RICEVUTI, Lapo, detto Lapo Gianni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICEVUTI, Lapo, detto Lapo Gianni

Vittorio Celotto

RICEVUTI, Lapo, detto Lapo Gianni. – Notaio fiorentino, nato probabilmente attorno agli anni Settanta del Duecento. L’Archivio di Stato di Firenze conserva atti da lui rogati tra il 24 maggio 1298 e il 24 maggio 1328: poiché all’epoca occorreva aver compiuto vent’anni per essere ammessi al collegio notarile fiorentino (diciotto se imparentati con un giudice o notaio), si può calcolare un terminus ante quem della sua nascita negli anni 1278-80. La data andrà però alzata di circa un decennio se (come sembra ormai piuttosto pacificamente accettato) egli è da identificare con il rimatore Lapo Gianni, a cui i manoscritti assegnano diciassette componimenti, che fu sodale di Guido Cavalcanti e di Dante Alighieri, menzionato da quest’ultimo nel De vulgari eloquentia e nel celebre sonetto giovanile (sicuramente anteriore al 1290) Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io.

Mancano notizie precise sulla famiglia. Due suoi fratelli, Nino e Bartolino, sono registrati in un atto del 31 gennaio 1298 (Del Lungo, 1888, p. 126); di un altro, Neri, è documentata la presenza a Bologna insieme con lo stesso Lapo nel 1301 (Zaccagnini, 1915, pp. 342-346); un ser Manetto Ricevuti, notaio anch’egli, è stato riconosciuto come suo zio (Del Lungo, 1888, p. 126).

La sua attività professionale è documentata da un registro di imbreviature, conservato nel Notarile antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze (n. 11484, già L.76), legato in pergamena, di 172 carte, ove Ricevuti verga in grafia cancelleresca le minute degli atti, sottoscrivendosi con la formula fissa: «Lapus condam Giannis Ricevuti de Florentia, imperiali auctoritate iudex ordinarius publicusque notarius» (pp. 125 s.).

Il protocollo contiene documenti rogati non solo a Firenze, ma a Bologna, Cortona, nel Casentino e a Venezia. Gli atti fiorentini testimoniano un certo grado di coinvolgimento nelle vicende politiche cittadine. Ricevuti scrisse, infatti, documenti relativi agli affari finanziari del cardinale Napoleone Orsini (Davidsohn, 1956-1968, IV, p. 400); il 6 dicembre 1313 assistette alla vestizione religiosa di Vieri de’ Cerchi, capo dei guelfi bianchi fiorentini, ammesso in punto di morte all’Ordine domenicano (Del Lungo, 1888, pp. 125-127); il 18 marzo 1314 stipulò un accordo di pace tra i Donati e Filippo de’ Cerchi (Davidsohn, 1956-1968, V, p. 790); il 10 giugno 1322 firmò la scomunica, a opera del canonico Iacopo de’ Frescobaldi, del podestà di Firenze Ubertino de Salis di Brescia (IV, p. 845; Codice Diplomatico Dantesco, a cura di R. Piattoli, 1940, n. 131).

Di particolare interesse gli atti che documentano il coinvolgimento di Ricevuti in vicende relative a Dante Alighieri e a persone con lui imparentate. Tra questi, l’atto con cui un notaio del Comune di Firenze, Sostegno di Busatto, consegnò al gonfaloniere e ai priori (tra i quali Dante, insediatosi soltanto da poche ore) una copia del documento di condanna di tre congiurati (n. 75); inoltre, il 17 novembre 1317 un atto di procura registra tra i testimoni Francesco Alighieri, fratellastro di Dante (n. 117). Tra il 1318 e il 1523 Ricevuti seguì infine le vicende relative a un prestito avuto dal lanaiolo Cione di Brunetto Alighieri, cugino di Dante: la mancata restituzione condusse Cione davanti al tribunale della Mercanzia, e tra i testimoni figura Pietro Alighieri, figlio di Dante (nn. 119, 133, 138). Ancora agli Alighieri rimandano altri due atti, entrambi rogati nel 1319 alla presenza di Andrea di Leone Poggi, figlio del cognato di Dante (Piattoli, 2013, p. 369; Azzetta, 2015, p. 67).

I documenti attestano una fitta rete di relazioni che, attraverso la sua attività professionale, Ricevuti intrattenne con alcuni dei protagonisti della vita culturale fiorentina del primo trentennio del Trecento. Tra questi, Pacino di Bonaguida, miniatore di alcuni codici della Commedia, e Andrea Lancia, notaio fiorentino, volgarizzatore, copista e commentatore del poema dantesco (Azzetta, 2015, pp. 66 s.). La presenza più assidua tra le sue carte (tanto nel protocollo quanto in un altro corposo gruppo di atti per lo più autografi, conservati nel Diplomatico dell’Archivio di Stato di Firenze, tra il 1299 e il 1322), a testimonianza di un intenso rapporto di collaborazione, è quella di Francesco da Barberino, autore dei Documenti d’amore e del Reggimento e costumi di donna, notaio al servizio del vescovo di Firenze Francesco Monaldeschi negli anni 1297-1303.

