RICCARDO d'Aquino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCARDO d'Aquino

Errico Cuozzo

RICCARDO d’Aquino. – Figlio di Rinaldo signore di Roccasecca e della baronia in Val Comino, e di una madre innominata, sorella di Ruggero de Medania, conte di Acerra e signore di Nusco e Montella, nacque in data imprecisata nei decenni centrali del XII secolo.

Venne investito da re Guglielmo II della contea e dei feudi dello zio materno, morto nel 1169. Nel 1171 è documentato come Riccardus Dei et regia gratia Acerrarum comes. Nel 1184 donò beni e alcune immunità feudali in Montella all’abbazia di Cava de’ Tirreni. Bello e di grande statura, è però accusato di pusillanimità in un Lamento che gli Annales Ceccanenses attribuiscono (falsamente) al decano di Montecassino.

Nel giugno del 1185 re Guglielmo II allestì in gran segreto una grande spedizione, forte di 80.000 uomini, contro l’Impero bizantino, ponendovi a capo Riccardo e il senescalco Alduino. La flotta di 300 navi, posta sotto il comando di Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, magnus comestabulus et magister iustitiarius totius Apuliae et Terrae Laboris, partì da Messina. Tancredi era cognato di Riccardo avendone sposato la sorella Sibilla, probabilmente intorno al 1173 (il figlio Ruggero aveva compiuto diciotto anni nell’agosto del 1193, quando divenne coreggente). Il 24 giugno 1185 fu presa Durazzo, che divenne la base delle operazioni. Le truppe, con cinquemila cavalieri e un corpo di arcieri saraceni, mossero verso Tessalonica, il secondo centro dell’Impero, conquistata e saccheggiata nel mese di agosto.

L’arcivescovo della città Eustazio, diretto testimone, ha lasciato il ricordo dell’occupazione normanna in una lunga omelia dell’anno seguente. I capi normanni, Riccardo e Alduino, riuscirono a stabilire l’ordine durante il giorno. Ma di notte le pattuglie incaricate di sorvegliare lo spegnimento dei fuochi si mescolavano ai soldati per depredare e impadronirsi delle ricchezze degli abitanti. Eustazio offre un giudizio decisamente negativo dei normanni, ritenendoli incapaci di apprezzare le stoffe preziose, l’acqua di rose, i profumi e gli unguenti, mentre compravano a caro prezzo gli anelli di bronzo e i coltelli. Egli, però, sottolinea come i capi, Riccardo e Alduino, esercitassero con imparzialità la giustizia, e come avessero donato al clero greco una somma in argento, dei manoscritti, delle stoffe preziose, e dei candelieri di gran valore.

Da Tessalonica gran parte dell’armata normanna si diresse verso Costantinopoli, dove una rivolta popolare aveva detronizzato l’imperatore Andronico Comneno e aveva eletto Isacco II Angelo. Costui chiese subito la pace ai normanni. Ma i capi, Riccardo e Alduino, la rifiutarono. I due eserciti si trovarono schierati l’uno contro l’altro a Demetiza (Demechissar). Mentre erano in corso i negoziati, l’armata greca assalì all’improvviso quella normanna il 7 settembre. Riccardo e Alduino furono fatti prigionieri. La disfatta, accompagnata da un panico generalizzato, fece fuggire i Normanni verso Tessalonica, da dove si imbarcarono per raggiungere la Sicilia. Molti di essi non trovarono posto sulle navi, perché il grosso della flotta, al comando di Tancredi d’Altavilla, era ancora a Costantinopoli. Secondo lo storico bizantino Niceta Coniata le perdite normanne ammontarono a diecimila uomini uccisi e quattromila prigionieri.

La lotta si prolungò negli anni successivi. Guglielmo II cercò la rivincita inviando la flotta, al comando questa volta di Margarito da Brindisi, a Cipro, dove era stato proclamato imperatore Isacco Comneno al posto di Isacco II Angelo. La flotta siciliana distrusse gran parte della flotta inviata da Costantinopoli, mentre Margarito sconfiggeva l’armata greca, ne catturava i generali, che inviò prigionieri in Sicilia. Margarito riportò, subito dopo, anche una seconda vittoria navale. Non si conoscono gli ulteriori sviluppi della guerra. Si sa soltanto che fu concluso un trattato di pace tra il re di Sicilia e Isacco l’Angelo. Secondo la testimonianza degli Annales Ceccanenses (anno 1185) l’imperatore bizantino avrebbe concesso la libertà ai prigionieri normanni, quando seppe che essi erano stati catturati a tradimento.

