MICHELI, Romano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MICHELI, Romano . – N

Saverio Franchi

acque a Roma verso il 1575, giacché nel 1650 si dichiarava in età di 75 anni. Nulla è noto della sua famiglia e della sua infanzia; che Roma fosse la sua città natale risulta non solo dal costante appellativo «romano» apposto al suo nome e cognome nelle edizioni delle opere, ma in forma esplicita nel Virtuoso manifesto edito nel 1624. Come dichiarò in un opuscolo (Alli molt’illustri … musici della Cappella di N.S., Venetia 1618), suoi maestri di contrappunto furono F. Soriano e G.M. Nanino (che era stato maestro di Soriano) e soprattutto con il primo ebbe uno stretto rapporto. Temperamento polemico e ambizioso, ebbe incarichi di maestro di cappella solo per brevi periodi; i soggiorni in diverse città italiane e soprattutto le numerose pubblicazioni stampate a sue spese suggeriscono una condizione economicamente agiata.

Gran parte delle sue vicende biografiche è ricavabile dai preliminari delle sue opere. Nel 1593 era al servizio del «duca di San Giovanni e conte di Camerata» (Avviso ai lettori, in Musica vaga et artificiosa, Venetia 1615), da identificare con un nobile siciliano legato ai Colonna, Girolamo Branciforte, che fu patrono del compositore S. Raval. Branciforte lasciò Roma nel 1594. Tra il 1596 e il 1598 il M. fu a Napoli, al servizio del principe di Venosa C. Gesualdo (Dixon, 1985), dove conobbe M. Effrem e altri madrigalisti. Fu chierico, poi sacerdote (ordinato tra il 1611 e il 1614). Nel giugno 1609 fu nominato maestro di cappella della cattedrale di Tivoli; l’incarico gli fu dato dal capitolo su raccomandazione di Soriano, all’epoca maestro di cappella di S. Pietro in Vaticano. Subito il M. provvide ad arricchire il repertorio di quella cappella con opere recenti di scuola romana, ma poi trascurò il servizio, fu accusato di «mal portamento» e tollerato solo per i buoni uffici di Soriano (Radiciotti). All’inizio del 1610 il capitolo gli pose condizioni ch’egli rifiutò, abbandonando il servizio (31 genn. 1610). Di pochi mesi dopo è la sua prima opera a stampa (Psalmi ad officium Vesperarum, Romae 1610), dedicata al cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano, che si trovava a Roma per la canonizzazione di suo cugino, Carlo Borromeo. Sembra probabile che il M. abbia seguito il cardinale a Milano, dove di certo dimorò fino al 1613 e dove conobbe il maestro di cappella del duomo, G.C. Gabussi, e l’organista C. Borgo, autori da lui elogiati (Musica vaga et artificiosa). A Lodi incontrò P.M. Marsolo, altro autore citato come suo modello per aver rielaborato in forma polifonica e «artificiosa» melodie d’altri (ibid.). Un soggiorno a Ferrara (dove conobbe L. Luzzaschi e altri) va collocato intorno al 1605, se non già nel 1596; un incontro a Bologna con A. Banchieri, con il quale rimase in corrispondenza, va forse posto subito prima del periodo veneziano.

A Venezia era certamente nel 1614; l’anno dopo vi pubblicò un nuovo libro di salmi e una raccolta di mottetti e canoni nello stile del suo maestro Soriano; la dedica dei salmi a tre patrizi veneziani, procuratori di S. Marco, era un atto di riconoscenza per essere stato assunto nella basilica come maestro di canto: il suo servizio è documentato dal 25 luglio 1614 (Fabbri). Nella citata raccolta di mottetti (Musica vaga …) sviluppò canoni di dodici compositori veneziani del tempo, tra cui quelli con le maggiori cariche in S. Marco, a eccezione del maestro di cappella (C. Monteverdi). Dal 1616 fu maestro di cappella della cattedrale S. Stefano di Concordia Sagittaria, dove mantenne rapporti con Aquileia, dal cui patriarcato Concordia Sagittaria dipendeva; dedicando la sua Compieta, op. 4 (Venezia 1616) ai canonici di Aquileia, se ne assicurò il favore e ottenne un posto di beneficiato in quella basilica (1618), dove si occupò dell’attività musicale. Ma la sua attenzione era sempre rivolta verso Roma, da lui ritenuta sede della scuola «più eccellente nella musica» (Alli molt’illustri …).

