MALOMBRA, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALOMBRA (Malahumbra, de Malombris, Malumbra), Riccardo

Andrea Labardi

Figlio di Niccolò, giurista di antica famiglia, e di Emilia da Camino, nacque a Cremona probabilmente fra il 1259 e il 1264.

Il padre, ascritto alla fraglia dei giudici padovani nel 1267, tenne cattedra di diritto canonico e civile nell'Università di Padova e probabilmente in quella di Bologna; nel 1285 era già morto, lasciando la moglie e i figli, tra cui, oltre al M., Norandino e Giovanni. Norandino ebbe la cittadinanza veneziana nel 1307. Successivamente, fu inviato dalla Serenissima a Genova per ottenere il risarcimento di alcuni danni arrecati a sudditi veneti; nel 1311 fu incaricato di una missione a Barcellona. Giovanni, vicario del capitolo padovano, è ricordato in qualità di scolaro, giudice e giurisperito fino al 1308. Divenuto, nel 1312, cittadino veneziano, fu nominato segretario privilegiato della Repubblica; morì prima del 1324.

Studente a Padova, il M. fu verso il 1286 uditore di Iacopo Dell'Arena. Tra il 1286 e il 1305 compare più volte come vicario dei presuli della diocesi patavina; dal 20 ag. 1289 assistette ad arbitrati e transazioni in cui erano coinvolti enti ecclesiastici.

Il plauso riscosso negli incarichi affidatigli e forse anche l'appoggio del giurista cremonese Gerardo da Josano, podestà di Padova nel 1293, permisero al M. di accedere alla cattedra patavina di diritto civile, dove professò dal 1289 fino al 1310 o al 1311. Le tensioni nate all'annuncio della discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo persuasero probabilmente il M. a lasciare Padova per Venezia, dove ottenne nel 1312 la cittadinanza.

Non è certo che egli sia stato chiamato nella città lagunare per insegnare presso le scuole di Rialto; con certezza nel 1314 il trevigiano Consiglio dei trecento gli offriva una cattedra ordinaria di diritto civile. Nonostante i tentativi effettuati dai Perugini, nel dicembre 1321, perché il M. ricoprisse la cattedra lasciata vacante da Giacomo Belvisi, non sembra fondata la convinzione di Bini di una sua attività didattica nello Studio umbro.

Sebbene Besta (1894, p. 30) fosse di parere contrario, si ritiene che il M. abbia insegnato presso lo Studium di Bologna, ove probabilmente frequentò i suoi corsi anche Giovanni d'Andrea (Cortese, 1998, p. 381 n. 46; contra Seckel).

Sicuro è che quella del M. appare una delle presenze più significative nella Bologna dell'epoca, tanto da essere spesso ricordata negli scritti di quanti avevano atteso alla propria formazione nello Studio cittadino (cfr. Maffei, 1995, p. 222).

La nota caratterizzante il pensiero scientifico del M. è costituita dall'avversione per quei metodi in auge presso gli scriptores ultramontani che molto avrebbero significato nella consolidazione della scuola del commento. La sua cautela di fronte alle acquisizioni della scolastica lo colloca così in quella rosa di giuristi che a Padova si accontentarono di redigere brevi additiones alla glossa, mirando piuttosto a un'approfondita esegesi dei testi (Meijers). È stato osservato, in risposta alle conclusioni di Meijers, come essi non rifiutassero la dialettica in sé, ma respingessero piuttosto l'uso che ne facevano i "moderni", i quali la ponevano al servizio di argomentazioni indipendenti ormai dal testo (Paradisi). Tuttavia, consapevole della probabilitas di determinati argumenta, neppure il M. ricusò dal ricorrervi. Egli non esitò difatti a utilizzare l'argomento della publica utilitas, onde offrire la congrua legittimazione teorica ad alcune disinvolte operazioni finanziarie effettuate dalla Serenissima in deroga agli statuti (Sbriccoli, p. 451). Se è, pertanto, indubbiamente corretto identificare nel M. un "Kritiker der neuen Methode" (Horn), è pur vero che mancano di fondamento alcune forzature che sfociano nella rigida contrapposizione del suo metodo a quello di Bartolo da Sassoferrato, così come aveva fatto a suo tempo Besta (1894, p. 172), suscitando quelle perplessità di Patetta (1895, p. 103) che lo avrebbero indotto a più meditato giudizio (Besta, 1925, I, 2, p. 850).

