SAVARESE, Roberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAVARESE, Roberto

Stefania Torre

– Nacque a Napoli il 4 dicembre 1805 da Luigi, magistrato della Corte dei conti, e da Marianna Winspeare.

Fu avviato agli studi dallo zio materno Davide, avvocato fiscale, procuratore generale della Commissione feudale istituita da Gioacchino Murat nel 1808 e autore di un fortunatissimo studio sugli abusi feudali nel Regno. Importante per la formazione intellettuale fu l’incontro con Giuseppe Zurlo, avvocato, magistrato, ministro sia dei francesi sia dei Borbone, e protagonista con Winspeare, Francesco Ricciardi, Melchiorre Delfico, Vincenzo Cuoco e Giuseppe Poerio della rinascita amministrativa e della cultura economico-finanziaria del Mezzogiorno.

Savarese fu attratto dallo studio delle lettere classiche e dall’apprendimento delle lingue antiche, ma mostrò pari interesse anche per la letteratura italiana, francese, inglese e tedesca, di cui dominava la conoscenza linguistica.

Intraprese gli studi di giurisprudenza dedicandosi con passione e dedizione, nella certezza che la conoscenza del diritto fosse l’espressione più alta del sapere umano. La padronanza del latino agevolò l’approfondimento del diritto romano che divenne il principale oggetto della sua attività intellettuale. Più incline alla riflessione teorica che alla pratica forense, dedicò alla ricerca gli anni dell’esordio come giurista, allacciando relazioni personali decisive per il suo avvenire scientifico e professionale.

Fin dal 1828 aveva stretto un forte legame di amicizia con Carlo Poerio, figlio di Giuseppe, avvocato fra i più celebri del foro napoletano, patriota e liberale. Seguendo un costume diffuso nelle capitali europee dell’Ottocento, a Napoli Savarese prese a frequentare il salotto culturale di casa Poerio, dove poté entrare in contatto con le élites italiane e straniere più avanzate, di cui il barone Giuseppe era stato già protagonista durante gli anni di esilio forzato a Firenze e a Parigi. Nel circolo intellettuale dei Poerio conobbe Paolo Emilio Imbriani e Giuseppe Pisanelli, con i quali nacque uno straordinario sodalizio scientifico. La formazione poliedrica di Imbriani, che affiancava alle competenze giuridiche cognizioni storiche, letterarie e filosofiche, fu catalizzante per Savarese che nell’amico trovò un interlocutore con il quale condividere il gusto per il bello e la passione per la poesia. Nel 1833 compose la lunga novella Isolina (in Commemorazione di giureconsulti napoletani, 5 marzo 1882, Napoli 1882, pp. 149-175), che dichiarò essere ispirata alla poetica di Imbriani e ad alcuni versi di Giuseppe Parini.

Il testo era dedicato al tema struggente della ‘malattia di petto’ che condannava anche giovani vite, e offriva un saggio della notevole propensione alla scrittura elegante e dell’assoluta disinvoltura nell’impiego dello stile poetico per la descrizione dei sentimenti e delle emozioni umane. Il gusto letterario non confliggeva con la vocazione giurisprudenziale, ma costituiva un tratto essenziale del nuovo modello di giurista, interprete e portavoce delle aspirazioni e dei bisogni della società civile. La quotidiana lotta per la ricerca della verità e della giustizia obbligava l’avvocato e lo studioso di diritto ad attingere a un patrimonio di conoscenze molto ampio, per cogliere tutte le sfumature dell’animo umano. Le solide basi giuridiche dovevano essere rinforzate con letture di filosofia, storia, legislazione comparata, morale e con la pratica degli usi locali, della lingua e della letteratura, espressioni dell’identità culturale di un popolo.

Con Pisanelli, più giovane ma già stimato per le capacità giuridiche e la passione civile, Savarese condivise il programma di rinascita degli studi. Nel 1838, incoraggiato anche dal fratello Giacomo e dall’amico Domenico Capitelli, i due inaugurarono una scuola privata di diritto, destinata a grandi successi.

