CARSEN, Robert

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

CARSEN, Robert

Elvio Giudici

Regista di opera lirica canadese, nato a Toronto il 23 giugno 1954. A partire dagli anni Novanta si è imposto come uno dei registi più innovativi per la messa in scena di spettacoli in cui la profonda rilettura della drammaturgia operistica non tradisce mai lo spirito delle partiture, esaltandone anzi l’essenza attraverso impianti visivi di raffinata estetica.

Dopo gli studi alla York University di Toronto, si trasferì a Londra per studiare recitazione alla Bristol old Vic theatre school, diventando assistente di diversi registi (Filippo Sanjust, Ken Russell, Frank Corsaro, Trevor Nunn). Nel 1978 alla Bristol intimate opera allestì L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, ma il primo successo lo ottenne nel 1988, a Ginevra, con Mefistofele (occasione in cui collaborò per la prima volta con lo scenografo Michael Levine, con il quale ha lavorato spesso in seguito): Paradiso e Inferno come theatrum mundi, un unico teatro barocco dove vengono rappresentati in parallelo la storia del mondo e i piccoli drammi individuali – l’episodio di Margherita – in guisa di melodrammi, già impiegando uno dei temi a lui più cari, quello del metateatro.

Dall’anno seguente all’Opéra de Flandre, ad Anversa, iniziò il ciclo Giacomo Puccini in cui scelse di eliminare tutti i sentimentalismi del puccinismo naturalista. Manon Lescaut si svolge in un ambiente chiuso in se stesso, specchiandosi nella trasparenza ondulante di un palcoscenico coperto da materiale traslucido che, per la completa assenza di oggetti, crea un’atmosfera estraniata più ancora che surreale. La Bohème, invece, in una sorta di minuscola zattera persa nel nulla esistenziale coperto nel primo atto da carta su cui Rodolfo scrive e Marcello disegna e in ultimo da una struggente distesa di fiori gialli. La fanciulla del West declina la metafora del cinema western. Turandot, infine, è risolta in chiave psicoanalitica e in una Cina moderna senza alcuna concessione all’esotismo da cartolina.

In seguito C. ha moltiplicato il raggio d’azione, toccando tutti gli autori più importanti. Di Richard Wagner ha messo in scena a Colonia la Tetralogia, conclusa nel 2003, come un grande romanzo sociale ottocentesco, stile Buddenbrook (eseguendo le quattro parti dell’opera in soli due giorni per sottolineare come di opera unica si tratti), e a Parigi Tannhäuser, nel 2011, come dramma d’artista che deve confrontarsi con la realtà delle gallerie d’arte e la relativa competizione.

Di Richard Strauss, se il Cavaliere della rosa (Salisburgo, 2004) è uno spaccato della finis Austriae sulla falsariga dei romanzi di Joseph Roth e se La donna senz’ombra (2012) si svolge nella Vienna del dottor Freud cui una dama borghese racconta il suo sogno durante una seduta psicoanalitica, a Parigi nel 2004 Capriccio ha segnato uno dei vertici del regista che, in una sorta di Dernier métro di François Truffaut, ha costruito una serie di prospettive sceniche che alla fine si sollevano una dopo l’altra rivelando il nudo scheletro del teatro come unica vera realtà.

Da ricordare inoltre Rusalka di Antonín Dvořák (Parigi, 2002), con cui affronta il tema del doppio e un viaggio di scoperta e accettazione di se stessi e delle pulsioni più nascoste; il tema del metateatro con i suoi miti, di cui gli esem pi più significativi sono i Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach (Parigi, 2000) e il mozartiano Don Giovanni (Milano, 2011); il mondo delle illusioni regolato dalle pulsioni sessuali, come nell’Alcina di Georg Friedrich Händel (Parigi, 1999) e nel gigantesco letto su cui si snoda Sogno di una notte di mezz’estate di Benjamin Britten (Aix-en-Provence, 1996); il gioco dell’intrigo sentimentale svolto nelle gelide stanze del potere con una levità di tocco da commedia hollywoodiana nella Semele di Händel (Aix en Provence, 1996); la magia come gioco in cui si scoprono i sentimenti, come nel Rinaldo di Händel (Festival di Glyndebourne, 2011); la struggente poesia del vivere in Kát′a Kabanová di Leoš Janáček (Anversa, 2000), con il palcoscenico coperto d’acqua azzurra e la vicenda realizzata su passerelle che si compongono e scompongono di continuo; la spietata Dolce vita della Traviata (Venezia, 2004), che in epoca moderna restituisce a Giuseppe Verdi quella crudezza realistica alla Émile Zola che più le pertiene.

Per il teatro di prosa ha diretto: Rosencrantz e Guilderstern sono morti di Tom Stoppard al Roundabout Theatre di New York, Il ventaglio di Lady Windermere di Oscar Wilde all’Old Vic di Bristol, Nomade con Ute Lemper al Théatre du Chatelet di Parigi, Madre Coraggio di Bertolt Brecht per il Piccolo Teatro di Milano, Buffalo Bill’s wild West per Disneyland a Parigi, dove continua a essere rappresentato dal 1992; per il compositore Andrew Lloyd Webber ha messo in scena le commedie musicali The beautiful game e Sunset boulevard.

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