Rivoluzione cinese

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Rivoluzione cinese

Massimo L. Salvadori

La lunga marcia del comunismo in Cina

Il processo rivoluzionario che nel 1949 portò al potere il Partito comunista in Cina fu di lunga durata. Iniziato nei primi anni Venti del Novecento, si concluse circa trent’anni dopo con la sconfitta dei nazionalisti e la vittoria dei comunisti. Diretta da un leader di statura eccezionale come Mao Zedong, la Rivoluzione cinese raggiunse pieno successo nel ricostituire l’unità della Cina continentale e nel dar vita a una grande potenza nella quale le masse contadine dovevano costituire la forza principale dello sviluppo economico

Dal crollo dell’impero alla contrapposizione tra nazionalisti e comunisti

L’ascesa di Mao Zedong al potere nel 1949 segnò la conclusione di un lungo periodo di ininterrotti conflitti interni e di guerre che lacerarono la Cina per quasi quarant’anni. Nel 1911 era crollato l’impero ed era stata proclamata la repubblica di cui nel 1912 era diventato presidente Sun Yat-sen. A questi avvenimenti avevano, però, fatto seguito anni di torbidi. La Prima guerra mondiale aveva visto il Giappone puntare con arroganza a trasformare la Cina in un proprio protettorato, con la conseguenza di far sorgere un movimento nazionalista, animato da studenti e intellettuali, che emerse con forza nel maggio 1919. In questo contesto si saldarono due componenti: la prima era quella nazionalistica guidata da Sun Yat-sen, che, a capo del Guomindang (il partito dei nazionalisti), formò a Canton un governo che si contrapponeva al governo controllato dai Giapponesi – con sede a Pechino – e sottomesso agli interessi di potenti generali (i cosiddetti signori della guerra); la seconda componente era quella sociale-radicale di cui era espressione il Partito comunista (comunismo), sorto nel 1921. Per impulso di Sun, le due componenti diedero vita nel 1924 a un fronte comune (addirittura i comunisti entrarono a far parte del Guomindang), il quale però non resse alla prova. Nel 1925 Sun morì.

Tra il 1925 e il 1927 i comunisti si posero a capo delle grandi agitazioni operaie scoppiate a Shanghai, Canton e in altre località, e sostennero movimenti contadini diretti contro i grandi proprietari di terre. Questo provocò la reazione del nuovo capo del Guomindang, Chiang Kai-shek, il quale, deciso a proteggere gli interessi minacciati dall’eversione sociale, nel 1927 mise in atto una vasta e sanguinosa repressione nei confronti dei comunisti e costituì a Nanchino un governo appoggiandosi sia alle potenze straniere sia ai signori della guerra. Questo governo ruppe le relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica e mise in atto un regime fortemente autoritario dai tratti fascistoidi e militaristici.

La massa dei contadini poveri come base della rivoluzione sociale

Fu un maestro di scuola, Mao Zedong, a raccogliere le fila del decimato Partito comunista. Dopo la campagna di terrore lanciata nel 1927 dal Guomindang, egli si rese conto della debolezza della classe operaia in Cina e per contro dell’enorme forza potenziale delle grandi masse di contadini poveri e senza terra, in permanente tensione con i grandi proprietari che li sfruttavano brutalmente. Così, adattando il marxismo (Marx) alle condizioni cinesi, teorizzò che la leva fondamentale della rivoluzione era costituita dai contadini. La sua parola d’ordine divenne: «Senza contadini poveri non ci sarebbe la rivoluzione. Non riconoscerli significa non riconoscere la rivoluzione».

Quindi egli costituì nelle zone rurali del Meridiana basi rosse, dirette dai comunisti e dotate di proprie forze armate, con il duplice scopo di appoggiare l’azione contadina contro i proprietari e di respingere le campagne militari lanciate ripetutamente contro di esse da Chiang Kai-shek. Alla fine del 1931, nella regione dello Jiangxi, Mao venne eletto presidente di una Repubblica sovietica cinese, ma nel 1934 le truppe nazionalistiche ebbero il sopravvento. Allora, con una marcia di 10.000 km (soprannominata la Lunga marcia), i comunisti, fortemente decimati (su 90 mila circa ne sopravvissero appena 7 mila) si trasferirono nel Nord-Ovest, stabilendosi infine a Yan’an, dove Mao organizzò nuovamente uno Stato da lui diretto.

