RIACE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

RIACE

Antonino Di Vita

Bronzi di Riace. - R., località della Calabria ionica, è situata pochi chilometri a sud dell'antica Caulonia. Il suo nome è entrato nella letteratura archeologica il 16 agosto 1972, quando il subacqueo S. Mariottini scoprì, a poco più di 200 metri dalla costa della contrada Agranci di R. Marina, due grandi statue, originali bronzei del 5° secolo a.C., che si avvicinano al notissimo Zeus-Poseidon del capo Artemision e all'altrettanto famoso Auriga di Delfi, sia per le dimensioni maggiori del vero, sia per l'età in cui furono realizzate, sia per la qualità artistica.

Curati fra il 1975 e il 1980 nel Centro di restauro della Soprintendenza archeologica per la Toscana (ma il loro restauro è stato ripreso nel 1993 a cura dell'Istituto centrale del restauro di Roma), i due bronzi di R. A e B, prima di ritornare nella loro sede definitiva, il Museo di Reggio Calabria, rimasero esposti al pubblico dal 25 dicembre 1980 al 24 giugno 1981 in una sala del Museo archeologico di Firenze e quindi, dal 29 giugno al 12 luglio 1981, al Quirinale. L'impatto su mass media e pubblico (si ebbero 700.000 visitatori) fu eccezionale e ha rimesso sul tappeto una serie di problematiche circa la gestione del rapporto opera d'arte-grosso pubblico, il processo di folklorizzazione dei capolavori, il valore dell'Antico nella cultura contemporanea (si vedano L.M. Lombardi Satriani, S. Settis, E. Paribeni, in Bollettino d'Arte, Sez. Sp. 3, 1984, ii, pp. 307, 335, 337).

Che i due bronzi di R. siano dei capolavori della scultura greca non v'è dubbio e, nonostante qualche ingiustificata, rara voce discorde (età ellenistica: R. Linnenkamp; 100 a.C.-età adrianea: B. Sismondo Ridgway), gli specialisti concordano nell'attribuirli al 5° secolo a.C. Quanto poi a precisare una datazione nell'ambito del 5° secolo, l'opinione dei più è che il bronzo A sia da ritenere opera degli anni intorno al 460 e il bronzo B sia stato prodotto nel decennio a cavallo del 430; il solo Paribeni scenderebbe il B al finire del secolo. Circa l'ambiente artistico cui i bronzi vanno attribuiti, malgrado siano stati fatti i nomi dell'egineta Onatas e dell'italiota Pitagora, con conseguente attribuzione delle due statue ad ambiente magnogreco (specie S. Stucchi) o eginetico (secondo P.C. Bol, esse proverrebbero dal donario degli Achei in Olimpia), e Paribeni abbia pensato per il bronzo A ad area peloponnesiaca, la communis opinio degli studiosi è che si tratti di opere di scuola attica (fra gli altri P.E. Arias, A. Di Vita, G. Dontas, W. Fuchs, A. Giuliano, C. Rolley, M. Torelli). E il nome di Fidia − accanto a quello di Mirone e di Alcamene (rispettivamente per A e B: Dontas) − è stato tirato in causa più volte in relazione anche a una loro supposta, ma indimostrata e indimostrabile appartenenza al donario degli Ateniesi a Delfi (specie W. Fuchs, A. Giuliano), decima della vittoria di Maratona (Paus. x, 10,1).

Oltre che sulla collocazione originaria delle statue, santuari di Delfi e Olimpia, Atene (specie agorà), città magnogreca o addirittura siceliota (R. Ross Holloway), gli archeologi sono divisi anche sul soggetto che ognuna di esse rappresenta: eroe della tradizione omerica, eroe eponimo di una tribù attica sono le più correnti identificazioni della A, mentre per la B si è più volte parlato di uno stratega. Stucchi poi avanza un'ipotesi singolare, quella che in entrambi i bronzi fosse raffigurato il locrese Euthymos nei suoi due aspetti di campione militare (A) e di guerriero protettore della sua terra (B); la prima statua gli sarebbe stata innalzata da vivo, la seconda da morto. Contrariamente poi a quanto pensa la maggior parte degli studiosi (e cioè che i due bronzi, frutto d'un saccheggio di opere d'arte in terra greca − sacco di Atene a opera di Silla? −, venivano portati a Roma), Stucchi ipotizza che le due sculture sarebbero state depredate da Pirro nel 275 a Locri Epizefiri e il naufragio sarebbe avvenuto poco dopo l'imbarco sulla rotta per l'Epiro.

Diversa da quelle finora ricordate è la posizione di Di Vita, il quale −sulla base della constatazione che il bronzo A, come il B, doveva portare un elmo; che non v'è motivo di supporre che il restauro subito dal B in età ellenistica ne abbia mutato l'atteggiamento originario; che nella mano destra sia A sia B non potevano che reggere ramoscelli d'alloro o d'olivo (C.O. Pavese), e infine sulla base di stringenti confronti con scene sulla ceramica attica figurata specie del tardo 6°-5° secolo − vede in entrambi i bronzi due vincitori della corsa armata in gare panelleniche o panatenaiche e al tempo stesso personaggi ateniesi di rilevanza politica che, onorati di statua, si proponevano al popolo attraverso l'immagine del grande ἀγὗνιϚτήψ (eroe cittadino, sotto la specie dell'oplitodromo vincitore). Le loro immagini non erano le sole a essere poste nell'agorà o sull'acropoli di Atene: ve n'era almeno un'altra conservataci in due repliche rinvenute a Tivoli nel canopo di Villa Adriana, il cosiddetto Ares o guerriero e il vicino Hermes. Si tratta di repliche da un prototipo che si pone stilisticamente e cronologicamente fra il bronzo A e il B e che è stato da più autori portato a confronto dell'A (Fuchs, Di Vita, Dontas, Paribeni).