Per procurarvisi stima e incarichi iniziò a pubblicare opuscoli e fogli volanti con «avvisi» e canoni di sua invenzione: così nel 1618 si rivolse ai cantori pontifici, tra i quali contava sulla stima di R. Giovannelli e T. Gargari, esibendo loro un canone a 12 voci su due soggetti di A. Willaert datigli a prova dal cantore veneziano L. Grani; l’anno successivo inviò al suo maestro Soriano e all’organista di S. Pietro G. Frescobaldi un canone basato su un soggetto di G.P. Cima (probabilmente da lui conosciuto a Milano). Compose una messa a 10 voci (rimasta inedita) in cui il contrappunto era sottoposto a dieci «obblighi», illustrati in un altro opuscolo (Venezia 1619), con il quale si rivolse al cardinal nipote S. Borghese Caffarelli; in merito a questi «obblighi» sostenne un confronto con un abile compositore d’area romana, A. Antonelli, all’epoca maestro di cappella del Gesù e del seminario romano: Antonelli gli scrisse e il M. gli rispose in un opuscolo a stampa (Copia di lettera, ibid. 1621); riportò le osservazioni di Antonelli e la sua replica anche in un altro risoluto scritto (Certezza d’artificii musicali, ibid. 1621); nel frattempo Antonelli era morto.

Il M. allora tornò a Roma con la sicurezza di prendere il posto di Antonelli, che invece toccò al giovane A. Anselmi, nipote dell’influente cantore pontificio V. De Grandis. Prima della conclusione della vicenda il M. fece stampare un suo artificioso Madrigale a sei voci in canone (Roma 1621), dedicandolo al cardinale L. Ludovisi, nipote del neoeletto Gregorio XV, sorta di dimostrazione «del lume, che Dio m’hà dato nella professione della musica» come orgogliosamente scrisse nella dedicatoria; vi aggiunse un Avviso a tutti li signori musici di Roma, che come i precedenti aveva un tono quasi di sfida, rendendogli difficili i rapporti con i musicisti e le istituzioni. Mentre Anselmi passava nel 1623 a S. Luigi de’ Francesi, il M. ribadiva le proprie capacità nel Virtuoso manifesto sopra li più dotti studi della musica (ibid. 1624).

Nello stesso anno fu pubblicata una raccolta di salmi di De Grandis, divenuto maestro pro tempore della cappella pontificia per il favore del nuovo cardinal nipote F. Barberini, raccolta che l’anno dopo subì feroci critiche in un’edizione in partitura stampata a Venezia a nome di un inesistente Filippo Kesperle; secondo una recente ipotesi (cfr. The New Grove Dict., VII, p. 137 e Franchi, p. 485), si trattava del M., il cui livore contro De Grandis si sfogò rilevandone gli errori (censure considerate «miserabili sofisticherie» da Gaspari) e lamentando «che in cotesta Cappella Pontificia sia del tutto estinta la vera maniera del comporre» (cfr. Franchi, p. 485). Copie dell’opuscolo di Kesperle «furono dispensate [...] a tutto il collegio di detta cappella» (Pitoni), anche allo stesso De Grandis, che non pubblicherà più nulla e che non sarà più sostenuto dal cardinale Barberini.

Il discredito dello zio ricadde su Anselmi, licenziato nel marzo 1625; al suo posto maestro di cappella di S. Luigi de’ Francesi divenne il M., la cui nomina fu ottenuta dall’ambasciatore sabaudo, per volontà del cardinale Maurizio di Savoia, «protettore» della Francia nel S. Collegio. Preso servizio il 15 marzo, il M. visse una fase fortunata, lavorando per l’Arciconfraternita della Trinità dei pellegrini (il 25 maggio diresse le musiche per la festa), ottenendo accesso presso Urbano VIII e dedicandogli una composizione canonica a 20 voci (Dialogus Annuntiationis, Romae 1625), visitando i cantori pontifici per presentare loro il proprio lavoro (25 luglio) ed essendone ricevuto, almeno in apparenza, con cortesia e stima. Ma poco dopo i cantori del papa accolsero con maggior calore un altro contrappuntista, P. Agostini, che mostrò loro un volume di messe ancora in bozze (14 settembre); il favore della cappella pontificia fu determinante per la sua nomina a maestro di S. Pietro. Forse per invidia, il M. segnalò al papa alcuni «difetti et errori» di Agostini (peraltro da lui stimato), che si affrettò a far distruggere l’intera edizione e pubblicò poi le messe in partitura (cfr. Casimiri, p. 239; Franchi, p. 529).

