RODI

Enciclopedia Italiana (1936)

RODI (gr. ‛Ρόδος; lat. Rhodus; turco Radòs; A. T., 90)

Ardito DESIO
Arnaldo MOMIGLIANO
Ettore ROSSI
Giulio IACOPI
Pericle DUCATI
Giuseppe GEROLA
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È la maggiore fra le isole italiane del Mare Egeo (v. egeo, isole italiane dell'), misurando 1404 kmq. di superficie, e rappresenta oltre metà delle terre emerse di quell'arcipelago. È compresa fra 35°50′ e 36°30′ di lat. N. e fra 27°40′ e 28°20′ di long. E. e quindi si trova su per giù alla stessa latitudine di Tangeri. Un canale di 18 km. di larghezza separa Rodi (Capo della Sabbia) dalla costa dell'Asia Minore.

L'isola ha una forma romboidale con l'asse maggiore orientato NE-SO. e misura fra i due estremi circa 80 chilometri di lunghezza ed una larghezza fra Capo Lardo e Capo Armenisti di 38 km.

Geologia. - La costituzione geologica dell'isola è abbastanza complessa. I terreni più antichi appartengono al Paleozoico, ma il solo Carbonico finora ha fornito fossili determinabili (Brachiopodi) in un calcare brunorossastro a crinoidi; tuttavia non è escluso che esistano terreni più antichi e anche più recenti della stessa era, eome altrove nell'arcipelago egeo. I calcari carbonici affiorano limitatissimamente fra Calavarda e Castello.

Il Mesozoico è meglio rappresentato. Del Trias affiorano la parte media e superiore. Alla prima si ascrivono calcari a Diplopore; il secondo è formato da calcari grigi e rosei con noduli di selce scura, selci grigio-scure con Halobie e Daonelle, o da dolomie bianco-grige. Al Norico vanno riferiti i calcari massicci grigio-chiari con grossi Megalodonti, con coralli e alghe calcaree. Una serie di calcari rosso-chiari e grigi, venati, con noduli irregolari di selce, pare rappresenti pure il Norico e il Retico e forse anche una parte del Lias. A questa, infatti, fanno seguito calcari selciferi rossi con Posidonie attribuite al Lias superiore.

Al Giura superiore vanno riferiti probabilmente calcari scuri poveri di fossili con intercalazioni marnose. Alla base della serie cretacica di Rodi compaiono calcari brecciati con concrezioni di selce, calcari compatti con Orbitoline, coralli e frammenti di Rudiste e, superiormente, calcari brecciati con Orbitelle e frammenti di Rudiste che appartengono a varî piani del Sopracretacico.

I terreni del Mesozoico costituiscono i rilievi principali dell'isola, e i più vasti affioramenti si stendono nella parte centrale.

Maggior diffusione ha il Cenozoico. Brecciole calcaree nummulitiche e calcari più o meno marnosi formano i livelli inferiori dell'Eocene che coprono i calcari brecciati del Maestrichtiano con Ippuriti. Alla serie calcarea fa seguito verso l'alto la serie arenaceo-marnosa (flysch), nella quale non mancano anche rocce serpentinose, più potente ed estesa in superficie, che ha fornito una fauna di nummuliti e di molluschi abbastanza ricca. Ghiaie e conglomerati serpentinosi, argille e - superiormente - arenarie grigie fossilifere, rappresentano l'Oligocene e ricoprono trasgressivamente e con netta discordanza i terreni eocenici.

Il passaggio dell'Eocene all'Oligocene è dunque contrassegnato da una fase di intensi movimenti orogenici ai quali va attribuito il corrugamento dei terreni eocenici e anteriori e anche un'emersione del territorio rodiota. Al chiudersi dell'Oligocene il mare ha abbandonato Rodi, che all'inizio del Miocene fa già parte del continente asiatico. Piccoli lembi di calcari più o meno marnosi, di conglomerati, di arenarie e di calcari tufacei pare rappresentino il Miocene, durante il quale l'erosione è stata assai più attiva che non la sedimentazione. Nella seconda metà del Neogene si vengono sviluppando a Rodi, come in tutta l'Egeide, grandi bacini lacustri con ricchissima fauna a Paludine. Sono i laghi levantini di cui a Rodi rimangono tracce di due distinti bacini nelle argille fossilifere dei dintorni di Calavarda e di Apollachia.

Con la fine del Pliocene ha termine il regime continentale e il mare invade buona parte dell'isola deponendo le "panchine" straordinariamente ricche di fossili, che coprono con discordanza i terreni più antichi e che incrostano le superficie delle terrazze marine sino a 512 m. sul livello attuale del mare (M. Arcangelo). L'isola subisce gli ultimi contraceolpi della fase orogenica terziaria, che non solo ha intensamente piegato i terreni preoligocenici, ma ha prodotto accavallamenti e scorrimenti di coltri su vaste superficie. Le ultime manifestazioni attive dell'orogenesi provocano una rete di faglie che scompongono il territorio dell'isola e quello circostante in numerose zolle. Queste si vanno sprofondando, mentre un moto di sollevamento di tutto il margine del vecchio continente determina lo sviluppo di serie di terrazze costiere. L'assettamento tettonico non è ancora compiuto alla fine del Quaternario: i frequenti, talora disastrosi, movimenti sismici d'origine tettonica che si ripetono a intervalli più o meno lunghi confermano che le zolle non hanno raggiunto la loro stabilità.

Per quanto riguarda le risorse minerarie, piccoli giacimenti di lignite terrosa esistono nei dintorni di Lacanià, di lignite picea nel bacino di Apollachia, di lignite torbosa fra l'Eleovuno e la cappella di S. Sulà. Un limitato deposito di magnesite è stato segnalato lungo il margine settentrionale dell'affioramento serpentinoso di Monte San Luca, mentre presso Apollona, sul M. Sperioli e sul M. Acsì sono stati coltivati, in passato, giacimenti di un certo valore di cromite, che all'analisi ha rivelato sino al 52% di ossido di cromo e sino a 25,60% di ossido di ferro.

La configurazione morfologica dell'isola di Rodi è in stretta relazione con la sua struttura litologica e con le sue vicende geologiche più recenti. Le rocce calcaree del Mesozoico, che di quelle che affiorano nell'isola sono fra le più resistenti all'erosione, costituiscono i principali rilievi montuosi ed emergono come isole bianche dalle ondulazioni assai più tenui e più scure dei terreni friabili del flysch e del levantino. La montagna calcarea presenta le caratteristiche comuni a tutte le montagne non eccessivamente elevate, di tal natura, con una certa diffusione di forme carsiche, scarsa vegetazione ed estrema povertà d'acque superficiali. Le zone arenaceo-argillose si presentano invece come plaghe collinose dalle forme dolci e arrotondate che si susseguono a perdita d'occhio, come onde di un mare impietrito.

I rilievi non presentano allineamenti così lunghi da assumere i caratteri di catene montuose, ma sono distribuiti in gruppi più o meno allungati secondo direzioni predominanti SO-NE. ed E-O. Oltre all'Attairo (1215 m.) fra le cime più elevate si possono ricordare l'Acramiti con 823 m. e il Monte del Profeta con 798 m.

Le coste sono in genere poco articolate e di conseguenza importuose. Quasi solo dove i rilievi calcarei s'immergono nel mare, come presso Lindo e presso Monolito (coste di sommersione), si hanno rientranze e sporgenze d'una certa importanza. Per molti chilometri si stendono spiagge sabbiose interrotte solo di tanto in tanto da brevi promontorî.

Clima. - Il clima di Rodi, grazie al regime insulare e alla latitudine relativamente bassa, è uno dei più dolci e di tipo spiccatamente mediterraneo. La media di febbraio, ch'è il mese più freddo, nella città di Rodi è di 13°; le medie di agosto e settembre, che sono per solito i mesi più caldi, s'aggirano intorno a 25° all'ombra. La massima assoluta è di 32°, la minima intorno a 0°. La neve imbianca qualche volta la sommità dell'Attairo, ma non arriva mai a coprirne le falde. Le precipitazioni ammontano a 800 mm. annui nella città di Rodi. Il periodo delle piogge - che hanno sempre carattere temporalesco - va dal mese di novembre al mese d'aprile, mentre durante gli altri mesi le precipitazioni sono assolutamente eccezionali e in ogni caso di brevissima durata e di minima entità. I venti sono relativamente costanti e non di rado impetuosi, in particolar modo durante i mesi invernali. In primavera e in estate spira per lo più il maestrale, nell'autunno e maggiormente nell'inverno lo scirocco e il libeccio con prevalenza del primo. In tutta l'isola, ma specialmente sulla costa, è sensibile la brezza di terra e di mare che esercita un'azione moderatrice sulle temperature estive e invernali.

La poca abbondanza delle precipitazioni, la loro distribuzione nel tempo, la permeabilità di molta parte del suolo e soprattutto la configurazione morfologica dell'isola, priva di grandi bacini imbriferi, fanno sì che manchino a Rodi corsi d'acqua perenni. Durante la stagione umida quasi tutti gli alvei sono bagnati da corsi d'acqua temporanei, che presentano piene violente dopo i grandi acquazzoni, per ridursi a piccole vene d'acqua negl'intervalli fra un piovasco e quello successivo. Via via che dal periodo umido si passa a quello secco, la portata dei corsi d'acqua diminuisce finché in piena estate gli alvei rimangono all'asciutto. Con tutto ciò le sorgenti sono abbastanza numerose e forniscono acqua potabile a tutti i centri abitati dell'isola, senza contare che molte altre potrebbero all'occorrenza essere utilizzate al medesimo scopo. Nelle brevi strisce di pianura esistono falde acquifere sotterranee che qua e là sono anche emunte con l'aiuto di motori a vento.

Flora e fauna. - La flora dell'isola di Rodi è abbastanza conosciuta e comprende circa 730 specie, di cui due terzi fanno parte del tipo della flora mediterranea. Vi sono 20 forme locali. Fra le associazioni vegetali più appariscenti vanno ricordate la macchia alta composta da pini, cipressi, querce, carrubi, ginepri, e la macchia bassa formata in buona parte dalle piante car. itteristiche della cosiddetta "macchia mediterranea" (mirto, lentisco, timo, lavanda, salvia, origano, ecc.).

Riguardo alla fauna, fra le specie più vistose vanno menzionati il daino, la lepre, la volpe, il tasso e la faina. Numerose sono le forme di Uccelli finora riconosciute, fra le quali si possono ricordare l'avvoltoio degli agnelli, corvi, cornacchie, anitre selvatiche, gru, aironi, colombi selvatici, pernici, ecc. Esistono pure due specie locali di ghiandaia e di pettirosso. Gli Anfibî sono rappresentati da alcune specie di rane; fra i Rettili sono diffuse le lucertole, le serpi e anche una specie di tartaruga.

Popolazione. - Nell'isola di Rodi vive una popolazione di 56.754 persone (secondo calcoli del 30 giugno 1934; 54.818 al censimento del 1931) di cui 25.447 abitano nel capoluogo omonimo che sorge presso l'estremità settentrionale dell'isola, il resto è riunito nei 47 villaggi sparsi per l'isola. Fra questi, i principali sono Afando con 1600 ab., Calitea con 1060, Arcangelo con 1400, Malona con 1200, Cremastò con 1400 e Lindo con 1000. Tutti gli altri hanno una popolazione inferiore a 1000 ab. Tenendo conto che la superficie dell'isola ammonta a 1404 kmq., la densità risulta di circa 47 ab. per kmq.

Se si confronta la popolazione attuale con quella del censimento del 1922 si trova un aumento in 12 anni di 15.183 abitanti con una media di 1265 ab. per anno. L'aumento più forte si è verificato nella popolazione della città capoluogo, che ha guadagnato nell'ultimo dodicennio più di 9000 ab., quasi due terzi dell'aumento totale. Siamo con tutto questo ancora lontani dalla massima popolazione ospitata negli antichi tempi dalla città di Rodi che, secondo calcoli largamente approssimati, nei periodi più floridi, prima dell'inizio dell'era volgare, avrebbe raggiunto quasi 80.000 ab.

La popolazione è formata da quattro elementi diversi per lingua e per religione, per quanto tutti gli abitanti siano cittadini italiani. Gl'indigeni, però, sono privi di diritti politici, ma non hanno obblighi di servizio militare. Gl'Italiani d'origine sono quasi tutti cattolici, di rito latino (per l'ordinamento politico-amministrativo di Rodi, v. egeo, XIII, pp. 529-30).

Gli ortodossi, di rito greco-orientale, sono in maggior numero (circa l'80 per cento della popolazione) e parlano greco. I musulmani seguono il rito ḥanafita e parlano turco. Gl'israeliti, di rito sefardita, sono originarî della Spagna e parlano un particolare gergo spagnolo. La grande maggioranza della popolazione si dedica ad attività particolari. Gli ortodossi sono dediti per lo più al commercio e alla pesca, in campagna all'agricoltura e alla pastorizia. I musulmani all'artigianato e all'agricoltura, gl'israeliti esclusivamente al commercio e alle banche. L'elemento cattolico, ossia italiano, è rappresentato, oltre che da funzionarî, da contadiní, da operai specializzatí, da commercianti, industriali, imprenditori.

Agricoltura. - L'agricoltura a Rodi è abbastanza sviluppata, ma nella popolazione indigena i mezzi moderni sono ancora poco in uso. Il frumento, p. es., ha un rendimento di 5-6 q. per ettaro. Prevalgono le coltivazioni orticole e frutticole nelle zone pianeggianti più prossime alla costa e ai centri abitati maggiori. Nelle colline vengono coltivati di preferenza l'olivo e la vite, oltre ai cereali diffusi un po' dappertutto. In montagna c'è solo pascolo e bosco. Fra i prodotti più abbondanti vanno ricordati il frumento, con 25.000 quintali all'anno; l'orzo e l'avena con 10.000 quintali; l'uva con 60.000, le ulive con 50.000, la frutta e gli ortaggi con 52.000, gli agrumi con circa 3 milioni di pezzi all'anno, il tabacco, ecc. Rodi è rinomata per le primizie. La superficie produttiva dell'isola può essere stimata a circa il 75 per cento dell'area totale.

Il governo italiano ha dato grande impulso, nell'ultimo decennio all'agricoltura nell'isola. Accertata la proprietà fondaria, topograficamente mediante rilievi eseguiti dall'Istituto geografico militare e giuridicamente secondo norme espressamente stabilite, creando un catasto probativo dei più perfezionati, organizzato il credito agrario attraverso una filiale del Banco di Sicilia, dato mano ai lavori di bonifica indispensabili, le possibilità agricole dell'isola sono state messe in valore attraverso l'opera dell'Istituto sperimentale agrario, che è stato guidato da criterî di reale adattamento alle possibilità ambientali di sviluppo agricolo del possedimento.

Lo studio nel campo delle colture legnose è principalmente rivolto all'olivo, al mandorlo, ai fruttiferi in genere, agli agrumi, al gelso, alla vite. Nel campo delle colture erbacee l'attenzione massima è rivolta a quelle in regime asciutto, isolatamente in sede di orientamento, oppure inquadrate in avvicendamenti razionali, in strettissima relazione ai sistemi di lavorazione del terreno.

L'agricoltura, e le industrie agrarie in specie, molto hanno beneficiato di questo lavoro preparatorio. Rodi conta uno stabilimento vinicolo dei più moderni, di proprietà della Compagnia agrīcola industriale, che produce intorno ai 15.000 q. all'anno di vini liquorosi ormai affermatisi in Italia e all'estero, con stabilimenti a Rodi e Coo. Esistono inoltre stabilimenti per l'essiccazione della frutta e . altri per la conservazione e l'incassettamento per l'esportazione. Importanti gli oleifici. Una fabbrica di sigarette della Tabacchi Egei Manifattura Italiana (T. E. M. I.), nella quale è interessata l'Azienda tabacchi italiani del Monopolio italiano, produce per tutto il consumo del possedimento ed esporta finissimi prodotti in Italia e all'estero. Si aggiungono a queste le due industrie a carattere familiare, assistite tecnicamente e coordinate dal governo ed esercitate da privati, che hanno raggiunto ormai proporzioni ragguardevoli: quelle del miele e dei bachi da seta. Ambedue a prodotti di grande pregio: la prima dà miele aromatico centrifugato, la seconda dà ottima seta e seme bachi ricercatissimo dai semai italiani.

La colonizzazione agricola per mezzo di famiglie coloniche regnicole è già abbastanza avanti benché iniziata da pochi anni. Già sono sorte varie aziende agrarie. La principale di ha. 3000, di cui 500 ad attività agricola intensiva e 2500 ad attività pastorale, è appoderata con famiglie coloniche regnicole costituenti il villaggio di "Peveragno Rodio" di 400 ab.

