Riforma costituzionale 2015

Libro dell'anno del Diritto 2016

Riforma costituzionale 2015

Alfonso Celotto

Il 13 ottobre 2015 il Senato ha approvato il disegno di legge di riforma costituzionale del Governo Renzi, il cd. “d.d.l. Boschi”, le cui innovazioni più significative riguardano il superamento del bicameralismo perfetto, il procedimento legislativo e il titolo V, parte seconda, della Costituzione. Le modifiche e le novità apportate, pur essendo orientate a garantire un più efficiente funzionamento dell’intero sistema costituzionale, suscitano anche perplessità.

La ricognizione

Con l’approvazione del disegno di legge di riforma costituzionale da parte del Senato e con la possibilità di un’imminente (seconda) lettura del testo da parte della Camera è quasi giunta al termine la “prima deliberazione” sul disegno di legge. Come noto, in base al disposto di cui all’art. 138 Cost., Camera e Senato devono pronunciarsi su di un identico testo con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi. Gli emendamenti apportati dalla Camera il 10 marzo 2015 al testo approvato in prima lettura dal Senato l’8 agosto 2014 sono stati nuovamente discussi e votati dal Senato il 13 ottobre 2015 e soltanto qualora essi vengano approvati anche dalla Camera potrà dirsi conclusa la prima deliberazione sul disegno di legge costituzionale. Le problematiche e le questioni sorte negli ultimi anni hanno riacceso il dibattito sulle profonde modifiche che l’architettura costituzionale del nostro ordinamento subirebbe per effetto di siffatta riforma.

Che il “mito” delle riforme costituzionali abbia appassionato la politica, la vita collettiva e l’opinione pubblica, sin dagli anni ’80 non è certamente una novità.

Si pensi alla lunga stagione delle Commissioni bicamerali.

Si iniziò nel 1983 con la cd. Commissione Bozzi, istituita al fine di accordare al solo Presidente del Consiglio la fiducia preventiva e consentire allo stesso di proporre al Presidente della Repubblica la nomina e la revoca dei ministri. Ma il tentativo risultò vano. Si proseguì negli anni Novanta con l’abolizione del meccanismo delle preferenze multiple (con il referendum del 1991); con la riforma del sistema elettorale del Senato da sostanzialmente proporzionale a prevalentemente maggioritario (con le leggi 4.8.1993, nn. 276 e 277); con l’istituzione, nel 1992, della cd. Commissione De Mita-Iotti, incaricata di predisporre un progetto organico di revisione della parte seconda della Costituzione, con riferimento, in particolare, alla modifica della forma di stato, della forma di governo, del bicameralismo e del sistema delle garanzie. Anche il lavoro svolto da tale commissione però fallì, tradendo le aspettative di chi aveva riposto in essa la fiducia per un effettivo cambiamento. Stessa sorte per la cd. Commissione D’Alema che operò dal 1997 al 1998.

Nella consapevolezza che la riforma costituzionale non potesse, dunque, avvenire “per blocchi”, si decise di procedere “a piccoli passi”, seguendo il procedimento di cui all’art. 138 della Costituzione.

In tal modo, alla fine degli anni novanta, si realizzò la riforma del sistema elettorale di Comuni e Province e si attribuì una più ampia autonomia statutaria alle Regioni (con la l. cost. 22.11.1999, n. 1).

Successivamente, nel 2001, la legge costituzionale n. 3 ridefinì i rapporti, soprattutto legislativi, tra Stato e Regioni, intervenendo in modo significativo sul titolo V, parte seconda della Costituzione.

Nel 2005 si tentò nuovamente di percorrere la strada indicata dall’art. 138 Cost. per apportare radicali modifiche alla parte seconda della Costituzione, trasformando il Senato in “Senato federale”, introducendo la cd. fiducia costruttiva, incrementando i poteri del Presidente del Consiglio in fase di nomina e revoca dei ministri, attribuendo nuove competenze legislative esclusive alle Regioni. L’iter del progetto di riforma si arrestò, però, in sede referendaria.