Dal febbraio 1315, dopo essere stato il maestro di esponenti del patriziato veneziano, il M. fu impegnato quale consultore della Repubblica di S. Marco.

Già nel 1304 la Serenissima aveva sollecitato un suo consulto concernente la giurisdizione del patriarca d'Aquileia sull'Istria. Si colloca attorno al 1310 un altro suo consulto nel quale asseriva l'immunità della Repubblica dai tributi cui pretendeva di assoggettarla Enrico VII. In esso il M. sostiene che i privilegi accordati dai sovrani sono da equiparare a contratti vincolanti anche i successori e non rescindibili neppure quando il privilegiato venga meno ai propri obblighi. Qui il M. applica una dottrina allora abbastanza comune, formulata compiutamente con il commento di Bartolo alla l. cunctos populos, C. de Summa Trinitate et de fide catholica (C.1, 1, 1pr.). Occorre semmai constatarne l'utilizzo da parte del M. stesso, il quale riconosceva all'imperatore anche l'attributo di dominus rerum singularium, secondo la nota tesi sostenuta da Martino Gosia di fronte all'imperatore Federico I Barbarossa (Patetta, 1895, p. 101; 1967). Nel 1313 fu invitato a pronunciarsi sulle questioni relative ai beni confiscati a Baiamonte Tiepolo e a Marco, Niccolò e Pietro Querini a seguito della fallita congiura contro il doge Pietro Gradenigo.

Il 16 sett. 1317 il M. presenziò alla dichiarazione di un capitolo dei trattati con Cangrande Della Scala, destinato a regolare il commercio veneziano con Mantova e Modena. Dopo altre esperienze analoghe, il 30 apr. 1325 visse uno dei momenti più significativi della propria carriera intervenendo all'elaborazione del trattato fra Venezia e l'imperatore d'Oriente Andronico II Paleologo.

Poiché il M. può essere considerato un autentico Wachtjurist della Serenissima (Sbriccoli, p. 451), la sua esperienza appare emblematica nello studio della funzione esercitata dai giuristi nell'età comunale e della correlativa osmosi tra diritto e politica. I consilia che il M. rese nella sua veste di consultore di Stato appartengono a un genere peculiare, destinato a un ente o a un ufficio "che vuole conoscere i confini della legittimità entro cui vuol muoversi" (Ascheri). Dal complesso dei suoi consilia, studiati sistematicamente da Besta passando in rassegna i libri commemoriali e i registri del Consiglio dei dieci, emerge l'immagine di un giurista il quale, nonostante la propria fede ghibellina, considera Venezia indipendente rispetto all'imperatore, nei cui riguardi usa tuttavia le consuete formule di reverenza proprie degli uomini di legge di formazione romanistica.

Il M. si trovò coinvolto in un conflitto tra Venezia e il pontefice, destinato a vasta risonanza. Il 10 apr. 1323, difatti, i Pregadi e i Quaranta avevano decretato la nomina di quindici sapienti onde definire una vertenza tra la Repubblica e alcuni nunzi pontifici.

Questi, dietro incarico di Giovanni XXII, avevano giudicato a Venezia in merito ai lasciti effettuati in articulo mortis da numerosi mercanti per ottenere la remissione delle pene canoniche nelle quali erano incorsi commerciando con i musulmani e si erano espressi per la legittimità della riscossione da parte della Chiesa. A rimedio delle rilevanti perdite patrimoniali, i quindici sapienti sollecitarono il parere di un collegio di giuristi in cui figurava il Malombra. In esso si asseriva l'illegittimità della condotta dei nunzi e si invitavano i procuratori di S. Marco a chiedere la revoca delle sentenze da loro emanate.

Nell'ottobre del 1324 l'arcivescovo di Ravenna, Aimerico, ricevette l'incarico di esaminare le ragioni di entrambe le parti e di informare il pontefice sullo stato della causa. Non si conosce l'esito della vicenda. La scomunica fulminata da una bolla del 1325 su quanti limitavano il divieto canonico al commercio delle sole merci proibite dai concili lascia tuttavia supporre il cedimento di Venezia e l'isolamento in cui vennero a trovarsi il M. e gli altri membri del collegio consulente.

Rilevante appare altresì l'opinione circa i rapporti tra il pontefice e il concilio ecumenico, professata dal M. che Barbazza accusò di crimen laese maiestatis per le sue nette vedute conciliariste.

Poiché le accennate vicende e le sue posizioni dottrinali gli avevano attirato l'accusa d'eresia, senza che le autorità veneziane riuscissero a superare in via diplomatica l'incidente, il M. nel 1328 si recò a Bologna davanti al legato pontificio Bertrand du Poujet, che aveva proceduto contro di lui per ordine esplicito di Giovanni XXII.