È da ricordarsi un'azienda vivaistica di grande importanza sia per la rilevantissima produzione di piante fruttifere - olivi, viti americane selvatiche e innestate, piante ornamentali e da rimboschimento - sia principalmente perché essa, voluta ed incoraggiata dal governo italiano, costituisce uno dei ganglî dello sviluppo agricolo. Essa piazza annualmente 20.000 olivi innestati, e ora anche ingenti quantitativi di viti. Il governo sorregge e incoraggia energicamente l'agricoltura con provvidenze di varia natura che - convenientemente adattate all'ambiente - sono intonate a quelle previste dalla legge sulla bonifica integrale nel regno.

Foreste. - Nel campo forestale le attenzioni dell'amministrazione sono state rivolte principalmente al rimboschimento che, unito alla protezione del bosco già esistente in virtù di rigide provvidenze legislative, garantisce il buon regime delle acque, la conservazione e l'incremento delle foreste. Il possedimento ora dispone di circa 80.000 ettari di boschi di pino, cipresso e ceduo che permettono l'inizio di uno sfruttamento razionale, progressivo. Ed è per ciò che l'attività colonizzatrice si è dal governo indirizzata anche in questo settore rurale. È sorto all'uopo un villaggio di boscaioli metropolitani: Campochiaro.

L'allevamento del bestiame ha pure un notevole sviluppo, specialmente nelle zone montane. Nel 1934 esistevano nell'isola 1948 equini, 1278 bovini, 348 suini, 15.669 ovini e 21.702 caprini.

Si può affermare che l'agricoltura avrà larghi sviluppi a Rodi, impiegando notevoli masse di rurali regnicoli e migliorando il tenore di vita dei contadini indigeni. I prodotti agrarî di Rodi, di alto pregio, alimenteranno in un prossimo avvenire un buon commercio di esportazione e importanti industrie.

Commercio. - Grazie alla particolare posizione geografica di Rodi il commercio di transito ha avuto nell'antichità e nel Medioevo grande sviluppo. I mutati orientamenti delle correnti commerciali hanno fatto perdere a Rodi molti vantaggi derivanti dalla sua posizione privilegiata, cosicché il commercio di transito è ora limitato. Nel traffico attuale prevalgono le importazioni, essendosi tuttora nel periodo dell'attrezzatura e della trasformazione moderna dell'isola. Nel 1933 sono state importate 34.340 tonn. di merci per un valore di 26.997.000 lire, mentre 3022 tonn. per un valore di 5.231.900 lire sono state esportate. All'importazione contribuiscono principalmente l'Italia, indi la Grecia, la Turchia, la Iugoslavia, l'Egitto, l'Inghilterra, ecc. Le voci che partecipano con un importo maggiore sono materiali da costruzione, cereali, farine, bevande, spiriti, olî, legno, paglia, animali e prodotti animali, coloniali e droghe, ecc.

L'esportazione è diretta specialmente verso l'Italia, l'Egitto, la Grecia, la Turchia. I principali prodotti esportati sono il vino, la frutta, i tappeti e l'olio d'oliva. Il commercio di transito comprende per lo più i prodotti dell'Asia Minore diretti verso l'Europa.

Le numerose nuove iniziative di produzione fanno prevedere un aumento assai considerevole delle esportazioni. È poi da tener presente per la bilancia commerciale che esistono fra le entrate invisibili le spese dei forestieri, essendo oggi il movimento turistico una delle principali risorse di Rodi.

Industrie. - Le industrie sono modeste nel complesso, ma d'un crescente valore nell'economia dell'isola. Fra le principali vanno ricordate le industrie agrarie (olearia, enologica, conserve alimentari, tabacco), quella dei laterizî, quella alberghiera, quella dei tappeti, quella delle ceramiche, ecc.

Amministrazione. - Rodi, capoluogo del possedimento, è sede del governo e delle maggiori istituzioni. Il governatore ha larghi poteri che esercita con le direzioni di governo (direzione degli affari giudiziarî, direzione degli affari amministrativi, direzione del commercio, direzione dei lavori pubblici, direzione dell'agricoltura, sovrintendenza alla pubblica istruzione, sovrintendenza ai monumenti e scavi, dogana, poste e telegrafi, catasto, ecc.) e riunendo una volta all'anno il consiglio dei sindaci, che è un organo consultivo.

Hanno sede a Rodi il comando del presidio (un reggimento di fanteria), la pretura, il tribunale di prima istanza, il tribunale di seconda istanza (Corte di appello), la Corte di assise; e inoltre la Corte di appello consolare, cui pervengono in appello le sentenze dei tribunali di capitolazione, specie quelli d'Egitto. In materia di statuto personale giudicano i tribunali speciali delle comunità, applicando le leggi bizantina, sciaraitica e talmudica.

L'amministrazione civica è affiidata a una podesteria, composta di un podestà e di quattro consultori, uno per ognuna delle comunità religiose (latina, ortodossa, musulmana, israelitica) designati dal governatore tra i membri eletti dei consigli delle comunità: nei villaggi i consigli comunali sono elettivi e restano in carica tre anni; il governatore designa tra i consiglieri eletti il sindaco. I deliberati della podesteria e dei comuni debbono essere approvati dal governo.

Le comunità ortodossa, musulmana e israelita eleggono un proprio consiglio, che dev'essere sottoposto a convalida governativa.

Le opere del regime. - La città di Rodi ha subito sotto il regime fascista una radicale trasformazione. Dal piccolo borgo levantino che era al momento dell'occupazione italiana, è diventata una cittadina molto ben attrezzata, elegante e dotata di edifici pubblici monumentali. La città murata ch'era al tempo turco il principale nucleo cittadino, è stata quasi abbandonata dal commercio e dagli affari per riacquistare, coi larghissimi restauri delle architetture medievali, un carattere d'intensa suggestione evocativa. La città nuova è sorta a nord verso la punta dell'isola, e ha il suo centro a specchio del piccolo porto, l'antico "porto delle galere", nel Foro Italico e nella Via del Littorio su cui si affacciano i più importanti palazzi pubblici. Essa è caratterizzata dalle sue vie tutte alberate, dai numerosi giardini, dai grandi alberghi che fanno fronte all'intenso movimento turistico. Anche i sobborghi, nei quali i Turchi avevano confinato la popolazione greco-ortodossa, sono stati aerati da ampie vie, conformemente a un piano regolatore che li comprende nella grande Rodi che rapidamente si va attuando.

L'isola intera poi ha subito durante gli ultimi anni una trasformazione non meno profonda di quella della città di Rodi. Creata una vastissima rete stradale, percorsa quotidianamente da diciotto corriere automobilistiche, dotato ogni villaggio di condotta medica, di acquedotto, di telefono, domata la malaria, bonificate tutte le pianure e spinta energicamente la bonifica idraulica in tutte le valli, rimboschita, l'isola di Rodi sta ora sviluppando le sue risorse agrarie, che sono cospicue.

Ecco alcuni dati numerici relativi alle opere pubbliche del regime. Contro 29 km. di strade trovate al momento dell'occupazione in stato appena transitabile, si avevano alla fine del 1922 km. 69 di strade camionabili; nel 1935 le strade, tutte eccellenti, hanno uno sviluppo di km. 487, di cui 80 con pavimentazioni bituminose. Edifici pubblici, scuole, chiese, mercato, stadio, teatri, caserme, terme, costruzioni industriali e private vanno sorgendo ogni anno con ritmo serrato. Da 3000 mc. di costruzioni, calcolate vuoto per pieno, nel 1922, si sale a 40.000 mc. nel 1923: negli anni tra il 1924 e il 1929 una media dagli 80.000 ai 100.000 mc. annui, e poi, fino al 1935, una media di 40.000 mc., in complesso, in quattordici anni di regime fascista furono costruiti a Rodi per edifici di uso pubblico mc. 685.000, e per edifici d'uso privato 316.000. Il porto commerciale, dragato e banchinato, ha fondali di 8 metri: e il piccolo porto del Mandracchio, di 5 metri. In caso di forte scirocco lo sbarco avviene nella vicina baia di Trianda opportunamente attrezzata. Molto importanti pure le captazioni di acqua potabile ed irrigua e le ricerche, con risultati felici, delle acque artesiane. Oggi Rodi dispone di una dotazione d'acqua di 150 litri al giorno per abitante.

Istruzione pubblica, attività culturale e sportiva. - Il complesso dei regi istituti d'istruzione in Rodi è costituito da 2 asili misti; 2 scuole elementari maschili e una femminile; un ginnasio-liceo classico maschile, un istituto tecnico (commerciale) maschile (inferiore e superiore); un istituto tecnico inferiore femminile; un istituto magistrale maschile e uno femminile; una scuola pratica di agricoltura. Tutte queste scuole seguono gli ordinamenti, i programmi e gli orarî delle scuole corrispondenti del regno e rilasciano titoli pienamente validi. Speciale importanza rivestono, ai fini dell'istruzione elementare, i due istituti magistrali che preparano maestri adatti alle speciali esigenze del luogo.

Le regie scuole hanno annessi confortevoli convitti. Buona parte dei convittori proviene da stati vicini e appartiene a diverse nazionalità.

Gl'istituti regi hanno sede in ampî, razionali, moderni edifici e abbondano di efficaci sussidî didattici. La direzione, l'amministrazione e l'insegnamento sono affidati all'Associazione nazionale missionarî italiani. Le scuole regie hanno avuto, nell'anno scolastico 1934-35, 2015 iscritti. Il "Collegio Rabbinico" sorto nel 1928 per appagare un vivo desiderio delle comunità ebraiche del Mediterraneo orientale e della Penisola Balcanica, accoglie i giovani prescelti dalle comunità stesse come più idonei al sacerdozio, che ricevono nel collegio, oltre all'istruzione professionale, gl'insegnamenti profani prescritti per i regi istituti.

La governativa Biblioteca del Fiore, ha carattere di biblioteca di cultura generale: aperta nel 1935 con un primo fondo di 8000 volumi è destinata ad accogliere 40-50.000 volumi.

All'educazione fisica provvedono soprattutto due istituzioni: la sezione dell'Opera Nazionale Balilla e la Federazione Rodia delle Associazioni sportive (FRATRES).

La FRATRES, rappresenta, per il Possedimento, le Federazioni sportive del Regno. Le Società affiliate dispongono, oltre che di proprî campi e di particolari impianti sportivi, di un magnifico stadio fornito di ogni più moderno impianto.

L'attività culturale non si limita al campo prettamente educativo: due istituzioni operano a creare in Rodi un centro importante di alti studî: l'Istituto FERT e la Società nazionale "Dante Alighieri". L'Istituto FERT ha per scopo precipuo l'incremento delle ricerche archeologiche e storiche riflettenti Rodi e l'Oriente più vicino. Esso adempie a questo suo fine sia con la biblioteca archeologica specializzata su tali argomenti, sia con l'istituzione di borse e sussidî che permettono agli studiosi soggiorni a Rodi o viaggi nelle regioni circostanti o comunque storicamente connesse con Rodi, sia con la pubblicazione dei risultati di scavi e ricerche in uno speciale periodico, la "Clara Rhodos".

La Società nazionale "Dante Alighieri", oltre a curare la diffusione della lingua e della cultura italiana per mezzo di una ricca biblioteca circolante, di conferenze e di corsi di lezioni, ha istituito corsi di alta cultura che si svolgono nei mesi estivi attirando studenti e uditori di tutti i paesi del Mediterraneo orientale.

Accanto alle scuole governative funzionano le scuole private, a opera delle comunità e molte con sussidî governativi. L'insegnamento nelle scuole private è libero come programmi, essendo solo obbligatorio l'insegnamento della lingua italiana. A Rodi esistono quattro scuole elementari e un ginnasio (corrispondente al ginnasio-liceo) di lingua greca, due scuole elementari di lingua turca, una scuola elementare e secondaria inferiore di lingua italiana per gl'israeliti. Tutti i villaggi dell'interno hanno le loro scuole di lingua greca. Scuole rurali di lingua italiana funzionano nei villaggi di Peveragno, Cattavia, Campochiaro.

Assistenza sanitaria. - L'attività del governo fascista in materia di assistenza sanitaria si concreta nella fondazione dell'Ospedale Regio (inaugurato il 3 agosto 1926), capace di 100 letti e affidato in amministrazione all'Associazione nazionale per i missionarî italiani. All'ospedale è annessa, con sede in apposito padiglione inaugurato il 14 ottobre 1928, la Maternità capace di 20 letti. Si ricorda inoltre l'Ospizio degl'Innocenti gestito dalle suore francescane del Sacro Cuore, di Gemona. In tutti i villaggi funzionano le condotte mediche: l'Istituto di sanità, diretto dal protofisico, sovrintende ai servizî sanitarî.

Turismo. - Una delle risorse principali di Rodi è costituita dal turismo, dalla villeggiatura e dalla cura di acque. Favorito dalla posizione geografica, dal clima dolcissimo in ogni stagione, dalla natura estremamente pittoresca e infine dall'esistenza di monumenti di straordinario interesse il movimento turistico di Rodi è andato aumentando vertiginosamente. Dai 700 turisti del 1922 si è arrivati ai 60.000 nel 1934. Si può dire che nessuna crociera mediterranea ormai trascura Rodi. L'organizzazione turistica del resto è adeguata a tale movimento: imbarchi e sbarchi celeri per passeggeri, alberghi di ogni classe, 500 automobili da piazza, un'eccellente rete stradale, servizî di guide, tariffe perfettamente rispettate. molta pulizia, molto conforto, informazioni sicure e rapide. I villeggianti, provenienti in massima parte dall'Egitto, dalla Palestina e dalla Turchia, trovano la freschezza dei bagni di mare e del Monte del Profeta (m. 800 sul mare) coi suoi alberghi nei boschi secolari, insieme a svaghi e sport. I curandi sono attratti dalle Regie Terme di Calitea, stabilimento idripinico che fa risalire la sua origine a Ippocrate, e che è stato costruito ex-novo nel 1929, con senso di arte e ricchezza di architetture. Le acque di Calitea hanno analogia con le acque di Montecatini e di Carlsbad. Tutto questo vasto e vario movimento di turisti, villeggianti e curandi, è servito da navi di crociera e da ottimi servizî postali marittimi e aerei.

Storia. - Antichità. - La tradizione mitica su Rodi e sulle sue origini si svolge da una parte intorno a uno dei culti più importanti dell'isola, quello del Sole, dall'altro intorno al canonico tipo dell'"ecista" (in questo caso Tlepolemo). Che il Sole dimenticato da Zeus nella divisione delle terre, scegliesse per suo territorio Rodi ancora immersa nel mare e la facesse emergere, narra già Pindaro (Olimpica, VII); e il motivo è ripreso da un largo numero di testi posteriori. Nel Catalogo omerico delle navi (Iliade, II, 653-71) si trova invece la più antica testimonianza dell'altra tradizione per cui R. fu occupata da Tlepolemo, discendente da Erade, e dai suoi seguaci provenendo da Argo. Che Tlepolemo fosse dorico è esplicitamente presupposto, perché si dice pure che le sue schiere erano divise in tre tribù, di cui ciascuna avrebbe costituito la popolazione di una delle tre città dell'isola, Lindo, Ialiso e Camiro; ma s'intende che per la tradizione posteriore facesse difficoltà ammettere che Omero parlasse di Dori a Rodi, quando proprio da Omero si credeva di poter dedurre che l'emigrazione dorica fosse posteriore al suo tempo, in quanto egli non fa mai il nome dei Dori. Di qui la teoria di Strabone, XIV, 653, che l'immigrazione di Tlepolemo portasse a Rodi altra popolazione che non la dorica esistente in età storica. Sui particolari, del resto, di queste elaborazioni mitiche, di cui la fonte principale è Diodoro, V, 55-60, non tocca qui indugiare. La parte che l'erudizione indigena ha avuto in queste fantasie è ora rivelata al vivo dalla cosiddetta cronaca di Lindo, un'iscrizione incisa nel 99 a. C. nel tempio di Atena Lindia, in cui, l'autore, Timachida, valendosi soprattutto di fonti scritte anteriori, dà una cronistoria delle donazioni più cospicue fatte al santuario ed elenca gli altri fatti più memorabili che lo concernono: la combinazione mitologica erudita è qui dominante.

