RICERCA E SVILUPPO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

RICERCA E SVILUPPO

Giorgio Sirilli

(v. ricerca scientifica, App. IV, III, p. 217)

Definizioni. - La r. e lo s. (R&S) possono essere definiti come quel complesso di attività creative intraprese in modo sistematico sia per accrescere l'insieme delle conoscenze (ivi comprese quelle relative all'uomo, alla cultura e alla società), sia per utilizzare dette conoscenze per nuove applicazioni. La definizione è quella adottata nel Manuale sulla misura delle attività scientifiche e tecniche - Manuale di Frascati, predisposto dall'OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

La ricerca scientifica può essere di due tipi: di base o applicata. La ricerca di base (o fondamentale) è considerata un'attività sperimentale o teorica avente come scopo l'ampliamento delle conoscenze, di cui non si prevede una specifica applicazione o utilizzazione. La ricerca applicata è quella ricerca originale svolta per ampliare le conoscenze, ma anche e principalmente allo scopo di una pratica e specifica applicazione. Lo sviluppo sperimentale consiste in un'attività destinata a completare, sviluppare o perfezionare materiali, prodotti e processi produttivi, sistemi e servizi, attraverso l'applicazione e l'utilizzazione dei risultati della ricerca e dell'esperienza pratica.

Il personale di R&S viene suddiviso in tre categorie: ricercatori, tecnici, addetti ad altre mansioni. I ricercatori sono impiegati nella concezione o creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi. Fanno parte di questa categoria i professori universitari, i ricercatori degli enti pubblici e privati di ricerca, delle imprese e delle istituzioni senza fini di lucro. I tecnici partecipano ai progetti di ricerca svolgendo mansioni scientifiche e tecniche sotto la supervisione dei ricercatori. Gli addetti ad altre mansioni svolgono attività di supporto tecnico, logistico, amministrativo. Le spese per R&S comprendono il costo per il personale (che normalmente rappresenta più della metà del costo complessivo), per l'acquisto di prodotti e servizi (materiali di consumo dei laboratori, manutenzione, riparazione, elaborazione dati, stampa dei rapporti di ricerca, ecc.), di apparecchiature, strumenti, macchinari, aree e fabbricati.

Problemi di politica scientifica e tecnologica a livello internazionale. - Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche ha permesso di raggiungere obiettivi che fino a pochi anni fa sembravano particolarmente ambiziosi (basti pensare ai recenti progressi nei settori dei nuovi materiali, delle biotecnologie, delle tecnologie informatiche, delle telecomunicazioni). Tali risultati sono stati possibili anche per la crescente integrazione tra scienza e tecnologia: i nuovi dispositivi e le nuove tecniche incorporano quantità sempre maggiori di sapere scientifico; allo stesso tempo il lavoro di ricerca si avvale di potenti strumenti, messi a punto con sofisticate tecnologie, che consentono di studiare i fenomeni naturali a livelli di analisi precedentemente irraggiungibili (si pensi al microscopio elettronico, al ciclotrone, alla risonanza magnetica nucleare, ai calcolatori veloci).

Gli avanzamenti della scienza e delle tecnologia consentono oggi all'uomo di esercitare in maniera crescente forme di controllo, e in alcuni casi di dominio, sulla natura: ciò solleva delicati problemi etici, politici e sociali in termini di scelte relative a ricerche destinate ad alterare direttamente o indirettamente equilibri raggiunti o dinamiche consolidate. Nei casi più avanzati si assiste a mutamenti che, se da un lato rappresentano opportunità da cogliere, dall'altro richiedono la messa in atto di specifiche politiche al fine di massimizzare i vantaggi dei vari attori, siano essi ricercatori, imprese, istituzioni di ricerca, paesi. Negli anni più recenti si è assistito al diffondersi del fenomeno dell'internazionalizzazione delle attività di R&S. Le istituzioni universitarie e gli enti di ricerca hanno attivato sia forme di cooperazione diretta tra di loro, sia accordi di collaborazione con imprese. Le ricerche effettuate congiuntamente da laboratori di paesi diversi si sono ormai largamente diffuse, com'è dimostrato dal numero crescente di pubblicazioni scientifiche realizzate in comune da ricercatori di diversa nazionalità. Anche il sistema industriale ha dato luogo nel corso degli anni più recenti a un fiorire di iniziative volte a promuovere la cooperazione tra imprese per la conduzione di attività di R&S precompetitiva, quella ricerca, cioè, che le imprese hanno interesse a svolgere o a far svolgere in collaborazione senza per questo compromettere i propri spazi di mercato: saranno lo sviluppo sperimentale, la progettazione e le applicazioni che le imprese intraprenderanno singolarmente a generare i nuovi prodotti e servizi da vendere sul mercato. Le attività di ricerca precompetitiva hanno luogo specialmente in aree scientifiche e tecnologiche in cui i rischi e i costi dell'avanzamento delle conoscenze sono particolarmente elevati (per es. microelettronica, telecomunicazioni). Oltre agli accordi tra imprese su base bilaterale, va menzionato il crescente coinvolgimento in programma di cooperazione a livello europeo (Esprit, Eureka, Programma quadro, ecc.). A tale tendenza si è venuto accompagnando anche uno sviluppo complessivo del sistema ricerca su scala internazionale, sistema che, peraltro, risente di un'insufficiente offerta di ricercatori e di tecnici di elevato livello rispetto a una domanda crescente soprattutto da parte dei paesi maggiormente industrializzati. In questa situazione assume un ruolo decisivo l'intervento pubblico per promuovere la diffusione delle conoscenze scientifiche attraverso il sistema universitario e dell'istruzione in generale. Il potenziamento dei corsi di livello post-universitario è una delle vie per rispondere in maniera appropriata alle esigenze del mondo produttivo.

