MORANDI, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORANDI, Riccardo

Alessandra Capanna

MORANDI, Riccardo. – Nacque a Roma il 1° settembre 1902, da Riccardo, un ufficiale dei carabinieri di origine genovese, e da Olga Martucci, marchigiana.

I Morandi crebbero a Roma tre figli: Riccardo, che dopo gli studi classici svolti presso gli storici licei romani Tasso e Visconti, si laureò in ingegneria presso la Regia Scuola di ingegneria di Roma nel 1927, specializzandosi in elettrotecnica; Mario, fondatore nel 1944 della libreria Dedalo, la prima libreria tematica d’arte nell’Italia del dopoguerra, e Guglielmo, regista e sceneggiatore radiofonico, teatrale e televisivo, partigiano e ostaggio a via Tasso, che nel 1944 scrisse E poi ce ne andammo insieme un libro di memorie che racconta della sua evasione dal carcere-caserma delle SS.

Appena laureato Morandi sposò Teresa Pera, una sua coetanea, laureata in archeologia, proveniente da una colta famiglia piemontese. Subito iniziò la sua attività di progettista nelle zone terremotate della Calabria, ove, tra il 1928 e il 1931, realizzò strutture in cemento armato per la ricostruzione e in particolare per le nuove chiese distrutte dal sisma in questa regione. Rientrato a Roma, le sue prime opere progettate e realizzate nella capitale furono: un edificio per abitazione in viale Vaticano (1931), che rivisitava la lezione sugli stili architettonici appresa durante gli studi universitari; le strutture dell’autorimessa Piccini, del 1932, per la quale si sperimentò uno dei primi telai iperstatici in cemento armato, il cinema Odescalchi (poi Majestic), progettato con l’architetto Virgilio Marchi, nel 1932, seguito dal cinema Augustus, del 1933, con Antonio Lombardini, primi di una serie di edifici con sale cinematografiche, tutti caratterizzati da un interesse specifico per le questioni legate alla soluzione spaziale del problema della copertura di grandi luci libere all’interno di edifici a destinazione mista.

Il cinema, che nell’immediato dopoguerra, aveva avuto un ruolo fondamentale come luogo urbano capace di innescare nuove forme di aggregazione sociale, per Morandi fu terreno di sperimentazione di un nuovo linguaggio compositivo, strettamente legato alla tipologia edilizia, che per circa un trentennio della sua lunga e copiosa attività, rappresentò il suo modo di declinare il razionalismo in architettura, partendo dalla struttura.

Il cinema-teatro Giulio Cesare, con soprastante edificio per appartamenti, fu il primo realizzato da Morandi con intenti prestabiliti di espressività strutturale; l’architettura dell’intero complesso, progettato e costruito tra il 1935 e il 1939, derivava dalla configurazione della balconata, risolta da un sistema statico detto «a torsione compensata», cioè «la torsione indotta sulle travi principali portanti dal lembo terminale a sbalzo è compensata dalla torsione contraria derivante dalla curvatura, sul piano orizzontale, dell’asse delle travi stesse, che seguono l’andamento delle file di poltrone poste sulla balconata» (R. M.: innovazione, 1991, p. 133). La ricerca su questo tema progettuale, che passò attraverso l’intervento di ristrutturazione del cinema-teatro Quattro Fontane (1938) e i progetti del cinema Astoria (1946), dell’Alcyone (con Giovanni Gandolfi, 1947) e del cinema Bologna (1947-48), sempre a Roma, si concluse con la realizzazione tra il 1954 e il 1957 del cinema-teatro Maestoso, con soprastante edificio per abitazioni, la cui sala per 2500 posti era coperta da grandi telai zoppi longitudinali di 40 metri di luce, una variante del telaio Morandi a conci, uno dei sette brevetti sul sistema di precompressione che porta il suo nome. Questo modello strutturale consentiva di sostenere i tre piani superiori dell’edificio «in falso» sulla copertura della sala, con un forte effetto figurativo, enfatizzato dalla grande vetrata del prospetto principale.

Morandi maturò nel corso degli anni un razionalismo costruttivo che lo portò ad applicarsi nello studio del cemento armato precompresso, convinto della necessità di mettere a punto un organismo originale italiano; tra il 1936 e il 1940, infatti, progettò una serie di strutture di notevole importanza nel campo delle costruzioni industriali. I sette brevetti relativi alla precompressione che portano il suo nome sono legati, quindi, a un’attività di ricerca teorica e applicata che portò, nel 1954, alla fondazione del CESAP (Centro studi per le applicazioni alla precompressione), un’istituzione volta a fornire al progettista informazioni tecniche sempre aggiornate.