La storia non conosce con sicurezza le popolazioni che abitarono Rodi prima dei Dori. I resti tardo micenei trovati nell'isola sono come sempre, di attribuzione contestata. Che però delle genti non greche abbiano occupato l'isola prima dei Greci è messo fuori discussione dalla toponomastica. Gli stessi nomi delle tre città di Lindo, Ialiso e Camiro hanno carattere non ellenico. Che prima dei Dori abbiano occupato l'isola altri Greci non è testimoniato con sicurezza. Il tempo e le modalità dell'immigrazione dei Dori sono ignoti. Quando però si accetti la testimonianza del Catalogo omerico che ciascuna delle tre città fu occupata da una delle tre tribù (per una ulteriore discussione, v. più sotto: Costituzione) si è costretti ad ammettere che l'immigrazione nell'isola sia stata unitaria. È da notare che in età storica la rocca di Camiro aveva ancora il nome di Achea. La storia delle tre città procedette indipendente fino alla fine del sec. V a. C.; ma che già prima avesse un certo ritmo unitario, soprattutto nella politica estera, è provato sempre dal Catalogo, che descrive Tlepolemo a eapo di nove navi rodie delle tre città. Poiché in età ellenistica si ritrova spesso la flotta di Rodi ormai unificata costituita di nove navi o di multipli di nove, è molto probabile che il numero nove abbia radice negli ordinamenti politici delle tre città e che quindi l'autore del Catalogo trasferisse all'età mitica ciò che egli vedeva al suo tempo (circa VII a. C.). Ciascuna città si estese nel continente, occupando tratti di quelli che furono detti il Chersoneso e la Perea rodia e continuarono ad accrescersi più tardi: alcune piccole isole circostanti, per es., Chalce appartenente a Camiro, furono certo anche occupate assai presto. Della storia politica interna di questo periodo più antico press'a poco tutto è ignorato. La forma monarchica del governo, da presupporsi a priori, è però solo confermata, oltre che dall'incerta figura di Tlepolemo, da un tratto romanzesco di Pausania, IV, 24, 3, secondo cui il re Damageto di Ialiso avrebbe preso in moglie la figlia di Aristomene, l'eroe della seconda guerra messenica (630 circa a. C.). La notizia di questo matrimonio è quasi certamente falsa ed è dovuta con verosimiglianza alla confusione dell'Aristomene messenico con un eroe indigeno di Rodi dal nome uguale, sicché, per spiegare come mai si fosse introdotto il culto di Aristomene in Rodi si è dovuto immaginare che egli si fosse imparentato con una delle famiglie reali del luogo; ma ciò naturalmente non esclude che la personalità di Damageto sia storica, e solo ne rende più incerta la cronologia. Al tempo di Solone (600 circa a. C.) a Lindo dominava un tiranno Cleobulo, che fu considerato tra i sette savî e di cui è celebre il detto che la "misura è ottima" (μέτρον ἄριστον): dunque, almeno Lindo non era stata retrograda in confronto alle altre città greche, soprattutto dell'Asia Minore, che in quel periodo, dopo esser passate per una fase di governo aristocratico, davano luogo a forme di tirannidi. Delle tre città la più ricca diventò presto Lindo, come testimonia l'importanza presto assunta dal suo maggiore santuario, di Atena. Da Lindo, anche, partirono i più notevoli movimenti colonizzatori dell'isola, che rivelano perciò più eccesso di popolazione e intraprendenza che non una vera scarsezza di mezzi di vita. Da Lindo fu fondata circa il 690 a. C. in Sicilia Gela, di cui il principale quartiere portava ancora più tardi il nome della metropoli: da Gela circa un secolo più tardi fu fondata Agrigento con l'intervento di coloni arrivati direttamente dalla madre patria. Altre colonie di Lindo furono Faselide sulla costa licio-pamfilica e forse Soloi in Cilicia. È dubbio a chi appartenga la fondazione di Gage, Coridalla e Rodiapoli sulla costa licia; naturalmente non è escluso che membri di più di una città vi abbiano collaborato, come non è escluso che abitanti di Ialiso e Camiro abbiano partecipato alla emigrazione in Gela. Perciò non è nemmeno esclusa la veridicità della notizia data da Stefano Bizantino che Apollonia sul Mar Nero fu fondata dai Milesî in collaborazione con i Rodî. Gli antichi hanno inoltre fantasticato su parecchie altre colonizzazioni rodie, che però non reggono alla critica: tale, ad es., la colonia spagnuola di Rode, che in realtà fu fondata dalla colonia massaliota di Emporion, ma fu ritenuta rodia solo per la coincidenza del nome. Le tre città rodie costituirono presto una lega sacra, ad imitazione di quella ionica, con le tre città doriche di Cos, Cnido ed Alicarnasso: santuario comune era quello del capo Triopio. Ma Alicarnasso presto ionicizzata fu esclusa dalla lega, che non poté mai acquistare alcuna importanza politica. La ionicizzazione di Alicarnasso non è che il particolare più rilevante della forte pressione esercitata dalla superiore civiltà ionica sulle città doriche dell'Asia minore e isole vicine. La stessa Rodi, a parte gl'influssi posteriori venuti da Atene, subi fortemente questi influssi: ne è una curiosa traccia, p. es., il nome Dalios di un mese del calendario locale, che richiama l'Apollo di Delo (dorico Dalo), cioè l'Apollo venerato dagli Ioni. L'influenza ionica si poté esercitare specialmente nei contatti che i commercianti ionici avevano con i Rodî sulle varie coste del Mediterraneo dove lavoravano insieme o in concorrenza. Che il commercio rodio sia stato attivissimo fino da età arcaica non è dubbio. Era commercio soprattutto di transito, e i Rodî si valevano della posizione della loro isola per potenziare le loro attitudini alla mediazione. Del resto esportavano soprattutto il vino locale, che per quanto notoriamente mediocre si impose sui mercati del Mediterraneo e in misura minore del Mar Nero. Le relazioni più intense, oltre che con l'Asia minore, furono con l'Egitto. Tracce dei rapporti con l'Egitto s'incontrano in Rodi per un tempo forse non solo predorico ma anche pregreco. Uno scarabeo di Tḥutmóśe III trovato a Camiro porta alla prima metà del sec. XV a C., e uno di Amenhótpe III a Ialiso al principio del sec. XIV. I Rodî presero quindi naturalmente parte alla costituzione dell'emporio panellenico in Naucrati circa il 570 a. C. al tempo del re Amasi, un dono del quale al tempio di Atena Lindia si conservava ancora in età imperiale. Ma le relazioni con l'Egitto non furono naturalmente solo commerciali. I Rodî ebbero interesse a sostenerne l'indipendenza e perciò favorirono l'arruolamento di mercenarî dell'isola al servizio dei sovrani egiziani. Ne è famosa testimonianza l'iscrizione trovata presso Elefantina e risalente al tempo del re Psammetico II (circa 589 a. C.), in cui tra i mercenarî di varia provenienza compaiono dei Rodî (Dittenberger, Sylloge inscriptionum graecaram, 3ª ed., n. 1). E poiché questi mercenarî, firmando in questa iscrizione, scrivono in alfabeto milesio (mentre l'alfabeto rodio arcaico, per quel poco che lo conosciamo, è di tipo calcidese), resta anche confermata l'influenza culturale ionica nelle forme ora accennate. Altrettanto bene conosciamo i rapporti tra Rodi e Cirene, anch'essi più che commerciali. La cronaca di Lindo ci ha fatto sapere che un gruppo di abitanti della città partecipò al rafforzamento della colonizzazione greca in Cirene organizzato dal re Batto II (590-60 a. C.); i discendenti di questi colonizzatori erano ancora in relazione con la madre patria rodia nel sec. IV a. C. (cfr. Inscriptiones Graecae, XII, 1, 773, con la correzione del Blinckenberg, La chronique du temple Lindien, 1912, p. 437). Una moneta cirenea del sec. V (Head, Historia numorum, 2ª ed., p. 867) che porta i simboli di Lindo e di Ialiso conferma nello stesso tempo la partecipazione rodia e le buone relazioni persistenti tra Rodi e Cirene, di cui è ulteriore riprova un'iscrizione di Camiro del secolo IV a. C. recentemente pubblicata in Clara Rhodos, VI-VII, 1932, p. 369. Da tutte queste relazioni commerciali conseguiva la prosperità dell'isola già nota al Catalogo delle navi. La monetazione risale in Rodi alneno al secolo VI a. C.

Rimasta indipendente dalla Lidia, Rodi cadde invece, in momento imprecisato, sotto la dominazione persiana. Purtroppo non abbiamo, quasi, particolari su questa fase specialmente delicata della sua storia, benché sia facile riconoscere che tanto la fine dell'indipendenza egiziana quanto la protezione accordata dalla Persia alle flotte fenicie dovettero danneggiare fortemente i traffici dell'isola. La cronaca di Lindo ci ha rivelato solo un episodio di incerta collocazione: un assedio di Rodi da parte del generale persiano Dati. Di contro all'opinione comune che Rodi sia stata assediata durante la spedizione persiana conclusasi a Maratona (490), il Beloch (Griechische Geschichte, II, 2ª ed., 2, pp. 81 segg.) ha proposto invece di riconoscervi un episodio della ribellione ionica, per cui Rodi, già partecipe alla generale insurrezione, sarebbe venuta a patti con la Persia: l'interpretazione è molto verosimile. Nel 480 i Rodî combatterono con la loro flotta a Salamina dalla parte dei Persiani. La vittoria greca e la successiva costituzione della lega delio-attica fecero entrare Rodi nell'orbita ateniese. L'isola e i suoi possedimenti di terra ferma furono divisi in varî distretti, di cui ciascuno sottoposto a un rilevante tributo. Il quale del resto subì forti variazioni, a quanto ci risulta dalle liste dei tributi epigraficamente conservate. Mentre nel periodo 454-446 a. C. Ialiso pagava 10 talenti, Camiro 9 e Lindo 10, dopo il 446 i pagamenti delle tre città furono unificati nella cifra di 6 talenti ciascuno. Il provvedimento va messo in relazione con la volontà di mitigare la situazione degli alleati più lontani dopo la rivolta dell'Eubea: dopo la ribellione di Samo (440) l'imposizione fu invece aggravata, perché Lindo tornò a pagare 10 talenti. Non sembra che il predominio ateniese abbia considerevolmente danneggiata la città. Le relazioni con l'Egitto continuarono a permanere (un documento di Lindo in E. Schwyzer, Dialectorum Graecarum exempla epigraphica potiora, n. 278, cfr. anche n. 279) e giovarsi dei periodi in cui esso si ribellava alla Persia. Certo l'esportazione del grano dall'Egitto continuò a rimanere soprattutto in mano dei Rodî, né mai gli Ateniesi, che per conto loro controllavano invece il traffico granario del Mar Nero, fecero un serio tentativo di portarlo via, salvo che si riconosca in ciò uno degli scopi della fallita spedizione ateniese in Egitto.

Le ostilità contro Atene si svilupparono in Rodi per due motivi: innanzi tutto perché, come al solito, gli Ateniesi favorirono le democrazie, poi perché misero ostacolo, a quanto sembra, alle tendenze che ormai si accentuavano nelle tre città per la loro unificazione. Tipica figura di oppositore ad Atene è Dorieo, un aristocratico di origine regale, ripetutamente vincitore ad Olimpia, condannato a morte dagli Ateniesi durante la guerra del Peloponneso. A lui, passato da Rodi alla colonia panellenica di Turi, si deve se essa assunse sempre più un atteggiamento filo-spartano, ma soprattutto si deve che nel 411 Rodi, dopo la vittoria navale spartana nelle acque di Sime, si ribellò ad Atene. Ne conseguì una instaurazione oligarchica, la quale diede l'avvio alla unione delle tre città. La forma di questa fase di trapasso ci è mal nota. Solo le possiamo attribuire un decreto (Schwyzer cit., n. 279 = Dittenberger, Sylloge, n. 110) in cui un tale di Egina abitante in Naucrati è dichiarato da una assemblea prosseno di tutti i Rodî: traspare da questo decreto che la prima preoccupazione fu di unificare la politica commerciale, e si comprende anche allora che all'unificazione aspirassero soprattutto le classi aristocratiche, cioè quelle che avevano in mano i commerci.

L'unificazione fu perfezionata con un sinecismo nel 408-7, dopo che Alcibiade vincitore a Cizico, se non era riuscito a riportare Rodi sotto la influenza ateniese, aveva però potuto farvi una scorribanda rovinosa. Sull'estremità orientale dell'isola fu edificata una nuova città, dal nome Rodi, in cui si trasferì una parte degli abitanti delle tre città preesistenti. I tre centri urbani preesistenti e il nuovo costituirono una polis unica, i cui menbri restarono divisi fra le tre città originarie come fra tre tribù gentilizie. D'altra parte però queste tre città continuarono a conservare i magistrati proprî per funzioni e consuetudini di carattere sacrale (per maggiori particolari, v. più sotto: Costituzione). Nella città di nuova costituzione furono eretti naturalmente gli edifici pubblici e i santuarî comuni: inoltre fu costruito un porto, parzialmente artificiale, di gran lunga superiore a quelli preesistenti nell'isola. Sia la costtuzione della città, sia soprattutto quella del porto, imitò da vicino il Pireo di Atene. È ormai escluso che il progetto risalga però a Ippodamo di Mileto il costruttore del Pireo. La costruzione del nuovo porto era solo l'espressione più tangibile dell'impulso che la unificazione delle direttive politiche stava per dare all'attività commerciale di Rodi. La sua ascesa stava per riprendere intensamente. Rodi rimase oligarchica e sotto influenza spartana sino al 396. La generale ostilità ai sistemi di Lisandro e soprattutto la ripresa navale ateniese-persiana guidata da Conone portarono a un ravvicinamento ad Atene conclusosi nel 396. Ne era una conseguenza che l'anno dopo la oligarchia fosse abbattuta. Le cosiddette Elleniche di Ossirinco (cap. X) ci hanno dato i particolari di questa rivoluzione. Sappiamo del resto d'altra parte (Paus., VI, 7, 6) che la oligarchia era divisa nel suo interno, anzi nella stessa famiglia dei suoi capi, i Diagoridi, a cui apparteneva Dorico, perché quest'ultimo si era già prima riavvicinato ad Atene e perciò era stato ucciso dagli Spartani. Ma che il partito oligarchico continuasse ad essere forte fu dimostrato pochi anni dopo, nel 391, dal suo vigoroso tentatìvo di riprendere il controllo dell'isola con l'aiuto spartano. Secondo Senofonte, Elleniche, IV, 8, 20 segg., il tentativo ebbe solo un parziale successo, in quanto i democratici tennero la città; secondo Diodoro, XIV, 94, al contrario i democratici furono cacciati dalla città. Se si riferisce a questo periodo il racconto di Aristotele, Politica, 1302 b, 21; 1304 b, 27, parrà indubbio che nella sostanza il racconto di Diodoro è il più credibile. Ma la oligarchia era già nuovamente caduta allorché nel 378-77 Rodi aderiva alla rinnovata lega attica (se ne confronti il patto di fondazione in Dittenberger, n. 147). Qualche anno prima, verosimilmente (cfr. J. Beloch. Griechische Geschichte, III, 1, 2ª ed., p. 95), Rodi aveva tentato di costituire con Cnido, Iaso e Samo, Efeso, Bisanzio una lega che non si era rivelata vitale e che perciò scomparve di fronte alla lega navale attica; essa però è interessante come reazione di alcune città greche contro la situazione creata dalla pace di Antalcida (387-86). Non riuscì a far ribellare Rodi da Atene Epaminonda nel 364 nel suo sforzo di contrapporre una potenza navale tebana a quella ateniese. Ma la ribellione accadde ugualmente pochi anni dopo nel 357 per il disgregamento interno della lega. Con Chio, Cos e Bisanzio, Rodi sostenne per circa tre anni la cosiddetta guerra sociale contro Atene e ne usci vittoriosa. Cadde però fatalmente sotto la tutela del vicino satrapo persiano di Caria, Mausolo, che per meglio assicurarsene il dominio vi abbatté la democraxia. Rodi ricorse allora ad Atene, dopo che a Mausolo era succeduta la moglie Artemisia (351), e Demostene, che comprese il significato morale di intervenire in favore di una ex alleata ribelle per tutelarvi il principio democratico messovi in pericolo, difese le ragioni dei Rodî: inutilmente (si veda la XV orazione). Perciò poco dopo Rodi insorse per conto suo e giunse anche a tentare una incursione contro Alicarnasso, capitale dello stato di Artemisia, ma fu sconfitta e dovette riassoggettarsi (Vitruvio II, 8, 14-15). Da allora Rodi restò sottomessa alle direttive della politica persiana, tanto più dopo che i Rodî Mentore e Memnone conquistarono una grande autorità alla corte persiana. Appunto per favorire indirettamente la Persia contribuirono nel 340 ad aiutare Bisanzio assediata da Filippo di Macedonia. Come poco però vi avessero da fare sentimenti filoateniesi i Rodî dimostrarono nel 338 all'annuncio della sconfitta di Cheronea, imprendendo a corseggiare i mari e a catturare i convogli di grano destinati ad Atene (Licurgo, Contro Leocrate, 18).

In questo episodio c'è un precorrimento di quanto Rodi riuscirà a realizzare appena l'Asia e l'Egitto saranno aperti alla espansione greca da Alessandro. Con intuito della situazione essa aveva dichiarato la sua sottomissione al Macedone nel 332, quando stava davanti a Tiro. Più tardi un qualche scrittore rodio - forse ancora del secolo IV - fabbricherà una nuova redazione del testamento attribuito ad Alessandro per aggiungergli dichiarazioni di particolare benevolenza verso i Rodî (il testamento in Pseudo-Callistene, Historia Alexandri Magni, 32, e cfr. per le varianti libere dalle interpolazioni rodie Rivista di filologia class., n. s., XI, 1933, p. 225 segg.). Ma, appena Alessandro morì, la città proclamò la sua indipendenza e la mantenne di fronte ai varî stati sorti dall'eredità del Macedone.