Un altro aspetto che sta assumendo rilevanza sempre maggiore è la commercializzazione dei risultati delle attività dei laboratori delle università e degli enti pubblici di ricerca: ciò a seguito sia di una maggiore pressione da parte delle varie componenti della società per far in modo che a problemi specifici (per es. l'AIDS, i tumori, la salvaguardia ambientale) venga data una soluzione scientifica, sia di riduzioni dei finanziamenti pubblici a cui le istituzioni scientifiche devono far fronte mediante contratti con l'industria e i servizi per specifiche prestazioni di ricerca. Molte istituzioni di livello universitario hanno cominciato a sfruttare i risultati delle loro ricerche lanciando iniziative autonomamente o in collaborazione con imprese: tali iniziative vanno dallo sfruttamento dei brevetti ottenuti dalle università all'istituzione di parchi scientifici, fino alla creazione di nuove imprese di produzione per commercializzare specifiche invenzioni. Numerose università modificano anche i propri curricula, offrendo corsi speciali di formazione per soddisfare le necessità del mondo produttivo.

La pressione sulle università a orientarsi prioritariamente verso iniziative scientifiche a sfondo commerciale e di breve periodo potrebbe compromettere il loro ruolo fondamentale nella trasmissione del sapere e nella ricerca di base e di lungo periodo. La probabilità che una parte crescente di conoscenze scientifiche sia considerata come informazione riservata a causa del suo valore economico, pone ulteriori problemi, specialmente in quelle aree del sapere in cui tradizionalmente le conoscenze scientifiche sono state considerate come un ''bene pubblico'' ottenuto con i fondi dello stato e quindi accessibili a tutti (per es. nei campi della biologia, della medicina, dell'agraria).

Il ruolo che i governi possono svolgere per fronteggiare tali problemi è assai rilevante. Per quanto riguarda il crescente coinvolgimento dell'industria nella ricerca universitaria è importante che l'operatore pubblico non riduca le risorse finanziarie destinate alla ricerca di base, quale condizione essenziale per impedire l'impoverimento di bacini di conoscenze scientifiche; esso può inoltre fare in modo che gli accordi di collaborazione tra enti pubblici di ricerca e industria non conducano a una ''privatizzazione'' delle conoscenze, pur nel rispetto delle reciproche finalità: l'avanzamento delle conoscenze per l'università e gli enti pubblici di ricerca, e il ritorno economico per le imprese. Nei paesi più avanzati si è andato sempre più evidenziando lo stretto legame che unisce le sorti della ricerca di base o di lungo periodo a quelle del progresso tecnologico e industriale. Una stima effettuata nel 1985 mostrava che nei paesi dell'OCSE la spesa per la ricerca di base era pari a 35 miliardi di dollari USA (circa il 15% del totale della R&S) e coinvolgeva un complesso di circa 250.000 ricercatori. La generale tendenza verso ricerche sfruttabili a fini commerciali ha incoraggiato attività di ricerca applicata, collocando in secondo piano quella di base che si caratterizza per l'alto costo (soprattutto in alcuni settori delle scienze fisiche) e per l'incertezza della sua ricaduta nel mondo della produzione. Nel corso degli anni più recenti si è assistito a una riduzione delle risorse umane e finanziarie destinate alla ricerca di base.

La minore attenzione verso la ricerca di base è il risultato di un'accentuata competizione internazionale che vede Stati Uniti, Giappone e paesi europei impegnati in una gara per accrescere o anche soltanto per mantenere le proprie quote di mercato. Il risultato di tale pressione è stato una ristrutturazione del sistema produttivo che ha coinvolto l'assetto tecnologico nei settori maggiormente avanzati e nei servizi. Il ruolo dei governi nel finanziamento della R&S sta conoscendo una trasformazione piuttosto rilevante nel senso di una maggiore selettività nella scelta delle ricerche da condurre. Infatti, da un finanziamento di carattere generale e istituzionale (finanziamento ''a pioggia''), si è passati al sostegno pubblico di specifici progetti particolarmente rilevanti per la soluzione di problemi socio-economici. In tutti i paesi si assiste inoltre a un crescente impegno nella valutazione dei risultati della ricerca mediante metodologie e indicatori appropriati (pubblicazioni scientifiche in riviste di prestigio e in libri di ampia diffusione, impatto dei risultati sulla comunità scientifica e sul mondo della produzione di beni e servizi, brevetti, licenze, impegno e capacità nel trasferimento dei risultati della ricerca, capacità di gestire le risorse umane e finanziarie impiegate nella ricerca): ciò con l'intento di acquisire informazioni circa l'efficienza e l'efficacia del sistema scienza-tecnologia, e quindi di dimostrare l'opportunità e la desiderabilità dell'investimento in R&S rispetto a impieghi alternativi di risorse da parte sia dell'operatore pubblico che di quello privato.

Analizzando le più recenti evoluzioni del dibattito sulla politica scientifica e tecnologica nei paesi dell'OCSE all'inizio degli anni Novanta, si registra l'emergere di alcuni problemi comuni.