Queste ricerche caratterizzanti la personalità di Morandi, al quale interessava la teoria finalizzata alla pratica costruttiva, svelano in lui una permanenza di aspetti artigianali della sua cultura tecnica, che pongono la sua opera in continuità con la ricerca di rigore estetico tipica dell’ingegneria ottocentesca. Riconosceva nella correttezza statica la premessa necessaria per la creatività progettuale e definiva la scienza delle costruzioni una scienza di verifica; in una intervista resa alla rivista Domus (ottobre 1984, n. 654, p. 10) puntualizzava che per risolvere lo stesso problema strutturale ci sono molte maniere, tutte valide dal punto di vista statico, economico e funzionale, ma la scelta definitiva, secondo il suo modo di vedere, spetta al progettista e riguarda l’aspetto estetico e sociale che conferisce carattere e bellezza all’opera. Una visione diametralmente opposta a quella di Pier Luigi Nervi che, pur appartenendo allo stesso ambiente culturale, dichiarava che la struttura corretta è automaticamente bella.

Il decennio tra il 1935 e il 1945 è da considerarsi quindi fondativo. Di basilare importanza fu, nel 1934, l’incontro di Morandi con il senatore Leopoldo Parodi Delfino, fondatore nel 1912 con Giovanni Bombrini dell’azienda chimica BPD, che a Colleferro, nei pressi di Roma, produceva polvere da sparo e dal 1921 si dedicò anche alla produzione di cementi. Per la BPD Morandi realizzò un numero consistente di opere civili, sociali e industriali. A Colleferro, che nel 1935 divenne comune autonomo, elaborò il nuovo piano regolatore e realizzò un complesso di opere collocabili in una visione allargata di città operaia: innanzitutto la chiesa di S. Barbara, la prima opera in ordine di tempo che si possa attribuire interamente a Morandi anche sul piano architettonico, e, contemporaneamente, i nuovi stabilimenti della BPD per la produzione del cemento; seguirono la casa della madre e del fanciullo, l’orfanotrofio per i figli dei caduti sul lavoro, il centro di igiene sociale, numerosi complessi abitativi per le famiglie dei lavoratori, la caserma dei carabinieri, quella di Pubblica Sicurezza e dei Vigili del Fuoco, scuole elementari, palestre, convitti e dormitori per dipendenti della BPD non sposati; inoltre gestì e ampliò gli impianti industriali in una forma di sostanziale identità tra progetto pubblico e privato.

Spinto dalla dedizione all’azienda e dal suo senso di responsabilità politica e civile, dopo l’8 settembre 1943, insieme agli operai della fabbrica, Morandi smontò i macchinari dello stabilimento per evitare che i tedeschi potessero utilizzare soprattutto quelli che producevano i materiali esplosivi; ricercato con l’accusa di sabotaggio, per qualche tempo fu costretto a vivere sotto falso nome. Anche nel dopoguerra proseguì il legame con la BPD e le società a essa collegate, per la quali realizzò stabilimenti in gran parte dell’Italia, fino al 1972.

Le opere per le quali Morandi è conosciuto a livello internazionale sono tuttavia i grandi ponti e viadotti che progettò dal 1945 in poi, un’attività inizialmente legata alla ricostruzione postbellica e alla Cassa per il Mezzogiorno. Le sue realizzazioni a scala territoriale si distinguono per la potenza espressiva del progetto e per la capacità di interpretare le diverse situazioni paesaggistiche.

Il ponte, ricordava Morandi, è insieme la conquista dello spazio e un fatto di pura forma e in questa opera si realizza la sintesi di architettura e ingegneria; egli sottolineava come questi interventi debbano interagire con il paesaggio e con i suoi abitanti, in un rapporto strettissimo tra necessità, dovuta alle esigenze del progresso, e una forma di tutela del patrimonio naturale che passa attraverso la contaminazione con l’oggetto architettonico studiato per il contesto particolare.

Per i primi progetti seguì schemi tradizionali, ascrivibili al sistema ad arco: tra questi il ponte detto della Lupara presso Arenzano, sull’autostrada Genova-Savona, ad arco unico; la passerella pedonale sul lago di Vagli, presso Lucca, che scavalca uno dei bracci del bacino idroelettrico artificiale ricavato da un torrente affluente del lago; il ponte sullo Storm River presso Elizabethville-Cape Town, in Sudafrica, e il viadotto sulla Fiumarella, posto a collegamento della città di Catanzaro con la strada dei Due Mari, un’opera imponente e vigorosa che conclude, in ordine di tempo con l’inizio degli anni Sessanta, la sperimentazione sul tema del ponte ad arco.

Dal 1950, anno che dà inizio al periodo più fecondo della sua attività, adottò diversi sistemi costruttivi: per i viadotti autostradali, la travata isostatica fu reputata la più idonea a coprire lunghi tratti, spesso in curva e con scarsa disponibilità di spazio in altezza. Il ponte di Gornalunga, presso Enna, rappresenta l’esempio di maggiore luce libera, mentre il viadotto sull’autostrada del Sole, in prossimità di Bologna, lungo complessivamente più di un chilometro, si caratterizza per i lunghi sostegni verticali disposti in fasci, che conferiscono all’opera un effetto chiaroscurale di notevole interesse.

