DELLA TOSA, Rossellino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TOSA, Rossellino

Massimo Tarassi

Nacque a Firenze intorno al 1260 dal cavaliere Arrigo, membro influente dei Consigli cittadini e podestà in varie città della Toscana: a San Gimignano nel 1273, a San Miniato nel 1283, a Colle Vai d'Elsa nel 1296.

Esponente del guelfismo nero, il D. è ricordato, tra l'altro, come marito di Piccarda Donati, che Dante pose tra i beati (Paradiso, III, vv. 34 ss.), poiché fu sottratta dal fratello Corso, il futuro capo della fazione nera, alla pace del convento delle suore di Monticelli (forse nel 1285 o nel 1288) e costretta, contro la sua volontà, alle nozze. Secondo la tradizione, Piccarda si ammalò gravemente subito dopo il matrimonio, finendo i suoi giorni di lì a poco. Non può essere identificato con il D., invece, il Rossellino protagonista di una novella del Sacchetti (Il Trecentonovelle, nov. 126), divenuto padre a ottant'anni e per questo beffeggiato da papa Bonifacio VIII, che mise in dubbio la sua paternità. All'epoca il D. non avrebbe avuto più di quarant'anni, per cui è lecito individuare nel personaggio in questione lo zio Rosso, fratello del padre Arrigo.

La carriera politica del D. iniziò nel 1291, quando fu nominato podestà i Montemurlo, vicino a Prato; ma in quegli anni, al pari di molti dei suoi familiari, si distinse più come violento esponente della classe magnatizia che come uomo politico. Nei primi mesi del 1293, subito dopo la promulgazione degli ordinamenti di giustizia voluti da Giano Della Bella e dai popolani per espellere i magnati dal potere cittadino, egli si rese protagonista, con i parenti Baldo e Odaldo Della Tosa e su istigazione dello zio Rosso, di una aggressione armata contro il cavaliere Gozzo Adimari e suo figlio Filigno. Questo atto di violenza, perpetrato ai danni di una famiglia tradizionalmente nemica, con cui i Della Tosa avrebbero stipulato un'effimera pacificazione nel 1295, violava le rigorose disposizioni della nuova legislazione popolare e per questa ragione, nel marzo 1294, tutti i Della Tosa implicati nel fatto di sangue vennero processati e condannati. Nel frattempo, però, il D. era stato chiamato a reggere la podesteria di Faenza, tra il settembre 1293 e il febbraio 1294, grazie all'appoggio di un altro autorevole esponente della famiglia, Lottieri Della Tosa, vescovo della città romagnola dal 1287. Al suo rientro in città, oltre a subire il processo per l'aggressione agli Adimari, venne colpito da altri provvedimenti antimagnatizi riguardanti l'amministrazione di fondazioni religiose, oggetto di abusi inveterati da parte dell'oligarchia guelfa. Il D. e il suo parente Odaldo, che figuravano come amministratori dell'ospedale di S. Sebio, dovettero rinunciare ai fondi di quest'antica istituzione, dei quali si erano impossessati illecitamente.

Anche dopo la cacciata di Giano Della Bella, nel 1295, quando il governo di Firenze tornò saldamente in mano agli esponenti della ricca borghesia mercantile, i magnati rimasero esclusi dal priorato delle arti. I personaggi del loro rango continuarono però a ricevere prestigiosi incarichi esterni, come lo stesso D., nominato podestà di Modena per il primo semestre del 1298. Tuttavia, ben presto nuove divisioni cominciarono ad affiorare nella classe dirigente fiorentina, sfociando nella frattura tra guelfì neri e guelfi bianchi. Con la parte nera guidata da Corso Donati si schierò il D., insieme al padre Arrigo, allo zio Rosso e all'altro fido consorte, Odaldo, suo coetaneo, mentre alla parte bianca dei Cerchi aderì un ramo dei Della Tosa, guidato da Baschiera. Nel 1300, in seguito al sanguinosi incidenti di Calendimaggio tra giovani delle opposte fazioni e all'aggressione che i magnati misero in atto contro i Priori, alcuni esponenti bianchi furono esiliati per breve tempo a Sarzana, mentre i più autorevoli rappresentanti della parte nera, tra cui anche il D., furono costretti a recarsi al confino a Castel della Pieve (oggi Città della Pieve).

