RIFRAZIONE e DISPERSIONE

Enciclopedia Italiana (1936)

RIFRAZIONE e DISPERSIONE

Eduardo AMALDI
Mario BARBARA
Bruno PONTECORVO
Azeglio BEMPORAD

Si dice rifrazione la deviazione che subisce un raggio di luce quando passa da un mezzo a un altro. Le leggi che determinano la direzione del raggio rifratto, enunciate da Cartesio nel 1637, sono le seguenti: 1) il raggio rifratto giace nel piano determinato dal raggio incidente e dalla normale alla superficie rifrangente nel punto d'incidenza; 2) l'angolo di rifrazione r è legato all'angolo di incidenza i dalla formula

dove n è una costante che dipende soltanto dalla natura dei due mezzi e dalla lunghezza d'onda della radiazione considerata. Questa costante si chiama indice di rifrazione relativo dei due mezzi; il fatto che esso dipenda dalla lunghezza d'onda della radiazione dà luogo al fenomeno della dispersione, di cui sarà detto in seguito.

Il rapporto

nel caso in cui il raggio passi dal vuoto al mezzo considerato, si chiama indice di rifrazione assoluto; esso è una costante caratteristica della sostanza, ed è quasi sempre maggiore di 1; cioè un raggio, passando dal vuoto in un mezzo trasparente, si avvicina alla normale. Conoscendo gl'indici di rifrazione (assoluti) n1, n2 di due mezzi, si può ottenere l'indice di rifrazione n12 del secondo mezzo relativo al primo, facendone il quoziente:

se n2 > n1, cioè se il secondo mezzo è più rifrangente del primo, risulta n12 > 1, cioè un raggio, passando da un mezzo meno rifrangente ad uno più rifrangente, si avvicina alla normale. Poiché l'indice di rifrazione dell'aria è molto prossimo a 1, l'indice di un mezzo relativo all'aria è praticamente uguale al suo indice assoluto; perciò essi generalmente si confondono, e si chiama indice di rifrazione quello relativo all'aria (a 0° e 760 mm. di pressione); esso sta nel rapporto di 1/1,0002926 con l'indice assoluto.

Vogliamo ora vedere come si può in pratica costruire il raggio rifratto (fig. 1). Sia AO il raggio incidente sulla superficie S di separazione di due mezzi di indici di rifrazione noti n1, n2; se il raggio incidente e la normale ON giacciono nel piano del disegno, giacerà in questo stesso piano anche il raggio rifratto; per costruirlo si descriva con centro in O un cerchio di raggio qualunque, e si tiri una parallela P alla normale N ad una distanza d tale che sia

congiungendo il punto di incidenza O con il punto intersezione B della parallela P con il cerchio, si ha il raggio rifratto: infatti dai due triangoli AOA′ e BOB′ si ha:

come vuole appunto la seconda legge della rifrazione.

Sia SS′ la superficie di separazione dei due mezzi 1 e 2, e sia il mezzo 2 più rifrangente di 1 (quindi r i), ed n sia l'indice di rifrazione del primo mezzo rispetto al secondo; sarà quindi

cioè sen i = n sen r; aumentando quindi l'angolo d'incidenza i, aumenta anche l'angolo di rifrazione r; a un angolo i = 90° (incidenza radente) corrisponderà un angolo r0 (〈 90°), detto angolo limite, definito dalla n sen r0 = 1. Per il principio di reversibilità del cammino dei raggi luminosi, ad un raggio proveniente dal secondo mezzo, incidente sulla superficie SS′ con un angolo i0 uguale all'angolo limite sopra definito, e indicato nella considerazione precedente con r0, corrisponderà nel mezzo 1 un raggio rifratto radente alla superficie; se il raggio incide sulla superficie con un angolo i > i0, la seconda legge della rifrazione non potrà più essere soddisfatta per nessun valore di r: infatti in questo caso si ha

n sen i0 i > i0 sen 90° = 1, e quindi per i > i0, sen r > 1, il che è assurdo: mancherà quindi il raggio rifratto, ed il raggio incidente si rifletterà sulla superficie seguendo le solite leggi della riflessione: a questo fenomeno si dà il nome di riflessione totale. (In realtà il raggio riflesso esiste sempre, ma, per i i0, la sua intensità è solo una frazione dell'intensità del raggio incidente).

Le leggi di Cartesio permettono di determinare solo la direzione del raggio rifratto senza fornirci alcuna indicazione sulla sua intensità. Questa viene stabilita dalle classiche formule del Fresnel, che servono a calcolare come l'intensità della radiazione incidente si distribuisce fra il raggio riflesso e quello rifratto. Per renderci conto del significato di tali formule immaginiamo il raggio incidente decomposto in 2 onde polarizzate rettilineamente (v. polarizzazione della luce), l'una di ampiezza f col vettore elettrico nel piano di incidenza, l'altra di ampiezza g col vettore elettrico in direzione normale alla precedente ed alla direzione di propagazione. Ciascuna di queste due onde, incontrando la superficie di un mezzo trasparente, dà luogo a un'onda riflessa e a un'onda rifratta. Se ora indichiamo con f1, g1, le ampiezze delle due onde rifratte e con f′, g′, le ampiezze delle onde riflesse si trova che:

dove:

Queste formule, dette di Fresnel, permettono di riconoscere facilmente che l'ampiezza, e quindi l'intensità, dell'onda rifratta (e analogamente dell'onda riflessa) dipende dall'angolo d'incidenza e dall'indice di rifrazione dei due mezzi: si noti anzi che nella rifrazione (e analogamente nella riflessione) il rapporto delle ampiezze delle due onde polarizzate che abbiamo indicato con f e g si altera e precisamente del fattore

che dipende dall'angolo di incidenza. Questo fatto dà luogo a fenomeni di polarizzazione della luce rifratta e riflessa (v. riflessione) su cui non possiamo ora dilungarci.

Anticamente si credeva che i mezzi di maggiore densità o peso specifico avessero anche maggiore indice di rifrazione: il che non è vero perché non esiste alcuna relazione generale tra le densità e gl'indici di rifrazione di sostanze diverse. Invece per una medesima sostanza i cambiamenti di densità sono legati a cambiamenti di indice di rifrazione da una relazione di validità molto estesa, che porta il nome di formula di Lorentz-Lorenz, perché fu trovata per via teorica quasi contemporaneamente, ma in modo indipendente, da Lorenz, di Copenaghen, e da H. A. Lorentz, fisico olandese. Essa è la seguente:

nella quale δ è la densità, e K una costante caratteristica di ciascuna sostanza, detta costante di rifrazione o rifrazione specifica: da questa formula risulta che col decrescere della densità decresce anche l'indice di rifrazione, e che, come è intuitivo, quando δ tende a zero n tende a 1, cioè all'indice di rifrazione nel vuoto. La formula di Lorentz-Lorenz si mantiene valida anche nel passaggio dallo stato gassoso al liquido; essa collega cioè l'indice di rifrazione di un liquido con quello del suo vapore.