È opera di Morandi la diffusione e lo sviluppo di un sistema che riprende una particolare tecnologia dell’acciaio, applicata per la prima volta al cemento armato precompresso alla metà degli anni Venti dall’ingegner Eduardo Torroja. La struttura strallata, che consiste in una successione di travi alle quali sono ancorate coppie di stralli, imponenti tiranti inclinati ai quali sono appesi i tratti stradali, fu applicata da Morandi per la prima volta nel 1955 per il ponte in acciaio sullo Strömsund, in Svezia, e nel 1957-58, in occasione dell’«appalto concorso» per il ponte sulla laguna di Maracaibo, in Venezuela, che è considerato tra le costruzioni in cemento armato precompresso più rilevanti al mondo. Da questa esperienza derivano direttamente lo spettacolare ponte sul Wadi Kuff, in Libia, realizzato tra il 1965 e il 1971, il viadotto sul parco ferroviario di Genova e il ponte sul Tevere alla Magliana, sull’autostrada Roma- Fiumicino, per citare le più note tra le numerose opere per le quali adottò il tema della trave strallata.

Altre opere di pregio architettonico nelle quali è riconoscibile la particolare attenzione di Morandi per la corrispondenza figurativa tra struttura e architettura sono: il mercato coperto «Metronio» con sovrastante autorimessa in via Magna Grecia a Roma (1956-57), caratterizzato dalla presenza sul prospetto principale di una doppia rampa elicoidale carrabile, accostata alla sequenza delle pareti ritmate dall’andamento ‘a denti di sega’, che denunciano la disposizione interna dei posti per le auto; il terminal dell’aeroporto internazionale Leonardo da Vinci, a Fiumicino, Roma (1957-60 con Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco, Andrea Zavitteri) e l’aviorimessa e officine Alitalia nello stesso aeroporto (1961), completata nel 1969-70 dal centro di manutenzione per aerei Boeing 747, per le quali sperimentò un sistema misto di stralli e tensostrutture a tenda.

Dalla fine degli anni Sessanta, sono di rilievo alcune esperienze progettuali, frutto di importanti collaborazioni internazionali: nel 1969-73, il centro commerciale «La Piramide» ad Abidjan, in Costa d’Avorio (con Rinaldo Olivieri), di cui è protagonista la copertura tronco piramidale che racchiude una grande hall centrale a pianta triangolare, circondata da ballatoi digradanti verso l’alto; nel 1976-77, la Sede centrale della Società FATA, a Pianezza, Torino (con Oscar Niemeyer e Massimo Gennari), una versione particolare della struttura appesa dell’edificio concepito da Niemeyer per la Mondadori di Milano, ricordato da quello piemontese anche per la successione semplificata di archi a tutta altezza che definiscono la facciata principale.

Morandi ebbe riconoscimenti di prestigio in Italia e all’estero: nel 1962 ottenne il premio nazionale AITEC; nel 1963 fu nominato membro d’onore della Royal Society of arts di Londra e nel 1965 accademico di S. Luca; nel 1967 gli fu attribuito il premio Città di Columbuse; nel 1970 ricevette il premio Freyssinet della Fédération internationale de la précontrainte; nel 1978, la medaglia d’oro dall’Associazione ingegneri strutturisti Inglesi. Nel 1980 gli fu conferita la laurea honoris causa dalla facoltà di Ingegneria dell’Università di Monaco di Baviera e nel 1983 quella in architettura dall’Università di Reggio Calabria. Nello stesso anno ricevette il premio Feltrinelli dell’Accademia nazionale dei Lincei.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, nel 1958 Morandi ottenne la libera docenza in Tecnologia dei materiali e tecnica delle costruzioni presso l’Università degli studi di Roma e dall’anno successivo fino al 1969 fu incaricato presso la facoltà di architettura dell’Università di Firenze del corso di Forma e struttura dei ponti; dal 1969 al 1972 fu docente di Costruzioni di ponti presso la facoltà di Ingegneria di Roma e nel 1971 divenne research professor presso l’Università di Stato della Florida.

Agli studenti sottoponeva il particolare punto di vista dell’ingegnere capace di far corrispondere competenza scientifica e sensibilità formale: in sintesi, insegnava l’arte di costruire.

Morì a Roma il 25 dicembre 1989.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio R. M.; L.V. Masini. R. M., Roma 1974; R. M. ingegnere italiano, a cura di P.A. Cetica, Firenze 1985; R. M., a cura di G. Boaga, Bologna 1988; R. M.: innovazione tecnologia progetto, a cura di G. Imbesi - Maurizio Morandi - F. Moschini, Roma 1991; R. M. 1902-1989, a cura di Mattia Morandi, Roma 2002.

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