I governi hanno attribuito in generale una crescente importanza alla politica scientifica e tecnologica. Ciò si è potuto riscontrare sia nel sostegno finanziario alla scienza e alla tecnologia anche durante il periodo recessivo dei primi anni Novanta, sia nell'esplicito riferimento alla scienza e alla tecnologia quale strumento di politica economica da impiegare per superare le difficoltà del sistema produttivo. In un numero crescente di paesi i governi hanno destinato prioritariamente risorse finanziarie all'innovazione tecnologica con l'obiettivo di mantenere la competitività e stimolare lo sviluppo economico. Essi si sono impegnati in sforzi rilevanti per razionalizzare i propri sistemi di ricerca e innovazione. In vari paesi sono stati ristrutturati i ministeri incaricati di coordinare le politiche pubbliche per R&S e gli enti scientifici e tecnologici (consigli delle ricerche, agenzie di promozione della ricerca e dell'innovazione); sono state pure prese misure orientate a stabilire più chiare priorità nella R&S e a concentrare le risorse nei settori ritenuti strategici. Si è riscontrato uno sforzo crescente per orientare la scienza e la tecnologia verso i bisogni della società. Ciò si è riflesso in una maggiore spesa per ricerca, in particolare nei settori dell'ambiente e della salute dell'uomo. Nel complesso, il legame tra scienza, tecnologia, economia e società è stato visto alla luce di vari problemi, tra cui, in particolare, il deterioramento delle condizioni di vita nel tessuto urbano e la crescente disoccupazione.

I mutamenti geo-politici dell'inizio degli anni Novanta hanno prodotto alcune modificazioni nelle politiche scientifiche e tecnologiche dei paesi OCSE: la spesa per ricerca nel settore della difesa è diminuita nella maggior parte dei paesi che destinavano a tale obiettivo ingenti risorse (USA, Regno Unito e Francia) e si è posto il problema della riconversione delle capacità scientifiche dal militare al civile; la priorità nella cooperazione internazionale si è spostata dai paesi in via di sviluppo ai paesi dell'Europa centrale e dei nuovi stati indipendenti dell'ex URSS; infine, la Germania ha dovuto integrare nel sistema-paese l'apparato di ricerca dell'ex Repubblica Democratica Tedesca. I mutamenti geo-politici non sono stati legati soltanto alla disintegrazione del blocco sovietico: si è intensificata la cooperazione tra i paesi europei (specialmente dopo la realizzazione dell'Unione Europea), ed è cresciuto l'interesse per i paesi dell'area dell'Asia orientale (Cina, Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong) caratterizzati da elevati livelli di crescita dei sistemi economici e scientifici.

Le risorse destinate alla R&S. - Vari sono gli indicatori utilizzati per valutare le risorse impiegate e i risultati che scaturiscono dall'attività di R&S. A livello di input nel processo di generazione delle conoscenze si ricorre a due parametri per cui si dispone di serie storiche ormai trentennali: le spese e il personale di R&S.

I dati sulla spesa per R&S mostrano che l'Europa, gli USA e il Giappone (la Triade) concentravano nel 1991 più dell'82% dei circa 400 miliardi di dollari USA che rappresentavano il totale mondiale. L'America latina e l'Africa contribuivano per meno dell'1% e i paesi in via di sviluppo dell'Asia per meno del 2%. La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) rappresentava meno del 5% del totale. La percentuale dell'Italia era del 3,1% del totale mondiale (tab. 1). Un indicatore che risulta particolarmente significativo per il confronto internazionale delle risorse destinate alla R&S è rappresentato dalla percentuale di spesa per R&S rispetto al Prodotto Interno Lordo (PIL) di ciascun paese, e cioè dalla quota della ricchezza prodotta che viene investita nell'acquisizione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche. I paesi della Triade fanno registrare percentuali al di sopra del 2,0%. Nel complesso si registra una notevole variabilità tra paesi e aree geografiche: il Giappone si trova al livello del 3,1%, gli USA al 2,8%, la Germania al 2,8%, la Francia al 2,4%, il Regno Unito al 2,2%. L'Italia si colloca all'1,3%. I paesi dei continenti in via di sviluppo non superano lo 0,6%.

La distribuzione del personale di ricerca (ricercatori, tecnici e addetti ad altre mansioni) risulta meno concentrata delle spese per R&S: dei circa 4 milioni di addetti alla R&S attivi nel mondo nel 1991, poco più del 50% era impiegato nei paesi della Triade (tab. 1). La Comunità degli Stati Indipendenti e la Cina rappresentavano rispettivamente l'11,5% e il 10% del totale; l'America latina con il 4% e l'India con il 2,9% avevano un potenziale ugualmente significativo. Per contro, l'Africa si trovava al di sotto dell'1%, e il Medio e l'Estremo Oriente allo 0,5%. Rispetto alla popolazione, la percentuale dei ricercatori è circa il 4ı in Giappone, Israele e USA, vicina al 2ı in Europa, Canada e Oceania, e dell'1ı nei paesi di nuova industrializzazione dell'Asia. In Italia nel 1991 operavano nella ricerca 144.000 addetti; di questi, 46.000 erano impiegati nell'università, 24.000 negli enti pubblici di ricerca, 8000 nel settore pubblico e 66.000 nell'industria.