Rodi, con la rovina politica di Atene, poteva raccogliere assai più facilmente il traffico del grano nel suo porto: inoltre era ormai il naturale centro degli scambî fra Oriente e Occidente. Un grande emporio di mediazione e di smistamento, insomma, che è stato paragonato con le dovute riserve, a quello odierno di Londra e di cui certi documenti, per esempio l'interessamento dei Rodî all'esportazione del grano della Numidia (Dittenberger, n. 652), ci fanno intravvedere la vastità e la complicazione. Di più Rodi come città e come individui costituiva forse il maggior centro bancario del Mediterraneo: la sua ricchezza, la sua posizione abitualmente neutra nelle guerre, la solidità della sua moneta erano tanti fattori interdipendenti della fiducia riposta in lei. Infine Rodi esercitava per suo interesse la polizia dei mari contro i pirati sostituendo anche in ciò Atene e mantenendo una flotta militare permanente in navigazione a proteggere i convogli; e questa attività le assicurava naturalmente le simpatie e le attribuiva come un diritto di intervenire, quando si verifieassero delle violazioni nelle consuetudini marinare. Perciò, ad esempio, allorché circa il 220 a. C. Bisanzio impose diritti di passaggio troppo gravi alle navi provenienti dal Mar Nero, le città interessate si rivolsero a Rodi come loro tutrice (Polibio, IV, 37). Di qui conseguentemente la possibilità per Rodi di imporre le proprie consuetudini marittime agli altri e quindi di creare di fatto un codice consuetudinario del mare, che col nome di lex rhodia penetrerà anche nel diritto romano (cfr. Dig., XIV, 2). S'intende per altro che questo prestigio non si sarebbe potuto affermare se Rodi non fosse stata anche un centro ammirato di cultura e di arte, e se la costituzione rodia non avesse avuto fama di essere una delle più perfette e non fosse stata imitata da parecchie altre città, specie insulari, del mondo greco. Rodi fu uno dei centri più vivi della cultura ellenistica: il poeta Apollonio di Alessandria (detto poi Rodio) nel sec. III a. C. e il filosofo e Storico Posidonio di Apamea nel I a. C., che prescelsero Rodi a loro abitazione, sono i più famosi esempî dell'attrazione esercitata da Rodi come città di cultura. Anche in periodo romano Rodi rimarrà come una delle città, che si vorrebbero chiamare universitarie, dove si mandavano i giovani per il perfezionamento nella retorica e nella filosofia. Consapevoli del valore della loro patria gli scrittori indigeni non perdevano dal canto loro occasione per ricordare e anche fabbricare glorie locali, come Polibio ci testimonia per i più noti degli storici del luogo, Zenone e Antistene (XVI, 14).

Forse nella vita culturale di Rodi v'era una tal quale grossolanità di commercianti arricchiti. Rodi era la città di cento colossi, come attesta Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 42), di cui il più celebre era la statua del Sole (Elio), eretta dopo l'assedio di Demetrio Poliorcete (v. sotto) e fatta precipitare a terra da un terremoto circa il 225 a. C. Ma occorre d'altro lato ricordare la cura intelligente che si aveva per le istituzioni culturali, come ci ha dimostrato la scoperta di due iscrizioni concernenti biblioteche rodie (A. Maiuri, Nuova silloge epigrafica di Rodi e Cos, n. 4 e 11), di cui la prima contenente un frammento di catalogo (si cfr. il commento di G. De Sanctis, Rivista di filologia class., n. s., IV [1926], p. 167 segg.).

S'intende che la condizione di questa politica commerciale era la neutralità nel giuoco vario degli stati ellenistici e, quando la neutralità non fosse possibile, l'intervento in favore della ricostituzione di un equilibrio. Già Polibio (XXX, 5, 7) riconosceva questi caratteri della politica rodia. Perciò i Rodî furono per i Tolomei contro le aspirazioni unitarie di Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete; e perciò nel 305 Demetrio Poliorcete coinvolse nella sua lotta con l'Egitto Rodi e le pose l'assedio. Allora anche la vasta solidarietà che in varî modi si dimostrò verso Rodi confermò nello stesso tempo il prestigio della città e la forza delle tendenze all'equilibrio nel sistema degli stati ellenistici: Demetrio dovette recedere. E i Rodî furono i primi a onorare con culto divino Tolomeo I, che aveva più di tutti contribuito a salvarli. Tra le relazioni che Rodi avrebbe intrecciato per la prima volta intorno al periodo del suo assedio, Polibio (XXX, 5, 6) pone quelle con Roma; e la cosa non manca di verosimiglianza intrinseca, ma il testo di Polibio, come è di fatto costituito, fa propendere alla ipotesi che esso sia interpolato e in origine alludesse alle relazioni allacciate tra Roma e Rodi circa il 200 a. C. (cfr. M. Holleaux, Rome, la Grèce et les monarchies hellénisiiques, Parigi 1921, p. 29 segg.). All'amicizia con l'Egitto i Rodî tennero a lungo fermo, non senza però che l'ingerenza dei Tolomei nelle Cicladi, la loro politica granaria aspirante all'autonomia e perciò la costituzione di una forte flotta egiziana creassero ragioni di attrito. Le quali portarono a uno scontro fra la flotta rodia e la tolemaica presso Efeso circa il 259 a. C. (cfr. la Cronaca di Lindo, 37), che segnò l'inizio della rovina della potenza navale egiziana; poco dopo, forse nel 258 o nel 256 (per la data W.W. Tarn, Cambridge Ancient History, VII, p. 862), Antigono Gonata sconfiggeva l'Egitto a Cos e lo tornava a sconfiggere dopo il 245 ad Andro. È però notevole che per lungo tempo i Rodî non avessero motivo di ostilità contro la Macedonia. La ragione è chiara: la Macedonia non approfittò della vittoria sull'Egitto per fare una politica navale veramente pericolosa per Rodi. La quale seppe per vie pacifiche e con molta accortezza evitare i danni che le sarebbero potuti venire dal tentativo macedonico - che in ciò prelude alla politica romana - di contrapporre Delo a Rodi come centro commerciale. Nemmeno la spedizione di Antigono Dosone in Caria circa il 227 (Trogo Pompeo, prologo, 28) ebbe influenza. Del resto Rodi seppe assicurarsi le spalle con una costante amicizia con i Seleucidi, dai quali ottenne la città di Stratonicea, probabilmente nel 239 (Polibio, XXXI, 7, 6, e cfr. E. Meyer, Die Grenzen der hellenistischen Staaten in Kleinasien, Lipsia 1925, p. 60).

La situazione cambiò solo quando Rodi vide tramontare l'equilibrio, di cui aveva approfittato. Ancora durante la seconda guerra punica Rodi era intervenuta nel conflitto tra Filippo di Macedonia e gli Etoli alleati dei Romani per cercare di ristabilire l'accordo e quindi evitare l'ingerenza romana. Ma dopo che la Macedonia e la Siria concertarono la loro azione per spogliare l'Egitto (203 a. C.), e le flotte di Rodi e Pergamo riunite, dopo una dubbia vittoria a Chio e una sconfitta a Lade (201 a. C.) si rivelarono incapaci d'impedire il dominio del mare della Macedonia e perciò il proseguimento delle operazioni per terra, Rodi si lasciò trascinare da Pergamo al passo, denso di conseguenze, di chiedere l'aiuto romano. La guerra, che i Romani limitavano contro la Macedonia, vedeva naturalmente Rodi in posizione subordinata contribuire ad assicurare ai Romani le operazioni nell'Egeo. Rodi restava così senza volerlo ormai legata alle direttive di Roma, e combatteva ancora al suo fianco durante la guerra contro Antioco III e di Etoli (192-189 a.C.). I vantaggi momentanei non erano pochi, sia perché i Romani, per contrapporre alla Siria due stati validi, accrescevano oltre che il regno di Pergamo anche Rodi con la Licia e la Caria sino al Meandro (188 a. C.), sia perché la depressione stessa degli stati vicini permetteva a Rodi di affermare in modo ben più preciso di prima e senza concorrenza la propria egemonia sulle isole dell'Egeo. La cosiddetta lega dei nesioti (v.) passa ora sotto la direzione di Rodi. Ma gli stessi Rodî finivano poi con l'essere insoddisfatti di una condizione, che capovolgeva tutti i fattori su cui fino allora avevano eretto il loro prestigio. Essi cercarono ancora di farsi presso i Romani consiglieri di mitezza verso i Greci, ma con poco successo. Piuttosto sollevarono sospetti, che accrebbero poi con i loro rapporti con Perseo di Macedonia. Un partito si venne costituendo che guardava con occhi molto favorevoli i preparativi della Macedonia contro Roma, tanto più dopo che questa ultima aveva, se non accettato, per lo meno non respinto il punto di vista dei Lici che pretendevano di essere non sudditi, ma alleati dei Rodî, e aveva anche guardato con una certa soddisfazione a un conflitto sorto tra Pergamo e Rodi. Durante la guerra di Roma con Perseo i Rodî non solo aiutarono poco i Romani, ma cercarono di fare da mediatori (168 a. C.). Fu un'imprudenza, che segnò il principio della fine per la loro potenza internazionale. Si parlò a Roma di una guerra, che poi fu lasciata cadere, ma fu intimato a Rodi di lasciare liberi i Lici e i Carî (per la difficile questione di diritto, v. da ultimo A. Heuss, Die völkerrechtlichen Grundlagen der römischen Ausserpolitik in republikanischer Zeit, Lipsia 1933, p. 106) e di rinunciare ai possessi di Cauno e di Stratonicea. La lega dei nesioti fu sciolta. Più grave ancora, per certi aspetti, fu la deliberazione romana di dichiarare porto franco Delo, ciò che condusse immediatamente a una concentrazione del commercio internazionale in quell'isola. È dubbio se il famoso passo di Polibio (XXX, 31) voglia significare che per questa concorrenza i dazî portuari di Rodi scesero da un milione di dracme a 150.000 oppure diminuirono di 150.000 dracme. Si capisce del resto che più di questi provvedimenti particolari segnò la rovina di Rodi come mercato internazionale lo spostamento dell'asse del commercio mondiale verso l'Italia con la conseguente sempre maggior partecipazione di commercianti italici al traffico in Oriente. Rodi rimase una città prospera e un centro di cultura che godé di molta autorità a Roma per opera di Panezio e di Posidonio, ed ebbe ancora per qualche tempo una certa funzione nella lotta con i Pirati, specie Cretesi. Conosciamo infatti oltre a una guerra avuta con loro circa il 200 a. C. (di cui un nuovo documento pubblicato da M. Segre, in Rivista di filologia class., n. s., XI, 1933, p. 365 segg.) un'altra del 155 circa. Più notevole fu sempre per tutto il periodo repubblicano l'aiuto che la flotta di Rodi poté dare a Roma in varie imprese, soprattutto durante le guerre mitridatiche, nella prima delle quali (88 a. C.) Rodi, fedele a Roma, fu anche assediata, invano, dal re del Ponto; per la sua condotta in questa guerra Rodi ebbe restituita Cauno con alcune città minori. Ma tuttavia è evidente che ormai Rodi non solo aveva dovuto cessare di fare una qualsiasi politica autonoma, ma non era nemmeno più in grado di compiere da sola la normale polizia dei mari. Ne è prova la legge romana contro i pirati promulgata circa il 100 a. C. e nota da una iscrizione (Supplementum Epigraphicum Graecum, III, n. 378), che, come risulta dal testo, fu provocata dai Rodî. E poiché i Romani, impegnati in altre cose e distanti, furono a lungo impediti di organizzare una repressione sistematica della pirateria, la condizione d'incertezza delle comunicazioni marittime tra il sec. II e il I a. C. dipende per gran parte dalla decadenza di Rodi. La città passò un nuovo assai brutto periodo durante le guerre civili di Cesare e di Ottaviano. Cesare le perdonò di aver preso le parti di Pompeo; ma il cesaricida Cassio, stretto dal bisogno di denari, trovò un pretesto nel suo rifiuto di mettergli a disposizione la flotta per assediarla e, dopo il tradimento dell'aristocrazia locale, saccheggiarla nel 43 a. C. Non è caso che durante queste guerre civili ricevessero l'estremo colpo i due stati che ancora godevano di una certa autorità e di una certa libertà d'azione entro l'impero: Marsiglia e Rodi. Antonio ricompensò Rodi attribuendole le isole di Andro, Teno, Nasso e la città di Mindo e la fece inoltre aiutare dal suo amico Erode di Giudea. Ma ormai Rodi era ridotta a una grossa città provinciale, seppure nominalmente sempre libera e seppure da tempo fosse cessata la concorrenza di Delo come porto franco: Augusto le toglierà Cauno. La libertà, e quindi l'immunità dell'isola, ebbe varie vicende durante l'impero; abolita da Claudio nel 44 per l'uccisione di alcuni cittadini romani fu restituita per interessamento del giovane Nerone nel 53 (si veda l'epigramma rodio in suo onore nell'Anthologia Palatina, IX, 178). Tolta nuovamente da Vespasiano, fu restituita da Tito: più tardi dovette in data incerta essere nuovamente soppressa, e infine nel 297 Diocleziano mise Rodì alla testa della provincia insularum. A Rodi nel primo secolo e nella prima metà del secondo non mancò, come a tutte le grandi città provinciali dell'Oriente, prosperità: ne offre un quadro interessantissimo Dione Crisostomo nella sua orazione XXXI (‛Ροδιακός) dell'80 circa d. C. E noto che Rodi poté offrire dal 6 a. C. al 2 d. C. una residenza gradita a Tiberio. Un terremoto del 155, a cui si riferisce l'orazione XLIII dello Pseudo-Aristide, rovinò la città. Le condizioni del periodo posteriore non erano tali da permetterle di riprendersi del tutto. Nel sec. III danneggiò in particolare l'isola l'incapacità della troppo scarsa flotta imperiale a tener testa alle flottiglie barbariche, in specie dei Goti, che saccheggiarono infatti Rodi.

Costituzione. - Possono qui essere ricordati solo alcuni degli elementi principali della costituzione. Prima del sinecismo (408-7) Rodi era divisa in tre città indipendenti, Lindo, Camiro e Ialiso. Da documenti tardi, ma che continuano senza dubbio la situazione preesistente al sinecismo, sappiamo che ogni città aveva un consiglio composto di un numero ignoto di μασροί, specie di senatori. Alla testa di ciascuna città stavano tre epistati, ciascuno evidentemente rappresentante di una delle tre tribù in cui era divisa la cittadinanza. È questione assai discussa se queste tribù fossero le tre antiche doriche, oppure tre nuove tribù. Ne sarebbe conferma il non aver trovato finora in Rodi i nomi delle tre tribù doriche, ma invece nomi diversi: è un fatto però che le tribù doriche compaiono in città fondate da Rodi, per esempio in Agrigento colonia della lindia Gela (Inscriptiones Graecae, XIV, 951). Ogni città conosceva anche divisioni territoriali oltre che gentilizie, con una certa autonomia. In periodo posteriore al sinecismo troviamo due divisioni parallele, le κτοῖναι e i demi. Alle κτοῖναι un deereto del principio del sec. III circa (Dittenberg., n. 339) attribuisce la nomina dei μαστροί. I rapporti tra κτοῖναι e i demi sono del tutto oscuri. Ogni città già prima del sinecismo possedeva territorî fuori dell'isola in isole vicine o nella costa asiatica (Chersoneso e Perea rodia). La storia della progressiva costituzione di questi territorî è oscura. Dopo il sinecismo certi territorî appaiono senz'altro incorporati nello stato rodio e perciò divisi in demi: altri invece sono tenuti in condizione d'inferiorità e controllati da governatori militari. Lo stato di Rodi considerò sue ripartizioni i demi delle singole città, seppure i demi non furono introdotti in occasione del sinecismo: le κτοῖναι invece non assunsero, almeno a quanto sappiamo, alcuna funzione nel nuovo stato. Le tre città divennero tre tribù della nuova polis. Un'assemblea generale di tutta la cittadinanza e un consiglio ne furono gli organi legislativi. Il consiglio (βουλά) si rinnovava due volte l'anno; e così pure i cinque pritani che lo presiedevano, il cui funzionamento, certo diverso da quello ateniese, è però nei particolari oscuro. I sacerdoti del Sole, scelti a sorte per un anno, erano gli eponimi. L'esercito era comandato da dieci (o dodici) strateghi, che probabilmente avevano anche funzioni diverse dalle militari: in guerra compare talvolta un comandante supremo eccezionale (στρατηγός ἐκ τάντων). La flotta era comandata da un navarco, funzionario di carattere non permanente. L'allestimento delle navi era lasciato a privati facoltosi, i trierarchi, che poi le comandavano, come ad Atene; ma lo stato contribuiva in misura e in forma non bene deducibile da Aristotele, Politica, 1304 b 29. L'ordinamento della flotta conservava resti di correlazione con le tribù gentilizie, perché anche in età ellenistica le squadre di navi rodie sono di regola costituite da un numero di navi multiplo di tre. L'aristocrazia rodia, gelosa delle sue ricchezze e delle sue tradizioni, viveva stretta nelle sue associazioni di carattere arcaico. Ma Rodi richiamava naturalmente un gran numero di meteci, che erano ordinati in varî gradi più o meno privilegiati. I figli di donne non cittadine costituivano una glasse di cittadini di minore diritto. I figli di coloro a cui era concessa la cosiddetta epidamia diventavano di regola cittadini. S'incontrano anche dei cateci (κάτοικοι) di cui il carattere è ignoto: si è congetturato che fossero indigeni pre-dorici, ma ciò è più che dubbio.