Si ignorano il luogo e la data di morte.

L’esigua produzione poetica di Ricevuti viene tradizionalmente collocata entro l’alveo culturale dello Stilnovo, non solo in virtù di scelte tematiche e stilistiche orientate verso le linee tracciate da Dante e Cavalcanti, ma anche in forza del privilegio che Alighieri gli accorda menzionandolo in due occasioni. La prima è il già citato sonetto indirizzato a Cavalcanti, Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, dove Lapo figura in un circolo amicale riunito in nome del comune esercizio dell’amore cortese. La seconda occasione è un passo del primo libro del De vulgari eloquentia, in cui Dante allega il nome di Lapo tra i toscani che hanno raggiunto l’eccellenza del volgare: «sed quanquam fere omnes Tusci in suo turpiloquio sint obtusi, nonnullos vulgaris excellentiam cognovisse sentimus, scilicet Guidonem, Lapum et unum alium, Florentinos, et Cynum Pistoriensem» (I, XIII, 4).

La triade del sonetto (con l’aggiunta di Cino da Pistoia) ricompare dunque a circa un quindicennio di distanza, ricevendo una convalida sul piano storico-letterario di quanto lì Dante aveva celebrato su quello squisitamente lirico-sentimentale. È in gioco il riconoscimento di un gruppo esclusivo di amici, il cui sodalizio si fonda sulla dedizione integrale alla poesia d’amore e su un nuovo ideale di limpidezza espressiva che si dichiara estraneo agli altri poeti toscani.

Difficile dunque negare l’esistenza di un sistema di relazioni piuttosto stretto, che vede Ricevuti quantomeno comprimario tra i due rappresentanti maggiori, Dante e Guido. Lo testimonia ancora un drappello di componimenti ‘di gruppo’ in cui, come nel souhait, ritorna il discorso sulle vicende sentimentali dell’uno o l’altro dei compagni. Si tratta di due sonetti cavalcantiani (XXXIX, Se vedi Amore, assai ti priego, Dante e XI, Dante, un sospiro messagger del core) e del sonetto probabilmente dantesco Amore e monna Lagia e Guido ed io. I testi sembrerebbero alludere alle medesime circostanze ed esprimono la diffidenza dei due autori sulla sincerità dell’amore, dunque della poesia, di Lapo (Giunta, 2011, pp. 669 s.).

Ma se la sua collocazione entro il canone storiografico dello Stilnovo parrebbe almeno parzialmente garantita dalla rete di corrispondenze e frequentazioni appena ricostruita, maggiore prudenza impongono i connotati linguistico-stilistici della sua poesia, che riflettono la fisionomia di un riecheggiatore, più che di un militante, della maniera stilnovista. Tali dubbi hanno indotto più di uno studioso a interrogarsi sull’identificazione del Lapo dantesco. Tra le non poche candidature avanzate nel tempo – delle quali va segnalata almeno quella di Lapo Gianni da Ferraglia, notaio a Firenze tra il 1254 e il 1338 – le proposte con maggiori ricadute sul piano storico-letterario sono quelle dei poeti Lippo Pasci de’ Bardi (Gorni, 1981) e Lapo di Farinata degli Uberti, detto Lupo (Pagnotta, 1996). Tali ipotesi non sono comunque prive di aporie. Da un lato, la scoraggiante esiguità del corpus superstite di Lapo degli Uberti, dall’altro la non univocità delle considerazioni metrico-stilistiche addotte da Guglielmo Gorni a favore di Lippo (peraltro non sostenute da un saldo appoggio filologico), convincono piuttosto a riaffermare i diritti di Lapo Ricevuti a comparire nella triade celebrata da Dante (Maffia Scariati, 2002).

D’altro canto va ribadita la pertinenza di Lapo a una certa zona dello Stilnovo in cui sperimentalismo stilistico e impegno concettuale si stemperano nel gusto per una più mite e convenzionale rappresentazione della casistica amorosa. È significativo che tale pertinenza sia ben percepita dalla tradizione manoscritta che ha consegnato il suo corpus di rime, la quale è integralmente organica al canone dello Stilnovo. A Lapo sono attribuite undici ballate (I-V, VIII-XII, XV), tre canzoni (VI, XIII, XIV), due stanze di canzone (VII, XVI) e un sonetto doppio caudato (XVII). Il codice Chigiano L.VIII.305, principale testimone trecentesco della poesia stilnovista, reca la serie più corposa di testi di Lapo alle cc. 48r-52v, immediatamente dopo una compatta sezione comprendente in successione canzoni e ballate di Guinizzelli, Cavalcanti, Dante e Cino da Pistoia. Si vede dunque riprodotta la sequenza del trattato dantesco, con l’aggiunta del ‘padre’ Guinizzelli, e Lapo a fare da cerniera con altri rappresentanti dello stilnovismo ‘debole’ come Dino Frescobaldi, Gianni Alfani, Guido Orlandi. Tutte le rubriche del Chigiano recano comunque l’attribuzione a «s(er) Lapo Gianni», dunque con specificazione della qualifica di notaio.