La tab. 2, che riporta la struttura percentuale del finanziamento pubblico alla R&S per obiettivi socio-economici nel 1992, mette in rilievo le profonde differenze che si riscontrano tra i paesi dell'OCSE. Il finanziamento statunitense destinato all'obiettivo ''sviluppo industriale'' risulta estremamente ridotto, mentre sono elevati i fondi che lo stesso paese destina alla ricerca nel campo della salute dell'uomo (14,7% del totale). I fondi pubblici dei paesi europei s'indirizzano in prevalenza verso le ricerche nel campo dello sviluppo industriale; quest'ultimo obiettivo viene sostenuto dagli Stati Uniti in maniera indiretta attraverso i fondi per la R&S per la difesa (59,4% del totale). Per quanto riguarda l'Italia, i finanziamenti pubblici vengono orientati in primo luogo all'avanzamento delle conoscenze (46,3%), in larga parte mediante la ricerca universitaria, e secondariamente allo sviluppo industriale (14,3), alle ricerche spaziali (7,2%) e alla difesa (7,3%). La percentuale destinata alla R&S nel settore dell'energia, che negli anni Ottanta era dell'ordine del 15-20%, nel 1992 era scesa al 3,7%.

I programmi di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica a livello europeo. - Dall'inizio degli anni Ottanta la competizione sui mercati dei prodotti tecnologicamente avanzati si è fatta più acuta, soprattutto per la concorrenza esercitata dagli Stati Uniti e dal Giappone. Questo inasprimento della competizione internazionale ha obbligato i paesi dell'Unione Europea (UE) a intensificare la cooperazione nel campo della ricerca. Con risorse finanziarie limitate la Commissione delle Comunità Europee ha quindi promosso programmi di cooperazione nel campo della ricerca precompetitiva, mettendo a punto una serie di programmi in diversi settori della tecnologia.

Nel 1984 la Comunità ha lanciato il primo ''Programma quadro'' di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica con l'obiettivo di stimolare e consolidare la capacità competitiva del sistema industriale europeo, favorendo una maggiore armonizzazione delle politiche nazionali e costituendo un supporto scientifico delle altre politiche dell'Unione Europea. A tale Programma ne sono seguiti altri, a cadenza quadriennale. Nel 1994 è stato approvato il quarto ''Programma quadro'' per il periodo 1994-98 (tab. 3).

La cifra destinata a tale Programma è di circa 23.000 miliardi di lire, pari a 12.300 milioni di ECU (nel 1994 l'ECU era pari a circa 1900 lire). Il confronto con la dotazione finanziaria del precedente Programma (6600 milioni di ECU) deve tener conto dei diversi obiettivi attribuiti dall'accordo di Maastricht del 1992 alla ricerca comunitaria: il Programma quadro del 1994-98 dovrà essere onnicomprensivo, contenere, cioè, tutte le azioni di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica della Comunità, compresi i progetti dimostrativi tradizionalmente collocati in altre iniziative comunitarie. Nello specifico, il Programma prevede quattro azioni prioritarie. La prima, denominata ''Programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione'', è quella in cui si concentra la maggior parte della spesa (87%) e riguarda le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni, le tecnologie industriali, l'ambiente, le scienze e le tecnologie della vita, l'energia, i trasporti e la ricerca in campo socio-economico. La seconda azione, ''Cooperazione con i paesi terzi e organizzazioni internazionali'' mira a sviluppare il processo d'integrazione dei paesi dell'Europa centrale e orientale e dei paesi in via di sviluppo. L'azione ''Diffusione e valorizzazione dei risultati'' tende a massimizzare le ricadute economiche delle attività di ricerca finanziate dalla Comunità e a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese alle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Nell'ambito di questa azione viene promossa la realizzazione di un'infrastruttura europea di servizi di supporto e valorizzazione dei risultati della ricerca. Con la ''Formazione e mobilità dei ricercatori'' si mira a svolgere azioni di coordinamento delle attività di formazione all'interno di programmi specifici di ricerca e un rafforzamento delle reti di ricerca.

La R&S in Italia. - Nel 1992 le previsioni di spesa delle imprese e gli stanziamenti dell'amministrazione pubblica per R&S raggiungevano nel nostro paese i 22.500 miliardi di lire. Gli organismi pubblici prevedevano stanziamenti di bilancio per 11.148 miliardi di lire, in gran parte concentrati nelle università (4328), nel CNR (1439), nell'ENEA (776) e nell'Agenzia Spaziale Italiana (800); le previsioni concernenti le imprese produttive erano di 11.352 miliardi (tab. 4).

Si è detto in precedenza che in Italia la quota del PIL investita nella R&S ha raggiunto nel 1991 la quota dell'1,3%, in termini di spesa effettuata. In una prospettiva storica si può osservare che dal finire degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta il valore di quest'indicatore si è mantenuto nell'intervallo tra lo 0,7% e lo 0,9%. È con l'inizio degli anni Ottanta che il medesimo indicatore abbandona il precedente andamento oscillatorio per assumere una precisa tendenza alla crescita: da 0,7% del 1980 a 1,4% del 1992.

