PICCHIO, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2018)

PICCHIO, Riccardo

Giorgio Ziffer

– Secondogenito di Carlo e Maria Fontana, nacque ad Alessandria il 7 settembre 1923.

Frequentò la scuola elementare e le scuole secondarie nella città natale, dove crebbe in uno studioso ambiente familiare. Nel 1941 il padre, avvocato, ma in realtà «letterato nel midollo», decise di abbandonare la professione e di trasferirsi con la famiglia a Roma, per intraprendere una fervida attività giornalistica e tradurre un gran numero di opere letterarie da molte lingue diverse, in primo luogo germaniche; la sorella maggiore, Luciana Stegagno Picchio, dopo essersi laureata in lettere (con una tesi in archeologica classica) iniziò lo studio della lingua portoghese che la portò nel corso del tempo a diventare un’importante specialista di lingua e letteratura portoghese e brasiliana.

A Roma Picchio si iscrisse alla facoltà di lettere con l’intenzione di studiare germanistica, ma la sua innata curiosità lo spinse ad approfondire ben presto anche altre lingue e letterature, fra cui quella bulgara. Nel 1942, grazie a una borsa di studio, soggiornò a Sofia, da dove dovette però rientrare anticipatamente in Italia, in quanto le sue frequentazioni e il fatto che non fosse iscritto ai Gruppi universitari fascisti (GUF) avevano suscitato il dispetto della legazione italiana. Dopo la Liberazione Picchio iniziò a collaborare con La Voce repubblicana e con l’Avanti!, per conto del quale nel 1946 visitò tra l’altro il campo di sterminio di Auschwitz. Nel medesimo anno si laureò discutendo una tesi sull’occidentalismo conservatore del poeta bulgaro Penčo Slavejkov (1866-1912), con relatore Enrico Damiani. Fra il 1947 e il 1949 fu a Varsavia come lettore d’italiano, insieme a Lavinia Borriero, fine studiosa di lingua e letteratura bulgara con cui si era unito in matrimonio; mentre dal 1949 al 1951 studiò a Parigi presso l’École nationale des langues orientales vivantes, ed ebbe la possibilità di completare la sua preparazione slavistica sotto la guida di André Mazon, Stanisław Kot, Roger Bernard e André Vaillant.

Dopo i suoi anni di apprendistato e pellegrinaggio Picchio rientrò in Italia, dove sempre più stretto divenne il rapporto con Giovanni Maver, «padre della slavistica italiana». Fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1952 a opera di Maver, Picchio collaborò alla rivista Ricerche slavistiche (nel cui comitato di redazione entrò già nel 1954, mentre alla morte di Maver, nel 1970, ne assunse la direzione insieme con Sante Graciotti ed Ettore Lo Gatto). Nel 1953 ottenne la libera docenza, nel 1954 l’incarico per letteratura russa presso la facoltà di magistero dell’Università di Firenze (dove insegnò fino al 1961, aggiungendo poi dal 1959 anche l’insegnamento della filologia slava a Pisa).

Oltre a pubblicare svariati lavori nell’ambito delle letterature bulgara, polacca e russa moderne, Picchio iniziò allora a studiare con crescente impegno la letteratura russa medievale e premoderna, e nel 1959, senza quasi l’ausilio di cartoni preparatori, presentò il suo mirabile affresco della Storia della letteratura russa antica (Milano), che segnò una tappa fondamentale nella sua carriera slavistica. Pubblicato alcuni anni dopo in nuova edizione (e con un titolo lievemente modificato, La letteratura russa antica, Firenze-Milano 1968), tradotto in spagnolo nel 1972, il libro  conobbe all’alba del nuovo secolo una sorta di tardiva consacrazione anche in Russia grazie addirittura a due edizioni concorrenti, eseguite da due diversi traduttori (Istorija drevnerusskoj literatury, e Drevnerusskaja literatura, entrambe pubblicate a Mosca nel 2002).

Con la sua Storia Picchio fece da un lato il suo ingresso ufficiale negli studi medievistici russi, e slavi in genere, e offrì dall’altro una prova esemplare del suo talento storiografico: in lui, grande filologo, abitava evidentemente anche uno storico. In quello stesso giro di anni Picchio elaborò inoltre il concetto di ‘Slavia ortodossa’, cui avrebbe affiancato in seguito quello, meno simmetrico di quanto non appaia talvolta, di ‘Slavia romana’; estese il suo interesse critico alle fonti e alle questioni cirillometodiane, e si dedicò sempre più a ricerche di letteratura slava ecclesiastica e slava orientale antica (in particolar modo allo Slovo di Igor’, di cui difese sempre l’autenticità), sia sul versante critico-testuale sia su quello letterario e retorico: ricerche che lo condussero per esempio a individuare in molte opere letterarie slave medievali le «strutture isocoliche», e sul piano compositivo a sottolineare al loro interno il ruolo di particolari citazioni bibliche (da lui ribattezzate «chiavi tematiche»), e di riflesso la loro importanza per la corretta comprensione del significato spirituale delle singole opere.