Medioevo ed età moderna. - Il dominio bizantino a Rodi nell'alto Medioevo fu spesso minacciato e a tratti soppiantato dagli Arabi di Siria e d'Egitto; nel 654 d. C. una flotta araba inviata da Mu‛āwiyah, governatore della Siria a nome del califfo ‛Uthmān invase l'isola. Mancano notizie sicure sulla durata dell'occupazione araba, che non dovette essere stabile; l'isola restò però sotto il predominio degli Arabi fino agli inizî del secolo VIII (717-18 d. C.) durante il regno degli Omayyadi di Damasco. La dipendenza di Rodi da Bisanzio fu assicurata nei quattro secoli seguenti per l'esaurirsi degli sforzi musulmani in quella direzione. Venezia fu probabilmente il primo stato occidentale che riprese contatti con Rodi; nel 1082 i Veneziani ebbero assicurati dal Basileus privilegi commerciali nell'isola; subito dopo, con l'intensificarsi del movimento delle crociate, le relazioni con l'Europa diventarono più frequenti. Dopo che si stabilì a Costantinopoli l'Impero latino (1204), Rodi fu occupata da Leone Gavalà (Gabalas), d'origine cretese; egli non volle sottomettersi all'imperatore di Nicea, Giovanni Vatatze, e preferì porsi sotto il protettorato . di Venezia (11 aprile 1234), che si riservò il diritto di stabilire a Rodi una colonia con fondaco e chiesa; ma poi il successore, Giovanni Gavalà, si unì all'imperatore di Nicea e lo seguì nelle guerre contro i Latini. Tra il 1248 e il 1250 Rodi fu in potere di avventurieri genovesi e dopo la ricostituzione dell'Impero bizantino a Costantinopoli (1261), essendo passata sotto la sovranità nominale dell'imperatore, fu contesa tra corsari genovesi (Giov. Del Cavo, Andrea Moresco, Vignolo de' Vignoli), ammiragli al servizio dell'imperatore, corsari greci (un Krivikiotis vi governava nella seconda metà del sec. XIII) e turchi della adiacente costa anatolica (emirati turchi di Menteshe e di Aydïn).

Nel 1306 Vignolo de' Vignoli, padrone di Lero e di Coo, si recò a Cipro e nelle vicinanze di Limassol conferì con Fra Folco de Villaret, gran maestro dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, poi detto di Malta (v. malta, ordine di), che aveva trovato provvisorio rifugio in quell'isola, allora tenuta dai Lusignano, dopo la perdita di San Giovanni d'Acri (1291). In quel convegno fu decisa una spedizione per conquistare "aliquas de insulis Romanie" e più precisamente Rodi. L'impresa fu iniziata nel 1306 con galere dell'ordine e del Vignoli, il castello del Fileremo fu conquistato nel novembre dello stesso anno e vi restarono uccisi 300 Turchi di presidio; non è ben sicura la data della presa della città fortificata di Rodi, che avvenne probabilmente nel 1308. Le isole di Coo e di Lero furono cedute dal Vignoli in proprietà all'Ordine in cambio di alcuni benefizî. Nel 1316 i cavalieri occuparono anche l'Isola di Nisiro; quest'ultima fu donata in feudo agli Assanti d'Ischia e tornô in possesso dell'Ordine nel 1386. Il possesso insulare dell'Ordine estesosi anche alle minori isole vicine (Piscopi, Simi, Calchi, Limonia e Calamo), costituì per oltre due secoli una base avanzata della cristianità d'Occidente verso il Levante nella non ancor perduta speranza di rimettere piede in Terrasanta e, quando questa speranza venne meno, fu l'ultimo caposaldo contro i Turchi e contro l'Islām. Le forze dell'ordine, movendo da Rodi, parteciparono alle imprese condotte nel 1361-67 per impulso del re Pietro di Cipro, di Filippo de Mezières e del papa contro i porti di Siria e d'Egitto posseduti dai Mamelucchi, tennero il castello di Smirne (occupato nel 1344 con l'aiuto del papa e degli Zaccaria di Schio) fino alla conquista mongola del 1402, stabilirono poco dopo un presidio importante di fronte a Coo, in terra anatolica, nel munito castello di San Pietro (detto Petreion, ora Budrum). La posizione insulare richiese un particolare sviluppo della potenza marinara dell'Ordine che riuscì a sorvegliare i traffici e ad assicurare per via marittima le relazioni con l'Occidente.

Mentre decresceva la potenza dei Mamelucchi d'Egitto e di Siria, che nel 1440 strinsero inutilmente Rodi d'assedio, aumentava il pericolo dei Turchi Ottomani, dal 1453 padroni di Costantinopoli, ai quali dava ombra il piccolo, ma forte, stato cristiano situato vicino alle coste dell'Anatolia, a metà strada tra Costantinopoli e l'Egitto. Nel 1480 Maometto II mandò contro Rodi una spedizione comandata da Mesīḥ Pascià; i cavalieri, allora governati dal Gran Maestro Fra Pietro D'Aubusson, resistettero all'assedio (maggio-agosto) e obbligarono i Turchi a desistere dall'impresa.

Nel 1500, strettasi una lega contro i Turchi tra il papa e quasi tutti gli stati cristiani d'Europa, il Gran Maestro di Rodi fu nominato capitano generale; la squadra dell'Ordine dimostrò allora la sua efficienza, specialmente con la grossa navis, detta la Gran Nave di Rodi, che funzionava come "granario o fondaco delle vettovaglie a tutta l'armata necessarie". Sotto Solimano il Magnifico una più forte spedizione turca guidata dal sultano in persona e diretta dal primo visir, Mehmed Pīrī Pascià, cinse d'assedio la fortezza nel luglio del 1522 e la combatté fieramente per cinque mesi, riuscendo a penetrarvi il 24 dicembre dello stesso anno. Il Gran Maestro Fra Filippo Villiers de l'Isle-Adam capitolò e abbandonò l'isola la notte sul 2 gennaio 1523 con i superstiti cavalieri e alcune centinaia di Rodioti, veleggiando verso Creta e l'Italia.

Il dominio dei Cavalieri di Rodi costituì un periodo di progresso materiale e civile, per cui va annoverato tra i più illustri della sua storia. Centro politico, militare e commerciale di grande importanza, Rodi raccolse tra le sue mura il fiore della nobiltà cristiana d'Europa, banchieri e mercanti di Marsiglia, Narbona, Montpellier, Genova, Venezia, Firenze (Peruzzi e Bardi) e Napoli, trafficanti e sensali di Siria e d'Egitto, ambasciatori di Persia e di Turchia, messi del Papa e dei sovrani d'Europa.

Gli stati d'Europa fornivano a Rodi i cavalieri e le rendite delle molte proprietà (commende e priorati delle diverse "Lingue o Nazioni"), materiali da guerra e specialmente artiglierie e archibugi (Milano e Venezia) e navi (Genova). Le relazioni con quegli stati risentirono talvolta dei dissidî politici e religiosi europei; lo scisma d'Occidente divise per qualche tempo l'Ordine in Europa, ma non a Rodi, dove prevalse il partito favorevole a Clemente VII sostenuto dal Gran Maestro d'Heredia. r rapporti con Venezia furono talora turbati da questioni di affari, specialmente in seguito a catture, effettuate da galere dell'Ordine o corsari rodioti di navi mercantili veneziane nelle acque di Siria e d'Egitto; nel 1460 e nel 1464 i Veneziani sbarcarono forze nell'isola e vi causarono guasti per ottenere risarcimenti.

Con i paesi d'Oriente non esistette uno stato permanente, ininterrotto di guerra, come si potrebbe pensare; l'Ordine concluse accordi di amicizia e di commercio, tregue, se non veri trattati di pace, con i soldani d'Egitto e ottenne il dirìtto di tenere consoli a Gerusalemme e a Ramleh in Palestina e ad Alessandria in Egitto per proteggere i pellegrini e tutelare gl'interessi dei mercanti rodioti. Queste tregue durarono poco; però, quando la potenza dei Turchi ottomani minacciò i sovrani d'Egitto, questi non disdegnarono di stringere amicizia con i Cavalieri di Rodi.

L'Ordine ebbe anche relazioni di commercio e, a tratti, di amichevole vicinato con i Turchi dell'Anatolia e con gli Ottomani e s'intromise nelle loro lotte politiche interne; nel 1482 accolse a Rodi il principe turco Gem (Zizim), figlio di Maometto II, rivale del fratello Bāyezīd per la successione al trono.

Per la difesa della città fu elevato un sistema di fortificazioni che ancora meravigliano il visitatore. L'arte gotica si fuse a Rodi con la tradizione bizantina e accolse poi le ispirazioni del Rinascimento. Artisti italiani, specialmente architetti e ingegneri militari, lavorarono a Rodi per costruire palazzi e fortificazioni. Sono generalmente noti i nomi di Basilio della Scola, Mattia Gioeno, Gabriele Tadini di Martinengo; si può aggiungere Bartolino di Castiglione Cremonese, ingegnere e architetto, rimpatriato nel 1502 dopo avere lavorato più anni a Rodi e al Castello di San Pietro. L'umanesimo letterario ebbe riflessi notevoli a Rodi; gli studî classici, specialmente latini, furono coltivati dal clero latino, da Cavalieri (fra Sabba di Castiglione tra il 1500 e il 1508) e dagli scrivani e amministratori dell'Ordine, ch'ebbe per vicecancellieri letterati e umanisti: fra Melchiorre Bandini fino al 1459; fra Guglielmo Caoursin, delle Fiandre, tra il 1459 e il 1503; fra Bartolomeo Poliziano dal 1503 al 1522. La lingua latina servì come lingua quasi ufficiale per gli atti della cancelleria, mentre il francese e poi l'italiano servivano come "lingua volgare" nei rapporti interni tra i Cavalieri del convento; l'italiano fu ben presto usato nelle relazioni con i cittadini rodioti e con l'estero. Gli statuti dell'Ordine nella seconda metà del sec. XV appaiono redatti anche in italiano. Un architetto rodioto, Manoli Conti, che diresse i lavori per le fortificazioni delle mura sotto il magistero di fra Giacomo de Millv (1454-1461) in qualità di "protomaistro murador" lasciò memoria di ciò in un'iscrizione del 1457 redatta in italiano e in greco; una deliberazione dei iurati, cives e vassalli di Rodi nel 1465, relativa ai diritti doganali fu redatta in "lingua volgare" (e precisamente in italiano) "ad omnium clariorem intelligentiam". Notevoli notizie in proposito si potranno ricavare da uno spoglio dei documenti dell'archivio dell'Ordine che si conservano a Malta.

A Rodi visse tra il 1415 e il 1420 il geografo ed erudito fiorentino Cristoforo Buondelmonti; verso il 1425 vi fu di passaggio Ciriaco d'Ancona. Gli studî religiosi e profani greci furono coltivati da Rodioti; un Emanuele Georgillas Limenites, vissuto nella seconda metà del sec. XVI, compose un poemetto sulla peste (Θανατικόν), che afflisse l'isola tra il 1498 e il 1499.

Durante il dominio dell'Ordine, Rodi aveva un arcivescovo latino, l'ultimò, il genovese Leonardo Balestrino, si distinse nella difesa del 1522 e lasciò la città dopo la resa ai Turchi nel 1523. I Greci erano sottoposti al loro metropolita; i contrasti tra le due Chiese furono cagione di dispute; il metropolita Nataliel nel 1438 partecipò al Concilio di Firenze e aderì all'unione con la Chiesa di Roma; tuttavia fu necessario ancora nel 1474 addivenire a un accordo tra l'arcivescovo Ubaldini e il metropolita Metrofane per stabilire praticamente la sottomissione del clero greco all'arcivescovo, come rappresentante del pontefice; non mancarono anche in seguito incidenti per opera del clero greco. Dopo il 1523 i Greci di Rodi tornarono allo scisma e riconobbero la supremazia del patriarcato di Costantinopoli, favorito dal governo dei sultani ottomani per ragioni politiche.

Il ricordo dell'Ordine a Rodi è conservato, oltre che negli edifizî cittadini e nelle fortificazioni, in alcuni motivi dell'arte locale e in qualche canto popolare.

Sui quattro secoli di dominio turco a Rodi siamo poco informati, mancando cronache locali; unica fonte di notizie sono quelle relative alla storia generale dell'impero ottomano e le relazioni dei viaggiatori europei. Rodi fu sede di un sangiaccato, con un proprio Sangiāq Bey, dipendente dal Qapudān Pascià, comandante generale della flotta ottomana. Il dominio turco non modificò molto l'aspetto della fortezza; alcuni edifizî dei cavalieri furono adibiti a luoghi pubblici e ad abitazioni private; le chiese latine furono trasformate in moschee; l'ospedale dell'Ordine diventò più tardi caserma. L'elemento greco si mantenne in parte nella città murata e si estese anche nei sobborghi; gli Ebrei stanziativisi già negli ultimi tempi dell'Ordine vi crebbero di numero; l'elemento turco propriamente detto non fu mai molto numeroso. Sono opere turche nove moschee; le più notevoli sono quelle di Ibrāhīm Pascià (1540-41), di Regeb Pascià (1587-1588), del sultano Mustafà III (1764-1765) e la Suleimāniyyeh (18c9-1810). Poche iscrizioni ricordano le date della fondazione di questi monumenti religiosi, di numerose fontane pubbliche (sebīl e česhme) della città murata e dei dintorni. I cimiteri musulmani lungo le mura risalgono in parte all'assedio del 1522 e hanno servito alla popolazione turca e musulmana nei secoli scorsi. Una considerevole raccolta di manoscritti orientali si trova nella biblioteca fondata con successive donazioni tra il 1792 e il 1799 da Ḥāfiż Aḥmed Aghā, come waqf a favore della comunità musulmana.

A Rodi è sepolto Murād Re'īs, famoso corsaro turco, morto in combattimento con navi cristiane nel 1609; al suo nome è intitolata la tekke (ospizio), che sarge sulla punta a nord della città; l'annessa moschea fu fondata verso il 1635 da un Abū Bekr pascià. Nell'attiguo cimitero sono sepolti molti notabili turchi e musulmani e tra questi alcuni che finirono i loro giorni in esilio a Rodi: Shāhīn Ghirāi, khān di Crimea, ucciso nel 1640, Sa‛ādet Ghirāi, khān di Crimea, morto nel 1695, Şāfī, creduto figlio dello scià persiano Ḥusein e aspirante al trono della Persia, morto nel 1755-56, il poeta Mehmed Hishmet (morto nel 1768-69), ecc.

Rodi non prese parte alla sollevazione greca del 1821. Nella seconda metà del sec. XIX fece parte del vilâyet delle Isole dell'Egeo (gezā'ir-i baḥr-i sefīd) e diventò sede di mutesarrifato.

Nel 1912, durante la guerra italo-turca per la Libia, truppe italiane sbarcarono a Rodi, occuparono la città (5 maggio) e costrinsero alla resa la guarnigione turca nell'interno dell'isola (a Psithos, 17 maggio). L'occupazione italiana si estese anche alle altre isole delle Sporadi meridionali e fu mantenuta anche alla fine della guerra con la Turchia, non essendosi verificate le condizioni stabilite nel trattato di Losanna (18 ottobre 1912), in base al quale l'Italia avrebbe restituito quelle isole quando il governo ottomano avesse provveduto al ritiro dei suoi funzionarî militari e civili dalla Tripolitania e dalla Cirenaica. Entrata l'Italia nella guerra mondiale e dichiarata la guerra all'impero ottomano (20 agosto 1915), il governo italiano, benché con il Patto di Londra avesse ottenuto dagli Alleati il riconoscimento della sua sovranità sulle Isole dell'Egeo, non proclamò l'annessione.

Dopo la guerra mondiale con gli accordi Tittoni-Venizelos (29 luglio 1919) e Bonin-Venizelos (10 agosto 1920), l'Italia, in relazione al regolamento generale delle questioni d'Oriente, consentiva la cessione alla Grecia delle isole minori e di Rodi a date condizioni. Sennonché, venuto meno il regolamento delle questioni orientali in seguito al movimento nazionalista capeggiato da Mustafà Kemal, e riconosciuto dalle grandi potenze la piena indipendenza della Turchia, gli accordi suddetti vennero denunziati. Successivamente col trattato di pace di Losanna (24 luglio 1923) fu riconosciuta definitivamente all'Italia la sovranità sulle Sporadi Meridionali, che diventarono così il possedimento delle Isole Italiane dell'Egeo.