Un problema specifico del sistema scientifico italiano è rappresentato dallo squilibrio territoriale: il bipolarismo tra Centro-Nord e Sud, che ha caratterizzato la storia del nostro paese sin dall'unificazione, si è prodotto anche nella ricerca. Inutili sono stati finora gli sforzi volti a colmare gli squilibri attraverso interventi ordinari e straordinari. È forte il differenziale territoriale in termini di strutture di ricerca, di risorse finanziarie, di personale: nel 1990 gli enti pubblici di ricerca effettuavano nel Mezzogiorno il 10,8% della propria spesa per R&S impiegando il 9,7% del personale; le imprese spendevano nelle regioni meridionali e insulari il 6,8% del totale con il 7,3% del personale di ricerca. Ciò a fronte di una popolazione residente del 36,2% rispetto al totale nazionale.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). − Il CNR è la più importante istituzione di ricerca del paese. Venne istituito nel 1923 come ente morale con lo scopo di rappresentare l'Italia nel Consiglio internazionale delle ricerche di Bruxelles. Nel 1945 è stato riorganizzato in organo dello stato con personalità giuridica e nel 1963 ha avuto un ampliamento delle funzioni e dei compiti. Nel 1979 i poteri di direzione e di vigilanza sul Consiglio Nazionale delle Ricerche sono stati delegati dalla presidenza del Consiglio dei ministri al ministro per il Coordinamento della ricerca scientifica e tecnologica; nel 1989 tali funzioni sono state trasferite al neo-istituito ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (MURST). Il CNR svolge attività di ricerca di base e applicata, ivi compresa la realizzazione e gestione di impianti di rilevante interesse scientifico, attraverso le proprie strutture scientifiche, nonché attraverso la formazione dei propri ricercatori e tecnici; definisce, finanzia, coordina l'attuazione e partecipa allo svolgimento di progetti finalizzati; promuove e finanzia, sia presso le università sia presso gli altri enti di ricerca, attività di ricerca di base e applicata; definisce programmi e stipula accordi di cooperazione internazionale; svolge compiti di consulenza a favore dello stato e di altri enti pubblici e privati, di formazione di ricercatori e tecnici, di preparazione e verifica di standard e di norme tecniche, di organizzazione, trasferimento e diffusione delle conoscenze e dell'innovazione; conferisce borse di studio per l'avviamento alla ricerca di giovani laureati. Il CNR persegue i propri obiettivi istituzionali ed esplica le proprie attività attraverso i suoi organi direttivi (presidente, direttore generale, consiglio di presidenza, giunta amministrativa), affiancati da organi consultivi (comitati nazionali di consulenza e assemblea dei comitati nazionali di consulenza) e da organi di controllo (revisori di conti).

I Comitati nazionali di consulenza svolgono attività consultiva e di studio orientando e presiedendo alle attività di ricerca del CNR. Sono quindici, corrispondenti ad altrettante aree disciplinari e a linee di ricerca interdisciplinare d'interesse nazionale: scienze matematiche; scienze fisiche; scienze chimiche; scienze biologiche e mediche; scienze geologiche e minerarie; scienze agrarie; ingegneria e architettura; scienze storiche, filosofiche e filologiche; scienze giuridiche e politiche; scienze economiche, sociologiche e statistiche; ricerche tecnologiche e dell'innovazione; scienze e tecnologie dell'informazione; scienze e tecnologie dell'ambiente e dell'habitat; biotecnologie e biologia molecolare; scienza e tecnologia dei beni culturali. L'attività scientifica del CNR è svolta direttamente dagli organi di ricerca, che nel 1993 contavano 193 istituti, 112 centri, 17 gruppi; a essi si aggiungono 13 aree di ricerca.

Gli istituti sono organi a carattere permanente e hanno come fine azioni di ricerca diretta in relazione agli obiettivi programmatici dell'ente e in linea con gli indirizzi generali della ricerca del paese; hanno sede e impianti forniti dallo stesso CNR che ne sostiene totalmente le spese. I centri di studio sono organi temporanei di durata quinquennale, con possibilità di proroga, istituiti sulla base di una convenzione, con sede di norma presso università, per lo sviluppo di particolari studi e ricerche che necessitano di supporto tecnico-logistico e scientifico esterno al CNR. I gruppi di ricerca sono organi temporanei che hanno il fine di coordinare lo svolgimento di ricerche che comportano l'organizzazione del lavoro di ricerca di più persone e organismi scientifici. Le aree di ricerca rispondono all'esigenza d'integrare le attività degli Istituti di ricerca del CNR con l'accorpamento di unità scientifiche rispondenti a precise finalità di carattere scientifico, anche allo scopo di razionalizzare l'uso di infrastrutture comuni. Le aree di ricerca integrata sono dislocate geograficamente nelle seguenti città: Torino, Milano, Padova, Genova, Pisa, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania, Sassari.

Per quanto riguarda l'entità del personale, nel 1992 operavano nel CNR 7339 addetti, di cui 3068 ricercatori, 3198 tecnici e 1073 amministrativi.

I Progetti finalizzati del CNR, varati nei 1975, costituiscono uno specifico strumento per lo sviluppo della politica della ricerca applicata e dell'innovazione. L'obiettivo principale di questi progetti, della durata media di cinque anni, è la promozione della ricerca applicata con obiettivi e tempi definiti e con un carattere di multidisciplinarietà, portando a collaborare e integrare tra loro competenze scientifiche spesso molto diverse che non hanno ancora sviluppato un soddisfacente livello d'integrazione (università, CNR, industria, enti dell'amministrazione centrale, regionale, locale, ecc.). Con i Progetti finalizzati si è voluto quindi operare la saldatura tra avanzamento delle conoscenze e sviluppo delle tecnologie da un lato, e mondo della produzione dei beni e dei servizi dall'altro.

L'iter di approvazione dei Progetti finalizzati prevede la realizzazione di uno studio di fattibilità, un finanziamento aggiuntivo al CNR deliberato in sede interministeriale e una programmazione e valutazione delle attività svolte dalle unità di ricerca. La gestione è affidata al CNR con la costituzione di una direzione ad hoc. I risultati dei Progetti finalizzati alla fine degli anni Ottanta erano illustrati da più di 1400 soluzioni tecniche, trasferibili e utilizzabili nei vari settori dell'economia e dei servizi pubblici, e da 6300 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali e nazionali. La tab. 5 riporta i finanziamenti destinati ai Progetti finalizzati in fase di realizzazione o in fase di chiusura nel 1993, per un ammontare totale di circa 260 miliardi di lire.