Nel 1961 Picchio conseguì l’ordinariato, ereditando presso l’Università degli studi di Roma «La Sapienza» la cattedra di filologia slava che era stata di Maver; e, come il suo maestro, tenne egualmente corsi di letteratura polacca. Da quel medesimo anno, fino al 1968, Picchio rappresentò la slavistica italiana presso il Comitato internazionale degli slavisti, e sempre in quegli anni lasciò la moglie per Maria Simonelli, nota e apprezzata filologa romanza, che poté sposare solo diversi anni dopo, poiché in Italia allora non c’era ancora la legge che permetteva il divorzio.

A partire dalla metà degli anni Sessanta Picchio iniziò a insegnare negli Stati Uniti, dapprima come visiting professor alla Columbia University di New York (nel 1965 e 1966), e quindi a New Haven alla Yale University, dove si trasferì definitivamente nel 1971 come docente di letterature slave medievali. Fu, questo, l’avvio di una nuova fase dell’attività scientifica di Picchio, il quale trasse nuova linfa dal contatto ravvicinato con alcuni fra i maggiori slavisti americani (primo fra tutti Roman Jakobson), e al tempo stesso diede un forte impulso allo sviluppo della filologia slava d’Oltreoceano.

Durante gli anni romani del suo magistero Picchio aveva nel frattempo dato vita a un progetto di ricerca collettivo intorno alla storia delle lingue slave, studiate alla luce del modello teorico della questione della lingua italiana. Tali ricerche furono coronate dal volume Studi sulla questione della lingua presso gli Slavi (Roma 1972), e quindi, con il concorso di alcuni fra i linguisti di maggior spicco della slavistica internazionale, proseguite in America dove, a distanza di più di un decennio, confluirono in Aspects of the Slavic language question (I-II, a cura di R. Picchio - H. Goldblatt, New Haven 1984). Particolarmente intensi e fruttuosi furono anche, fin dalla sua nascita nel 1973, i suoi rapporti con l’Ukrainian Research Institute dell’Università di Harvard.

Dopo un quindicennio trascorso negli Stati Uniti, nel 1985 Picchio rientrò definitivamente in Italia, dove fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1993, insegnò lingua e letteratura russa e bulgara presso l’Istituto Orientale di Napoli.

Durante questo periodo condusse in porto un ulteriore grande progetto editoriale, concepito e diretto insieme con Michele Colucci, la Storia della civiltà letteraria russa (Torino 1997), alla quale egualmente collaborarono molti importanti slavisti italiani e stranieri. Proseguì inoltre le sue multiformi ricerche (la bibliografia compilata da H. Goldblatt nel 1986 ha suddiviso i suoi lavori in ben quattordici sezioni tematiche), e raccolse una parte significativa della propria produzione scientifica in alcuni volumi che uscirono in Italia e, non casualmente, nei tre Paesi slavi la cui letteratura e cultura Picchio ebbe modo di studiare con maggiore costanza: Bulgaria, Polonia e Russia: Letteratura della Slavia ortodossa (IX-XVIII sec.), Bari 1991; [R. Pikio], Pravoslavanoto slavjanstvo i starobălgarskata kulturna tradicija, Sofija 1993; Studia z filologii słowiańskiej i polskiej, a cura di A. Wilkoń, Kraków 1999; Slavia Orthodoxa. Literatura i jazyk, a cura di N.N. Zapol’skaja - V.V. Kalugin, Moskva 2003. Già in precedenza era invece uscita, all’interno della collana «Studia Historica et Philologica» fondata dallo stesso Picchio (e di cui fra il 1973 e il 1987 uscirono complessivamente sedici volumi), la raccolta Études littéraires slavo-romanes (Firenze 1978), che recava una preziosa testimonianza del contributo critico dato da Picchio nell’ambito della comparatistica slavo-romanza.

Anche in questa fase della sua carriera Picchio confermò le sue doti non comuni di organizzatore, e si vorrebbe dire di animatore: nel giugno del 1989, alla vigilia degli avvenimenti che nei mesi successivi modificarono radicalmente l’assetto di tutta l’Europa centro-orientale, si svolse infatti a Ercolano il Primo Congresso internazionale di studi ucraini, in cui per la prima volta si ritrovarono faccia a faccia studiosi ucraini dell’Unione sovietica e della diaspora; nel febbraio 1991 Picchio promosse il Primo Congresso degli slavisti italiani che si svolse fra Napoli e Seiano di Vico Equense, mentre nel 1993, ormai sul punto di lasciare la sua nuova e ultima sede universitaria, fondò una nuova rivista, gli Annali dell’Istituto Orientale di Napoli. Slavistica.

La statura scientifica e il riconosciuto prestigio di Picchio trovarono conferma anche nella nomina a membro delle Accademie delle scienze di Russia, Polonia e Bulgaria, nonché della Medieval Academy of America; e dopo la pubblicazione di una prima miscellanea di studi in suo onore, stampata a Roma nel 1986, altre due uscirono, rispettivamente nel 2003 a Napoli, e a New Haven nel 2008.

