Riccardo di San Vittore

Enciclopedia Dantesca (1970)

Riccardo di San Vittore

Jean Leclercq

Teologo del sec. XII, citato due volte nelle opere dantesche.

In Pd X 131 R. figura di seguito a due autori molto più antichi: s. Beda (morto nel 735) e s. Isidoro di Siviglia (morto nel 633). D. attribuisce a R. un insegnamento, soffio o ispirazione (spiro) superiore all'umano (più che viro), ravvicinandola, forse, alla sublime contemplazione degli angeli. Ed è appunto sulla sua dottrina al riguardo che D. tornerà nel secondo passo in cui è nominato. D. lo rappresenta in una serie di dottori per I quali nutriva grande stima, dopo s. Alberto Magno, s. Tommaso d'Aquino, Graziano, Pietro Lombardo, Dionigi l'Areopagita e Boezio, e prima di Sigieri.

Originario forse della Scozia, R. entrò nel monastero dei canonici regolari di San Vittore di Parigi, di cui divenne priore nel 1162 e dove morì nel 1173. Egli scrisse una sorta di compilazione, il Liber exceptionum (ediz. J. Châtillon, Parigi 1958), derivante, tra gli altri, da Beda e da Isidoro. Redasse inoltre alcune opere di teologia mistica di carattere più personale (edite in Patrol. Lat. CXCVI), in particolare il De Trinitate, il De Praeparatione animi ad contemplationem Libri, dictus Beniamin minor, e i Libri quinque de gratia contemplationis seu Beniamin maior.

Al Beniamin minor si fa riferimento in Ep XIII 80, a proposito della visione delle realtà di cui si è incapaci di parlare. Nello spiegare che, una volta elevato alla conoscenza della sostanza intellettuale separata, l'intelletto ne perde subito la memoria (v.), in quanto ciò trascende i modi della conoscenza umana, la lettera rinvia a tre testi scritturali (II Cor. 12, 3; Matt. 17, 1;. Ezech. 2, 1) e aggiunge: Et ubi ista invidis non sufficiant, legant Richardum de Sancto Vittore in libro de contemplatione. Difatti, nel Beniamin minor (IV 23) si trova un passo dove, a proposito di altri testi biblici, si parla espressamente della perdita della memoria menzionata da Dante.

Distinto lo ‛ stato d'animo comune ' da quello in cui la mente esce da sé stessa (" per mentis excessum "), R. prosegue: " Ad illum maxime pertinet sensus rationalis, ad istum vero sensus intellectualis. In illo sane speculamur invisibilia nostra, in isto contemplamur invisibilia divina. Sed hunc utrumque statum (unum videlicet omnibus notum, alterum autem paucis expertum) dividit, et secludit densum oblivionis velum. Cum enim per mentis excessum supra sive intra nosmetipsos in divinorum contemplationem rapimur, exteriorum omnium statim imo non solum eorum quae extra nos, verum etiam eorum quae in nobis sunt omnium obliviscimur. Et item cum ab illo sublimitatis statu ad nosmetipsos redimus, illa quae prius supra nosmetipsos vidimus in ea veritate vel claritate qua prius perspeximus ad nostram memoriam revocare omnino non possumus. Et quamvis inde aliquid in memoria teneamus, et quasi per medium velum et velut in medio nebulae videamus, nec modum quidem videndi, nec qualitatem visionis comprehendere, vel recordari sufficimus. Et mirum in modum reminiscentes non reminiscimur, et non reminiscentes reminiscimur, dum videntes non pervidemus, et aspicientes non perspicimus, et intendentes non penetramus. Vides certe quia humana mens, sive in illud intimum arcanorum secretarium introeat, sive de illo ad exteriora exeat, vides, inquam, quia utrobique eam velum oblivionis excipiat " (Patrol. Lat. CXCVI 167-168).

Ben più suggestiva appare l'analogia, rilevata da Mario Casella, tra un passo del Tractatus de gradibus charitatis di R. e la nota definizione dello stil novo formulata da D. ai versi 52-54 del XXIV del Purgatorio. Il parallelismo dei concetti rilevabile nei due luoghi indurrebbe a supporre che D. avesse presente proprio il passo di R.: " Quomodo enim de amore loquetur homo, qui non amat, qui vim non sentit amoris? De aliis nempe copiosa in libris occurrit materia; huius vero aut tota intus est, aut nusquam est, quia non ab exterioribus ad interiora suavitatis suae secreta transponit, sed ab interioribus ad exteriora transmittit. Solus proinde de ea digne loquitur, qui secundum quod cor dictat, verba componit... Illum... audire vellem qui calamum linguae tingeret in sanguine cordis; quia tunc vera et veneranda doctrina est, cum quod lingua loquitur, conscientia dictat, charitas suggerit et spiritus ingerit " (in Patrol. Lat. CXCVI 1195). Come sottolineò il Casella (cfr. " Bull. " XVIII [1934] 108-109), se pure non si volesse accettare la dipendenza diretta del concetto dantesco da quello del mistico vittorino, resta notevole la comune concezione che " il valore della parola... è riconosciuto in ragione della verità del sentimento che essa traduce. Una verità dunque essenzialmente psicologica, profondamente vissuta e sinceramente espressa; ma che artisticamente... ha i suoi limiti e la sua incompiutezza nella gelosa intimità con cui la parola esterna aderisce alla realtà interiore. Che è poi, in genere, il carattere fondamentale di tutta la poesia dello ‛ stil novo ' ".

Bibl.-Sulla dottrina della contemplazione di R. cfr.: J.M. Déchanet, Contemplation. XIIe siècle. Le courant victorin, in Dictionnaire de spiritualité, II 2, Parigi 1953, 1959-1960; F. Vanden-Broucke, R. de S.-V., in J. Leclercq - F. Vandenbrouckel. Bouyer, La spiritualité du moyen âge, ibid. 1961, 289-294; J. Châtillon, R. von S.-V., in Lexikon für Theologie und Kirche, VIII, Friburgo 1963², 1293-1294.

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