto uguale o, talvolta, equivalente. Quello che in queste opere concettuali è fondamentale conservare non è l'autenticità del materiale ma l'autenticità dell'intenzione artistica.

La Venere degli stracci (1967) di Pistoletto, per fare un esempio, presenta una statua di Venere e un mucchio di stracci: nei suoi vari allestimenti non è necessario che gli stracci siano sempre disposti nello stesso modo, o che siano sempre gli stessi, mentre è importante mantenere la relazione spaziale originale di contatto tra la Venere e il cumulo di stracci ideata dall'artista.

Per Paolini la sostituzione dei calchi di gesso, nelle sue opere costituite da sculture e da frammenti di sculture classiche assemblate insieme, è un'operazione di manutenzione. Questi calchi devono apparire in perfette condizioni, perciò quando sono danneggiati l'artista ne fa eseguire nuovi esemplari. Per le opere fotografiche l'artista ricorre alla sostituzione della foto solo se è lacerata, e non per alterazioni cromatiche del bianco e nero che senza un'adeguata protezione dalla luce si riproporrebbero in tempi brevi. La sostituzione viene eseguita mediante ristampa dal negativo fotografico originale che l'artista conserva accuratamente in un archivio.

Beuys, d'altra parte, nell'affrontare nel 1984 il r. della sua installazione Infiltration homogen für Konzertflügel (1966), conservata nel Musée national d'art moderne di Parigi, ha messo in atto un nuovo processo di creazione: ha sostituito il feltro che copre il pianoforte ma ha posto quello consunto a fianco dello strumento a testimonianza del suo rispetto per l'evoluzione dell'opera e dei materiali (Conservation et restauration des œuvres d'art contemporain, 1994).

Se un'opera è costituita di materiali effimeri, facilmente deperibili, si pone la questione se si debba lasciarla al suo destino, senza preoccuparsi della sua durata, come pensano alcuni artisti e critici, oppure mettere in atto tutte le misure necessarie alla sua conservazione, o programmare un eventuale restauro. Il problema non può, infatti, essere liquidato con una semplice valutazione dell'intenzione artistica, ma si deve tenere conto, soprattutto quando il proprietario è un museo, del valore materiale e culturale dell'opera divenuta parte di un patrimonio comune. Allo stesso modo va considerato il modo di mantenere la conoscenza e la documentazione di espressioni artistiche, come happenings, Body art e in genere le performances, che si esauriscono nel momento stesso della loro esibizione.

Nel caso della Land art gli interventi sono eseguiti sull'ambiente naturale o urbano, come i famosi 'impacchettamenti' realizzati con plastiche e corde da Christo su elementi naturali o architettonici generalmente molto noti. Questo genere di arte è per eccellenza temporaneo e non può essere restaurato, ma solo documentato: come per happenings e performances, la documentazione, e quindi la conservazione dell'evento, può essere affidata alla sua registrazione fotografica, filmica o video, prevista molte volte dallo stesso artista, come nel caso di R. Long o R. Horn. Il problema della conservazione e del r. si traspone, quindi, dall'opera alla sua documentazione.

Tra gli artisti che considerano il degrado dei materiali come elemento estetico e che addirittura progettano lucidamente la distruzione dell'opera, un esempio interessante è costituito da D. Roth (1938-1998) che, utilizzando materie commestibili, ha creato realizzazioni di Eat art, molte delle quali sono conservate nei musei di Berna e Basilea. Secondo le sue intenzioni le opere sono delle metamorfosi alle quali lo spettatore assiste; cioccolata e zucchero, materiali con i quali egli lavora, vengono infatti divorati da insetti e microrganismi e la progressiva distruzione dell'oggetto ne modifica la forma. Il r. o la prevenzione del degrado sono rigorosamente banditi e l'unica concessione dell'artista è che la metamorfosi dell'opera avvenga all'interno di una teca, per evitare la perdita dei frammenti. A prescindere dalla bizzarria del materiale prescelto, l'intervento su opere di materie commestibili deve essere impostato con le consuete metodologie, studiando le caratteristiche di fabbricazione e degrado del materiale, individuando le condizioni ambientali ottimali per conservarlo (50% di umidità relativa e 20 °C per l'esposizione), metodi di pulitura e consolidamento e il sistema più adatto per eliminare gli insetti. In ogni caso queste opere possono prestarsi a ipotesi d'intervento diverse: ricorrere, per es., al congelamento invece che a trattamenti di disinfestazione a base di prodotti tossici che, rendendo non commestibile la cioccolata, violerebbero l'intenzionalità artistica; valutare, viceversa, le modalità dell'intervento sul presupposto che in realtà sia da salvaguardare essenzialmente la 'percezione' di commestibilità del materiale che costituisce l'opera (From marble to chocolate, 1995).