Ci siamo finora occupati di mezzi omogenei, nei quali cioè l'indice di rifrazione ha lo stesso valore in tutti i punti, mentre varia bruscamente quando si attraversa la superficie di separazione di due mezzi: in queste condizioni i raggi luminosi descrivono dei tratti di retta, cambiando bruscamente direzione quando passano da un mezzo a un altro. Se abbiamo invece un mezzo non omogeneo, nel quale cioè l'indice di rifrazione varia con continuità da un punto a un altro, i raggi luminosi durante la propagazione cambieranno direzione gradatamente, e quindi la luce descriverà delle linee curve, la cui concavità è rivolta dalla parte delle n crescenti; e l'angolo delle tangenti alla curva in due punti qualunque dipende soltanto dal rapporto dei valori locali dell'indice di rifrazione. Un mezzo come quello che abbiamo ora considerato è costituito dall'atmosfera, nella quale, generalmente, l'indice di rifrazione cresce dall'alto verso il basso; questo fa sì che i raggi provenienti dagli astri siano leggermente incurvati verso il basso, in modo che noi vediamo un astro in un punto che è più alto, sull'orizzonte, di quello vero: questa apparente elevazione degli astri si chiama rifrazione astronomica (v. sotto). La rifrazione atmosferica influisce anche sulla osservazione di oggetti terrestri, e dà luogo ai due noti fenomeni del miraggio e della fata Morgana.

Il problema della propagazione della luce presenta, dal punto di vista della teoria ondulatoria, notevoli difficoltà matematiche; fortunatamente però, nella maggior parte dei casi, vi sono criterî che permettono di studiare l'andamento dei fenomeni con una approssimazione che è in pratica più che sufficiente. Tali criterî fanno capo al principio di Huygens e il concetto a cui s'informano è quello della propagazione mediata della luce: lo stato di eccitazione luminosa in un dato punto dello spazio è determinato e provocato dallo stato di eccitazione che i punti nelle immediate vicinanze di esso possedevano un istante prima; il principio di Huygens, che precisa queste considerazioni, si può enunciare, nella sua forma primitiva, come segue: i punti, che vengono raggiunti dalla perturbazione luminosa, diventano essi stessi centro di onde elementari; ma le azioni di tutte queste onde, ad ogni istante, sono sensibili soltanto sulla superficie che le inviluppa, la quale rappresenta la superficie d'onda nell'istante considerato. Questo principio rende perfettamente conto del fenomeno della rifrazione (fig. 2): sia AC la traccia, sul piano del disegno, della superficie piana che separa due mezzi trasparenti, nei quali la luce si propaga rispettivamente con le velocità v1 e v2; sia AB la traccia dell'onda incidente, proveniente dal primo mezzo; il punto A viene raggiunto per primo dalla perturbazione, e vibra già da un tempo misurato da

quando il punto B dell'onda raggiunge in C la superficie di separazione; e sempre in questo istante, l'onda elementare di centro A ha un raggio uguale a

i punti intermedî tra A e C hanno emesso onde elementari, i cui raggi sono proporzionali alla loro distanza da C, e in particolare l'onda di centro C ha raggio nullo. L'inviluppo di tutte queste onde elementari ha come traccia la retta CD, tangente condotta per C alla semicirconferenza di centro A e raggio

Le normali alle due superficie d'onda AB e DC (cioè il raggio incidente HA e il raggio rifratto AD) giacciono in un piano normale alla superficie AC, e quindi è soddisfatta la prima legge della rifrazione; dalla figura inoltre risulta che

ossia è soddisfatta anche la seconda legge di Cartesio.

Vogliamo ora soffermarci un momento sulla rifrazione della luce da parte di superficie scabre: un'asperità di altezza uguale a ε varia il cammino ottico di un raggio che attraversi normalmente la superficie di separazione dei due mezzi, di indici di rifrazione n ed n′, di una quantità Δ = (n n′) ε; tale differenza poi aumenta con l'aumentare dell'angolo di incidenza. Dalla formula scritta si vede anche che si può rendere Δ molto piccolo diminuendo convenientemente la differenza n n′; è questa la ragione per cui un vetro smerigliato trasmette abbastanza regolarmente la luce quando viene bagnato con acqua e diventa quasi perfettamente trasparente quando si sostituisca all'acqua il benzolo, che ha un indice di rifrazione più vicino a quello del vetro; analoga funzione ha il liquido lacrimale sulle irregolarità della superficie della cornea.

Altro fenomeno importante è quello della doppia rifrazione, scoperto nel 1669 da E. Bartolino: se inviamo attraverso un cristallo di calcite (spato d'Islanda) un sottile pennello di raggi luminosi paralleli, questo, penetrando in esso, si scinde generalmente in due fasci, che si propagano in direzione diversa e con diversa velocità; se il cristallo è abbastanza spesso e il fascio incidente abbastanza sottile e di luce naturale (non polarizzata), i due fasci emergenti hanno la stessa intensità e sono completamente polarizzati in piani assai approssimativamente ortogonali l'uno all'altro. Dei due raggi nei quali si scinde il raggio primitivo, uno segue le ordinarie leggi della rifrazione, e si chiama raggio ordinario, l'altro invece, detto raggio straordinario, segue leggi più complesse: in particolare esso si allontana dalla normale anche quando il raggio incidente è perpendicolare alla faccia del cristallo. Nel solo caso in cui il raggio incida normalmente ad una faccia del cristallo, che sia perpendicolare ad una particolare direzione detta asse ottico, la doppia rifrazione non ha luogo e il cristallo di spato si comporta come un mezzo isotropo. La calcite non è il solo cristallo in cui si manifesti il fenomeno della doppia rifrazione; in modo analogo ad esso si comportano tutti i cristalli, che prendono il nome di cristalli uniassica, appartenenti ai sistemi trigonale, esagonale e tetragonale. I cristalli appartenenti ai sistemi ortorombico, monoclino e triclino sono anche essi birifrangenti; ma in essi né l'uno né l'altro dei due raggi rifratti segue le ordinarie leggi della rifrazione: essi si dicono cristalli biassici. Inoltre anche i corpi che ordinariamente sono isotropi possono divenire birifrangenti per deformazioni meccaniche o per effetto di un campo elettrico o magnetico.