Pochi musulmani turchi di Rodi hanno optato per la cittadinanza turca secondo la facoltà loro concessa dal trattato di Losanna. La questione della delimitazione delle acque territoriali e dell'appartenenza di taluni isolotti è stata definita amichevolmente dai governi d'Italia e di Turchia con accordo firmato ad Angora il 4 gennaio 1932.

Dopo il trattato di Losanna il governo di Rodi entrò in trattative con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli per l'autocefalia della Chiesa ortodossa del Dodecanneso; nel 1929 si concluse un concordato, che concedeva l'autocefalia, tra il governo dell'isola e il patriarca Basilio III; ma il successore Fozio II non volle ratificare l'accordo, pretendendo, contrariamente ai patti, di riaprire la questione sottoponendola a un plebiscito popolare. La questione è rimasta così insoluta.

L'opera di progresso civile e di avvaloramento economico compiuta a Rodi durante il dominio italiano è stata tanto grande quanto grave fu l'incuria dei dominatori passati (v. anche egeo, isole italiane dell').

Topografia e arte. - Antichità. - La città fu fondata nel 408-7 a. C., (la tradizione che] a vuole costruita sui piani di Ippodamo [v.] milesio è oggi screditata). Aveva forma regolare e si stendeva a semicerchio digradando dall'acropoli superiore (odierno M. S. Stefano, m. 90), verso il mare di levante e le calate.

Solcata da strade ampie e diritte, incrociantisi ad angolo retto, essa ha tramandato fino a noi il tracciato di alcune delle sue arterie principali. La città, di estensione molto superiore a quella attuale, era circondata di mura disposte a mezzaluna, per un circuito di circa 7 km. La cerchia includeva in parte il sistema colloso dell'estremità settentrionale dell'isola, allo scopo di proteggere le spalle della città che certamente, anche nel suo massimo fiore, non occupò con costruzioni tutta la zona recinta. Per gli scopi immediati della difesa marittima, Rodi disponeva d'una cinta interiore, che proteggeva l'acropoli inferiore, su cui sorgeva probabilmente il tempio del Sole, sul sito poi occupato dalla cattedrale di S. Giovanni dei Cavalieri e dal palazzo grammagistrale. Molti tratti della cinta ellenistica interna furono riadoperati dai Cavalieri per costituire il nucleo dei bastioni e delle torri di difesa del Collachio.

Verso oriente la città aveva due eccellenti porti, quello militare che si chiudeva con catene, e quello commerciale, ambedue difesi da moli. Un altro bacino, collegato mediante canale col mare di ponente, doveva accogliere le navi in caso d'impraticabilità (causata dal maltempo) dell'accesso ai due porti orientali.

In basso, presso il porto principale, erano il deīgma, o borsa e portico di esposizione delle merci all'ingrosso, e l'agorà. In prossimità dovevano pure trovarsi l'arsenale e i cantieri. Una scogliera, che coronava il molo di chiusura del porto militare, presenta all'estremità alcuni enormi blocchi squadrati, che forse possono aver sopportato il famoso colosso (v.), faro e segnacolo per i naviganti e meraviglia mondiale.

Gli scavi degli ultimi anni (A. Maiuri, G. Iacopi) sono serviti a chiarire molti problemi di topografia rodia. Furono così identificati il tempio di Afrodite e quello di Dioniso (uno dei più famosi, decorato d'insigni pitture di Protogene, quali il Satiro in riposo e lo Ialiso), di cui avanzano resti in prossimità del porto; il tempio di Atena Poliàs e di Zeus Polieus (ove sorgeva il colosso al Popolo Romano ed era raccolto l'archivio di stato) con pochi ruderi sul ciglione dell'acropoli superiore (presso l'odierno semaforo); lo stadio colla sphendóne in pietra e annesso piccolo odeon o bouleutērion a gradinata marmorea. Furono inoltre localizzati con approssimazione i templi di Asclepio (giardino pubblico di Cimenlik - rinvenimento di statua frammentaria del dio) e il pritaneo (dietro l'attuale Casemia Regina - rinvenimento di iscrizioni).

Il ginnasio, famoso per le molte opere d'arte, si può supporre sorgesse in un vasto ripiano sotto lo stadio. S'ignora a tutt'oggi ove sorgessero esattamente il teatro e il tempio d'Iside, ambedue siti in prossimità delle mura, probabilmente nell'acropoli superiore.

Un ponte ad archi antichi esiste ancora presso il cimitero di Acandia. Un ninfeo scavato nella roccia, con due caverne separate da un vestibolo scoperto, forse luogo sacro alle ninfe e accesso monumentale agli acquedotti, poco sotto il tempio di Atena Poliàs, e alcune tombe ipogeiche, pure nell'ambito dell'acropoli superiore, completano con residui di ville romane gli scarsi avanzi dell'antico splendore della città alta.

Necropoli vastissime costeggiavano in età ellenistico-romana le strade di accesso alla città (strada di Coschino, Macrì Stenò), estendendosi in qualche sito fino entro la cerchia delle mura, dove furono scavate anche suppellettili che si possono attribuire ai primi decennî della città. La formazione di collegi religioso-funerarî favorì, accanto al sorgere d'isolate tombe monumentali (ad es., la cosiddetta "tomba dei Tolemei" scavata in un enorme masso rettangolare di roccia, con prospetto a colonne e cella eccentrica pluriloculare), la forma del sepolcro ipogeico collettivo, a inumazione o a cremazione, con ornamento architettonico costruito o scavato nella roccia. Caratteristici sono per le necropoli rodie specialmente di età ellenistico-romana gli altari funerarî marmorei, decorati di festoni e bucranî a rilievo, o più raramente di Vittorie alate. Rappresentate anche nei ritrovamenti sono le edicole con trofei e le stele scolpite.

A Lindo, scavi danesi compiuti principalmente prima dell'occupazione italiana (1903-1914) hanno messo in evidenza sull'Acropoli, scarnita fino alla roccia, i resti del piccolo tempio dorico della dea Atena; resti che, benché sovrimposti a costruzione più antica, sembrano datare dalla fine del sec. IV a. C. Il sagrato, limitato da colonnati verso NE. e NO., era accessibile da una grande rampa con própylon centrale, prolungato a SO. da tre camere, forse destinate ai banchetti rituali. Tale complesso è opera della fine del sec. V; in età ellenistica il própylon fu avanzato e arricchito di due portici laterali, incurvati a L, destinati al soggiorno dei fedeli e alle statue votive e onorarie. Una nave, scavata nella roccia, supporto di statua, opera di Pitocrito (sec. II a. C.), il probabile autore della Nike di Samotracia, è forse il ritrovamento artistico più notevole dello scavo, che mise ancora in luce, disperse sulla piattaforma, circa 300 iscrizioni (inedite) e la stipe votiva del santuario (nucleo di oggetti dei sec. VI-V, altro del III); altri oggetti sporadici più antichi, fino al sec. IX a. C.). Fu scoperta anche, nella città bassa, la famosa cronaca del tempio di Atena Lindia, iscrizione di circa 200 righe su 3 colonne, ove Timachida, circa il 100 a. C., registrò le donazioni alla dea dai tempi mitici fino alla sua epoca, e le epifanie di Atena. Sul promontorio che chiude il porto orientale, sorge, ancora intatta, una costruzione circolare in blocchi pseudoisodomi, con vòlta primitiva ad anelli restringentisi, chiamata "la tomba di Cleobulo". La costruzione arieggia simili edifici preellenici sparsi nel mondo mediterraneo. Nel monte alle spalle del paese sorge (parzialmente franata) una tomba monumentale di età ellenistica con prospetto architettonico scavato nella roccia. Ai piedi dell'acropoli, pure scavata nella roccia, verso occidente, si apre la cavea d'un teatro.

La città di Ialiso, sorgente a circa 8 km. da Rodi sulla costa occidentale, comprendeva un'acropoli, originariamente fortificata (Acaia, attuale Monte Fileremo) e una città bassa, col porto di Schedia. Gli scavi delle basse colline di Moschù e Macrià Vunàra propaggini estreme del Fileremo verso il piano, hanno rivelato delle ricche necropoli dell'ultimo periodo tardo minoico, il cosiddetto miceneo.

Oltre cento tombe sono state scavate (Biliotti, Maiuri, Iacopi), prevalentemente del tipo a camera con lungo drómos di accesso, destinate a sepolture singole, plurime o collettive. Il rito è quello dell'inumazione, salvo per rarissimi casi di ossilegi coesistenti col rito tradizionale, e da attribuire forse a schiavi o allogeni. Notevole qui la prima apparizione di oggetti di ferro nel corredo, che ha dato bellissimi vasi, monili, oggetti in pasta vitrea, utensili, armi.

Gli scavi recenti sull'antica acropoli (Maiuri, Iacopi) hanno messo in luce i resti dell'ultima ricostruzione ellenistica dell'antichissimo tempio di Atena, probabilmente un anfiprostilo tetrastilo dorico. Di esso fu recuperata la stipe più arcaica. Si sono infatti trovati resti architettonici e della decorazione fittile (antefisse a testa di Gorgone) di un tempio più arcaico, di cui esiste ancora in posto la base della statua di culto. La stipe (secoli VIII-V a. C.) comprende una ricchissima esemplificazione di oggetti che documentano, accanto alle stipi consimili di Lindo e di Camiro, la civiltà più antica e i rapporti commerciali dell'isola, aperta soprattutto verso l'Oriente, l'Egitto, la Siria, Cipro, la Ionia, ma anche verso il continente ellenico (Corinto). Sul pendio meridionale del monte fu scoperta e riattivata una fontana con prospetto monumentale dorico, risalente al sec. IV-III a. C.

Nel territorio di Ialiso furono scoperti recentemente (Iacopi) i resti del tempio di Apollo Eretimio, coi resti d'un prossimo teatro. Il tempio era probabilmente un tempio dorico in antis, che risale a circa il 400 a. C., ed è notevole per l'influenza ionica. Fra i paesi di Trianda e Cremasto, a NO. del Fileremo, gli scavi (Maiuri e Iacopi) hanno messo in luce un complesso di circa 500 tombe della necropoli arcaica di Ialiso, con ricche suppellettili, simili a quelle di Camiro.

La terza grande città, Camiro (v.), sorgente a circa 40 km. da Rodi in prossimità della costa occidentale, fu identificata con sicurezza appena negli scavi condotti dallo Iacopi, fra il 1929 e il 1933. Gli scavi condussero all'identificazione, oltre che dei resti del tempio di Atena Camirese e della relativa stipe votiva, di altri nuclei di necropoli ricchi di tombe arcaiche a camera, a cassa, a fossa, a enchytrismós (deposizione entro dolî) o a cremazione (circa 400 tombe sistematicamente esplorate), alla scoperta dell'agorà dorica di età ellenistica, di un tempio dorico e dell'agorà degli dei, con una diecina di altari. Avanzi di un própylon e delle varie cinte di mura della città, ricostruite a varie riprese in seguito a terremoti, furono anche scoperti, unitamente all'abitato arcaico e a resti di case di età bassa. Gli scavi, che si conducono attualmente, rimettono in luce tutto l'abitato compreso fra l'acropoli e la zona sacra inferiore. Fiore del bottino furono i ritrovamenti della stele fidiaca di Critò e Timarista (sec. V a. C.; vedi Grecia, XVII, tav. CLXXIX), di due torsi e due teste di koúroi arcaici marmorei (genere di scultura ancora non mai documentata a Rodi); di circa 100 iscrizioni coi fasti cronologicamente precisabili e quasi completi per i 3 ultimi secoli a. C., dei sommi magistrati camiresi, i damiurgi, e di una quantità di altre magistrature e di sacerdozî; di magnifici vasi e oreficerie.

Ricche e importanti necropoli e centri abitati furono esplorati in varie altre zone dell'isola. Citiamo il piccolo centro di Vrouliá sull'estremità meridionale dell'isola, esplorato da K. F. Kinch, e varie necropoli micenee scavate a Lelos, a Calamona, a Calavarda, ecc. Scavo notevole per la difficoltà dell'accesso quello condotto sulla vetta dell'Ataviro (Attairo), la montagna, brulla e inospite, più alta dell'isola. Vi si rinvennero tracce del santuario di Zeus Atabyrios (il cui carattere si ricollega con quello d'una divinità preellenica, caria o fenicia) e della relativa stipe votiva (bovi e zebù di bronzo, statuette, iscrizioni).

I primi prodotti artistici di Rodi sono le ceramiche di età micenea, di argilla giallo rosea, con decorazione stilizzata di motivi della fauna e flora marina, o geometrici, in bruno rossastro. Forme particolari, oltre all'anlora e all'idria, sono il cratere, il kernós, il rhytón, la brocchetta a falso eollo. La ceramica riprende uno sviluppo notevole in periodo geometrico-orientalizzante (secoli VIII-VI).

Nell'ambiente greco-orientale la ceramica geometrica rodiota rappresenta la più forte, genuina espressione dell'arte geometrica, corrispondendo in tal modo al carattere etnico dell'isola, che è dorico. Predomina la forma della brocca (oinocoe) e caratteristiche sono le piccole tazze a uccelli, ove la gustosissima semplicità decorativa si esplica in una singola figura geometrizzata di volatile su ciascun lato del vaso; queste tazzette a uccelli scendono sino al sec. VII a. C. Schemi decorativi preferiti in questa ceramica geometrica sono le losanghe quadrettate, le piccole losanghe a rete, ai cui apici sono due uncini rientranti ad angoli, i cerchi concentrici, le serie di linee a zig-zag; unico motivo animalesco è quello dell'uccello palustre. Chiaro è il collegamento di questa produzione con quella cicladica, specialmente di Tera, ma vi manca quel rivestimento di uno strato di color chiaro, che è peculiare dei vasi cicladici.

A Rodi pure si fabbricarono quei grandi píthoi per derrate, che sono comuni a Creta, all'Asia Minore, ad Atene, a Sparta, ed in cui sembra rivivere la tradizione cretese-micenea. Questi píthoi appartengono ormai alla fase orientalizzante; motivo figurato assai frequente è quello del centauro, motivo ornamentale prevalente quello della spirale.

Ma il maggiore sviluppo della ceramica rodiota è nella fase orientalizzante; i prodotti numerosi, usciti specialmente dalla inesauribile necropoli di Camiro, ma anche da località estranee all'Egeo (per es., Siracusa e Gela), sono stati giudicati da alcuni (Böhlau) come fabbricati non a Rodi, ma a Mileto, mentre non è mancato chi (Dugas) abbia ascritto tale produzione a Rodi non solo, ma alle limitrofe regioni dell'Asia Minore. Altri (Kinch) ha denominato camirese questa ceramica, classificandola in tre periodi. All'inizio della serie rodia orientalizzante si può addurre il frammento di un píthos dipinto da Camiro con la rappresentazione di due centauri di tradizione tuttora geometrizzante. Poi è la grande manifestazione della ceramica orientalizzante con le forme predominanti della oinocoe e del piatto, e con quelle meno frequenti della tazza, del cantaro, del deīnos. I vasi sono coperti da un'ingubbiatura bianca, su cui campeggiano gli ornati e le figure con uso prevalente del nero, ma anche del rosso carico per alcuni particolari o ritocchi; si constata ancora il graffito, e ciò forse sotto l'influsso corinzio. Nel repertorio decorativo prevalgono la fascia intrecciata, le baccellature, combinazioni varie a linee curve e a spirali, soprattutto la fascia a fiori di loto alternativamente aperti o chiusi; elementi schematizzati del mondo vegetale costituiscono i riempitivi. Tra gli animali la preferenza è per lo stambecco o capro selvaggio (aigokérüs) rappresentato pascente in file uniformi, monotone. Dei mostri sono effigiate la Sfinge e la Chimera. Dai vasi rodioti emana un senso di signorile eleganza per le forme snelle degli animali; per la policromia recisamente distribuita si ha l'idea più di un'opera d'intarsio o di tessitura che pittorica; mentre nell'apparente monotonia di questi vasi, assoggettati a convenzionali schemi di composizione, affiora un fresco sentimento della vita nelle svariatissime sue apparenze.

Rientrano nella produzione rodiota i vasi, specialmente tazze, a decorazione policroma su fondo nero, che si vollero (Böhlau) ascrivere a Lesbo, e che da Vrouliá, località rodia, sono stati denominati (Kinch) "ceramica di Vrouliá". La decorazione è meramente vegetale con bocci di fiori di loto, con rosette, con palmette e con trecce; l'aspetto di questi vasi è vivace ed elegante per il risalto del rosso e del giallo sul nero.