Un anno dopo, nel giugno del 1301, il D. e Rosso Della Tosa, tornarono segretamente a Firenze per partecipare ad un convegno convocato da Corso Donati, nella chiesa di S. Trinita, allo scopo di ordire trame contro il governo dei bianchi. Maj tempi non erano ancora maturi per il successo dei neri, e solo l'arrivo a Firenze, il 1° nov. 1301, di Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo IV, aprì loro nuove prospettive politiche. Il Valois era stato inviato dal pontefice Bonifacio VIII con la carica ufficiale di "paciere generale in Toscana", ma il vero obiettivo della sua missione era quello di riportare al potere i neri. Il rientro in città di Corso Donati e dei suoi più accesi seguaci scatenò, il 6 novembre, una nuova serie di violenze e di disordini, durante i quali il D. e il suo parente Odaldo si misero in luce come mandanti di un assalto alle case dei ghibellini Strinati, loro vicini di casa.

Dopo la partenza di Carlo di Vaiois e l'esilio dei principali esponenti bianchi nell'aprile del 1302, l'élite dei magnati neri, che insieme al popolo grasso si impadronì nuovamente di Firenze, trovò un ulteriore elemento di divisione nella rivalità sempre più accesa tra il vecchio Rosso Della Tosa, sospettato di ambire al governo della città "a guisa de' signori di Lombardia" (D. Compagni, Cronica, III, 2) e Corso Donati, il cui peso politico a partire dal 1303 andava declinando. Nuove discordie interne interessarono inoltre la consorteria dei Della Tosa, per il contrasto che insorse tra il D. e il vescovo di Firenze, quello stesso Lottieri Della Tosa che aveva favorito la sua elezione a podestà di Faenza dieci anni prima. Nell'intento di riacquistare il pieno dominio sulle proprietà terriere della Chiesa fiorentina, Lottieri aveva iniziato a reclamare la restituzione alla mensa vescovile dei beni di cui si erano impossessati abusivamente le casate partecipi del vicedominato, tra cui gli stessi Della Tosa. Pertanto, nell'aprile del 1303, egli pretese dal D. la restituzione dell'importante castello di Montegiovi (Borgo San Lorenzo) nella Valdisieve. Opponendosi alle richieste del vescovo, il D. chiese aiuto al potente zio Rosso e ciò determinò una nuova, temporanea frattura in seno alla consorteria. Con Lottieri, che sembra potesse contare sul sostegno di 4.000 armati, si schierarono nell'occasione i Della Tosa di parte bianca e anche Corso Donati, mentre Rosso e il D. cercarono l'appoggio del popolo grasso, reale detentore del potere cittadino, si diedero inutilmente battaglia per le strade di Firenze, senza che nessuno dei contendenti riuscisse a prevalere.