Tutta la teoria della doppia rifrazione si può svolgere partendo dalla definizione dell'ellissoide degl'indici, caratteristico di ogni mezzo birifrangente; esso viene definito come segue: se per il centro dell'ellissoide si conduce un piano perpendicolare alla direzione di propagazione del raggio incidente, si ottiene una ellisse di intersezione, i cui semiassi determinano: a) con la loro direzione il piano di polarizzazione di ciascuna delle due onde, in cui si divide l'onda incidente; b) con la loro lunghezza la velocità di propagazione delle onde nella direzione del raggio.

Quando l'ellissoide degl'indici possiede due assi eguali, ossia è un ellissoide di rotazione, il cristallo si dice uniassico: l'asse di rotazione dell'ellissoide degli indici si chiama asse ottico. L'onda che vibra perpendicolarmente all'asse ottico è l'onda ordinaria; quella che vibra nel piano contenente la direzione di propagazione e l'asse ottico è l'onda straordinaria.

La superficie d'onda nei cristalli uniassici è costituita da una sfera e da un ellissoide di rivoluzione attorno all'asse ottico, tangente alla sfera nei punti d'intersezione di questa con l'asse ottico: se l'ellissoide è allungato e inscritto nella sfera, il cristallo si dice positivo, e in esso il raggio straordinario è più deviato del raggio ordinario; se invece l'ellissoide è schiacciato e circoscritto alla sfera, il cristallo si dice negativo; il raggio straordinario è meno deviato del raggio ordinario. Applicando il principio di Huygens alla costruzione dei raggi rifratti si trova che il raggio straordinario esce, generalmente, dal piano d'incidenza; il raggio ordinario invece non solo rimane nel piano d'incidenza, ma segue anche la legge dei seni. Il raggio straordinario non viene deviato, soltanto quando l'asse di rotazione dell'ellissoide degl'indici (asse ottico) è perpendicolare o parallelo alla direzione d'incidenza: nel primo caso il raggio ordinario e il raggio straordinario si propagano nella medesima direzione, ma con velocità diversa; nel secondo caso invece essi posseggono la stessa velocità: essi si confondono e il cristallo i comporta come un mezzo isotropo.

Un cristallo birifrangente si dice biassico quando l'ellissoide degl'indici ha tutti e tre gli assi diversi; il nome di cristalli biassici deriva dal fatto che in essi esistono due direzioni, dette assi ottici principali, parallelamente alle quali un'onda piana può propagarsi senza deformazione qualunque sia il suo stato di polarizzazione. Per i cristalli biassici le due falde della superficie d'onda non costituiscono, come nel caso dei cristalli uniassici, due superficie distinte. ln generale, nel caso della propagazione di un'onda ordinaria (di un'onda cioè che nella rifrazione ubbidisce alle leggi di Cartesio), il raggio luminoso è perpendicolare alla corrispondente onda, cioè l'onda ordinaria si propaga spostandosi perpendicolarmente a sé stessa; in un'onda straordinaria invece i raggi non sono perpendicolari alla superficie d'onda, cioè un'onda straordinaria non si propaga perpendicolarmente a sé stessa: nel caso quindi di un cristallo biassico (onde straordinarie), ad una sola onda può corrispondere più di un raggio, e viceversa, ad un raggio può corrispondere più di un'onda. Applicando il principio di Huygens ai cristalli biassici si riconosce che per ogni onda piana si hanno generalmente due raggi, i quali non giacciono nel piano di incidenza, e sono perciò ambedue straordinarî. Dalla costruzione di Huygens risulta inoltre che in direzione parallela ad uno degli assi ottici principali un'onda polarizzata rettilineamente si propaga senza alterazione e con la medesima velocità, qualunque sia il suo piano di vibrazione; la direzione del raggio però è diversa per onde polarizzate in diversi piani. Supponiamo ora di inviare sopra una lamina tagliata da un cristallo biassico un sottile pennello di luce naturale, in direzione tale che l'onda rifratta si propaghi, in seno al cristallo, parallelamente ad uno degli assi ottici: poiché la luce naturale si compone di raggi polarizzati in tutti i possibili piani, vi saranno anche infiniti raggi rifratti, disposti secondo le generatrici di un cono, avente il vertice nel punto d'incidenza. Se la lamina è a facce piane e parallele tutti questi raggi emergono dalla lamina stessa paralleli gli uni agli altri e al raggio incidente, e quindi disegnano sopra uno schermo ad essi normale un anello luminoso il cui diametro dipende dallo spessore della lamina ma non dalla distanza dello schermo. Questo fenomeno prende il nome di rifrazione conica interna; esso fu scoperto teoricamente da W. R. Hamilton; successivamente l'esperienza eseguita con l'aragonite dal Lloyd confermò le previsioni teoriche.

Come abbiamo già detto, per le onde straordinarie si deve separatamente parlare di onde e di raggi: quindi ad ogni proprietà delle onde corrisponderà un'analoga proprietà per i raggi. Nei cristalli biassici quindi come esistono due direzioni (assi ottici principali) lungo le quali un'onda polarizzata rettilineamente si propaga senza deformazione e con la medesima velocità, essendo però la direzione del raggio diversa per onde polarizzate in piani diversi, così esistono due direzioni (assi ottici secondarî) lungo le quali possono propagarsi senza deformazione e con la medesima velocità raggi polarizzati rettilineamente in qualsiasi piano; per ogni posizione del piano di polarizzazione si ha una diversa giacitura dell'onda piana, che corrisponde al raggio. Consideriamo ora un raggio, polarizzato rettilineamente, che si propaghi, nell'interno di un cristallo biassico, parallelamente ad uno degli assi ottici secondarî; l'angolo di cui esso viene deviato emergendo nell'aria dalla superficie che limita il cristallo, dipende dalla giacitura della superficie d'onda e quindi dal piano di polarizzazione del raggio; se il raggio non è polarizzato ma naturale, ad esso corrispondono infinite superficie d'onda, che inviluppano un cono; ed emergendo dal cristallo, esso dà luogo ad infiniti raggi rifratti, diretti secondo le generatrici di un cono. Questo cono di raggi disegna sopra uno schermo, normale al suo asse, un anello luminoso il cui diametro cresce proporzionalmente alla distanza dello schermo dalla faccia di emergenza. A tale fenomeno si dà il nome di rifrazione conica esterna.

