FREDA, Riccardo

Enciclopedia del Cinema (2003)

Freda, Riccardo

Stefano Della Casa

Regista e sceneggiatore cinematografico, nato ad Alessandria d'Egitto il 24 febbraio 1909 e morto a Roma il 20 dicembre 1999. Ampiamente valorizzato dalla critica francese negli anni Sessanta, F., che lavorò anche fuori dai confini nazionali, viene ritenuto il maggiore regista italiano di cinema d'avventura. Non a caso Bertrand Tavernier recensì i suoi film e gli fece da aiuto regista per Roger-La-Honte (1966; Trappola per l'assassino, sceneggiato da un altro critico, Jean-Louis Bory); mentre Simon Mizrahi fu il suo press agent e finanziò il suo ultimo lungometraggio dal titolo Murder obsession (1981), firmato con uno degli pseudonimi cui altre volte F. ricorse, Robert Hampton. Dopo aver frequentato l'università a Milano ed essere stato a lungo critico d'arte, iniziò ad appassionarsi al cinema e sul finire degli anni Trenta, abbandonati gli studi universitari, si dedicò freneticamente all'attività cinematografica, come sceneggiatore, aiuto regista, produttore e, occasionalmente, anche come attore. Nel 1942 esordì con Don Cesare di Bazan, un classico del cinema di cappa e spada, interpretato da Gino Cervi, nel quale F. già dimostrò di saper infondere un ritmo e un senso dello spettacolo vicini a quelli del cinema statunitense, ma sconosciuti a buona parte dei suoi colleghi italiani. Nel 1946 Aquila nera fu in testa alle classifiche italiane: in pieno Neorealismo, F. portò sullo schermo un soggetto che aveva reso celebre Rodolfo Valentino, costruendo il racconto con ritmo incalzante, cavalcate a perdifiato, duelli emozionanti. L'esperienza continuò anche negli anni successivi quando, tramite l'amicizia con il produttore Riccardo Gualino, F. iniziò a lavorare con la Lux film, realizzando I miserabili (1948, tratto da V. Hugo, che segnò l'esordio al cinema di Marcello Mastroianni), Il cavaliere misterioso (1948, primo ruolo da protagonista per Vittorio Gassman, nella parte di G. Casanova) e Teodora (1954). In questi film la cura della messa in scena si rivela un tutt'uno con l'eleganza di costumi e ambientazioni; in Teodora, poi, F. utilizzò il colore, riproducendo mirabilmente le tinte dei mosaici bizantini, come dimostrò in Mosaici di Ravenna (1954), documentario realizzato parallelamente al film. Nel 1956 diresse quello che viene considerato il suo capolavoro, Beatrice Cenci; il film, che alterna grandi scene d'azione con un intreccio dai toni particolarmente morbosi, venne salutato entusiasticamente dalla critica francese e, nel 1987, Tavernier ne diresse un rifacimento, La passion Béatrice (Il quarto comandamento) che reca nei titoli di testa la dedica all'anziano maestro. Alla fine degli anni Cinquanta F. iniziò a lavorare con budget sempre più limitati, ma suscitando ancora grande attenzione con i suoi horror, piccoli capolavori incentrati sulla colpa come elemento terreno e non soprannaturale, e sugli stereotipi del genere, in particolare la simulazione come messa in scena da parte dei veri colpevoli.

Ad attirare, soprattutto in Francia, un'attenzione che si trasformò ben presto in vero e proprio culto, fu la sicurezza con cui F. realizzava le scene d'azione, l'eleganza della regia, la propensione a tratteggiare personaggi di ribelli coraggiosi ma solitari, la cultura profonda che traspariva dai suoi numerosi adattamenti letterari. F. si cimentò con ottimi risultati nell'horror: I vampiri (1957) fu tra i rari film di questo genere realizzati in Italia, mentre con L'orribile segreto del Dr Hichcock (1962) e Lo spettro (1963), entrambi interpretati da Barbara Steele, egli consolidò un ritorno al cosiddetto gotico, di chiara ascendenza letteraria.

A partire dagli anni Settanta le sue regie divennero sempre più sporadiche e per i film poté contare su scarsi mezzi produttivi. Negli anni Ottanta venne avviata una lunga serie di omaggi e retrospettive, occasioni che videro F. sempre presente, battagliero sostenitore di un cinema 'cinematografico' e acerrimo detrattore del minimalismo e dell'intellettualismo. La leggenda sul personaggio-Freda riguardò anche la vita privata: umbratile e solitario, entrò in rotta di collisione con quasi tutti i colleghi. Fu a lungo il compagno dell'attrice Gianna Maria Canale, spesso interprete dei suoi film. Nel 1980 F. pubblicò l'autobiografia Divoratori di celluloide, mentre nel 1998 il regista Mimmo Calopresti ha raccontato la sua figura nel documentario Un uomo solo.

Bibliografia

Riccardo Freda, in "Présence du cinéma", 1963, 17, nr. monografico.

S. Della Casa, E. Martini, Riccardo Freda, Bergamo 1993.

E. Poindron, Riccardo Freda, un pirate à la caméra, Lione 1993.

S. Della Casa, Riccardo Freda un uomo solo, Roma 1999.

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