Tra il sec. VII e il sec. VI vediamo introdursi nella ceramica rodiota la figura umana. Tra i vasi rodioti a scene figurate spicca il piatto detto di Euforbo, da Camiro, ora nel British Museum ove è rappresentata la lotta tra Menelao ed Ettore sul corpo di Euforbo con accentuata policromia; ogni guerriero ha il nome scritto accanto in alfabeto argivo. Pur con l'affollarsi di riempitivi, si constata in questo vaso la tendenza a sciogliersi dai vieti soggetti e a cimentarsi con nuovi schemi figurati. Viene la decadenza, rapida, con prodotti rari; sono specialmente piatti, dal disegno fiacco, rilassato, a figure nere, con particolari graffiti.

Fabbricati a Rodi, piuttosto che, come si è creduto (Böhlau), a Samo, sarebbero i vasi del tipo detto di Fichellura (presso Camiro); sono quasi esclusivamente anfore, ad ornamentazione nera su incamiciatura bianca; la decorazione principale, con assenza quasi totale di riempitivi, è costituita da una larga fascia attorno al ventre, in cui, negli esemplari più antichi, sono figure bestiali (trampolìeri e palmipedi), in quelli più recenti vivacissime figure di corridori, danzatori, mostri fantastici; peculiare è il tipo delle teste a fronte sfuggente e con grandi occhi tagliati a forma di mandorla. Coi vasi tipo Fichellura si giunge sin quasi alla fine del sec. VI a. C.; ma sono vasi destinati evidentemente agli usi locali ed alla esportazione in luoghi vicini (Samo).

A Rodi fu pure coltivata la fabbrica di vasetti configurati, specialmente a forma di alabastra con la parte superiore a busto femminile, con un braccio ripiegato sul petto, o a forma addirittura di personaggio muliebre, o anche di ariballo a duplice testa, maschile e femminile. Alcuni alabastra furono rinvenuti in Etruria; Gela ha pure dato esempî di questi vasetti configurati, che non sono dipinti a vernice. Ma in grande maggioranza essi provengono da sepolcreti dell'isola (Camiro).

Parallelamente alla ceramica si sviluppa la coroplastica, con figure primitive via via perfezionate fino ai tipi già ionici dei balsamarî fittili a forma di Kore elegantemente panneggiata.

Anche alcuni oggetti di porcellana (statuine, scarabei) possono essere stati creati a Rodi a imitazione dei modelli egizio-fenici. Importantissime sono le oreficerie arcaiche di stile ionico-orientalizzante, lavorate a sbalzo e a filigrana. Prevalgono in queste orefieerie, insieme col motivo della πότνια ϑηῶν o dea orientale domatrice delle belve, le rappresentazioni di animali reali o fantastici (grifi, leoni, sfingi ecc.).

Durante questo periodo, Rodi importa altresì prodotti delle industrie artistiche cipriote, egizio-fenicie, corinzie, ioniche e financo cirenaiche. Sotto l'impulso di sì varie ispirazioni, gli artisti rodî elaborano nuove, più evolute forme ed espressioni artistiche.

Nel campo della scultura arcaica, Rodi è dapprima nella cerchia artistica samio-milesia, pur differenziandosene per qualche particolare. Successivamente essa cade nella sfera d'influenza attica, di cui è documento fulgidissimo la stele funeraria arieggiante l'arte fidiaca di Critò e Timarista. La fondazione della metropoli di Rodi attira nella nuova prospera città una folla d'artisti, che vi acquistano rapidamente diritto d'incolato per sé e piena cittadinanza per i figli. Lisippo crea per Rodi una grande quadriga di Elio, Carete di Lindo il famoso Colosso, Protogene dipinge per i templi di Rodi dei capolavori, e anche Briasside vi colloca cinque sue statue. Un'Afrodite recuperata dal fondo marino dimostra anche la presenza di opere di carattere prassitelico. Alle opere dei maestri forestieri, di scuola ateniese, e a quelle dello scultore aulico di Alessandro tien dietro tutta una fioritura di opere della vera e propria scuola rodia, attiva per circa tre secoli. Purtroppo pochi documenti ne rimangono, oltre a una quantità di basi di statue firmate. Emerge la figura di Filisco (v.), autore di un gruppo di Muse. È in auge ora la bronzistica, ciò che spiega anche la perdita quasi completa delle opere d'arte. Si amano le proporzioni colossali, espressione tipica dello spirito rodio abituato ad imprese vaste e a facili prosperità. A scultori rodî è da alcuni studiosi attribuita la Nike di Samotracia.

In periodo romano, l'attività artistica si sviluppa ancor più. Lavora per Rodi il bronzista Boeto di Calcedonia, il Cellini dell'antichità. Apollonio e Taurisco di Tralle vi scolpiscono il colossale gruppo del Supplizio di Dirce, conservato in una copia marmorea a Napoli (dalle Terme di Caracalla). Fra i soggetti mitologici o di genere, espressi in forme ormai ricercate e barocche, emerge finalmente un capolavoro tramandatoci, il gruppo di Atenodoro, Agesandro e Polidoro, rappresentante la morte di Laocoonte e dei suoi figli. Il gruppo, scoperto nel 1506 nelle Terme di Tito, è ora al Museo Vaticano. L'intenzione degli artisti e dei dedicanti è forse quella dell'esaltazione dell'origine di Roma, verso cui lo spirito di adulazione dei Rodî è documentato anche dalla creazione del colosso del Popolo Romano.

Altri gruppi, come quello di Menelao col corpo di Patroclo (torso del "Pasquino") o quello di Scilla, creati dalla scuola rodia si possono ancora rintracciare attraverso le repliche o ricostruire in base a frammenti e alla tradizione letteraria. Anche la scuola pittorica sembra aver continuato la produzione, nell'orbita dei motivi e delle forme del tardo ellenismo (scene della tragedia dipinte da Taurisco).

In periodo postaugusteo, l'arte rodia sembra esaurirsi nella ritrattistica, perdendo la sua originalità.

L'architettura, con predominio dell'ordine dorico (acropoli di Lindo, templi e fontana del Fileremo, tempio di Apollo Eretimio, templi urbani a Rodi) non sembra eccellere per originalità. Invece l'architettura funeraria ellenistico-romana ha prodotto varî ingegnosi adattamentì nella costruzione di monumenti ed edicole, nella decorazione dei prospetti delle tombe rupestri e negli adattamenti degl'ipogei per deposizioni generalmente plurime o collettive.

Medioevo ed età moderna. - L'odierna città di Rodi sorge nella parte inferiore e da presso al mare della vasta area altra volta occupata dalla classica Rhodos. L'abitato più fitto, racchiuso dalle mura medioevali, corrisponde alla città dei cavalieri ed ai suoi porti. Separati dalla zona dei cimiteri turco ed israelita, la circondano i sobborghi più recenti. La città cinta di mura è in gran parte tenuta tuttora dall'elemento musulmano, ad eccezione del quartiere di sud-est, abitato dagli Ebrei. E mentre i varî sobborghi di mezzogiorno servono alla popolazione greca, quelli di settentrione formano la città nuova, più propriamente italiana, in continuo e florido sviluppo: ma la popolazione italiana si estende ognor più in ogni senso.

Il nucleo originario della città murata si chiamava nell'evo medio col nome di Collachio e si raggruppava intorno alla cittadella dell'età classica Col rapido incremento urbano dovuto alla conquista dei Cavalieri, i nuovi borghi cresciuti all'infuori di quella cinta di mura, richiesero la fabbrica della più vasta cerchia fortificata, mediante la quale la storica città assunse per secoli e secoli la sua fisionomia definitiva. Entro al Collachìo, sede abituale delle varie autorità della religione e dei singoli Cavalieri, sorsero così il palazzo del granmastro, l'Ospedale dell'Ordine, i cosiddetti alberghi delle varie lingue, la chiesa conventuale, la cattedrale arcivescovile e gli altri fabbricati governativi e le dimore patrizie. Ma i borghi si arricchirono a loro volta di nuove chiese - specialmente monacali - erette in concorrenza colle vecchie cappelle del mondo ortodosso, e di una vasta rete di edifici pubblici e privati, destinati così al ceto nobile, come alla popolazione greca indigena, ed al multiforme elemento dei forestieri. Ed all'esterno dell'abitato si rassodarono i bastioni e le cortine delle mura di cinta, in un poderoso sistema fortificato, le cui estreme propaggini si spinsero a difesa del porto principale, nell'insenatura della città, e di quello del Mandracchio in una delle rade esteriori. La dominazione turca adattò la città dei Cavalieri ai propri bisogni di culto ed alle proprie esigenze di vita. Ma non vi apportò sostanziali mutamenti: negli ultimi tempi la abbandonò piuttosto alla rovina (crollo della chiesa conventuale nel 1856; rovina della torre di Naillac al porto, nel 1863). Di modo che non riuscì difficile compito al governo italiano di ripristinare l'aspetto medievale della città, evitando quasi sempre di cadere nell'eccessivo e nell'arbitrario. Oggi, ristorata nei suoi edifici monumentali, Rodi è una delle città storiche di maggiori attrattive: ché la felice positura sul mare d'Oriente, la refrigerante esposizione al soffio dei venti, la pompa dei profumati giardini prediletti dalle tortore, la gaia e decorosa signorilità dei nuovi quartieri, ne fanno un soggiorno dei più graditi.

Tra i monumenti, la chiesa conventuale dedicata a S. Giovanni, patrono dell'ordine, saltata in aria un secolo fa per lo scoppio delle polveri nei sotterranei, si sta ora esplorando nei suoi ruderi (una imitazione di essa è la nuova cattedrale in riva al mare); e il duomo di S. Maria del Castello, convertito in moschea, mostra tuttora lo schema della originaria struttura gotica. Intorno al vetusto palazzo del granmastro, ridotto a giardino, fervono le ricerche. Ma quasi totalmente ripristinato, ed adibito a museo dell'isola, è l'edificio maggiore e più caratteristico della città, l'ospedale dei Cavalieri, cominciato nel 1440, ma costruito soltanto nell'ultimo quarto del secolo, interessante non soltanto per la sua nobile architettura ma anche per il congegno delle strutture organizzate alle funzioni di edificio ospitaliero.

Fra i monumenti della strada grande e degl'immediati suoi dintorni sono variamente degni di nota gli Alberghi di Alvernia (ora Podestaria), di Francia (dal 1492 in poi), di Spagna e di Provenza (1518), l'Armeria (prima infermeria, anteriormente alla fabbrica del grande ospedale, oggigiorno sede dell'Istituto storico Fert), il palazzo che a torto si è creduto di poter identificare coll'Albergo d'Italia (ora proprietà dei Cavalieri di Malta della Lingua d'Italia) e la casa dell'ammiraglio italiano Costanzo Operti, già in rapporto forse con l'Albergo d'Italia stesso. Fuori del Collachio, vanno ricordati almeno l'edificio d'ignota destinazione diventato poi moschea di Bedestàn - dal bel portale gagginesco -, il palazżo ora del Comitato della Dante Alighieri e lo spedale di S. Caterina costruito nel 1392 per alloggio abituale dei pellegrini italiani per la Terrasanta.

Ma a perseguire gli elementi architettonici e le sculture decorative (specialmente il motivo a treccia, tipico dell'arte dei Cavalieri), le statue ed i bassorilievi, le edicole e gli stemmi marmorei, la città tutta, dal Collachio ai Borghi, è una serie quasi ininterrotta di edifici antichi, ai quali le strette viuzze piene d'ombra e di silenzio, scavalcate dai frequenti archi a reciproco contrasto, imprimono una caratteristica di indissolubile unità: e tutti li incorona di murale diadema quella vigorosa cerchia di fortificazioni, unica nella storia dell'arte militare, che, complicata e moltiplicata di antemurali e di cortine merlate e di alterni sporti di torri e di baluardi, ed incastonata di ricche porte monumentali, raggiunge dall'uno all'altro lato della terraferma gli estremi bastioni del molo.

L'arte franca nelle terre del Levante è un fenomeno storico dei più interessanti. Ma in nessun paese essa assume una fisionomia così spiccata ed originale, quale la variata compagine internazionale dell'Ordine dei Cavalieri poté conferirle in quei due secoli di dominio dal principio del Trecento al 1522. Quand'anche la città sia nella massima sua parte dovuta alla vasta opera di rifabbrica materiale e di riforma stilistica, condotta a termine dal granmastro Pietro d'Aubusson, in seguito all'assedio del 1480 e al terremoto dell'anno successivo; e sebbene delle sette lingue della religione, la preponderanza nazionale fosse segnata dalle lingue di Francia, di Alvernia e di Provenza, non per questo la fisionomia monumentale di Rodi si può considerare esclusivamente francese. Castiglia e Aragona - il che vuol dire altresì tutta l'Italia meridionale ed insulare - non potevano rimanere ultime nella nobile gara. E quanto all'Italia, se i primi apporti del Rinascimento nostro giunsero a Rodi alla vigilia della caduta della signoria dei Giovanniti, essenziale fu già prima di allora l'azione svolta dagli architetti militari italiani nelle opere di protezione della città. Nei varî periodi bellici, la difesa delle mura era affidata - per settori - ai cavalieri ddle varie lingue. La zona riservata alla tutela delle truppe italiane, fu salvaguardata con sì tenace valore, da conservare attraverso ai secoli il nome degli strenui difensori. Accanto ai monumenti di architettura - così del primo come del secondo periodo - la pratica scultoria assolse egregiamente il suo compito, soprattutto di completamento ornamentale. Quella che al contrario mancò quasi totalmente fu l'arte del colore, nelle diverse sue manifestazioni, dall'affresco, alla tavola ed alla miniatura, se si eccettuino gli scarsi prodotti della pittura bizantina di carattere sacro e di epoca quasi solamente tarda. E quanto all'altra suppellettile minore, soltanto nel campo della numismatica, della medaglistica e della sfragistica possediamo saggi di sicura datazione all'epoca dei Cavalieri, ché gli altri prodotti delle arti industriali molto probabilmente non raggiungono età così remota.

L'architettura non cessò tuttavia con la conquista di Solimano. Specialmente nei primi tempi della dominazione turca, Rodi vide rifiorire nei suoi konak e nelle sue abitazioni, nelle sue moschee e nei suoi minareti, nei suoi bagni e nelle sue fontane, nelle sue tombe e nei suoi cimiteri nobili forme e idealità d'arte che, pure appartenendo a una diversa civiltà, non furono causa di perturbazione e di dissonanza, ma al contrario introdussero un nuovo elemento di originalità e di interesse nell'edilizia rodia. La decadenza sopraggiunse solo più tardi.

Con la conquista italiana s'inizia un'era novella per la storia urbanistica di Rodi. Mentre l'attività dei restauratori si concentra intorno ai monumenti storici della città murata, una città completamente nuova e moderna è sorta e si va sviluppando rapidamente fuori della cerchia delle antiche mura.

Per tutto il resto dell'isola, l'arte paesana, uniformata ai principî generali della civiltà neoelleniea, conforma i suoi prodotti a quelli delle altre terre circonvicine, prima e dopo il dominio turco. Interessanti saggi di pittura bizantina sono offerti da parecchie romite chiesuole della campagna. E, per i secoli più vicini, non mancano gli esemplari di quello che potrebbe chiamarsi l'estremo barocco del bizantinismo, come certi farraginosi intagli in legno dorato a Trianda ed altrove. L'arte dei Cavalieri si rifugia in alcune oasi, affatto sperdute e indipendenti, sia nei varî Castelli franchi dell'isola (Cremasto, Arcangelo, Feraclo, Lindo, Monolito, Castello), sia nel santuario del Fileremo, ove - del pari che in una cappellina sulle mura di Rodi e in una sala del castello di Lindo - sono gli unici affreschi di carattere occidentale di tutta l'isola. Ma fenomeno peculiarissimo nel suo genere è costituito dall'edilizia borghese della cittadina di Lindo, le cui abitazioni, sorte nei primi secoli del dominio ottomano, presentano uno strano ma gustosissimo miscuglio delle vecchie e nuove tradizioni bizantine, accomodate ai ricordi dell'età cavalleresca, e trasformate al contatto coi modelli dell'arte anatolico-persiana importata dai Turchi. La decorazione architettonica delle facciate in pietra locale, l'ornamentazione pittorica dei soffitti e dei soppalchi in legno, il tipico motivo dei pavimenti a ciottoli variopinti e l'arredo interno contribuiscono in egual misura all'effetto complessivo. Le maioliche di stile persiano importate in massa dall'Asia minore, si conservano ancora tanto numerose ad ornamento di quelle dimore, da spiegare come abbia potuto formarsi la credenza di una fabbricazione locale di quelle ceramiche.