Ciò che si nota immediatamente nelle scelte stilistiche di Lapo è la predilezione accordata alla ballata e l’assenza del sonetto canonico. Alcune ballate (I-III e X-XII) esibiscono legami tali da far sospettare che siano state concepite in serie. L’influenza di Dante e Cavalcanti si avverte soprattutto nel recupero di stilemi e immagini sul tema della sofferenza d’amore e sul modulo della lode. A ogni modo, come per primo ha notato Gianfranco Contini, i richiami e in generale «la fenomenologia degli spiritelli e delle angiolette […] s’innestano su un tessuto molto più arcaico di linguaggio provenzaleggiante e siciliano» (Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, 1960, p. 569). Degne di menzione sono le tre canzoni, due delle quali (VI e XIV) di soli endecasillabi, e il plazer XVII Amor, eo chero mia donna in domìno, che ha attratto anche l’attenzione di Eugenio Montale, che ne cita un verso in esergo Alla maniera di Filippo de Pisis nella silloge Le occasioni (1939).

Edizioni. Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, pp. 569-603, 907 s. (i testi sono stabiliti da C. Segre); Poeti del Dolce stil novo, a cura di M. Marti, Firenze 1969, pp. 265-329; L. Gianni, Rime, a cura di F. Iovine, Roma 1989; Poesie dello stilnovo, a cura di M. Berisso, Milano 2006, pp. 407-443; Poeti del Dolce stil novo, a cura di D. Pirovano, Roma 2012, pp. 228-294.

Fonti e Bibl.: I. Del Lungo, Dante ne’ tempi di Dante. Ritratti e studi, Bologna 1888, pp. 125-127, 131 s.; U. Marchesini, Tre pergamene autografe di Ser Lapo Gianni, in Archivio storico italiano, XIII (1894), pp. 91-94; Codice diplomatico dantesco, a cura di R. Piattoli, Firenze 1940, nn. 75, 117, 119, 131, 133, 138; A. Petrucci, Notarii: documenti per la storia del notariato italiano, Milano 1958, pp. 101-103; A. Mastruzzo, Scrivere legando. La lettera minuta cursiva all’inizio del XIV secolo, tesi di laurea, Università degli studi di Roma La Sapienza, a.a. 1990-91, relatore prof. A. Petrucci, passim; L. Azzetta, Lapo Gianni, in Autografi dei letterati italiani. Le Origini e il Trecento, a cura di G. Brunetti et al., Roma 2013 (con elenco completo degli autografi); Id., Tra gli amici e i cultori di Dante. Documenti per Francesco da Barberino, Lapo Gianni, Andrea Lancia, in «Per beneficio e concordia di studio». Studi danteschi offerti a Enrico Malato per i suoi ottant’anni, a cura di A. Mazzucchi, Roma 2015, pp. 61-71.

E. Lamma, Lapo Gianni. Contributo alla storia letteraria del secolo XIII, Bologna 1885; G. Zaccagnini, Notizie ed appunti per la storia letteraria del secolo XIV, in Giornale storico della letteratura italiana, LXVI (1915), pp. 342-346; R. Ortiz, La corrispondenza poetica tra Dante e Guido intorno alla colpa d’amore di Lapo, in Giornale dantesco, XXIX (1926), pp. 10-29; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-1968, ad ind.; M. Marti, Storia dello stil nuovo, Lecce 1973, pp. 519-540; G. Gorni, Il nodo della lingua e il verbo d’amore. Studi su Dante e altri duecentisti, Firenze 1981, pp. 71-124; I. Bertelli, Impegno stilistico e inventivo nell’opera di Lapo Gianni, Milano 1984; M. Marti, Con Guido, dalla parte di Lapo (a proposito del “Cavalcanti” derobertisiano), in Giornale storico della letteratura italiana, CLXIV (1987), pp. 585-591; L. Pagnotta, Un altro “amico di Dante”. Per una rilettura delle rime di Lupo degli Uberti, in Studi di filologia medievale offerti a D’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli 1996, pp. 365-390; I. Maffia Scariati, «Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi…»: su un’intricata questione attributiva, in Studi e problemi di critica testuale, LXIV (2002), pp. 5-61; M. Berisso, Il “caso Lapo” (Lapo Gianni, Lippo Pasci de’ Bardi, “Amico di Dante”, Lupo degli Uberti), in Poesie dello stilnovo, Milano 2006, pp. 399-468; D. Alighieri, Rime, a cura di C. Giunta, in Id., Opere, I, a cura di L. Giunta - G. Gorni - M. Tavoni, Milano 2011, passim; D. Pirovano, Montale e «l’Arno balsamo fino», in Letteratura e oltre. Studi in onore di Giorgio Baroni, a cura di P. Ponti, Pisa-Roma 2012, pp. 473-477; R. Piattoli, Leone Poggi cognato di Dante e la sua famiglia, a cura di T. De Robertis - L. Regnicoli, in Rivista di studi danteschi, XIII (2013), pp. 354-396; D. Pirovano, Il dolce stil novo, Roma 2014, pp. 322-326.

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