L'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). − L'INFN ha il compito di promuovere, coordinare ed effettuare ricerche scientifiche nel campo della fisica sub-nucleare e nucleare, nonché di promuovere lo sviluppo tecnologico conseguente a tali settori di attività. L'Istituto, inoltre, promuove e coordina la partecipazione italiana agli organismi scientifici internazionali operanti nel settore di sua competenza, e in particolar modo con il Centro Europeo per le Ricerche Nucleari (CERN) di Ginevra. L'Istituto fu fondato nell'agosto 1951 con decreto del presidente del CNR, per iniziativa di un gruppo di fisici delle università di Roma, Padova, Milano e Torino. Di rilevante importanza è la collaborazione dell'Istituto con l'università: l'INFN integra infatti le proprie strutture con quelle universitarie attraverso le sue 19 sezioni e i 6 gruppi. Tale modello, unico nel suo genere, ha fatto assumere all'INFN un importante ruolo non solo nella ricerca ma anche nella formazione di fisici e tecnologi. Le sezioni e i gruppi collegati hanno sede presso i Dipartimenti di fisica delle università italiane e raccolgono i due terzi delle attività dell'Istituto. Alle sezioni si affiancano i quattro laboratori nazionali. Di questi, tre sono caratterizzati dallo sviluppo di acceleratori di particelle: Catania, Frascati, Legnaro (Padova). Il quarto, quello collocato nelle cavità del Gran Sasso, è un laboratorio unico al mondo, sia per dimensioni sia per protezione da ogni forma di radiazione. Tra le più rilevanti attività dell'Istituto si ricordano le sperimentazioni nel laboratorio del Gran Sasso, il completamento degli apparati da impiegare presso i laboratori Fermilab e SLAC negli USA, nel laboratorio DESY di Amburgo, l'impiego nel programma LEP (il più grande acceleratore di particelle del mondo, 27 km di circonferenza) del CERN, la preparazione di altri apparati sperimentali presso l'acceleratore ADONE di Legnaro, l'intervento per la costruzione dell'acceleratore a fasci incrociati HERA ad Amburgo. Accanto alle attività di ricerca a carattere fondamentale, l'Istituto rivolge particolare attenzione allo sviluppo tecnologico, in particolare nel campo dell'elettronica, dei rilevatori, degli acceleratori di particelle, dell'informatica, della superconduzione. Tradizionalmente le attività dell'Istituto sono organizzate in piani quinquennali, approvati dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE). Il piano 1994-98 prevede una spesa di 2590 miliardi di lire. Il numero di dipendenti impegnati nell'attività di ricerca dell'INFN era, alla fine del 1993, di 1920 unità.

L'Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA). −L'ENEA (v. in questa Appendice), istituito nel 1982 a seguito del riordino del preesistente CNEN, e riformato nel 1991, è un ente pubblico con due compiti fondamentali: condurre attività di ricerca nei settori delle nuove tecnologie, dell'energia e dell'ambiente, e svolgere la funzione di ''agenzia'' per la diffusione dei risultati delle sue attività di ricerca nel contesto nazionale. Fornisce inoltre supporto tecnico all'amministrazione dello stato e agli enti locali, e si avvale di collegamenti internazionali anche per la gestione in comune di programmi di ricerca. All'ENEA sono affidati compiti di autorizzazione e controllo in materia di applicazioni pacifiche dell'energia nucleare. Le linee d'intervento dell'ENEA prevedono in particolare: la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di tecnologie e impianti innovativi; il trasferimento e la diffusione dell'innovazione al sistema produttivo, industriale e agricolo; lo sviluppo di tecnologie, impianti e componenti finalizzati all'utilizzo delle fonti rinnovabili e al risparmio energetico; la ricerca e la sperimentazione di reattori nucleari di tipo innovativo a maggiore sicurezza intrinseca o passiva; le ricerche sulla fusione nucleare nel quadro di un'ampia collaborazione con le comunità scientifiche nazionali e internazionali; la caratterizzazione dell'ambiente; la ricerca e la valutazione degli effetti che possono derivare sull'ambiente e sull'uomo dalle attività produttive; lo sviluppo di tecnologie avanzate e di nuovi prodotti a basso impatto ambientale.

All'ENEA è affidato anche il compito di diffondere le conoscenze e di promuovere i rapporti con l'esterno per consentire la massima utilizzazione dei risultati delle proprie attività di ricerca. A tal fine, l'ente è aperto a collaborazioni con il mondo produttivo, con le amministrazioni centrali, regionali e locali dello stato, con la comunità scientifica, con l'università e la scuola. L'ENEA promuove sia nel territorio nazionale, sia in quello comunitario europeo e negli altri stati, la costituzione di società e consorzi industriali che abbiano come fine lo sviluppo industriale delle tecnologie di sua competenza e vi partecipa nel quadro dei programmi approvati dal CIPE. Importanti veicoli di diffusione dell'informazione sono in primo luogo i centri d'informazione dell'ENEA, dislocati presso i centri di ricerca, che hanno il compito di fornire al grande pubblico notizie e informazioni sui principali problemi dell'energia, dell'ambiente e dell'innovazione, sul ruolo stesso dell'ENEA nelle attività di ricerca e nei processi di sviluppo tecnologico e di promozione del sistema industriale italiano e sulle attività svolte dall'ente presso i centri. L'ENEA, che nel 1994 contava circa 4600 dipendenti, di cui circa il 40% laureati, è presente in tutto il territorio nazionale con 9 grandi centri di ricerca ai quali si affiancano altre più ridotte aree di attività.