L’8 aprile 2014 è stato presentato al Senato il disegno di legge del Governo di riforma costituzionale recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione».

Il successivo 8 agosto l’Aula del Senato ha approvato, in prima lettura, il provvedimento che, passato poi, alla Camera è stato da questa emendato il 10 marzo 2015. Il 13 ottobre 2015 si è pronunciato il Senato, proponendo ed approvando alcuni emendamenti al testo votato dalla Camera nei mesi precedenti. Si preannuncia imminente l’intervento della Camera sul testo così emendato al fine di concludere la cd. prima deliberazione, benché composta, in tal caso, da due letture di ciascuna Camera. Prima di poter procedere con la seconda deliberazione, ove sono preclusi emendamenti e modifiche, è indispensabile che entrambe le Camere si siano pronunciate su di un identico testo, approvandolo. A partire da tale momento decorreranno i tre mesi di stallo prima che abbia luogo la seconda deliberazione, a seguito della quale sarà eventualmente chiamato ad intervenire il corpo elettorale.

La focalizzazione

A seguito dell’approvazione, con emendamenti, del disegno di legge di riforma costituzionale del Governo Renzi, i riflettori di politici, giuristi e giornalisti sono proiettati sull’attuale fase del processo di revisione costituzionale.

Le modifiche più recenti e significative incidono su tre ambiti tematici ed in particolare: a) sulle funzioni e sulla composizione del Senato, nell’ambito del superamento del bicameralismo perfetto, b) sul procedimento legislativo, c) sulla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni.

a) In sede referente e in Assemblea, alla Camera, si è ritenuto necessario precisare che le funzioni che il novellato art. 55 Cost. riconosce al Senato spettano comunque anche alla Camera. Si è soppressa la disposizione che prevedeva un concorso paritario del Senato nella funzione legislativa per la disciplina delle materie di cui agli artt. 29 e 32, co. 2, Cost., vale a dire famiglia e trattamenti sanitari obbligatori. È stata poi parzialmente modificata la formulazione relativa alla funzione di raccordo tra Unione europea, Stato ed altri enti costitutivi la Repubblica, espletata dal Senato, escludendo peraltro la competenza di quest’ultimo in merito alla valutazione dell’impatto derivante dalle decisioni prese nella fase ascendente e discendente del diritto dell’Unione europea.

Nel testo approvato dalla Camera è stata apportata una precisazione tale da sciogliere un dubbio interpretativo sulla disposizione di cui all’art. 57 Cost., relativa alla durata del mandato dei senatori. In prima lettura, al Senato si disponeva infatti che detta durata coincidesse con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali i senatori sono eletti, suscitando il dubbio sul se il riferimento potesse essere, per il sindaco, alla “prima” elezione che lo aveva portato ad assumere detta carica o alla “seconda” elezione, vale a dire quella a senatore, posta in essere dai consiglieri regionali. L’intervento della Camera fuga ogni dubbio, nel senso della seconda interpretazione.

Alla disposizione di cui all’art. 57 Cost., peraltro, il Senato nell’approvazione del 13 ottobre 2015, ha affrontato e, solo parzialmente, risolto una delle questioni più problematiche della riforma, vale a dire l’eleggibilità del Senato. Si è tentato di raggiungere un compromesso tra maggioranza ed opposizione, prevedendo, al quinto comma dell’art. 57 Cost., che i senatori vengono eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma». Le modalità di elezione sono quindi rinviate al contenuto di quanto sarà prescritto da una futura legge elettorale.