Anche i corpi naturalmente isotropi possono, per effetto di determinate azioni, divenire birifrangenti. Occupiamoci prima brevemente delle birifrangenza meccanica. L'esperienza dimostra che un blocchetto di vetro, compresso uniformemente su due facce opposte, diviene birifrangente, acquistando le proprietà di un cristallo uniassico negativo con l'asse parallelo alla direzione della compressione; se invece di una compressione esso subisce uno stiramento, acquista le proprietà di un cristallo uniassico positivo, e l'asse ottico coincide sempre con la direzione della deformazione; in ambedue i casi la birifrangenza è proporzionale allo spessore del blocchetto e allo sforzo interno. Un blocco di vetro, originariamente isotropo, può divenire otticamente anisotropo anche per effetto di un riscaldamento non uniforme: la causa della birifrangenza va cercata negli sforzi interni che prendono origine nel vetro per la diversa dilatazione delle parti diversamente riscaldate; il fenomeno è temporaneo, perché la birifrangenza cessa non appena tutta la massa del vetro abbia acquistato la medesima temperatura. Di carattere permanente invece è la birifrangenza del vetro temperato; essa è dovuta agli sforzi interni che nascono per il brusco e ineguale raffreddamento della massa pastosa, sforzi che permangono nel vetro solidificato. Anche i liquidi possono divenire birifrangenti per azioni meccaniche; a differenza dei solidi però essi non sono capaci di mantenere l'anisotropia se non per un tempo brevissimo, e tanto più breve quanto meno il liquido è viscoso.

La birifrangenza magnetica si presenta quando la luce attraversa una sostanza posta in un campo magnetico perpendicolare alla direzione di propagazione; consiste in una temporanea birifrangenza acquistata dalla materia sotto l'azione del campo, per cui le vibrazioni parallele al campo sono propagate con velocità diversa da quelle normali ad esso, analogamente a quanto avverrebbe in un cristallo uniassico avente l'asse nella direzione del campo. La birifrangenza magnetica può avere due cause diverse e si presenta con caratteristiche diverse nei due casi: il primo fenomeno, che porta il nome di effetto Cotton-Mouton, consiste in una leggerissima birifrangenza acquistata temporaneamente da certi liquidi omogenei sotto l'azione di un campo magnetico assai potente: esso è dovuto a un parziale orientamento delle molecole sotto l'azione di un campo magnetico. La legge quantitativa del fenomeno è la seguente; la differenza tra gl'indici di rifrazione n8 e n0 del raggio straordinario e del raggio ordinario è proporzionale al quadrato del campo magnetico

dove λ è la lunghezza d'onda, e la costante c dipende dalla natura del liquido, dalla sua temperatura e debolmente anche dalla lunghezza d'onda. Per il nitrobenzolo si ha c = 2,53 • 10-12, per il solfuro di carbonio c = 0,5 • 10-12.

Il secondo fenomeno si presenta nei gas ed è localizzato in vicinanza delle linee di assorbimento, dove ha un'entità assai rilevante, mentre decresce rapidamente nelle altre parti dello spettro. Il fenomeno va messo in relazione con l'effetto Zeeman (v. zeeman, effetto di).

Vi è anche una birifrangenza elettrica o effetto Kerr. Quasi tutti i mezzi trasparenti isotropi, sia solidi, sia liquidi o gassosi, sotto l'azione di un campo elettrico acquistano una temporanea birifrangenza, divenendo a questo riguardo equivalenti a un cristallo uniassico con l'asse nella direzione del campo; questo fenomeno fu scoperto dal Kerr nel 1875. La legge quantitativa del fenomeno di Kerr è analoga a quella della birifrangenza magnetica: la differenza tra gl'indici di rifrazione n8 e n0 per il raggio straordinario e quello ordinario, è data da:

dove E è l'intensità del campo, λ la lunghezza d'onda della radiazione considerata e B una costante che dipende dal mezzo e anche da λ; la costante B può essere positiva o negativa, cioè il mezzo può essere assimilabile a un cristallo positivo o ad uno negativo, secondo che si propaga più velocemente il raggio ordinario o quello straordinario. L'effetto decresce rapidamente con l'aumentare della temperatura.

L'indice di rifrazione di una sostanza è in generale, come abbiamo già detto, diverso per le radiazioni di diversa lunghezza d'onda: in ciò consiste il fenomeno della dispersione: quindi per una radiazione non omogenea, la rifrazione è accompagnata da una decomposizione, cioè per un raggio incidente si hanno tanti raggi rifratti quante sono le radiazioni monocromatiche componenti la radiazione incidente, come si può mostrare con la nota esperienza del prisma. Per rappresentare graficamente la dispersione di una sostanza si disegna il diagramma che dà l'indice di rifrazione n in funzione della lunghezza d'onda λ; questo diagramma ha, per il quarzo, l'andamento rappresentato dalla fig. 3. Come si vede, n decresce con l'aumentare di λ, cioè il quarzo rifrange più i raggi violetti che i rossi; lo stesso andamento generale presenta il diagramma relativo al vetro. Quando invece la sostanza in esame presenta, nel tratto che si considera, una o più bande di assorbimento, cioè quando le radiazioni di una determinata parte dello spettro vengono fortemente assorbite, il diagramma presenta un aspetto diverso; nella fig. 4 è indicata la curva dell'indice di rifrazione per una soluzione di fucsina in alcool avente una banda di assorbimento nel visibile; in questo caso in ascisse sono riportate non più le lunghezze d'onda λ, come precedentemente, ma le frequenze ν; ricordiamo che quest'ultima grandezza è inversamente proporzionale a λ; la parte punteggiata corrisponde alla banda di assorbimento. Come si vede, sia a destra sia a sinistra della banda si ha il solito aumentare di n col decrescere di λ, ma nel tratto di spettro coperto dalla banda di assorbimento si ha l'andamento opposto; quindi, contrariamente a quello che avverrebbe se non ci fosse in mezzo la banda di assorbimento, una radiazione di lunghezza d'onda più piccola è rifratta meno di una radiazione di lunghezza d'onda più grande. Perciò un prisma formato con una sostanza che abbia, p. es., una banda di assorbimento nel verde come la fucsina, darà uno spettro in cui i colori si seguono secondo lo schema (a) della fig. 4; in (b) è rappresentato lo spettro come sarebbe dato da un ordinario prisma di vetro. Questo tipo di dispersione fu chiamato dispersione anomala, considerandosi dispersione normale quella in cui tutti i colori si seguono nel solito ordine di rifrangibilità; in seguito però si è riconosciuto che se il diagramma della rifrazione si traccia anche per le parti infrarosse e ultraviolette dello spettro, anziché limitarlo alla parte visibile, esso presenta sempre l'andamento caratteristico della dispersione anomala: cioè le sostanze dotate di dispersione normale sono quelle che hanno le bande di assorbimento, e quindi le anomalie della dispersione, nella parte ultravioletta o infrarossa dello spettro. Il vetro infatti ha forti bande di assorbimento nell'ultravioletto, e il quarzo nell'ultravioletto ancora più estremo.