In tale occasione, i doctores bolognesi tentarono d'interporre i propri buoni uffici in favore del M.; come nota Patetta (1895, p. 99), il mite esito del processo sembra risultare con sufficiente chiarezza combinando la testimonianza trasmessaci da Iacopo Bottrigari nel suo commento alla l. quicumque, C. de episcopis et clericis (C. 1, 3, 14), dove si legge: "erat damnandus de haeresi", con quella lasciataci da Bartolo nell'illustrazione della l. si quis, ff. de testamentaria tutela (D. 26, 2, 11), dove si parla di "relegatio".

Sebbene il M. apparisse a Besta "un efficace sostenitore dello Stato civile contro l'invasione del potere ecclesiastico" (1894, p. 58), occorre osservare che egli, di fronte alle problematiche suscitate dal Constitutum Constantini, suggerì una soluzione di netta impronta ierocratica (Maffei, 1995, p. 112). La testimonianza più fedele della sua opinione è giudicata quella consegnataci dalla Lectura super Digesto veteri di Cino da Pistoia (Cino Sighibuldi), dalla quale si evince chiaramente che il M. sostenne l'irrevocabilità della donazione di Costantino (Maffei, 1964, pp. 148 s.).

Le ricerche di Besta hanno definitivamente smentito la notizia riferita - sia pure con cautela - da Diplovatazio (p. 224), che indica nel M. uno degli autori degli statuti di Venezia approvati sotto il dogato di Andrea Dandolo, per i quali egli avrebbe percepito la somma di 5000 ducati. Certo è comunque che la materia statutaria rientrò significativamente nell'orizzonte degli interessi professionali del M. il quale, pur senza rinunciare al principio teorico secondo il quale l'imperatore costituisce la sola fonte autoritativa della legge, riconobbe alle città il diritto di darsi una normativa propria (Sbriccoli, p. 36 n. 35).

Non sono molte le notizie sulla vita privata del M.; si conoscono i nomi di due suoi figli, Margherita e Federico, anch'egli legum doctor, mentre è ignoto quello della loro madre. Baldo degli Ubaldi commentando la l. quod autem, ff. pro socio (D. 17, 2, 53), racconta come il M., avendo depositato il proprio danaro "apud aliquam mensam", si domandasse, negli ultimi istanti di vita, se tale condotta integrasse gli estremi dell'usura. Certo è che nel 1311 egli aveva prestato alla Serenissima 225 lire di grossi (Besta, 1894, p. 16 n. 1), mentre, nel 1318, si era costituito garante di somme vistose per i Mazzi di Firenze e per Pietro Colonna (ibid., p. 32).

Il M. morì nel 1334 a Venezia, dove fu sepolto nel cimitero situato a fianco della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.

La superstite produzione del M. occupa sia il campo didattico-scientifico sia quello della pratica. Per quanto concerne la tradizione manoscritta, Dolezalek ne segnala la presenza nelle principali biblioteche europee. Un'additio del M. si legge inoltre nel ms. 2035 della Biblioteca capitular di Seo de Urgel, relativo a un Codex giustinianeo corredato della glossa ordinaria (cfr. García y García). Oltre a numerose quaestiones (cfr. anche Maffei, 1992), a firma del M. si registrano, naturalmente, anche consilia (Dolezalek).

Pure la sua fama trasse beneficio dalla stampa, come attesta la presenza di sue additiones all'Infortiatum nell'edizione lionese dei Commentarii in universum ius civile di Iacopo Dell'Arena, apparsa nel 1541. La circostanza che il M. sia stato autore tanto di glossae quanto di lecturae sembra significativa a chi vi scorge la prova della coesistenza, ancora nei primi decenni del Trecento, di glossa e commento (Nicolini).