A S. Luigi il servizio del M. durò poco: l’ultima ricevuta è del 31 genn. 1627; subito dopo gli subentrò C. De Rossi. Tra le pratiche musicali dal M. giudicate negative, era invalso l’uso dei castrati, con conseguente decadenza dei pueri cantus, al cui insegnamento si dedicò a lungo, ideando un metodo (già annunciato nel Virtuoso manifesto del 1624) per far cantare qualsiasi parte di soprano a un bambino di dieci anni dopo soli tre mesi di lezioni. Questo metodo (Nuova, e facile maniera d’imparare a cantare perfettamente in breve tempo) fu di nuovo illustrato nel Virtuoso aviso sopra li più dotti studi della musica (Roma 1633). Una nuova serie di canoni figura negli Specimina musices magis reconditae, op. 5 (ibid. 1633), dedicata all’ambasciatore straordinario di Francia Charles de Créquy, nella vana speranza di riavere il posto a S. Luigi.

Nel 1636 il M. visse a Napoli, dove aveva un canonicato; anche in quella città lanciò la propria sfida ai musicisti con un Virtuoso et publico invito (Napoli 1636) e pubblicizzò il proprio metodo d’insegnamento del canto (Virtuoso avviso, ibid. 1636). Nel gennaio 1644 era di nuovo a Roma, da dove, essendo morto C. Monteverdi, si propose per il posto di maestro di cappella di S. Marco a Venezia; ma non sostenne con vigore la propria candidatura, che fu lasciata cadere (Arnold). Poco dopo pubblicò i canoni Vivit Deus, op. 6 (Roma 1644), dedicati al marchese di Saint-Chamond ambasciatore di Francia nel desiderio di essere richiamato a S. Luigi, dove invece sarà nominato S. Fabri. Era intanto morto Urbano VIII, per cui venne meno il mecenatismo dei Barberini, volto a quelle musiche di gusto brillante e moderno che il M. disprezzava.

Così nel novembre dello stesso 1644 il M. presentò un memoriale al nuovo papa, Innocenzo X, «per riparare alla distruttione della musica»; in esso muoveva gravi accuse di decadenza musicale e dottrinale alla cappella pontificia, rievocava le polemiche già sostenute, dava del «musico ordinario» a Fabri e giudicava «di cattiva voce» il famoso cantore pontificio G. Allegri. Gli argomenti più rilevanti del memoriale riguardano l’abbandono generale della composizione «artificiosa», la continua presenza dei cantori del papa nelle chiese a fare musiche «ad uso di canzonette, e balletti con molto scandalo del popolo», la decadenza dell’insegnamento musicale; il M. concludeva con la richiesta di essere nominato compositore della cappella pontificia dato il proprio «talento non ordinario» (Casimiri, pp. 237-245).

Poiché il memoriale non sortì gli effetti sperati (neppure la più modesta richiesta di un canonicato fu soddisfatta), il M. proseguì a pubblicare canoni e fogli esplicativi sulla sua tecnica fino all’età di 80 anni e oltre. Nel 1645 intervenne nella disputa tra M. Scacchi, maestro della cappella reale di Polonia, e P. Siefert; poiché quest’ultimo aveva sostenuto che tutta la musica italiana consisteva in «comedie, ariette, canzonette» e altre bagatelle (Anticribratio musica, Danzica 1645), il M. inviò ai contendenti la sua nuova raccolta di Canoni musicali composti sopra le vocali di più parole (Roma 1645), genere di cui si dichiarava inventore; ma Scacchi, pur difeso dal M., ne prese le distanze in uno scritto edito a Varsavia nel 1649 (Breve discorso sopra la musica moderna), sostenendo che quel tipo di canoni era d’invenzione antica. Poiché la disputa aveva messo a rumore gli ambienti musicali tedeschi e polacchi, il M. volle replicare a Scacchi sia in un Avviso (Roma 1650), sia pubblicando il canone In honore del Nome di Giesu e di Maria (ibid. 1652).