Musei. - Il museo archeologico di Rodi, sistemato nell'Ospedale dei Cavalieri, raccoglie i materiali provenienti dagli scavi compiuti dagli Italiani. Tutta la storia dell'isola è rappresentata nel gran numero di oggetti ospitati in sedici sale poste al primo piano del magnifico edifizio e in due magazzini del piano terreno, di cui uno contiene le iscrizioni dell'isola e l'altro proiettili e alcune bocche da fuoco dei Cavalieri. Ricchissima è la collezione dei vasi micenei di Ialiso, una delle più complete, dove si possa studiare lo svolgersi dell'arte ceramica di quell'età e assai importanti per numero e qualità sono í prodotti del periodo orientalizzante, brocche camiresi, anfore di Fichellura, tazze di Vrulià, vasi corinzî, pithoi a rilievo rodî, tre sarcofagi di tipo clazomenio, gioielli e bronzi. L'inizio della ceramica a figure nere è rappresentata da esemplari di prim'ordine, di fabbriche attiche e laconiche, e vasi notevoli documentano le importazioni attiche nel periodo successivo. Importanti per la storia delle religioni e delle arti orientali sono le stipi dei templi di Ialiso e Camiro. Copiosa è ormai la collezione di scultura, che contiene pezzi di grande valore, ed è buona documentazione dello svolgersi di quest'arte, che in Rodi ebbe una delle sue sedi più attive. All'arte arcaica appartengono due torsi e due teste, rinvenute a Camiro; della fase classica sono due stele funerarie, l'una bellissima di derivazione fidiaca, l'altra del sec. IV a. C.; al periodo ellenistico appartengono quasi tutti gli altri esemplari: teste di divinità e ritratti, rilievi votivi e funerarî, statue acefale e torsi. Eccellono fra tutti un ritratto d'ispirazione lisippea, la Venere rinvenuta nel mare, la Venere al bagno, ormai famosa sotto il nome di Venere Rodia, un grandioso, conservatissimo trofeo d'armi, quattro statue-ritratto rinvenute nell'Odeon di Coo. L'età romana è rappresentata quasi solamente da ritratti. All'età cavalleresca si riferiscono lapidi e rilievi tombali, alcuni di grande interesse, raccolti nell'austera sala dell'Infermeria, stemmi e alcuni pezzi d'artiglieria di ferro e di bronzo.

Nei cortili, nei portici, nei vaghissimi giardini, sono ordinati segni tombali antichi e medievali, decorazioni architettoniche e altri marmi di vario genere. Vi sono collocati inoltre i musaici delle chiese paleocristiane di Scarpanto. Il Museo ospita ancora una collezione anforaria, e i monetarî antico e cavalleresco. Documenti assai interessanti dell'arte locale nel periodo postcavalleresco sono raccolti nella Mostra etnografica e cioè splendidi ricami, alcuni coprenti varî metri di tessuto, i fastosi costumi delle dodici isole, i gioielli caratteristici, lavori in legno scolpito, alcuni bronzi, piatti del tipo lindio e altri oggetti casalinghi. La ricca collezione è ospitata in un'abitazione signorile di stile turco annessa al museo, e completamente restaurata.

Per il museo è d'imminente attuazione un progetto d'ampliamento, che comprende la costruzione di una loggia per le sculture, di una sala d'esposizione per i ricami e di una casa tipica paesana.

V. tavv. CXXIX-CXXXVIII.

Bibl.: Geografia: G. Jaja, L'Isola di Rodi, in Bollettino della Società geografica italiana, XLIX (1912); C. Migliorini, Geologia di Rodi, in L'agricoltura coloniale, XIX (1927); id., Notizie sulla morfologia di Rodi, in L'Universo, VI (1925); G. Gianni, Le isole italiane dell'Egeo, Firenze 1928; F. Dessy, Agricoltura nel possed. ital. delle isole egee, in Annali della Società agraria di Bologna, LX (1932); V. Buti, Dieci anni di Governo fascista nel possedimento ital. delle isole dell'Egeo, in Riv. d. Colonie ital., 1933; v. anche Bollettino Società geologica italiana, LII (1934) e la bibl. citata sotto egeo, isole italiane dell').

Storia antica: Fondamentali sono: H. v. Gelder, Geschichte der alten Rhodier, L'Aia 1900 e Fr. Hiller v. Gärtringen, Rhodos, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., supplem. V, 1928, coll. 731-840; entrambe però trascurano la storia economica. Per l'età ellenistica prezioso il capitolo di M. Rostovtzeff, Rhodes, ecc., in Cambridge Ancient History, VIII (1930), pp. 619-642. Per la costituzione cfr. anche H. Francotte, La polis grecque, Paderborn 1907, p. 103 segg. Per l'estensione territoriale dello stato, E. Meyer, Die Grenzen der hellenistischen Staaten in Kleinasien, Zurigo 1925, p. 49 segg. Può rendere ancora qualche servizio C. Torr, Rhodes in ancient times, Cambridge 1885. Questioni varie in A. Momigliano, Note sulla storia di Rodi, in Rivista di filologia class., n. s., XIV (1935). Il materiale epigrafico raccolto in Inscriptiones Graecae, XII, i (1895) va ora completato con i risultati degli scavi danesi e italiani. Per i primi cfr. Ch. Blinckenberg e K. F. Kinch, Exploration archéologique de Rhodes, in Bull. Royale Acad. de Danemark, I-IV (1903-12) e Lindiaka, ibid., I-V (1912-1926)); in particolare per la cronaca di Lindo, oltre all'ed. in Exploration cit., VI (1912), la seconda ediz. in Kleine Texte di A. Lietzmann, Bonn 1915; per i secondi, A. Maiuri, Nuova silloge epigrafica di Rodi e Cos, Firenze 1925 (con le recensioni di G. De Sanctis, in Rivista di filologia class., n. s., IV, 1925, p. 57 segg. e F. Hiller, in Gnomon, II, 1926, p. 103 segg.). V. inoltre i volumi I-V dell'Annuario della R. Scuola archeologica di Atene (1914-24), e si tenga presente la scelta di iscrizioni in Collitz-Bechtel, Sammlung der griechische Dialektinschriften, Gottinga 1884 segg., III, i, nn. 3749-4351.

Scavi e topografia nell'antichità: H. van Gelder, Geschichte der alten Rhodier, cit.; A. Maiuri, Rodi, Milano 1921; A. Maiuri e G. Jacopi, Rapporto generale sul servizio archeologico a Rodi e nelle isole dipendenti dall'anno 1912 all'anno 1927, in "Clara Rhodos", Studi e materiali pubblicati a cura dell'Istituto storico archeologico di Rodi FERT, I (1928); id., Monumenti di scultura del Museo archeologico di Rodi, ibid., II e V (1929-32); G. Jacopi, Il tempio e il teatro di Apollo Eretimio. Nuova silloge d'iscrizioni, ibid., II (1929); id., Scavi nella necropoli di Ialiso, ibid., III (1929-30); id., Esplorazione archeologica di Camiro, I, ibid., IV (1931); id., Scavi nelle necropoli camiresi, ibid., IV (1931); id., Esplorazione archeologica di Camiro, II; Scavi nella necropoli di Rodi, ibid., VI-VII (1933-34); id., Guida dello Spedale dei Cavalieri e del Museo archeologico di Rodi, Roma 1932; id., Corpus Vasorum, Rodi, I e II, Roma 1931 e 1934; id., Rodi, Roma 1932; id., Corpus Vasorum, Rodi, I e II, Roma 1931 e 1934; id., Rodi, Bergamo 1933; K.F. Kinch, Fouilles de Vroulia, Berlino 1914; C. Blinckenberg, Lindos, I: Les petits objets, Berlino 1931; K. F. Kinch e M. Nilsson, Explor. arch. de Rhodes, in Bull. Soc. Royale de Danemark, Copenaghen 1903-1907; A. Salzmann, Nécropole de Camiros, Parigi 1875, ecc.; vedi anche lindo.

Per i vasi rodioti: J. Boehlau, Aus jonischen und italischen Nekropolen, Lipsia 1898; P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1923, pp. 68 segg., 89 segg., 151 segg., 171 segg., 502; C. Dugas, in Bulletin de correspondance hellénique, XXIV (1912), p. 945 segg.; K. F. Kinch, Fouilles de Vroulia, cit.; G. Perrot e Ch. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, IX, Parigi 1911, p. 413 segg.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, I, Monaco 1923, pp. 91 segg., 137 segg., 148 segg., 155 segg.; E. Pottier, Catalogue de vases antiques de terre-cuite, I, Parigi 1896, p. 135 segg.

Storia medievale e moderna: Per la storia generale e per il periodo medievale (oltre alle opere di Hopf, W. Heyd, Miller); E. Biliotti e Cotrett, L'île de Rhodes, Rodi 1881; C. Torr, Rhodes in modern times, Cambridge 1887; F. de Belabre, Rhodes of the Knights, Oxford 1908; G. Sommi Picenardi, Itinéraire d'un chevalier de Saint Jean dans l'île de Rhodes, Roma 1900; A. Maiuri, Rodi, I, ivi 1921; G. Gerola, I monumenti medioevali delle tredici Sporadi, in Ann. Scuola arch. di Atene, 1915; Tryphon Evangelidis, ‛Ροδιακά, Rodi 1917; J. Delaville le Roulx, Les Hospitaliers à Rhodes (1310-1421), Parigi 1913; A. Gabriel, La cité de Rhodes, voll. 2, in-fol., Parigi 1921-23; G. Gianni, Le isole italiane dell'Egeo, Firenze 1928; A. Giannini, Le Isole italiane dell'Egeo, in Oriente moderno, 1932, e in L'ultima fase della Questione Orientale, Roma 1933; G. Stefanini e A. Desio, Le colonie, Rodi e le isole italiane nell'Egeo, Torino 1928; Guida d'Italia del T. C. I., Isole Egee, in Possedimenti e colonie, Milano 1929, pp. 17-169; G. Jacopi, Rodi, Bergamo 1933; S. Zervos, Rhodes, Capitale du Dodecannèse, Parigi 1920; E. Rossi, Storia della marina dell'ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, Roma 1926; R. Valentini, Redazioni italiane quattrocentesche di statuti della religione gioannita, in Arch. Melitense, IX (1933); Zīwer, Radūs Ta'rīkhi (in turco), Rodi 1898-1899; G. Gerola, Il contributo dell'Italia alle opere d'arte militare rodiesi, in Atti del R. Ist. ven., LXXXIX (1930); E. Rossi, Assedio e conquista di Rodi nel 1522 secondo le relazioni ed. e ined. dei Turchi, Roma 1927; B. Pace, Il regime giuridico del Dodecanneso, in Rassegna italiana (1927); Alhadeff, L'ordinamento giuridico di Rodi e delle altre isole italiane dell'Egeo, Milano 1927; S. Zervos, La question du Dodecannèse, Atene 1927. Del resto si vedano le due opere di bibliografia generale: F. Di Hellwald, Bibliographie méthodique de l'Ordre de Saint Jean de Jérusalem, Roma 1885; E. Rossi, Aggiunte alla "Bibliographie de Hellwald", Roma 1924.

Arte medievale: Alcune monografie anteriori al dominio italiano sono di particolare importanza, perché tramandano il ricordo anche grafico di monumenti oggi modificati o distrutti: B. E. A. Rottiers, Description des monuments de Rhodes, Bruxelles 1828-30; V. Guérin, Voyage dans l'île de Rhodes, Parigi 1856, 2ª ed., ivi 1880; A. Berg, Die Insel Rhodus, Brunswick 1862; E. Biliotti e Cotrett, L'île de Rhodes, cit.; C. Torr, Rhodes in modern times, cit.; G. Sommi Picenardi, Itinéraire d'un chevalier de Saint Jean dans l'île de Rhodes, cit.; F. de Belabre, Rhodes of the Knights, cit.; E. Flandin, L'isola di Rodi, Milano 1912 (dall'edizione francese del 1862); a cui si può aggiungere il manoscritto illustrato di: J. Hagenberg, Geschichte der Insel Rhodos, 1854, acquistato da G. Sommi Picenardi citato.

Del resto tutta la bibliorafia precedente si trova elencata anche in G. Gerola, I monumenti medioevali delle Tredici Sporadi, in Annuario della R. Scuola archeologica in Atene, I (1914), pp. 169-356; II (1916), pp. 1-101.

Vedi inoltre: A. Maiuri, Lavori della missione archeologica italiana a Rodi, ibid., II (1916), pp. 271-284; id., ibid., III (1916-20), pp. 252-259; id., ibid., VI-VII (1923-24), pp. 83-341; id., in Atene e Roma., s. 2ª, anno II, fasc. 4-6; id., in Boll.d'arte, III e IV (1923 e 1925), pp. 329-335; A. Gabriel, La cité de Rhodes, cit. (opera fondamentale); G. Gerola, Le tradizioni italiane nel Dodecanneso, in Rassegna italiana del Mediterraneo (1922); A. Maiuri, Rodi, Roma 1922: id., L'arte e i monumenti di Rodi, in Illustrazione italiana (numero di Natale), Milano 1926; id., Monumenti d'arte dei cavalieri Gerosolimitani a Rodi, in "Clara Rhodos", I (1928), (con nuova appendice bibliografica); Guida d'Italia del T. C. I.: Possedimenti e colonie, Milano 1929; H. Balducci, Orme del rinascimento italiano in Rodi, Pavia 1931.

Riguardano l'arte turca a Rodi: H. Balducci, Architettura turca in Rodi, Milano 1932; E. Rossi, L'iscrizione ottomana in persiano sul bastione della torre di S. Maria Rodi, in Annuario della R. Scuola archeologica di Atene, VIII-IX (1925-26), pp. 341-344; G. Jacopi, Il bagno di Solimano a Rodi, in Dedalo, XI (1930); V. Strumza, Il "tecchè" di Murad Reis a Rodi, in Riv. colonie it., VIII (1934).

Per la Rodi contemporanea: V. Buti, L'opera dell'Italia a Rodi in Illustrazione italiana (numero di Natale), Milano 1926.

Trattano di singoli monumenti: G. Gerola, Il contributo dell'Italia alle opere d'arte militare rodiesi, in Atti del R. Istituto veneto, LXXXIX (1929-1930), pp. 1015-1027; id., Il restauro dello Spedale dei Cavalieri in Rodi, in L'Arte, XVII (1914), pp. 333-60; G. Portigliotti, L'Ospedale dei Cavalieri di Rodi, in Illustrazione medica italiana, 1920; A. Maiuri, L'Ospedale dei Cavalieri di Rodi, in Illustrazione medica italiana, 1920; A. Maiuri, L'Ospedale dei Cavalieri a Rodi, in Boll. d'arte, I (1921-22), pp. 211-226; id., Il restauro dell'Albergo d'Italia a Rodi, ibid., s. 1ª, X (1916), pp. 129-46; id., Guida dello Spedale dei Cavalieri, cit.; H. Balducci, La casa dell'ammiraglio fra Costanzo Operti in Rodi, in Ticinum, III (1933).

Per gli altri monumenti dell'isola: Ministero della P. I., Elenco degli edifici monumentali, LXXI, Roma 1923; G. Jacopi, L'iconostasio di Trianda, in Architettura e arti decorative, VIII (1928-29), pp. 145-54; G. Schlumberger, Fresques du XIVe siècle d'un caveau funéraire de Phileremos, in Monuments et mémoires de la fondation Piot, XIX (1911); H. Balducci, Il santuario sul Fileremo presso Rodi, Pavia 1931; A. Maiuri, Architettura paesana a Rodi, la casa di Lindo, in Architettura e arti decorative, III (1923-24), pp. 392-409; M. Montesanto, La città sacra, Lindo, Roma 1930; id., Arte e tradizione intorno all'ara di Athena Lindia, in Illustrazione italiana, LVIII (1931); id., Le ceramiche di Lindo, in Rivista delle colonie italiane, III (1929). (Cfr. pure L'artista moderno, 1931).

Per il Museo in genere e per opere di scultura in particolare, si veda: G. Jacopi, Il museo archeologico di Rodi, in "Clara Rhodos", I (1927); id., Monumenti di scultura del Museo di Rodi, ibid., V (1932); id., Guida dello Spedale e del Museo, cit.; G. Gerola, Le tombe di Granmastri di Rodi, in Atti del X Congresso interazionale di storia dell'arte, Roma 1921; G. B. Cervellini, Le vecchie artiglierie di Rodi, in Secolo XX, 1925.

Sulla numismatica e sfragistica rodiese v. alcuni scritti di N. Papadopoli-Aldobrandini (1910 e 1915), e di G. Gerola (1926). Sull'araldica: due articoli di G. Gerola, in Riv. del Collegio araldico, XI, XII, XIII (1913-1925). Sulla popolaresca: G. Gerola, I costumi muliebri nelle Tredici Sporadi, in Emporium, 1913; A. Maiuri, L'arte del legno e dei ricami nell'isola di Rodi, in Dedalo, IV (1923-24), pp. 628-45; G. Jacopi, La mostra etnografica del Museo archeologico di Rodi, in Illustrazione italiana, LVI (1929); M. Montesanto, Il ricamo nelle Sporadi meridionali, in Dedalo, XI (1930); id., Costumi e gioielli del Dodecanneso, ibid., XII (1932); A. A. Bernardy, Arti popolari nelle isole italiane dell'Egeo, in Lares, IV (1933).