Per quanto riguarda le sculture moderne e contemporanee in legno, pietra o metallo, esse presentano problemi analoghi alle opere d'arte antica, e quindi analoghe sono le soluzioni adottate per la loro conservazione e l'eventuale r.; e questo vale anche per metalli particolari di più recente utilizzo come ghisa, acciaio e alluminio. Problemi particolari possono presentare sculture in ferro saldate (si pensi alle importanti e innovative realizzazioni di J. Gonzales dalla fine degli anni Venti) o che utilizzano materiali di recupero, come trafilati e laminati, scarti di industria e di diversa origine, spesso già ossidati e con formazioni di ruggine: questa conferisce, infatti, un caratteristico valore cromatico e una particolare definizione della superficie all'opera scultorea. Anche in questi casi, come in quelli precedenti, la necessità conservativa deve essere conciliata con l'intenzionalità artistica, quindi con metodi di pulitura non drastici ed eventualmente con l'applicazione di protettivi superficiali e, soprattutto, attraverso un accurato controllo ambientale.

Sculture moderne di grandi dimensioni e di vari metalli, quali ottone, rame, alluminio, presentano talvolta superfici lucidate e specchianti difficili da manutenere, soprattutto se conservate all'aperto. L'esecuzione di queste opere è spesso affidata dall'artista a officine specializzate, alle quali è opportuno rivolgersi in caso di r. o, comunque, per acquisire dati sulla tecnica esecutiva, sulla finitura della superficie e sulla patinatura impiegata. Per mantenere inalterate patinatura e finitura della superficie, che costituiscono un tratto essenziale alla lettura dell'opera, è importante mettere in atto metodi di protezione passivi, come il controllo dell'umidità ambientale, se le opere sono conservate in ambiente chiuso (45% circa, per evitare l'estensione dei processi di corrosione che porterebbero col tempo alla perdita dell'oggetto), o attivi, come l'uso di protettivi, se le opere sono conservate all'aperto. Un ulteriore problema è rappresentato dalle sculture in metallo finite con vernici colorate: molto spesso è lo stesso autore a richiedere per la loro manutenzione una periodica riverniciatura, come nel caso di A. Calder per il Teodolapio (1962), il monumentale stabile realizzato nelle officine dell'Italsider di Savona e collocato nella piazza della stazione di Spoleto. Nel corso delle indagini preliminari per il r. della Grande spirale (1962) di E. Colla - conservata all'aperto nella Galleria nazionale d'arte moderna di Roma e per questo particolarmente degradata - si è potuto accertare l'aspetto originario dell'opera progettata dall'artista e realizzata nelle officine Italsider di Bagnoli, che si discosta dalle opere per le quali Colla utilizzava e assemblava ferri di recupero. Si è quindi potuto procedere al ripristino dell'aspetto originario concludendo l'intervento di r. con la verniciatura in nero (Conservare l'arte contemporanea, 1992).

Per una buona conservazione delle sculture all'aperto - ma questo è vero anche per quelle antiche - è necessario che non vi siano ristagni d'acqua. Vanno quindi messi in pratica mezzi, come per es. fori di drenaggio, per evitare l'accumulo dell'acqua piovana che rappresenta un'importante causa di deterioramento. In climi marini o in atmosfere urbane inquinate, anche le sculture di acciaio inossidabile possono alterarsi: ciò avviene in corrispondenza di macchie dovute a impurità di lavorazione e di saldature, dove possono iniziare azioni elettrolitiche che provocano ossidazione e corrosione, e anche in questo caso può essere quindi opportuno il trattamento con un protettivo. Per le sculture molto degradate, o che per forma e condizioni si rivelino particolarmente vulnerabili se collocate all'aperto, si pone il problema di un'eventuale astrazione dal contesto originale in favore di una collocazione in ambiente più idoneo alle necessità conservative.

Da questa trattazione, che non esaurisce la vasta casistica di procedimenti e materiali relativi alla produzione artistica del 20° sec., emerge la problematica complessità del concetto di r. dell'arte contemporanea. Oltre alle diverse soluzioni specificamente studiate per i singoli casi, dalla scelta del minimo intervento alla sostituzione parziale, alla duplicazione o replica di un'opera concettuale, è possibile evincere la fondamentale importanza che, in particolare nell'arte contemporanea, hanno la conservazione preventiva e una documentazione accurata. A una formazione specifica e dettagliata del restauratore di arte contemporanea va rivolta la massima attenzione da parte delle istituzioni; è inoltre auspicabile che ogni museo sia dotato non solo di spazi adeguati per la conservazione delle opere non esposte ma anche di un suo laboratorio di restauro. Esemplari sono i laboratori e i dipartimenti di conservazione e restauro del Museum of Modern Art di New York, della National Gallery di Washington, del Royal Ontario Museum di Toronto, della Tate Gallery e del British Museum di Londra, del Musée national d'art moderne del Centre Georges Pompidou di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam e del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, così come il Restaurierungszentrum di Düsseldorf. Insieme ad altri importanti laboratori museali e istituti europei, americani e australiani, questi centri affrontano le delicate problematiche di intervento e svolgono le più avanzate ricerche nel settore.

bibliografia

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G. C. Scicolone, Il restauro dei dipinti contemporanei: dalle tecniche di intervento tradizionali alle metodologie innovative, Firenze 1993.

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Conservazione e restauro nell'arte contemporanea, a cura di G. Basile, Roma 1995, suppl. a Rivista di arte e critica, 1995, 6-7.

H. Althöfer, La radiologia per il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze 1997.

Modern art: Who cares?, Netherlands Institute for Cultural Heritage, Amsterdam 1998.

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