Bibl.: E. Persico, Ottica, Milano 1932; R. W. Wood, Physical Optics, New York 1934; M. Planck, Einführung in die theoret. Optik, Lipsia 1927.

Indice di rifrazione del sangue. - Secondo E. Reis l'indice rifrattometrico del sangue corrisponde al suo contenuto in albumina. A tale scopo il Reiss preparò una tabella con i varî indici di rifrazione e i corrispondenti valori di albumina del siero sanguigno, degli essudati e dei trasudati. L'indice medio di rifrazione del siero umano secondo Reiss varia normalmente tra 1,34901 e 1,35152, corrispondente rispettivamente a gr. 7,22% e 8,92% di albumina. Nella pratica medica e biologica sono in uso i comuni rifrattometri di Abbe e di Pulfrich (v. appresso).

Metodi per determinare l'indice di rifrazione.

Rifrattometri. - Sono gli apparecchi fisici più generalmente usati per determinare l'indice di rifrazione delle diverse sostanze: tra i più comuni sono il rifrattometro di Pulfrich e il totalrifrattometro di Abbe.

Rifrattometro di Pulfrich. - Il rifrattometro di Pulfrich serve a determinare l'indice di rifrazione delle sostanze liquide; il principio su cui esso si basa è il seguente: si fanno entrare nel liquido in esame dei raggi con incidenza radente, e si determina l'angolo di rifrazione (v. sopra). Conoscendo l'angolo di rifrazione si determina l'indice di rifrazione n, che è il rapporto tra il seno dell'angolo d'incidenza e il seno dell'angolo di rifrazione r; per incidenza radente (i = 90°) sarà:

Il rifrattometro di Pulfrich è costituito (fig. 5) da un cannocchiale, che porta davanti all'obiettivo un cilindro di vetro g il quale pesca nel liquido in esame. Attraverso la lastra di vetro B, che evidentemente non turba l'esperienza, la luce penetra nel liquido da sotto, ed è ricevuta nel cannocchiale, la cui inclinazione si legge su un cerchio graduato verticale, collegato all'apparecchio.

Totalrifrattometro di Abbe. - Quando la luce passa da un mezzo più rifrangente a uno meno rifrangente, può avvenire il fenomeno della riflessione totale (v. sopra); precisamente quando l'angolo d'incidenza diventa maggiore o uguale di un certo valore i0, detto angolo limite, il raggio viene riflesso totalmente; se n è l'indice di rifrazione del mezzo meno rifrangente e n0 l'indice di quello più rifrangente, si vede immediatamente che:

Coi totalrifrattometri si ricava l'indice n, determinando sperimentalmente il valore i0 dell'angolo limite alla superficie di separazione tra il mezzo in esame di indice n e un altro mezzo più rifrangente, il cui indice n0 è noto.

Il totalrifrattometro di Abbe è schematizzato nella fig. 6: ADC e DBC sono due prismi di vetro rettangolari, di indice n0, identici e con le ipotenuse combacianti. Tra le ipotenuse si mette uno strato sottile del liquido in esame, il cui indice n deve essere minore di quello del vetro. Consideriamo un raggio di luce monocromatica proveniente, p. es., da una lampada al sodio, che cada sulla faccia CB sotto un angolo d'incidenza γ, variabile a piacere e misurabile con esattezza.

Il raggio, dopo essersi rifratto, incontra la superficie di separazione tra il vetro e il liquido da esaminare sotto un angolo di incidenza a, che varia al variare di γ. Quando α è minore dell'angolo limite il raggio attraversa la lamina liquida e l'altro prisma e viene ricevuto in un canocchiale P, se però si fa variare γ si può fare in modo che α diventi uguale all'angolo limite, nel quale caso il raggio viene riflesso totalmente e sparisce la luce dal canocchiale. Misurando l'angolo γ0 per il quale a diventa uguale all'angolo limite, si ricava l'indice n del liquido, nel modo seguente.

Essendo α uguale all'angolo limite, è:

D'altra parte, indicando con ω l'angolo DCB e con β l'angolo di rifrazione del raggio nel passaggio della prima faccia CB, si vede dalla figura che è a = ω + β e quindi:

Con questa formula è risolto il problema, perché n0 e ω sono costanti dello strumento e β si ricava dalla formula:

con una misura di γ0.

Altri metodi. - Oltre che con i rifrattometri propriamente detti, di cui abbiamo descritto qualche tipo, è un metodo molto comune misurare l'indice di rifrazione di una sostanza solida o liquida con lo spettrometro (v. spettroscopia). Per questo si dà la forma di prisma alla sostanza in esame e con lo spettrometro si determina l'angolo rifrangente A e l'angolo di deviazione minima dm di questo prisma. (v. Prisma). L'indice di rifrazione è allora dato dalla formula:

i liquidi si pongono in una vaschetta di vetro a forma di prisma e si procede come per le sostanze solide, dato che le lastre a facce piane parallele del prisma di vetro non deviano i raggi.

L'indice di rifrazione di un gas è molto vicino a 1 e non si può determinare con alcuno dei metodi di cui sopra; si ricorre a misure interferenziali, che dànno un'estrema precisione. Il principio della misura dell'indice di rifrazione di un gas con metodo interferenziale è il seguente: sul cammino di due raggi che si portano a interferire con un interferometro (v. interferenza e diffrazione) si pongono due gas di diverso indice di rifrazione e si misura, dallo spostamento delle frange, la differenza di cammino ottico introdotta e quindi la differenza tra gl'indici di rifrazione dei due mezzi.

Questo metodo permette anche di misurare le variazioni dell'indice di rifrazione dei gas e dei liquidi in funzione della pressione e della temperatura; basta porre sul cammino dei due raggi due tubi di ugual lunghezza, chiusi da lamine di vetro a facce piane parallele; se nei due tubi sono contenute sostanze identiche nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, la differenza di cammino ottico fra i due raggi è nulla. Variando la pressione e la temperatura della sostanza contenuta in uno dei due tubi si genera una differenza di cammino ottico Δ, che può venire misurata osservando lo spostamento delle frange; indicando con l la lunghezza dei tubi e con n e n0 gl'indici di rifrazione della sostanza riscaldata (o compressa) e della sostanza a temperatura (o a pressione) normale si ha Δ = (n n0) l; da questa formula, noti Δ, n0 e l si deduce n.