Nel marzo, tuttavia, l'inviato del pontefice Benedetto XI, il cardinale Niccolò da Prato, vescovo di Ostia, era già riuscito a comporre il dissidio tra Lottieri e Rosso. Si trattò, in pratica, dell'unico successo dei paciere, perché i numerosi intrighi messi in atto successivamente da Rosso e da Corso Donati, di nuovo riconciliati in un fronte comune contro i bianchi, i ghibellini e la parte popolare, fecero fallire i tentativi di pacificazione del cardinale. Nemmeno la minaccia di interdetto, profferita da Benedetto XI alla fine di maggio del 1304, servì a sventare . le intenzioni bellicose dei neri che pochi giorni dopo scatenarono l'ennesima ondata di disordini, prendendo di mira soprattutto gli esponenti e i beni della famiglia Cavalcanti, guelfi di parte bianca. Particolarmente cruenta fu la giornata del 10 giugno, conclusasi con un incendio che distrusse circa un decimo degli edifici cittadini. Il D., con altri nobili di parte nera e con u na forte schiera di masnadieri, aprì la serie dei tumulti correndo la città a cavallo e spargendo il terrore e la morte. Appiccò poi, di persona, il fuoco alle case dei banchieri ghibellini Sassetti, ma fu sorpreso nell'atto da uno dei Cavalcanti, Nerone, e gettato giù da cavallo con un colpo di lancia. Adiratissimo per le violenze che avevano insanguinato la città, Benedetto XI emanò una bolla contro dodici capi dei neri, tra cui Corso Donati, il D. e suo zio Rosso, come promotori dei moti e responsabili del fallimento della missione di Niccolò da Prato, citandoli a comparire al suo cospetto a Perugia. Nell'obbedire all'ordine pontificio, i dodici inquisiti ostentarono la loro potenza ed arroganza, recandosi dal papa con una scorta di centocinquanta cavalieri. Il processo ai capi neri non si poté comunque celebrare a causa della morte improvvisa - tanto da far sospettare una loro diretta responsabilità - di Benedetto XI avvenuta il 7 luglio 1304.

Negli anni successivi il nome del D., allontanato definitivamente, come tutti gli appartenenti al ceto magnatizio, dalla gestione diretta del potere, compare soltanto in atti collegati a conflitti con i nemici esterni di Firenze: nel febbraio del 1313 è citato, insieme a Odaldo, nella lista dei 517 fiorentini condannati come ribelli dall'imperatore Arrigo VII, reduce dall'inutile assedio della città; lo ritroviamo inoltre, nelle "cavallate" dell'esercito fiorentino, nella serie dei feditori, sia nella spedizione contro Uguccione Della Faggiuola, signore di Pisa, conclusasi il 29 ag. 1315 con la sconfitta di Montecatini, sia nell'altra sfortunata impresa contro Castruccio Castracani, culminata nella sconfitta di Altopascio, il 23 sett. 1325.

Negli stessi anni egli aveva assunto peraltro un ruolo di preminenza all'interno della consorteria Visdomini-Della Tosa, tanto che nel 1323 è citato con il nome di Rosso - e per questa ragione confuso dal Davidsohn con lo zio, morto nel 1309 (Storia di Firenze, IV, p. 362) - in cima alla lista dei numerosi consorti "guardiani, vicedomini, custodes et administratores" dei beni del vescovado.

Morì non molti anni più tardi, presumibilmente intorno al 1330, poiché l'ultimo documento che lo riguarda (una sua testimonianza in un atto pubblico) risale all'aprile del 1326.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Adespote, 18 marzo 1294; D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, pp.64, 76, 169, 182, 259; P. Cantinelli, Chronicon, ibid., XXVIII, 2, a cura di F. Torraca, p. 74; Storia della guerra di Semifonte e Cronichetta inedita di Neri degli Strinati, Firenze 1753, p. 116; P. Pieri, Cronica delle cose d'Italia dall'anno 1050 all'anno 1305, Roma 1755, p. 68; Le Consulte della Repubblica fiorentina, a cura di A. Gherardi, II, Firenze 1898, pp. 364, 595, 664, 666; Consigli della Repubblica fiorentina, a cura di B. Barbadoro, I, Bologna 1921, p. 181; G. Larni, S. Ecclesiae Florentinae monumenta, I, Florentiae 1758, p. 49; II, pp. 708, 856; Delizie degli eruditi toscani, XI (1778), pp. 127, 211; XII (1779), p.266; XV (1781), p. 278; I. Dei Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, Firenze 1879, pp. 178, 273; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1901, pp. 568, 570; Id., Storia di Firenze, III, Firenze, 1957, pp. 241, 646, 674; IV, ibid. 1960, pp. 7, 155, 249, 362, 385 ss.

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