L'università. - La struttura universitaria italiana si articolava, nel 1993, su 64 atenei con 389 facoltà. Il corpo docente comprendeva circa 13.000 professori ordinari e 18.000 professori associati, oltre a 16.000 ricercatori e circa 10.000 dottorandi di ricerca. Le università gestiscono oltre 1000 corsi di laurea con circa 1,5 milioni di studenti e circa 300 corsi di diploma universitario, di recente attivazione per oltre 25.000 iscritti. Le risorse dedicate alla ricerca nell'università, valutate al netto delle attività didattiche, sono, secondo le stime ISTAT, di circa 45.000 persone equivalenti a tempo pieno (ricercatori, tecnici e ausiliari), mentre la spesa totale dedicata alla ricerca universitaria nel bilancio dello stato era prevista nel 1994 di poco inferiore a 5000 miliardi di lire (v. università, in questa Appendice).

Il finanziamento diretto per la ricerca universitaria era ripartito, fino al 1993, in due quote; la prima, pari al 60% del finanziamento totale, finora è stata suddivisa, su proposta del Consiglio Nazionale Universitario (CUN), tra le università che, al loro interno, finanziano proposte di ricerca nella maggior parte dei casi valutate da commissioni disciplinari nominate dai Consigli di Ateneo; la seconda quota, pari al 40% del totale, era destinata a essere erogata direttamente a proponenti di progetti d'interesse nazionale su decisione dei Comitati Nazionali disciplinari. A partire dal 1994, le università ricevono, nell'ambito di una maggiore autonomia finanziaria, un unico stanziamento che copre anche le attività di ricerca di ateneo. Rimane di pertinenza del CUN la ricerca d'interesse nazionale (40%) che viene ripartita tra Comitati dal CUN, sostanzialmente sulla base di parametri derivati dal numero di professori e ricercatori operanti che tiene conto della diversità strutturale del costo della ricerca tra i settori tecnologico-sperimentali e quelli che adottano un approccio teorico. Nel 1994 sono state introdotte procedure per la valutazione, a livello nazionale e locale, dei risultati della didattica e della ricerca.

La ricerca industriale in Italia. - In Italia la ricerca dell'industria viene svolta da circa 1300 imprese, la maggior parte delle quali appartiene al settore manifatturiero. La spesa per R&S nel 1991 ammontava a circa 10.000 miliardi di lire e prevedeva l'impegno di 6500 tra ricercatori, tecnici e ausiliari (tab. 6). Le risorse sono fortemente concentrate: i settori chimico, elettrico ed elettronico, delle macchine per ufficio e degli elaboratori elettronici, dei mezzi di trasporto, spendono oltre il 70% del totale. L'80% della spesa è coperto da imprese di ampie dimensioni, con più di 500 addetti.

Il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST). − Il MURST, istituito nel 1989, ha il compito di promuovere la ricerca scientifica e tecnologica e lo sviluppo delle università e degli istituti d'istruzione superiore di grado universitario. Il ministro dà attuazione all'indirizzo e al coordinamento nei confronti delle università e degli enti pubblici di ricerca. Ogni tre anni egli elabora il piano di sviluppo delle università e presenta al Parlamento un rapporto sullo stato dell'istruzione universitaria e la relazione sullo stato della ricerca scientifica e tecnologica. Inoltre propone e adotta gli atti di programmazione annuale e pluriennale, generale, settoriale e speciale della ricerca scientifica e tecnologica e promuove la realizzazione di programmi e progetti finalizzati d'interesse generale; procede alla ripartizione degli stanziamenti iscritti nel bilancio del ministero destinati alle università e agli enti di ricerca; coordina le attività connesse alla partecipazione italiana a programmi d'istruzione universitaria e ricerca scientifica e tecnologica comunitari e internazionali. Il ministro propone al CIPE programmi d'incentivazione e sostegno della ricerca scientifica e tecnologica nel settore privato; coordina le funzioni relative all'Anagrafe nazionale delle ricerche; assicura, con il ministro della Pubblica Istruzione, il coordinamento fra l'istruzione universitaria e gli altri gradi d'istruzione in Italia e nei rapporti comunitari. Ai fini della programmazione e del coordinamento della ricerca, il ministro è membro permanente del CIPE. In particolare, il CIPE, su proposta del ministro, indica le linee generali e i criteri per l'elaborazione della programmazione pluriennale degli interventi dello stato destinati allo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica d'interesse nazionale, anche in sede internazionale, delibera sull'uso coordinato delle risorse destinate alla ricerca scientifica e tecnologica assegnate dalla legge di approvazione del bilancio dello stato alle diverse amministrazioni o direttamente agli enti e istituzioni di ricerca ad esse afferenti; indica le linee generali per la definizione dei programmi coordinati che il ministro ha elaborato. A tal fine, il ministro conclude specifici accordi con i quali sono definiti i programmi, con l'indicazione dei relativi obiettivi, dei tempi di attuazione, del reperimento delle risorse finanziarie e delle modalità di finanziamento.

Il MURST esercita la vigilanza sul CNR, l'INFN, l'ASI e su altri enti pubblici di ricerca. La vigilanza sull'ENEA è esercitata dal ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato.