Analogamente, volendo determinare l'indice di rifrazione n di un gas, si riempie uno dei due tubi di un gas del quale sia conosciuto l'indice di rifrazione n0 e l'altro tubo del gas da studiare nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione.

Rifrazione astronomica.

Fenomeni prodotti dalla rifrazione. - Sono molto più accessibili all'osservazione corrente, senza l'uso di strumenti, le anomalie della rifrazione (fata morgana, miraggio), che non le manifestazioni regolari del fenomeno stesso. La serie di fotografie in fig. 7 ottenute da A. Riccò nell'osservatorio Etneo mostra la parte regolare (ovalizzazione dell'immagine) nella deformazione prodotta dall'atmosfera sugli aspetti del disco solare presso l'orizzonte; i profili spezzati della fig. 8 dipendono invece da stratificazioni irregolari nell'atmosfera. Presso l'orizzonte la rifrazione produce nel corso di poche ore un innalzamento di oltre mezzo grado (2200″) sulle immagini degli astri, cioè uno spostamento enormemente superiore a quello prodotto, p. es., dalla precessione nella posizione del primo punto di Ariete nel corso di un anno (50′′). Il fenomeno della precessione, malgrado la piccolezza dell'importo annuo, fu scoperto da Ipparco circa 200 anni a. C., soprattutto per la continuità della variazione degli equinozî nel corso dei secoli, mentre solo nel secolo III d. C., Cleomede e Tolomeo riconobbero nella variazione apparente delle longitudini degli astri presso l'orizzonte l'entità e le principali caratteristiche del fenomeno della rifrazione.

Un ulteriore progresso si ebbe per merito degli astronomi arabi, in ispecie di Ibn al-Haitham (Alhazen, 965-1039), che primo attribuì alla rifrazione atmosferica la causa dello schiacciamento apparente dei dischi del Sole e della Luna presso l'orizzonte, la variazione delle distanze polari delle stelle e infine il fenomeno della scintillazione.

Bernard Walter di Norimberga (1489) notò che gli astri sorgono all'orizzonte varî minuti prima dell'istante in cui dovrebbero apparire in base all'osservazione del tempo del passaggio al meridiano e della declinazione. Ne concludeva la necessità, o di evitare assolutamente le osservazioni astronomiche in prossimità dell'orizzonte, oppure di cercare di eliminare il meglio possibile l'importo della rifrazione mediante un'opportuna scelta delle stelle di confronto in immediata vicinanza degli astri studiati (longitudini del Sole e di Venere).

La tavola empirica di Tycho Brahe. - Nella seconda metà del secolo XVI il Langravio d'Assia Guglielmo IV, il suo matematico Cristoforo Rothmann e Tycho Brahe associarono i loro sforzi per venire a capo della determinazione delle variazioni prodotte dal fenomeno della rifrazione e vi riuscirono con procedimento empirico nel modo che segue.

Tycho aveva già determinato (fig. 9) la latitudine ϕ del suo osservatorio (nell'isola di Hveen presso Copenaghen) mediante l'osservazione delle altezze H1, H2 di stelle circumpolari nella culminazione superiore e nell'inferiore:

Aveva poi determinato di quanti gradi si scostava il Sole dall'equatore nei due solstizî. Se indichiamo con ε questo scostamento, ossia l'obliquità dell'eclittica, la media delle due altezze solstiziali del Sole: 90° − ϕ + ε dovrebbe dare il complemento della latitudine, vale a dire l'altezza 90° − ϕ del mezzocielo M. Tycho trovò invece un valore superiore di circa 4′ all'importo calcolato in base alla latitudine nota e alle declinazioni solari parimente note da una lunga serie di anni. Dopo che ripetute osservazioni con diversi strumenti ebbero accertato la realtà del fenomeno, Tycho ne riconobbe la causa nell'azione della rifrazione nel solstizio invernale, che si verifica per Hveen a soli 11° circa dall'orizzonte, e studiò immediatamente di determinarne l'importo mediante osservazioni continuate di azimut e di altezze del disco solare a varie ore del giorno, intorno al solstizio estivo, nel quadriennio 1585-1589.

In base a note esperienze sui liquidi, che mostrano come la rifrazione sia presso che nulla per raggi prossimi alla verticale, la massima altezza S⊙ (per Hveen circa 60°) si poteva bene ritenere esente dall'influsso della rifrazione. Dalla risoluzione del triangolo sferico rettangolo ⊙ZA Tycho, in base ai valori noti della latitudine ϕ e della declinazione δ, poteva dedurre l'altezza del Sole quale avrebbe dovuto essere senza l'intervento della rifrazione. La differenza dell'altezza calcolata HA e di quella osservata HA′ dava senza altro, prescindendo dagl'inevitabili errori d'osservazione e dalle variazioni atmosferiche, l'importo della rifrazione. La tavola così costruita, sebbene affetta da gravi errori, specialmente a causa della parallasse solare valutata in 3′, cioè ben venti volte più grande del vero, venne adoperata generalmente dagli astronomi per l'intervallo di circa 80 anni, quantunque nel frattempo Kepler ed altri astronomi avessero cercato di trattare l'argomento anche sotto l'aspetto teorico.

Teoria di Cassini. - Secondo G. D. Cassini (1661), ammessa l'altezza H = BZ (fig. 10) per l'atmosfera ritenuta di densità costante, supposti determinati sperimentalmente (col metodo di Tycho Brahe) gli importi R, R′ della rifrazione per due distinte distanze zenitali z, z′, si doveva avere, indicando con i, i′ i due angoli di incidenza, con e, e′ gli angoli di rifrazione corrispondenti, con n l'indice di rifrazione atmosferica

Indicando con ABC la superficie terrestre (B luogo d'osservazione) e con ZEE′ la superficie limite dell'atmosfera, i triangoli formati dalle normali OEF, OEF′ col raggio terrestre OB preso come unità e coi raggi luminosi rifratti BE, BE′ forniscono pel teorema dei seni

Eliminando n, e, e′ fra le quattro equazioni (1) e (2), si ottiene un'equazione, nella quale, oltre le quantità osservate z, z′, R, R′, figura l'unica incognita H. L'equazione, che risulta di 4° grado, si riduce a due di 2° grado, come si mette in evidenza, assumendo la variabile ausiliaria u = cotg e/sen z. La scelta fra le varie soluzioni viene facilitata dalla considerazione dell'ordine di grandezza di H e dal segno di u (sempre positivo). Calcolata in tal modo l'altezza H e quindi per le (2) i valori di e, e′, una delle (1) fornisce il valore di n e si può quindi per un valore qualunque di z calcolare, mediante le (1) e (2), successivamente e ed i, ossia R = i e. Si ha quindi il modo di costruire una tabella della rifrazione corrispondente a una serie di valori della distanza zenitale apparente z.