Fonti e Bibl.: I. Bottrigari, Lectura super Codice, Parrhisijs 1516, c. XIXvb; A. Alciato, Paradoxa, in Id., Opera omnia, Lugduni 1543, p. 60; Bartolo da Sassoferrato, In duodecim libros Codicis commentaria, Basileae 1562, p. 497; Id., In secundum tomum Pandectarum infortiatum Commentaria, Basileae 1562, p. 126; G. Nevizzano, Sylva nuptialis, Lugduni 1572, p. 48; Cino da Pistoia, In Codicem et aliquot titulos primi Pandectarum tomi, Francofurti ad Moenum 1578, c. 226va; A. Barbazza, Tractatus de praestantia cardinalium, in Tractatus universi iuris, Venetiis 1584, XIII, 2, c. 82va; Alberico da Rosciate, In primam Digesti veteris partem Commentarii, Venetiis 1585, c. 15ra; Baldo degli Ubaldi, In secundam Digesti veteris partem Commentaria, Venetiis 1586, cc. 90vab, 103vab, 123vb, 190ra; Id., In primum, secundum et tertium Codicis libros Codicis Commentaria, Venetiis 1599, c. 243va; Monumenti della Università di Padova (1222-1318), a cura di A. Gloria, Venezia 1884, pp. 233 n. 1, 245 n. 7; T. Diplovatazio, Liber de claris iuris consultis, pars posterior, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X, Bononiae 1968, pp. 223-225; F. Arisi, Cremona literata, I, Parmae 1702, pp. 137, 149; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Lipsiae 1721, p. 140; J. Fichard, Vitae recentiorum iurisconsultorum, ibid., p. 408; M. Mantova, Epitome virorum illustrium, ibid., p. 489; G.B. Caccialupi, Historia interpretum et glossatorum iuris, ibid., p. 504; O. Rinaldi, Annales ecclesiastici, V, Lucae 1750, p. 329; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, I, Bononiae 1769, p. 204; V. Bini, Memorie istoriche della perugina Università degli studi e dei suoi professori, Perugia 1816, p. 70; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, V, Venezia 1823, pp. 390 s.; G. Fierli, Celebriores doctorum theoricae, Bononiae 1825, pp. 47, 102, 130; F.C. Savigny, Storia del diritto romano nel Medio Evo, II, Torino 1857, p. 588; C.F. Ferraris, Sul recente libro dello studente Enrico Besta, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, V (1893-94), pp. 1168, 1170; E. Besta, R. M. professore nello Studio di Padova, consultore di Stato in Venezia, Venezia 1894; Id., A proposito di R. M., in Archivio giuridico, LV (1895), pp. 554-556; F. Patetta, E. Besta, R. M., in Riv. stor. italiana, XII (1895), pp. 99-101, 103; E. Seckel, Beiträge zur Geschichte beider Rechte im Mittelalter, I, Zur Geschichte der populären Literatur des römisch-kanonischen Rechts, Tübingen 1898, p. 28 n. 102; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, Milano 1925, I, 2, pp. 478, 850; E.M. Meijers, L'Université d'Orléans au XIIIe siècle, in Id., Études d'histoire du droit, III, Le droit romain au Moyen Âge, I, Leide 1959, p. 110; E. Cortese, La norma giuridica, I, Milano 1962, p. 159; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, pp. 148 s.; F. Patetta, Studi sulle fonti giuridiche medievali, Torino 1967, p. 445; U. Nicolini, I giuristi postaccursiani e la fortuna della glossa in Italia, in Atti del Convegno internazionale di studi accursiani, Bologna( 1963, a cura di G. Rossi, III, Milano 1968, p. 887; M. Sbriccoli, L'interpretazione dello statuto, Milano 1969, pp. 36, 436, 451; G. Ermini, Storia dell'Università di Perugia, I, Firenze 1971, pp. 134, 137, 140; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600, Frankfurt a.M. 1972, I, pp. 597 s.; II, p. 574; N. Horn, Die legistische Literatur der Kommentatoren, in Handbuch der Quellen und Literatur der neureren europäischen Privatrechtsgeschichte, I, a cura di H. Coing, München 1973, p. 270; M. Bellomo, Giuristi e inquisitori del Trecento, in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, Roma 1978, pp. 36, 42 s.; B. Paradisi, La scuola di Orléans, in Studi sul Medioevo giuridico, II, Roma 1987, p. 975; D. Quaglioni, Dell'Arena, Iacopo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 244 s.; I codici del Collegio di Spagna, a cura di D. Maffei et al., Milano 1992, p. 168; M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Bologna 1994, p. 513; D. Maffei, Studi di storia delle Università e della letteratura giuridica, Goldbach 1995, pp. 112, 222; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II, Il basso Medioevo, Roma 1998, p. 381; M. Ascheri, I "Consilia" dei giuristi: una fonte per il tardo Medioevo, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Arch. Muratoriano, CV (2003), p. 319; Catálogo de los códices jurídicos de la Biblioteca capitular de la Seo d'Urgel, a cura di A. García y García, Seu d'Urgell, in corso di stampa.

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