Riservatezza. Diritto penale

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La sfera privata degli individui (detta anche privacy) riceve una tutela ampia, ma alquanto frammentaria, sia dalla Costituzione (artt. 2, 13, 14, 15, 21), sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 7-8), sia da numerose leggi ordinarie. La normativa sulla protezione dei dati personali, contenuta nel d. legisl. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), più volte modificato, sancisce che «chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano», ove per dati personali si intende qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. All’art. 167 lo stesso codice dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri o di recare ad altri un danno, proceda al trattamento dei dati personali in violazione degli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129 del medesimo codice, è punito con la reclusione da 6 a 18 mesi, se dal fatto deriva nocumento, da 6 a 24 mesi, se il fatto consiste nella comunicazione e diffusione. Il trattamento illecito dei dati personali può essere integrato in due ipotesi: da parte del soggetto pubblico, quando lo stesso utilizza i dati al di fuori dello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, ovvero senza osservare i presupposti e i limiti stabiliti dal codice stesso; da parte del soggetto privato, quando utilizza i dati personali senza il previo consenso espresso dell’interessato. Trattasi di reato comune, in quanto può essere posto in essere da chiunque, sia esso un soggetto pubblico, un soggetto privato, ovvero un ente pubblico economico. Essendo un reato di pura condotta, per la sua consumazione è sufficiente qualunque operazione riguardante la raccolta dei dati, lesiva del diritto alla riservatezza del soggetto interessato, senza che si realizzi un danno concreto. La sussistenza di quest’ultimo elemento condiziona, invece, l’effettiva punibilità dell’agente. Ulteriore norma a presidio della riservatezza personale è quella prevista dall’art. 684 c.p. che punisce con l’arresto o con un’ammenda chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia stata vietata per legge la pubblicazione. L’art. 734 bis c.p. sanziona, poi, con la pena dell’arresto chiunque «divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso» nei casi dei delitti, semplici e aggravati, di violenza sessuale di cui agli art. 609 ss. c.p.

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