Certo è che Riccardo già nel 1189 era di ritorno in Italia. Morto re Guglielmo il 18 novembre, ed eletto re Tancredi, Riccardo sostenne con tutte le sue forze il cognato contro i feudatari di Puglia e di Terra di Lavoro, schierati con Costanza d’Altavilla. Giustiziere di Puglia e di Terra di Lavoro, Riccardo arruolò delle truppe fuori del regno, in particolare a Roma, molto probabilmente con il consenso del papa. Nella primavera del 1190 Giordano Pierleoni e un certo numero di romani erano agli ordini del conte di Acerra, che nel maggio dovette affrontare anche un’armata tedesca, al comando del conte Bertoldo, che aveva oltrepassato la frontiera. Riccardo riuscì a impedire che le truppe tedesche e quelle al comando di Ruggero d’Andria si congiungessero ai ribelli di Aversa e di Capua. Bloccò ad Ariano l’esercito invasore, che nel settembre si ritirò. Riccardo riprese l’offensiva, pacificò tutta la Puglia e, fatto prigioniero Ruggero d’Andria, il principale oppositore di Tancredi, lo inviò a Palermo. Subito dopo si diresse contro Capua e Aversa. Dopo averle sottomesse, costrinse l’abate di Montecassino a giurare fedeltà a Tancredi. Fu dunque grazie alle vittorie di Riccardo che Tancredi riuscì, alla fine del 1190, a sottomettere tutti i ribelli regnicoli e a respingere l’invasione imperiale.

All’inizio del 1191, quando Enrico VI invase il regno, Tancredi restò in Sicilia, perché impostò una tattica difensiva che non prevedeva di andare incontro all’invasore, ma di impedire all’armata imperiale di raggiungere Reggio, presidiando le due uniche direttrici di marcia possibili, ovvero la strada tirrenica Capua-Reggio e quella ionica che passava per Taranto. Abbandonata, dunque, ogni idea di scontro frontale, le schiere normanne contrastarono il nemico al riparo delle mura delle città: a molte Tancredi concesse nell’occasione una serie di privilegi. Riccardo fu incaricato di presidiare la prima direttrice. Si rinchiuse in Napoli, le cui mura erano state riparate da Tancredi a sue spese, lasciando che gli invasori occupassero quasi tutta la regione.

Una miniatura di Pietro da Eboli raffigura gli assediati in Napoli mentre salgono su un naviglio e lanciano delle frecce contro alcuni cavalieri tedeschi che galoppano sulla riva del mare.

La resistenza degli assediati fu accanita, e potè prolungarsi grazie agli aiuti via mare. Riccardo fu ferito e il comando passò per qualche tempo all’arcivescovo di Salerno. Nel maggio, per punire Riccardo e il suo casato e per manifestare la sua gratitudine all’abate di Montecassino che gli era fedele, l’imperatore concesse all’abbazia molti dei possessi dei d’Aquino. All’arrivo della calura estiva le truppe tedesche cominciarono a essere seriamente provate dal diffondersi di alcune epidemie. Molti signori abbandonarono l’impresa e fecero ritorno in Germania. Lo stesso Enrico VI cadde gravemente ammalato. Il 24 agosto decise di togliere l’assedio a Napoli e, lasciata l’imperatrice Costanza a Salerno, prese la via del ritorno. Riccardo riaprì subito le ostilità contro i sostenitori del partito imperiale. Recuperò molte delle posizioni perdute in Terra di Lavoro, assediò il conte di Molise in Venafro e lo costrinse a passare con Tancredi, occupò Capua, Aversa, Teano e San Germano, ma non Montecassino, dove il decano Adenolfo (l’abate aveva seguito Enrico VI in Germania) restò fedele all’Impero, nonostante papa Celestino III si dichiarasse favorevole all’Altavilla. Riccardo sconfisse anche il conte di Fondi: lo costrinse alla fuga e gli confiscò la contea, che concesse al fratello di Aligerno Cottone di Napoli. Verso la fine del novembre 1191 Riccardo pose fine alle operazioni militari, senza essere riuscito, però, a impedire che gli imperiali conservassero le fortezze che controllavano la frontiera con il papa.