Nelle lezioni riecheggiavano le novità ispirate dalla più recente giurisprudenza europea e si sperimentavano percorsi originali nell’interpretazione del diritto. Diritto romano, storia e filosofia giuridica rappresentavano il cuore dell’insegnamento, perché svelavano la vera natura del diritto come ragione storica. Pur non avendo mai riversato l’immensa scienza in trattati o in opere a stampa, la testimonianza migliore del pensiero di Savarese fu affidata ai ricordi degli allievi e dei colleghi che lo conobbero e che lo ricordarono con rimpianto alla morte. Vico, ma anche Savigny, Hegel, Eduard Gans, Raymond-Théodore Troplong erano presenti nei ragionamenti per l’elaborazione di un metodo di studio coerente con la tradizione scientifica italiana. La profondità del pensiero lo guidò verso le nuove sfide del diritto pubblico e dell’economia, a cui dedicò alcuni corsi in un momento particolarmente critico per la vita del Regno.

Nel marzo del 1848 fu nominato membro della Commissione provvisoria voluta da Ferdinando II per la riorganizzazione degli studi universitari, che cessò la propria attività nel giugno 1849, allorché fu sostituita da un Consiglio generale di Pubblica Istruzione composto da professori più vicini alle idee conservatrici della monarchia. Sempre nel 1848, nella brevissima stagione costituzionale napoletana, Savarese venne eletto deputato al Parlamento. Sorpreso e sfiduciato nei confronti della politica regia meditava di rinunciare alla carica ma, nella tragica giornata del 15 maggio conclusasi con lo scioglimento dell’assemblea, partecipò attivamente alla strenua resistenza dei parlamentari alla violenta repressione borbonica. Nuovamente confermato alle successive elezioni, fu travolto insieme ai liberali napoletani dalle vicende politiche del 1849, che sancirono la svolta autoritaria e anticostituzionale della dinastia.

Nonostante la brevità dell’esperienza politica, nei due anni di incarico Savarese si fece promotore di due leggi rimaste incompiute: una per l’abolizione del diritto di albinaggio, l’altra sul riconoscimento della cittadinanza agli italiani nel Regno e sulla naturalizzazione degli stranieri. Le questioni rivelavano l’impegno civile e l’adesione convinta al programma di unificazione nazionale.

Il coinvolgimento diretto nei disordini rivoluzionari costrinse anche Savarese a scegliere la via dell’esilio. Accompagnato dalla moglie, Giuditta Winspeare, e dai figli Fausto e Laura, riparò prima a Torino, dove si ricongiunse a Pasquale Stanislao Mancini, Pisanelli e Antonio Scialoja, quindi a Parigi, dove incontrò Vincenzo Gioberti, Daniele Manin e Guglielmo Pepe. L’atmosfera parigina era troppo mondana e vivace per uno spirito riflessivo quale fu Savarese, che scelse infine la Toscana per stabilire la dimora familiare. Si ritirò a Firenze, conducendo una vita riservata e solitaria, a eccezione della frequentazione di pochi amici tra cui Gino Capponi e Giovan Pietro Vieusseux. Il soggiorno toscano fu però funestato dalla perdita prematura, il 29 maggio 1852, dell’adorata moglie. Distrutto dal dolore, Savarese lasciò Firenze per Pisa, dove si dedicò unicamente alla cura dei figli e alle passioni intellettuali. Si abbandonò alle letture classiche, alla musica e allo studio delle scienze matematiche, rinunciando a ogni carica pubblica. Invano l’Università di Pisa gli offrì la cattedra di diritto romano che egli rifiutò, ritenendo inopportuno insegnare in una città ospitante. Silenziosamente continuò a seguire le vicende risorgimentali della penisola, che evocavano alla memoria anche i tristi ricordi del fallimento del progetto costituzionale napoletano.

Dopo l’unificazione fu tra i pochi esuli meridionali a non rientrare subito in patria, nutrendo un forte pessimismo sulla convinta adesione meridionale al Regno d’Italia. Vi giunse solo nel giugno del 1861, conservando una certa distanza dalla cerchia dei patrioti desiderosi di riconquistare posizioni di prestigio e di rilievo nei pubblici uffici. Rifiutò la vicepresidenza della Cassazione, la presidenza dell’Accademia delle scienze e anche la cattedra di diritto romano all’Università di Napoli, chiedendo il passaggio all’emeritato. Con altrettanta fermezza rinunciò alla carica di deputato dopo la sua elezione al primo Parlamento italiano nel 1861, così come all’invito a partecipare ai lavori preparatori del codice civile. Lontano dai pubblici onori, scelse la strada dell’avvocatura che lo avrebbe occupato fino alla morte.