Ben si comprende che l'arbitrarietà dell'ipotesi sulla costituzione dell'atmosfera conduce a valori inammissibili per l'altezza H dell'atmosfera che risulterebbe di 3 km. appena, mentre secondo le osservazioni barometriche l'altezza dell'atmosfera ridotta omogenea dovrebbe assumersi di circa 8 km.

Ciò non toglie però che la tavola di rifrazione di Cassini vada d'accordo, per distanze zenitali non troppo grandi, con le tavole posteriori di Bradley e di Laplace. La spiegazione di questo fatto fu data da B. Oriani (1788) con la dimostrazione che fino quasi a 74° di distanza zenitale la particolare legge di variazione della densità dell'aria con l'altezza non esercita nessuna influenza apprezzabile sull'importo della rifrazione, in accordo col fatto che per un sistema di strati piani e paralleli la rifrazione complessiva del sistema dipende solo dalla densità degli strati estremi superiore e inferiore e niente affatto dalla varia distribuzione delle densità nel mezzo. La figu̇ra 11, dove le proporzioni fra l'altezza OO′ di 50 km. nell'atmosfera e il raggio terrestre di 6377 km. sono abbastanza fedelmente riprodotte, mostra con quale rapidità tenda a ridursi evanescente la differenza fra gli strati sferici e gli strati piani con l'avvicinarsi alla superficie terrestre. La differenza sarebbe bensì apprezzabile verso i 50 km., ma la densità dell'aria è qui ridotta così piccola che la corrispondente rifrazione riesce praticamente nulla.

Invarianti della rifrazione astronomica. - Siano M, M′ due strati atmosferici così sottili che nell'intorno del punto d'incidenza I possano riguardarsi come piani e paralleli (fig. 12). Ove si denotino con i ed e gli angoli d'incidenza e di emergenza (o di rifrazione), con v e v′ le velocità della luce nei due mezzi M ed M′, con δ e δ′. le rispettive densità e infine con n il relativo indice di rifrazione, si ha, in forza delle leggi fondamentali della rifrazione,

e quindi

Si ha d'altra parte, indicando con V la velocità della luce nel vuoto e con μ, μ′ gli indici assoluti di rifrazione dei mezzi M, M′,

da cui

Introducendo nella (3) e osservando che nell'ipotesi fatta (fig. 12) risulta e = i′, si ottiene

cioè

primo invariante della rifrazione (per strati piani e paralleli). Questa relazione si può anche scrivere sotto forma differenziale

Ammesso che la curva della rifrazione sia contenuta in un piano, ciò che, in forza di una delle leggi della rifrazione, si verifica certamente nell'ipotesi che gli strati d'uguale densità siano sferici e concentrici, si avrà, integrando tra i limiti μ = 1 (limite superiore dell'atmosfera) e μ = μ0 (luogo d'osservazione)

L'ambiguità del segno di dR si elimina, riflettendo che, in condizioni normali dell'atmosfera, la densità dell'aria aumenta sempre lungo il cammino dei raggi luminosi.

Data la piccolezza dell'eccentricità dello sferoide terrestre (circa 1/300) e la limitata estensione della porzione di detto sferoide sulla quale si proiettano le traiettorie percorse dai detti raggi nell'atmosfera (qualche centinaio di km., cioè circa 1/100 di quadrante), gli strati atmosferici si possono considerare come sferici e concentrici. Ne consegue che i varî elementi della traiettoria di un raggio luminoso sono tutti compresi nel piano determinato dal raggio incidente SI0 sul limite dell'atmosfera e dal centro C della Terra (fig. 13).

Siano allora I, I′ i punti d'incidenza del detto raggio sulla superficie interna degli strati M, M′; indichiamo poi con i, i′ i rispettivi angoli d'incidenza e con e l'angolo di rifrazione corrispondente a i; con r, r′ infine i raggi geocentrici , CI′. Sussisterà allora insieme alla (3) l'equazione che si ottiene per il teorema dei seni applicato al triangolo IIC, cioè

Moltiplicando membro a membro le (3), (3 a), (6), si ottiene

ossia

secondo invariante della rifrazione. In parole: è costante lungo il cammino dei raggi luminosi attraverso l'atmosfera il prodotto del raggio geocentrico r per l'indice di rifrazione μ e per il seno dell'angolo d'incidenza. Risulta quindi, introducendo al posto delle quantità variabili quelle che valgono per il luogo d'osservazione,

da cui l'espressione di tang i che introdotta nella (5) fornisce la formula fondamentale della teoria della rifrazione.

Introduzione delle nuove variabili s, x. - Il procedimento classico per il calcolo di questo integrale consiste nel sostituire per μ la sua espressione in termini della densità δ dell'aria. Secondo Laplace si avrebbe

mentre Mascart preferisce la relazione praticamente equivalente (dato che c per l'aria è una quantità assai piccola: o,0002944)

Secondo H. A. Lorentz si dovrebbe assumere infine la relazione più complicata

Fra la densità δ, la pressione p e il binomio di dilatazione

dove m = o,00366 = 1/273° è il coefficiente di dilatazione dell'aria e T = 273° + t indica la temperatura assoluta, sussiste la legge di Boyle-Gay Lussac.

Fra p, δ, r sussiste infine un'equazione differenziale esprimente che il peso dπ di una colonna d'aria, di altezza dr (in km.) e di densità δ, è uguale al peso di una colonna di mercurio di altezza dB (in mm.). Si ha in primo luogo indicando con g l'accelerazione di gravità nel luogo d'osservazione (cioè per r = a)

La densità δ che compare in questa equazione s'intende espressa in grammi. Nella teoria della rifrazione si preferisce invece assumere come unità di misura il valore normale della detta densità, η = 0,001292607, si sostituisce cioè in luogo di δ l'espressione ηδ, intendendo che abbia il valore sopraindicato. L'espressione precedente si cambia così in

Il peso dl della colonna di mercurio, se indichiamo con g0 l'accelerazione di gravità a 45° di latitudine e al mare e con η′ la densità del mercurio (13,595), viene espresso da

dove il segno negativo dipende dal fatto che per dr positivo l'incremento dB della pressione atmosferica risulta propriamente un decremento.

Assumendo infine come unità per la pressione p il valore normale di questa, 760mm, ponendo cioè p = B/76 •10-5, la (12) si trasíorma in

Uguagliando infine le espressioni (11), (13) e raccogliendo i varî fattori costanti in uno solo, col porre

si ottiene la prima espressione

dell'equazione d'equilibrio dell'atmosfera.