L’inizio del 1192 fu segnato dalle intense trattative che portarono nel giugno alla stipula del concordato di Gravina tra il papa e re Tancredi. Costui fu anche protagonista di una vittoriosa spedizione militare in Puglia e in Abruzzo, conclusa sul finire dell’estate. A settembre il re era già di ritorno in Sicilia, dopo aver affidato il comando dell’esercito a Riccardo de Caleno, nominato «capitaneus et magister justiciarius», e dopo aver designato Riccardo «Regni Dominumque magistrum» (Annales Ceccanenses, 1866, p. 289). Nel novembre del 1193 Riccardo, diventato conte di Principato, emanò in Campagna un privilegio in favore di S. Maria Mater Domini di Roccapiemonte. Fedelissimo alla causa degli Altavilla, sostenne, dopo la morte di Tancredi e del suo primogenito Ruggero, il piccolo Guglielmo III, fino a quando costui non fu imprigionato e deportato in Germania, insieme alla regina e alle sorelle, da Enrico VI, incoronato re di Sicilia nel Natale del 1194.

Tornato l’imperatore in Germania, Riccardo fu uno dei protagonisti della rivolta dei feudatari siciliani contro gli imperiali. Abbandonati i suoi castelli di Brienza e di Campagna (nella contea di Principato), raggiunto il territorio della sua contea di Acerra, fu catturato da Diopoldo di Schweinspeunt, un ministeriale dell’Impero, nominato giustiziere di Terra di Lavoro. Costui lo tenne prigioniero fino al ritorno dell’imperatore alla fine del 1196.

Il 6 dicembre Enrico VI tenne a Capua una corte generale, che si aprì con la condanna a morte di Riccardo e dei suoi sostenitori. Riccardo, legato alla coda di un cavallo, fu trascinato nel fango per le vie di Capua; poi venne sospeso per i piedi al patibolo. Dopo due giorni era ancora vivo, e allora un buffone tedesco, soprannominato il ‘folle’, per farsi bello con l’imperatore legò una grossa pietra al collo del conte, procurandogli una morte infame. Il cadavere restò appeso fino a quando non giunse la notizia della morte dell’imperatore.

Fonti e Bibl.: Annales Ceccanenses, in MGH, Scriptores, XIX, Hannover 1866, pp. 275-302 (in partic. pp. 287-294); Annales Casinenses, ibid., pp. 275-302; Th. Toeche, Kaiser Heinrich VI., Leipzig 1867, Urkunden, p. 626, n. 36; Ryccardi de Sancto Germano notarii, Chronica, a cura di C.A. Garufi, in RIS2, VII, 2, Bologna 1936-1938, pp. 9 s., 13, 18; Eustazio di Tessalonica, La espugnazione di Tessalonica, a cura di S.P. Kyriakidis, trad. it. di V. Rotolo, Palermo 1961, passim; O city of Byzantium. Annals of Niketas Choniatēs, trad. di ‎H.J. Magoulias, Detroit 1984, pp. 197-277; L’Epistolario di Pier della Vigna, coord. E. D’Angelo, Soveria Mannelli 2014, ad indicem.

G. Caporale, Memorie storico-diplomatiche della città di Acerra e dei conti che la tennero in feudo, Napoli 1889; A.V. Rivelli, Istoria di Campagna, Salerno 1894, p. 152; F. Scandone, I d’Aquino di Capua, tav. VIII, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, s. 2, III, Milano 1905-1909; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, II, Paris 1907, pp. 405, 414 s., 428, 433, 449-462, 471, 482, 487, 490; F. Scandone, L’alta valle del Calore, II, Il feudo e il municipio di Montella, Palermo 1916, pp. 37-41; E. Jamison, I conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, Casalbordino 1932, pp. 29-31; Ead., Admiral Eugenius of Sicily. His life and work, London 1957, pp. 80-82, 87 e n.3, 88, 91 e n. 2, 100, 110, 115 e n. 5, 116, 121, 125, 152, 153 e n. 2, 154, 159; L.-R. Ménager, Amiratus-Ἀ᾽Aμηρᾶς. L’émirat et les origines de l’amirauté ( XI- XIII siècles ) , Paris 1960, pp. 96-103, 105 s.; F. Scandone, L’alta valle del Calore, VII, La città di Nusco, 1, Napoli 1970, pp. 47-49; E. Cuozzo, Ruggiero conte d’Andria. Ricerche sulla nozione di regalità al tramonto della monarchia normanna, in Archivio storico per le provincie napoletane, s. 3, XX (1981), pp. 129-168; Id., La nobiltà dell’Italia meridionale e gli Hohenstaufen, Salerno 1995.

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