Furono anni di grandi successi, sia di clientela sia di prestigio nel foro napoletano. Nelle allegazioni forensi si riversò tutta l’antica e solida cultura giuridica di Savarese (Scritti forensi di Roberto Savarese, raccolti e pubblicati per cura del prof. F. Persico e preceduti da uno studio per l’avv. E. Cenni, Napoli 1876). Nei ricordi degli allievi e dei colleghi sarebbero ricorse costantemente parole di ammirazione per lo stile legale – lineare e mai ridondante – e per la ricchezza del ragionamento giuridico. Il ricorso al diritto romano e al diritto intermedio, sempre presenti negli scritti difensivi, assumeva una valenza nuova nei ragionamenti di Savarese. Nella tradizione giuridica non cercava le radici o i principi fondamentali del diritto vigente, perché una simile lettura avrebbe potuto alterare il senso storico di un istituto o dei concetti dogmatici. In polemica con buona parte della romanistica italiana, poneva l’accento sulla storicità del diritto romano e sul valore universale della giurisprudenza antica, che aveva saputo insegnare al mondo la purezza della logica squisitamente giuridica.

Il rigore, l’eleganza e le altissime competenze portarono Savarese a divenire nel 1872 presidente dell’Associazione degli avvocati e procuratori di Napoli, quindi dopo la legge n. 1938 del 1874 sulla disciplina della professione forense, consigliere dell’Ordine degli avvocati.

Morì a Napoli il 24 maggio 1875.

Fu compianto dai numerosi discepoli e da tutta l’avvocatura napoletana che gli volle dedicare uno dei busti esposti in Castelcapuano, sede degli antichi tribunali cittadini.

Fonti e Bibl.: Oltre le fonti citate si segnalano una lettera di Savarese a Poerio e due a Imbriani, conservate nel fondo Manoscritti della Biblioteca nazionale di Napoli rispettivamente con segnatura Carte Imbriani, V, 60 e Carte Imbriani, XIV (42, 79). Sempre alla Nazionale di Napoli sono custodite alcune allegazioni a stampa, autonome, firmate da Savarese con altri e risalenti agli anni Quaranta del XIX secolo. Due lettere, a Vieusseux e a Capponi, sono rintracciabili presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, rispettivamente nel Carteggio Vieusseux (ms. 107,45) e nel Carteggio Capponi (XIII, 21); necrologi: E. Cenni, Della mente e dell’animo di R. S., in Scritti forensi di R. S., cit.; Onoranze a R. S. morto il dì XXIV Maggio MDCCCLXXV, Napoli 1875; A R. S. l’Associazione degli avvocati e procuratori di Napoli, XXII Agosto MDCCCLXXV, Napoli 1875.

G. Rocco, Sopra i ritratti di tredici avvocati napoletani posti in una sala del Palazzo di Giustizia in Napoli nell’anno 1882, Napoli 1882, passim; Commemorazione di giureconsulti napoletani, cit., passim; I busti di Castelcapuano. 5 marzo 1882, Napoli 1882, passim; F.P. Casavola, Professori di Napoli 1860, in Labeo, VII (1961), 1, pp. 36-41; A. Mazzacane, Pratica e insegnamento: l’istruzione giuridica a Napoli nel primo Ottocento, in Università e professioni giuridiche in Europa in età liberale, a cura di A. Mazzacane - C. Vano, Napoli 1992, pp. 106 s.; P. Beneduce, Il corpo eloquente. Identificazione del giurista nell’Italia liberale, Bologna 1996, pp. 189-196; A. Lovato, Diritto romano e scuola storica nell’Ottocento napoletano, Bari 1999, ad ind.; F.P. Casavola, La romanistica a Napoli dall’Unità alla Guerra, in Index, 2001, vol. 29, pp. 37-54; A. Lovato, S. R., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1808 s.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/roberto-savarese-18051204/ interventi#nav.

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