Sulla verifica dei poteri, di cui all’art. 66 Cost., l’emendamento apportato al disegno di legge approvato dal Senato implica una sorta di ripristino della disposizione nella sua formulazione originaria, escludendo che detta verifica rientri nella sola competenza della Camera e riconoscendo, invece, integralmente, detta funzione anche al Senato.

b) Nel passaggio dal Senato alla Camera, si è assistita ad una semplificazione della varietà dei procedimenti legislativi, nell’ottica di una riduzione della complessità tale da garantire una maggiore efficienza dell’iter di formazione delle leggi. Come noto, il superamento del bicameralismo perfetto implica, nel procedimento di formazione della legge, una differenziazione del ruolo delle Camere, tale per cui, in base alle materie, vengono delineate due tipologie procedurali, bicamerale – con funzioni paritarie delle due Camere – e monocamerale – della sola Camera – a cui si aggiunge una specifica procedura, monocamerale con ruolo rafforzato del Senato, in base alla quale, in deroga al procedimento ordinario, la Camera, a maggioranza assoluta, può decidere di non uniformarsi alle modifiche proposte dal Senato, purché quest’ultimo si sia espresso, a sua volta, a maggioranza assoluta dei componenti. Nel testo approvato dalla Camera, l’ambito di applicazione di tale procedimento è stato notevolmente ridotto, circoscrivendolo alle sole leggi a tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica o a tutela dell’interesse nazionale che danno attuazione alla cd. clausola di supremazia, di cui all’art. 117 Cost.

Durante l’esame alla Camera è stato poi modificato l’art. 72 Cost., nella parte in cui disciplina l’istituto del cd. voto a data certa, in base al quale il Governo può richiedere alla Camera di decidere, entro cinque giorni, che un disegno di legge, considerato essenziale per l’attuazione del programma di governo, sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera, entro settanta giorni dalla decisione (e non più, come invece previsto nel testo approvato dal Senato, alla sola votazione finale, escludendo quindi l’esame di eventuali modifiche proposte dal Senato).

L’esigenza di differenziazione tra Camera e Senato, sottesa al superamento del bicameralismo perfetto, spiega e giustifica la modifica apportata dalla Camera all’art. 73, co. 2, Cost., nella parte in cui prevede che le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera e del Senato possano essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale, se richiesto, con ricorso motivato, da almeno un terzo dei componenti il Senato o un quarto dei componenti la Camera (e non più, come previsto, nel testo approvato dal Senato in prima lettura, «da un terzo dei componenti di una Camera», senza alcuna differenziazione giustificata dalla diversa composizione dei due organi).

Sull’art. 74 Cost., la Camera ha ritenuto opportuno eliminare la possibilità di un rinvio presidenziale di tipo parziale, vale a dire circoscritto a specifiche disposizioni della legge, introdotta invece dal Senato nel corso dell’approvazione del testo di riforma, in prima lettura.

c) Sul titolo V, parte seconda della Costituzione, molte le modifiche apportate nel testo di riforma: dalla soppressione delle Province, all’introduzione del parallelismo tra competenze legislative e regolamentari, passando per la riscrittura del catalogo delle materie di potestà legislativa tra Stato e Regioni, di cui all’art. 117 Cost. Nel corso dell’esame presso la Camera, sono state apportate alcune modifiche, per lo più, orientate ad aggiungere alcune materie nell’elenco di quelle riservate alla potestà esclusiva statale, tra le quali la «promozione della concorrenza», la materia «politiche attive del lavoro», la materia «disposizioni generali e comuni per le politiche sociali», la materia «tutela e sicurezza del lavoro» e la materia «disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale». Nell’ambito delle materie di competenza regionale, nel passaggio dal Senato alla Camera, è stato soppresso il riferimento al “Parlamento”, per la potestà legislativa in materia di «rappresentanza delle minoranze linguistiche» e la materia «istruzione e formazione professionale» è stata sostituita dalla materia «organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale».

Alcune modifiche sono state poi apportate dal Senato il 13 ottobre 2015, con riguardo all’individuazione delle materie, entro i cui limiti è ammesso un regionalismo differenziato, ai sensi dell’art. 116, co. 3, Cost.