La precaria alleanza tra Mao e Chiang Kai-shek

L’insediamento nel 1931 delle truppe giapponesi in Manciuria generò in Cina un’ondata di indignazione nazionalistica, ma Chiang Kai-shek nonostante tutto non volle cessare l’azione militare contro i comunisti. Egli, però, cedendo alla pressione popolare, cambiò linea e quindi accettò di stabilire con essi un fronte comune antigiapponese quando nel 1937 il Giappone procedette all’invasione su vasta scala della Cina. Ebbe inizio una crudele guerra di sterminio che costò la vita a molti milioni di Cinesi.

Mao e i comunisti si unirono ai nazionalisti per respingere gli aggressori, ma lo fecero rifiutando di porre sotto il controllo di Chiang le proprie forze militari, al fine di mantenere la loro autonomia.

A differenza dell’esercito nazionalista, che si scontrò frontalmente con il superiore esercito nipponico subendo gravi sconfitte, i comunisti condussero una sistematica azione di guerriglia nelle campagne con il sostegno dei contadini. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre 1939 e ancor più l’ingresso nel conflitto nel dicembre 1941 degli Stati Uniti, impegnati soprattutto contro il Giappone, posero fine all’isolamento della Cina, che si trovò inserita in una coalizione mondiale di potenze in lotta con il nazifascismo e il militarismo nipponico.

La guerra civile

Quando la guerra con il Giappone ebbe fine nell’agosto del 1945, Mao Zedong e i comunisti si trovavano saldamente insediati in ampie zone della Cina settentrionale e centrale, mentre Chiang Kai-shek e i nazionalisti controllavano le zone costiere meridionali e le grandi città. Mao aveva il controllo su circa 160 milioni di persone e su un esercito di 900.000 uomini appoggiato da circa 2 milioni di miliziani. Alla fine del conflitto, comunque, i nazionalisti del Guomindang costituivano il governo ufficiale della Cina, riconosciuto non solo dalle potenze occidentali ma anche dall’Unione Sovietica, la quale, pur appoggiando Mao, era convinta che Chiang sarebbe stato in grado di assumere alla fine il pieno controllo dell’intero paese in virtù di quella che appariva una forza militare assai superiore.

La situazione, però, andò evolvendo in tutt’altra direzione. In seguito al fallimento di trattative poco convinte tra le due parti, nell’autunno del 1946 ebbe inizio la guerra civile. Il Guomindang era appoggiato massicciamente dagli Stati Uniti che, decisi a contenere l’espansione del comunismo in Asia, fornirono ai nazionalisti ingenti aiuti militari ed economici. Sennonché il regime di Chiang cadde in preda a una crescente disgregazione alla quale contribuì enormemente la dilagante corruzione degli ambienti politici e sociali su cui esso poggiava. D’altra parte le grandi masse contadine davano il loro sostegno ai comunisti, che erano riusciti a impadronirsi di ingenti armamenti abbandonati dai Giapponesi soprattutto in Manciuria.

Insomma, Chiang godeva sulla carta di una netta superiorità militare, mentre Mao, con l’appoggio crescente della popolazione, poteva contare su una palese superiorità politica e sociale.

La vittoria dei comunisti

Tra gli ultimi mesi del 1948 e i primi mesi del 1949 le forze comuniste, cogliendo di sorpresa tanto gli Americani quanto i Sovietici, presero decisamente il sopravvento su quelle nazionaliste, le quali vennero infine completamente sbaragliate e cercarono rifugio nell’Isola di Formosa (Taiwan). Qui, sotto la protezione della flotta americana, Chiang costituì un suo governo.

Il 1° ottobre 1949 il vincitore Mao Zedong, che era stato la guida della Rivoluzione comunista cinese, stabilito il proprio governo a Pechino, proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese. Ebbe così fine la rivoluzione, con la divisione della Cina in due paesi contrapposti e nemici: l’uno formato dall’immenso territorio continentale dominato dai comunisti, l’altro dall’isola in mano ai nazionalisti.

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