Poco dopo l’inizio del nuovo secolo si manifestarono i sintomi della malattia (morbo di Parkinson) che segnò dolorosamente gli ultimi anni della vita di Picchio, limitandone sempre più l’attiva partecipazione agli studi, ma almeno fino a un certo punto consentendogli di seguire con immutato interesse le ricerche di colleghi e allievi.

Nel 2006 affrontò ancora una volta un viaggio verso l’America dove, nonostante le cure mediche, le sue condizioni di salute declinarono irrimediabilmente, rendendo a un certo punto impossibile un ritorno in Italia.

Picchio morì a New Haven il 13 agosto 2011, seguito a pochi mesi di distanza dalla moglie.

L’anno dopo la sua partenza uscì una sua raccolta di poesie, scritte in America fra il 1975 e il 1980 (I segni di Dedalo, a cura di G. Dell’Agata, Pisa 2007): una sorpresa per i più e un’estrema testimonianza del profondo amore per l’arte verbale e per la parola da parte di uno studioso per il quale la filologia era diventata una seconda natura.

Picchio è stato senza dubbio uno tra gli slavisti di maggior spicco della seconda metà del Novecento, a livello mondiale: per l’ampiezza e profondità delle sue conoscenze slavistiche; per il valore intrinseco dei suoi lavori, caratterizzati in gran parte da una notevole potenza e originalità di pensiero, che non escludeva la devozione ai suoi maestri (e anzi la implicava), così come da una prodigiosa capacità di sintesi; per lo stimolo che le sue ricerche hanno rappresentato sia per altri slavisti (si pensi ad esempio al dialogo serrato condotto con Dmitrij S. Lichačev, il più noto specialista della letteratura medievale russa del suo tempo), sia per i suoi numerosi allievi.

Dei suoi lavori scientifici meriterà in futuro studiare anche lo stile e la lingua, nella quale la notevole neologia pare già a prima vista riflettere lo sperimentalismo del pensiero dello studioso. Ma oltre che nei suoi libri e nei suoi saggi, e dunque nelle sue acquisizioni critiche, Picchio sopravvive anche nella memoria di chi con lui ha studiato o ha comunque avuto modo di frequentarlo più da vicino, perché egli ha sempre saputo coniugare alle sue doti eccelse di studioso anche quelle non meno uniche di maestro capace di trasmettere soprattutto la sua curiosità, il suo entusiasmo e la passione per il mondo slavo, da lui sempre visto – di là da steccati nazionali e talvolta nazionalistici di lontana origine romantica – nella sua totalità, e insieme come parte integrante della cultura europea.

Fonti e Bibl.: Ancora tutto da esplorare è l’epistolario, che promette di gettare ulteriore luce sulla sua figura di studioso e intellettuale, e sulla fitta rete di rapporti scientifici che aveva saputo tessere con numerosi altri slavisti. Le basi per una bibliografia completa di P., così come per una ricostruzione della sua biografia intellettuale, sono state poste da Harvey Goldblatt, A bio-bibliographical profile of R. P., in Studia slavica mediaevalia et humanistica R. P. dicata, a cura di M. Colucci - G. Dell’Agata - H. Goldblatt, Roma 1986 [ma 1987], pp. XXIII-LIX; cui si è aggiunta la prosecuzione per mano di R. Morabito, Bibliografia di R. P. 1986-2003, in Studi in onore di R. P., offerti per il suo ottantesimo compleanno, a cura di R. Morabito, Napoli 2003, pp. 13-18 (v. anche Slavia Orthodoxa & Slavia Romana. Essays presented to R. P. on the occasion of his eightieth birthday, 7 settembre 2003, a cura di H. Goldblatt et al., New Haven 2008).

Sulla sua opera si vedano inoltre: O. Nedeljković, Slavjanskaja filologija v trudach ital’janskogo slavista professora Rikkardo Pikkio, in Slovo, XXIX (1979), pp. 97-132; A.V. Lipatov, Obščie zakonomernosti istorii slavjanskich literatur i koncepcija R. Pikkio, in Izvestija Akademii nauk SSSR. Serija literatury i jazyka, XLIV (1990), pp. 318-327 (e in Zeitschrift für Slawistik, XXXV (1990), pp. 187-199); O.A. Sedakova, Filologičeskie problemy slavjanskogo srednevekov’ja v rabotach Rikkardo Pikkio, in Voprosy jazykoznanija, 1992, n. 1, pp. 114-125; K. Stančev, Pikio, Rikardo, in Kirilometodievska enciklopedija, III (P-S), Sofija 2003, pp. 144-148; N. Marcialis, «Le cose che non sappiamo sono tantissime». Dialogo con R. P. …, in eSamizdat, II (2004), 2, pp. 9-13; G. Brogi Bercoff, in Revue des études slaves, LXXXII (2011), pp. 797-802; K. Stančev, in Studi slavistici, VIII (2011), pp. 185-194; G. Ziffer, in Russica Romana, XVIII (2011), pp. 7-11; nonché, da ultimo, i contributi di vari autori contenuti in Ricerche slavistiche, X/56 (2012), alle pp. 159-353; e A.A. Turilov, in Slavjanovedenie, 2012, n. 4, pp. 123-126.

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