I profili problematici

Prima di affrontare il merito delle questioni più problematiche concernenti le modifiche apportate al testo di riforma negli interventi dell’anno in corso, occorre riflettere sulle ragioni della paradossale situazione di stallo in cui si è arenato negli ultimi mesi il processo di riforma costituzionale1. Conclusesi infatti le prime due letture del Senato e della Camera, il progetto di riforma è ritornato, sulla base di quanto prescritto dall’art. 138 Cost., al Senato per la seconda lettura, indispensabile, a fronte delle modifiche apportate dalla Camera. Ed è proprio con riguardo a tale fase che sono sorti innumerevoli dubbi e perplessità: ci si chiedeva infatti quale dovesse essere il ruolo, lo spazio di intervento del Senato in questo momento del procedimento di revisione costituzionale. Si è a lungo discusso sull’an e sul quomodo di eventuali modifiche, riflettendo sul se e fino a che punto fosse ammissibile, da un punto di vista normativo, ma anche di opportunità politica, la proponibilità di emendamenti nel corso della seconda lettura.

A livello normativo, veniva in rilievo, da una lato, l’art. 104 R.S., relativo alla “navetta” dei disegni di legge ed applicabile anche alla prima deliberazione sui disegni di legge costituzionale. In base a tale disposizione, «se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera» e «nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati». La ratio sottesa all’effetto risolutamente preclusivo di tale disposizione risiede nell’«esigenza di speditezza del processo decisionale parlamentare … pienamente comprensibile con riguardo alla legislazione ordinaria»2.

Si è ben presto escluso però che detta disposizione potesse trovare applicazione nel procedimento di revisione costituzionale poiché l’atipicità che lo caratterizza esclude che esso possa appiattirsi sul procedimento ordinario3.

Dubbi e perplessità sono sorti poi leggendo l’art. 123 R.S., che esclude risolutamente, in sede di seconda deliberazione del procedimento di revisione costituzionale, l’ammissibilità di emendamenti, ordini del giorno e richieste di stralcio di una o più norme.

Si è esclusa però anche l’applicazione di tale disposizione. L’intervento del Senato rappresentava sì una seconda lettura, ma nell’ambito della prima deliberazione, non ancora conclusa. Anche a voler prescindere, in tale sede, dai dubbi di legittimità costituzionale avanzati in merito a tale disposizione, nella parte in cui sancisce una preclusione procedimentale così netta e radicale4, è la ratio sottesa alla previsione di una doppia deliberazione nel procedimento di revisione costituzionale che rende effettiva non solo, peraltro, la possibilità di emendamenti direttamente collegati alle modifiche apportate dall’altro ramo del Parlamento, ma anche di ulteriori emendamenti, privi di qualsiasi nesso funzionale con le precedenti modifiche. D’altra parte, se è vero che discussioni, approfondimenti e confronto parlamentare sono, o meglio, dovrebbero essere il fulcro del procedimento di revisione costituzionale5, non può essere negata la possibilità di eventuali emendamenti che si ritengano funzionali al miglior esito del processo di riforma6. Pertanto, sulla base di tale ricostruzione non sarebbe neppure necessario invocare il principio del nemine opponente, per evitare, anzi, paradossalmente, di dover subordinare la modifica di un testo, per la cui approvazione è sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti, all’unanimità dei parlamentari7.

In ogni caso, se, come è vero, l’ammissibilità di eventuali meditazioni e ripensamenti sul testo di riforma deve essere vagliata con le dovute cautele e senza mai perdere «il senso del limite»8, essa diviene una impellente necessità qualora il testo di riforma presenti vizi di illegittimità costituzionale9.

A dir il vero, più di qualche dubbio è sorto, con riguardo alle modifiche di cui al primo ambito tematico (A). In particolare, il nodo più problematico, relativo all’elezione senatoriale, non è stato ancora definitivamente sciolto, essendo rimessa ad una legge elettorale, futura ed incerta, l’individuazione dei criteri e delle modalità di elezione.