I soggetti dei canoni super vocalibus erano «cavati» dalle sillabe del motto che si cantava, secondo la coincidenza delle vocali del motto con quelle delle note. Se predilesse quel tipo, da lui praticato già in gioventù, il M. compose anche canoni d’altro genere, e si dedicò, seguendo l’esempio di Soriano, a contrappunti vincolati a restrizioni e regole («obblighi»). In questo campo egli, insieme con P.F. Valentini, era molto apprezzato: nel 1650, pubblicando il gran trattato della Musurgia universalis, A. Kircher volle porre nel frontespizio un Canon angelicus 36 vocum del M. (edito negli Specimina del 1633), che figura cantato da una rosa angelica sulle parole del Sanctus. Già in precedenza grande stima avevano avuto per lui teorici come G.B. Doni e compositori come V. Mazzocchi; in seguito A. Berardi pubblicò il suo Madrigale del 1621 come modello canonico.

A ottant’anni il M. salutò Fabio Chigi, neoeletto papa con il nome di Alessandro VII, dedicandogli il canone a dodici voci Hic finis (Roma 1655); tre anni dopo, in Virtutes theologales (ibid. 1658), diceva di essere «à primatibus musicis compositoribus Europae, & literis, & vivis vocibus approbatus», annunciando di aver donato i propri scritti e le proprie composizioni al monastero agostiniano di Roma, nella cui Biblioteca Angelica furono conservate per secoli; quelle a stampa passarono nel 1873 alla Biblioteca del Conservatorio di S. Cecilia.

Il M. morì a Roma nel 1659 o 1660, a oltre 84 anni d’età.

Un esatto elenco delle sue composizioni e dei suoi scritti è dato da C.M. Atkinson e N. O’Regan in The New Grove Dictionary, cui si rinvia; vanno aggiunti il Memoriale a Innocenzo X del novembre 1644 (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 5370, cc. 155-158) e le composizioni inedite citate nel Virtuoso manifesto del 1624: «Hinni per li vesperi in canoni a quattro voci; Cantilene a quattro in Canoni di una sola modulatione, nella quale si contengono li contrarij e li riversi movimenti reali; Messa a dieci voci con venti oblighi, in dui chori divisa, da cantarsi & in cappella, & in concerto; venti canoni, ciascheduno di diverso artificio di una o più modulationi a 3. 4. 5. 6. 7. 8. 10. e 12. voci composti sopra le vocali di più parole». Perduta è un’opera degli ultimi anni, intitolata La potestà pontificia diretta dalla Santissima Trinità; era tutta formata di canoni a 3-6 voci sopra le vocali, in polemica con Scacchi, cui era rivolta nel fine «una eruditissima e trionfante risposta» (Baini).

L’idea del M. sulla musica era precisa: essa può essere «sciolta», cioè destinata all’esecuzione, o «artificiosa», frutto di studio. Gli artifici potevano essere usati anche nella musica pratica, come il M. stesso fece nelle sue opere a stampa. Rievocando una conversazione di molti anni prima con Agostini (Avviso inviato ... col foglio reale, Roma 1650), ne riportò il giudizio secondo il quale «l’opere sciolte delli professori che fabbricano canoni sono disgustevoli», confutandolo con il parere di un musicista del tutto pratico, G.B. Ferrini detto «della Spinetta», organista della chiesa Nuova: dopo una esecuzione dei Salmi del M., Ferrini si meravigliò della bellezza della musica («non credevo mentre lei attende agli artificij, che componesse così vago»). Perciò il titolo della raccolta pubblicata nel 1615 (Musica vaga et artificiosa) sembra programmatico. Il primato degli studi musicali più «dotti» o più «reconditi» gli sembrava indiscutibile; se una novità come il basso continuo fu da lui bene accetta, del tutto banali, se non risibili, gli parvero le «ariette e canzonette» del nuovo gusto monodico. Il Dialogus Annuntiationis, da lui composto al tempo del nascente oratorio, è una conferma «singolare ed esemplare» della sua profonda ostilità per «il dilagare della monodia a spese del contrappunto» (Morelli), talché ogni personaggio vi si esprime in canoni polifonici. In queste posizioni la coerenza del M. fu ferrea per tutta la vita, a costo di sembrare un sorpassato; l’animosità dei suoi scritti rivela la forza delle sue convinzioni e ne traccia il ritratto di un artista insolito per la sua epoca, un «künstlerisch Individualist» (Lamla, 2004, p. 394). Se ciò lo rende interessante, le sue «ingegnose strutture imitative» sono solo a volte «genialmente sperimentali», mentre spesso si tratta di «giochi mentali più enigmistici che musicali, e quindi scarsamente suscettibili d’impiego nella concreta attività compositiva» (Franchi, p. 859); perciò sul piano storico egli è oggi considerato un «reactionary composer», volto «to keep alive the academics aspect of the style», sfociando in «exercises in ingenuity» (Dixon, 1991).

Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca Angelica, Mss., 500 (raccolta di musiche, scritti e documenti, con lettere al M. di teorici, musicisti e mecenati, tra cui C. Förster, M. Mersenne, G.M. Trabaci, G.F. Sances); G.B. Doni, Annotazioni sopra il Compendio de’ generi e dei modi della musica, Roma 1640, p. 395; A. Berardi, Arcani musicali, Bologna 1690, c. 14; G.O. Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica [1713], a cura di C. Ruini, Firenze 1988, p. 293; G. Baini, Memorie storico-critiche della vita e delle opere di G. Pierluigi da Palestrina, Roma 1828, II, p. 34; G. Gaspari, Catalogo della Biblioteca musicale G.B. Martini di Bologna, II, Bologna 1892, pp. 238 s.; G. Radiciotti, L’arte musicale in Tivoli, Tivoli 1921, pp. 59 s.; R. Casimiri, R. M. e la Cappella Sistina del suo tempo, in Note d’archivio per la storia musicale, III (1926), pp. 233-245; G. Vale, Vita musicale nella chiesa metropolitana di Aquileia, ibid., IX (1932), pp. 213 s.; Id., Memorie musicali della cattedrale di Concordia, ibid., X (1933), p. 133; D. Arnold, The Monteverdian succession at St. Mark’s, in Music and letters, XLII (1961), pp. 205-211; H.E. Smither, R. M.’s «Dialogus Annuntiationis» (1625): a twenty-voice canon with thirty «obblighi», in Analecta musicologica, V (1968), pp. 34-91; C.V. Palisca, M. Scacchi’s Defense of modern music (1649), in Word and music: the scholar’s view ... in honor of A. Tillman, a cura di L. Berman, Cambridge, MA, 1972, pp. 189-235; J. Lionnet, Una svolta nella storia del Collegio dei cantori pontifici ..., in Nuova Rivista musicale italiana, XVII (1983), p. 75; Id., La musique à Saint-Louis des Français de Rome au XVIIe siècle, in Note d’archivio per la storia musicale, n.s., III (1985), suppl., pp. 48-50, 74 s.; G. Dixon, R. M. and Naples: the documentation of a sixty-year relationship, in La musica a Napoli durante il Seicento, Napoli 1985, pp. 555-565; P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, pp. 346, 380; A. Morelli, scheda per il Dialogus Annuntiationis, in Cinque secoli di stampa musicale in Europa, Napoli 1985, p. 71; G. Dixon, Tradition and progress in Roman mass setting after Palestrina, in Atti del II Convegno internazionale di studi palestriniani, Palestrina … 1986, a cura di L. Bianchi - G. Rostirolla, Palestrina 1991, p. 315; N. O’Regan, Institutional patronage in post-Tridentine Rome. Music at Santissima Trinità dei Pellegrini, 1550-1650, London 1995, pp. 46, 107; M. Lamla, P.F. Valentini, R. M., S. Naldini und der Grabstein der päpstlichen Sänger, in Analecta musicologica, XXX (1998), pp. 115-144; Id., R. M.: Zwang und Drang zur Selbstdarstellung, ibid., XXXIII (2004), pp. 393-412; S. Klotz, Kombinatorik und die Verbindungskünste der Zeichen in der Musik zwischen 1630 und 1780, Berlin 2005, pp. 21, 23 s., 27 s.; S. Franchi, Annali della stampa musicale romana dei secoli XVI-XVIII, I, i, Roma 2006, pp. 98-101, 415-417, 485, 510-512, 529, 702-705, 856-864, 944-946; The New Grove Dict. of music and musicians, VII, p. 137; XVI, pp. 597 s.

S. Franchi

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