Pur essendo entrambi i bronzi di R. sculture di grande rilevanza artistica − e per una loro corretta lettura bisogna immaginare lo splendere dell'argento degli attributi (il grande scudo, l'elmo, forse il ramoscello nella mano destra) contrastante con il lucido bronzo delle figure − non v'è dubbio che è nella statua A che ha preso forma la creazione originale. Si tratta dell'opera di un artista che sembra riprodurre bene le espressioni e le mode che i grandi pittori dell'età cimoniana avevano imposto ad Atene. Che poi fossero lo stesso Polignoto o Micone, scultori essi pure, a tentare la trascrizione plastica dei loro capolavori, o che fossero il maturo Mirone o, al limite, il giovane Fidia, pittore oltre che scultore, a cimentarsi nel rendimento della contemporanea ricchezza pittorica nella difficile arte del bronzo, è questione da lasciare aperta. D'altra parte, pur senza rivelare il nome dei loro autori, i due bronzi di R. hanno già portato un contributo di prim'ordine alla storia dell'arte greca. Si è pressoché concordi tanto nel ritenerli originali di grande qualità, quanto nel datarli nell'arco di un trentennio, come infine nel riconoscere in essi caratteristiche attiche, anche se poi, secondo Di Vita, in A è da intravvedere il clima dell'Atene di Cimone, pervaso da innovatrici ricerche pittoriche e dall'amore per il corpo atletico e per la vita in esso, mentre nel B si avverte un impegno più propriamente scultoreo, che mostra ciò che l'esperienza policletea poté significare per l'ambiente attico. Vedi tav. f.t.

Bibl.: La bibliografia precedente al 1981 è stata raccolta da L. De Lachenal e M.A. Rizzo nella terza parte del volume 3 della "Serie Speciale" del Bollettino d'Arte (Roma 1984), i cui due tomi costituiscono l'editio princeps dei Due bronzi di Riace. Il primo tomo è occupato dalla presentazione dei dati raccolti nel corso delle operazioni di recupero e di restauro nonché da una puntuale descrizione delle sculture (C. Sabbione). Nel secondo tomo sono raccolti saggi critici di P.E. Arias, A. Di Vita, G. Dontas, A. Giuliano, E. Paribeni, B. Sismondo Ridgway, C. Rolley, seguiti dalla rassegna bibliografica, cui si devono aggiungere M. Montuori, Due atleti olimpici?, in Il Tempo, 6 agosto 1981, e D. Del Corno, I bronzi di Riace. La Calabria fra leggenda e realtà, Pomezia s.a (1981?).

Tra la ricca bibliografia successiva al 1981 (oltre ai testi di storia della scultura greca, fra cui C. Mattusch, Greek bronze statuary. From the beginning through the fifth centures B.C., Ithaca-Londra 1988: a p. 209 un confronto assai interessante con una statuetta dal Tevere ad Hartford), si ricordino: E. Harrison, in Greek Art. Archaic into classical, Leida 1985; J. Marcadè, Rapports techniques et publications archéologiques. A propos des bronzes de Riace, in Rev. Arch., 1986, pp. 89-100; S. Stucchi, Le due statue di bronzo dal mare di Riace. Una revisione, in Rend. Linc., 41 (1986), pp. 111-35; O.R. Deubner, Die Statuen von Riace, in Jahrbuch des Instituts, 103 (1988), pp. 127-53; M. Harari, A proposito dei bronzi di Riace. Pausania e gli eponimi mancanti, l'iconografia di Pandione e altre considerazioni, in Athenaeum, 66 (1988), pp. 417-25; R. Ross Holloway, Gli eroi di Riace sono siciliani?, in Sicilia Archeologica, 21 (1988), 66-68, pp. 23-29; S. Stucchi, Nuove osservazioni sulle statue bronzee di Riace, in Rend. Linc., 43 (1988), pp. 99-102; O.R. Deubner, G. Dontas, W. Fuchs, in Praktiká tou XII Diethnoús Sinedríou Klassikés Archaiologías, 3, Atene 1988, pp. 74-78, 89-96 e 97-98; S. Stucchi, M. Nagele, in Griechische und römische Statuetten und Grossbronzen, Vienna 1988, pp. 45-51, 52-56; B. Cohen, Perikles' portrait and the Riace Bronzes. New evidence for schinocephaly, in Hesperia, 60 (1991), pp. 465-502. Per il nuovo lavoro di restauro cui i bronzi sono stati sottoposti con tecniche d'avanguardia, che portano a concludere che si tratta di fusione a cera perduta con metodo diretto (anziché indiretto come finora ritenuto), si veda l'intervista di A.M. Steiner ad A. Melucco Vaccaro, in Archeo, 9 (gennaio 1994), pp. 46-57.

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