Quanto agli emendamenti apportati dalla Camera, con riguardo al secondo ambito tematico (B), le maggiori perplessità riguardano sostanzialmente l’alto tasso di complessità – comunque evidente nonostante i tentativi di semplificazione apportati dalla Camera – derivante dalla presenza di più procedimenti legislativi applicabili, in base alla natura e all’oggetto della legge. Per evitare l’eventuale ma assai prevedibile contenzioso derivante da siffatta complessità procedimentale, è disciplinata una fase preventiva di arbitrato politico tra i Presidenti delle due Camere, che procedono d’intesa all’assegnazione dei progetti di legge. Alle perplessità derivanti dalla mancanza di una disciplina nel caso in cui non si raggiunga un’intesa tra i due organi, si aggiungono però i dubbi sull’opportunità politica di affidare alla politica, anziché alla giurisdizione costituzionale, la soluzione di siffatti conflitti di competenza10.

Nel passaggio dal Senato alla Camera, gli emendamenti apportati con riguardo al terzo ambito tematico (C) ed, in particolare, l’ulteriore incremento delle competenze esclusive statali rispondono a quell’esigenza marcatamente centralistica sottesa al testo di riforma. Il nuovo modello di regionalismo delineato nel disegno di legge costituzionale implica una drastica riduzione degli spazi riservati alla legislazione regionale e un effettivo ripensamento della collocazione istituzionale delle Regioni, da enti legislativi ad enti esecutivoamministrativi. Anche a non voler escludere, aprioristicamente, che possa rivelarsi proficuo riconoscere alle Regioni un nuovo ruolo istituzionale, l’assenza di un modello a cui ispirarsi e le difficoltà istituzionali ed economiche che il nuovo assetto implica suscitano perplessità di non poco momento sulla reale effettività del testo di riforma11.

1 In tal senso, cfr. Tondi Della Mura, V., Audizione nel corso dell’indagine conoscitiva sulla revisione della Parte II della Costituzione, 27.7.2015, in www.osservatorioaic.it, 1.

2 In tal senso, cfr.Scaccia, G., Indagine conoscitiva presso la 1° Commissione permanente del Senato della Repubblica, 27.7.2015, 3 ss.

3 In tal senso, cfr. Pace, A., Audizione nel procedimento di revisione costituzionale (d.d.l. n. 1429B), in www.osservatorioaic.it, 28.7.2015, 1, ove l’A. fa riferimento alle osservazioni del senatore Gotor.

4 Sulla questione, si veda, più approfonditamente, Scaccia, G., Indagine conoscitiva, cit., 3 ss

5 Sul tema, cfr. De Fiores, C.,, Indagine conoscitiva in materia di revisione della Parte II della Costituzione, 28.7.2014, 9.

6 Per tale orientamento, cfr. Tondi Della Mura, V., Audizione nel corso dell’indagine conoscitiva sulla revisione della Parte II della Costituzione, cit., 2 s.

7 Così, cfr. Tondi Della Mura, V., op. ult. cit., 3.

8 In tal senso, cfr. Azzariti, G., Audizione del 30 luglio 2015 della Commissione I affari costituzionali del Senato della Repubblica nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla revisione della Parte II della Costituzione, in www.senato.it, 9, ove l’A. si riferisce alle raccomandazioni rivolte dal Presidente Emerito Napolitano alla Commissione stessa.

9 Per tale orientamento, cfr. Pace, A, Audizione nel procedimento di revisione costituzionale (d.d.l. n. 1429B), in www.osservatorioaic.it, 28.7.2015, 1.

10 Su tali perplessità, si veda, più approfonditamente, Azzariti, G., op.cit., 4, secondo il quale, peraltro, sulla scorta dell’insegnamento di P. Calamandrei, in base al quale «il lavoro dei costituenti dovrebbe essere ispirato (…) al motto “chiarezza nella Costituzione”», oltre alla semplificazione dei procedimenti legislativi sarebbe auspicabile una semplificazione generale del linguaggio utilizzato.

11 In tal senso, cfr. In tal senso, cfr. Scaccia, G., op. cit., 24.

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