I mutamenti nel quadro istituzionale della ricerca in Italia. - Nel secondo dopoguerra l'attività di promozione della ricerca si è sviluppata, anche se con ritmi diversi nei diversi periodi, senza giungere tuttavia al livello degli altri paesi avanzati. Anche gli spazi di libertà sono andati crescendo, in un contesto in cui fenomeni di marginalizzazione di aree scientifiche e culturali importanti venivano indotti da una politica fondata più sul metodo delle scelte implicite condizionate dall'emergenza e dal settorialismo che sul metodo di scelte esplicite inquadrate organicamente in una politica scientifica unitaria. Sotto il profilo istituzionale, l'organo di gestione e di orientamento a livello governativo introdotto nel 1963, e cioè l'ufficio del ministro per il Coordinamento della ricerca scientifica e tecnologica, si dimostrava inadeguato a svolgere le funzioni di promozione della R&S, nonché di sviluppo delle istituzioni scientifiche e universitarie. Dopo l'istituzione, in maggio, del ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, ministero con portafoglio e dunque dotato di un reale potere di orientamento e di coordinamento delle attività e degli organismi ad esso collegati, nell'ottobre 1989 il governo ha presentato un disegno di legge sulle autonomie dell'università e degli enti pubblici di ricerca, a completamento del disegno iniziale. Nel modello che si viene attuando vi è il chiaro obiettivo di separare i due momenti del governo del sistema, da una parte quello delle ''scelte'', assegnato al ministero, e dall'altra quello della ''gestione delle attività'', assegnato agli enti di ricerca e alle università.

Due sono i pilastri su cui poggia il nuovo quadro istituzionale: un ministero d'indirizzo, di programmazione; l'autonomia delle università e degli enti di ricerca. Nel nuovo assetto istituzionale gli enti di ricerca di natura ''non strumentale'' rispetto alle esigenze del governo (come definito nella legge istitutiva del ministero) sono soggetti di un'autonomia sostanzialmente analoga a quella universitaria. Tale autonomia ha elementi di specificità in quanto si è tenuto conto della missione che a ciascun ente è assegnata, sia pur con vincoli di diverso grado, certamente molto ridotti per il CNR che è l'ente generale di ricerca. L'autonomia riguarda non solo la ricerca, e per l'università l'insegnamento, ma anche l'organizzazione, la gestione e l'amministrazione. Va sottolineato tuttavia che, nel caso dell'università, il modello di autonomia verso cui ci si sta avviando è, comunque, lungi dall'essere di autonomia piena. In un quadro di comparazione internazionale esso si situerebbe vicino alle università francesi e tedesche, a metà strada tra l'attuale situazione italiana di sostanziale assenza di autonomia effettiva, e la condizione delle università americane. Sia la legge che istituisce il ministero, sia la proposta governativa sulle autonomie, dibattuta in Parlamento all'inizio degli anni Novanta, si muovono entro precisi limiti di carattere generale, che si possono connettere a scelte di politica della ricerca e dell'istruzione, prima tra tutte quella del mantenimento del valore legale dei titoli di studio rilasciati dall'università. In sede legislativa si è provveduto alla definizione di una nuova normativa secondo cui i titoli di studio rilasciati dall'università si articolano su tre livelli (diploma, laurea, dottorato di ricerca), in un quadro di maggiore autonomia delle università nella definizione degli insegnamenti, mentre la determinazione dei diplomi universitari e dei diplomi di laurea, la durata dei relativi corsi, nonché il reclutamento del corpo docente e del personale non docente restano affidati a norme generali fissate in sede nazionale. A partire dal 1994 l'autonomia finanziaria riconosciuta agli atenei ha dato spazio a nuove opportunità di programmazione e decisione a livello di singolo ateneo.

Bibl.: G. Sirilli, Gli indicatori della scienza e della tecnologia, in Innovazione, competitività e vincolo energetico, a cura di F. Onida, Bologna 1985; Comitato per la Scienza e la Tecnologia, Rapporto sulla situazione e sulle prospettive della scienza e della tecnologia in Italia, ''Rapporto Dadda'', Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 1986; La politica scientifica in Italia negli ultimi 40 anni. Risorse, problemi tendenze e raffronti internazionali, a cura di P. Bisogno, CNR, ivi 1988; S. Cassese, F. Merloni, L'istituzione del ministero dell'università e della ricerca scientifica, in Il foro italiano, luglio-agosto 1989; Università e ricerca nel e per il Mezzogiorno, a cura di A. Golini, Bari 1989; G. Nencini, La ricerca scientifica in Italia, Roma 1989; La ricerca scientifica, a cura di F. Onida e F. Malerba, Confindustria, ivi 1990; MURST, Rapporto sulla ricerca scientifica e tecnologica in Italia, ivi 1992; OECD, Science and technology policy. Review and outlook 1991, Parigi 1992; Id., Technology and Economy. The key relationships, ivi 1992; OCSE, Politiche nazionali della scienza e della tecnologia - Italia, Edizione a cura del MURST, Roma 1992; OECD, The measurement of scientific and technological activities, ''Frascati Manual'', Parigi 1993; Observatoire des sciences et des techniques, Science technologie - Indicateurs 1994, ivi 1993; National Science Board, Science & engineering - Indicators 1993, National Science Foundation, Washington 1993; ISTAT, Statistiche della ricerca scientifica, "Collana d'informazione", 3, 1993; CNR, Science and technology statistics. Italy 1993, Roma 1993; Eurostat, Il finanziamento pubblico della R&S nei paesi della Cee, Lussemburgo 1994; OECD, Science and technology policy. Review and outlook 1993, Parigi 1994; MURST, Ricerca e innovazione per lo sviluppo - Piano triennale della ricerca 1994-1996, Roma 1994.

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