Quest'equazione esprime che, trascurando le variazioni dell'accelerazione di gravità coll'altezza e l'attrazione degli strati atmosferici, l'altezza d'un'atmosfera fittizia di densità uguale a quella (η), che si ha nel luogo d'osservazione, sarebbe appunto l0 = 7,993 km.

In luogo di r = a + h (dove h indica l'altezza sulla superficie terrestre) s'introduce di solito una nuova variabile s così scelta che i valori limiti h = 0, h = ∞ si convertano negli altri s = o, s = 1.

Ciò si ottiene nel modo più semplice ponendo

Dividendo infine le (9) e (14) per la

valida nel luogo d'osservazione, e introducendo per brevità le nuove mutazioni

le (9) e (14) si trasformano in

Le nuove variabili x ed s così introdotte si sogliono chiamare densità relativa e altezza relativa.

Dalla (7), mediante l'ultima delle (15), si ottiene anzitutto

Dalla (8) si ottiene con facili trasformazioni, per mezzo della prima delle (16),

dove si è posto per brevità

e quindi infine

In quasi tutte le trattazioni della rifrazione astronomica si fanno corrispondere ai limiti μ = 1 (indice di rifrazione del vuoto) e μ = μ0 (luogo d'osservazione) rispettivamente i limiti x = 0 (densità nulla) e x = 1, cioè δ = δ0. Tale sostituzione non è rigorosa, perché in alcune teorie della rifrazione, quella di Bessel ad es., la densità dell'aria non risulta rigorosamente nulla al limite dell'atmosfera.

Si dimostra facilmente che è lecita l'omissione del termine in s2 il radicale e la sostituzione del valor medio 1 − α in luogo del fattore variabile 1 − 2 α (i x). Non altrettanto legittima è la sostituzione dell'unità in luogo del fattore 1 - s, poiché a questa omissione corrisponde uno scarto sensibile (0″,2) anche per z = 70°, dove si possono fare ancora osservazioni abbastanza precise. Con le dette semplificazioni e ponendo per brevità

si ottiene la forma ridotta, da cui partono molte teorie classiche della rifrazione,

Teorema di Oriani. - Fino a circa 74° di distanza zenitale la rifrazione è praticamente indipendente da ogni ipotesi sulla costituzione dell'atmosfera.

Dalla (20), con le semplificazioni riconosciute legittime, inclusa xH = 0, si ottiene, arrestando lo sviluppo del radicale al termine di 1° ordine,

Si ha poi, mediante un'integrazione per parti,

Il primo termine è identicamente nullo. Il secondo per la (18) si può sostituire l'espressione equivalente

Sostituendo nella (22) e ponendo inoltre sec2 z = 1 + tang2 z, si ottiene infine

espressione che permette infatti una rappresentazione quasi perfetta della rifrazione fino a z = 74°.

Teoria di Bessel. - Ponendo nella (21)

dove β indica un coefficiente dipendente da varie costanti fisiche e dalla temperatura nel luogo d'osservazione, si ottiene

In questa forma Bessel, guidato evidentemente da considerazioni analitiche, ha ridotto l'integrale della rifrazione senza eccessive preoccupazioni circa il valore fisico dell'ipotesi. Per il coefficiente β Bessel assumeva l'espressione

Introducendo la (23) nell'equazione d'equilibrio dell'atmosfera (18), si ottiene

e quindi, integrando e tenendo presente che per s − 0 deve aversi p = p0,

Introducendo la (23) e la (25) nell'equazione di Boyle- Gay Lussac (17), si ottiene

Introducendo qui i valori originali di Bessel

e calcolando la diminuzione di t per h = 1 e h = 10 km., si trovano rispettivamente i valori

Si ha dunque accordo eccellente presso la superficie terrestre, ma il decremento di temperatura rimane inferiore alla metà del vero all'altezza di 10 km. Secondo la (25) poi, al limite dell'atmosfera, cioè per p = 0, si dovrebbe avere

da cui

Di qui consegue, coi valori besseliani (26) delle costanti,

e quindi per la (15)

Questo è evidentemente un valore troppo basso per l'altezza dell'atmosfera, dato che con i palloni sonda già si è arrivati ad altezze di 34 km. e le stelle filanti accusano spesso altezze intorno ai 100 km.

Di più l'integrazione, che dovrebbe essere limitata al valore superiore S = o,00445, viene spinta da Bessel, per facilitare i calcoli, fino a S = ∞, mentre il massimo valore di S secondo la (15) non può giungere nemmeno a 1 che già significherebbe un'altezza H infinita.

La gravità dell'inconseguenza si può valutare anche dal fatto che la densità dell'aria alla detta altezza limite, cioè x = e-βς, non si riduce affatto a zero, ma importa ancora 1/28 del valore normale alla superficie terrestre. Tutto questo dimostra che le formule ammesse dal Bessel per il calcolo della rifrazione corrispondono a rapporti di temperatura e di altezza assai lontani dalla realtà.

Ponendo nella (24) con Bessel S = ∞, e applicando un teorema del Lagrange l'espressione si può ridurre ad integrali già disposti in tavole (integrale della probabilità).

Anche le teorie di C. Kramp, di Laplace, di J. J. Beyer partono da particolari ipotesi circa la relazione tra la densità δ e l'altezza. Le teorie di E. Schmidt, C. M. v. Bauernfeind, H. Gyldén ammettono invece relazioni più o meno complesse fra la temperatura e l'altezza. J. Jvory, M. Kowalski, Th. v. Oppolzer, R. Radau hanno preferito esprimere la temperatura in funzione della densità, come Lubbock e P. Pizzetti in funzione invece della pressione. Pochi (A. Bemporad, P. Harzer) hanno proposto di ridurre le ipotesi al puro necessario e di fondare i calcoli, finché la cosa è possibile, sui risultati delle esperienze aerologiche, le quali, per mezzo specialmente dei palloni sonda, hanno estese ormai le nostre conoscenze dirette, sul modo di variare della temperatura e della pressione con l'altezza, fin oltre i 30 km.

Bibl.: F. Brünnov, Die Refraction, in Lehrbuch der sphärischen Astronomie, Berlino 1871; R. Radau, Caesecherches sur la théorie des réfractions astronomiques, in Annales de l'Obs. de Paris, Mémoires, XVI (1882); A. Bemporad, Sulla teoria della rifrazione astronomica, in Mem. della Soc. degli Spettroscopisti it., XXXIV (1905); id., Besondere Behandlung des Influsses der Atmosphäre, in Encykl. der math. Wiss., VI, ii, Lipsia 1905-1923.

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