RUCELLAI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUCELLAI

Lorenz Böninger

– I Rucellai furono una tra le più importanti famiglie fiorentine nel secolo XIV. Grazie alla lavorazione e al commercio della lana, e all’intensa partecipazione alla vita pubblica, acquistarono rapidamente una notevole fama, al pari di altre casate in ascesa come Altoviti, Strozzi, Ricci o Albizzi. Appartenevano ai ‘popolani grassi’: nel marzo 1344 furono condannati alcuni fiorentini del popolo minuto per l’intenzione di bruciare le loro case.

L’origine dei Rucellai viene fatta risalire a un leggendario Ferro vissuto nella prima metà del XII secolo, oppure a un Alamanno di Monte attivo intorno alla metà del XIII secolo, cui veniva attribuita in modo altrettanto leggendario, a partire dallo Zibaldone quattrocentesco di Giovanni di Paolo Rucellai, l’introduzione dell’erba rusca o ‘oricella’ nel procedimento della tintura dei panni lani violacei: da tale materia prima e da tale lavorazione la famiglia derivò, nel secolo successivo, cognome e ricchezza. Le case dei Rucellai erano situate nel popolo di S. Pancrazio e nel XIV secolo la famiglia acquisì nella stessa chiesa i diritti di una cappella. Inoltre possedeva una cappella dedicata a s. Caterina d’Alessandria nella chiesa di S. Maria Novella.

L’ascesa politica dei Rucellai, schierati tutti in favore del governo guelfo, si deve alla vittoria dei neri nell’estate del 1302, tra i quali il cronista Dino Compagni (Cronica, a cura di D. Cappi, 2000, p. 76) nominò anche loro. Il primo rappresentante di spicco fu Bernardo (Naddo) di Giunta che occupò vari posti di rilievo nella vita pubblica: fu infatti priore delle arti nel 1302, gonfaloniere di Giustizia nel 1308 e nel novero degli operai del Palazzo nel 1318. Morto intorno al 1324, lasciò ben sedici figli, tra cui Giunta, Francesco, Andrea, Albizzo, Bencivenni (Cenni), Vanni e Berlinghieri (Bingeri). Molti di loro svolsero un ruolo politico importante.

Di questi Giunta fu tra i più attivi in campo politico. Per ben sei volte risiedette tra i priori (1312, 1316, 1328, 1331, 1337, 1341), quattro volte tra i Dodici buonuomini (1328, 1335, 1338 e 1342) e tre volte tra i gonfalonieri di Compagnia (1330, 1336 e 1339). Secondo Eugenio Gamurrini nel 1314 fu uno dei magistrati deputati alla vendita dei beni dei ribelli (Gamurrini, 1668, p. 276) e console dell’arte della lana nel 1334. Tre anni dopo acquistò per il Comune di Firenze da Pier Saccone Tarlati il viscontado della Valdambra con Bucine, Galatrona e altri castelli.

Un percorso professionale parzialmente alternativo fu quello perseguito da suo fratello Andrea, che per alcuni anni si trasferì in Francia come soldato nella guerra contro gli inglesi, prima di ritornare in patria dove si impegnò politicamente (nel 1343 fu in prima linea nella congiura contro Gualtieri di Brienne, il duca d’Atene) e ricoprì vari incarichi pubblici. Nel 1341 era stato infatti castellano di Carmignano; nel 1347 fu poi ambasciatore presso il re d’Ungheria, Ludovico d’Angiò (a Forlì), e due anni dopo (1349) nuovamente impegnato in missioni diplomatiche a Volterra e Siena. Nel decennio successivo, emergono prove del sostegno finanziario che Andrea volle (e dovette) dare al regime: nel 1354 prestò al Comune fiorentino 150 fiorini per la guerra contro i Visconti di Milano, e nelle Prestanze del 1359 egli figurò con l’altissimo contributo di 80 fiorini d’oro. È di nuovo Giovanni Rucellai a descrivere la «corte bandita» con cui Andrea di Naddo celebrò nel 1369 per una settimana la dignità cavalleresca dei suoi due figli Albizzo e Francesco (Giovanni di Pagolo Rucellai, Zibaldone, a cura di G. Battista, 2013, p. 16). Pochi giorni dopo Andrea morì e fu sepolto nella chiesa di S. Maria Novella davanti alla porta del campanile (11 giugno 1369).

Un altro figlio di Naddo di Giunta fu Bencivenni (Cenni), l’unico Rucellai nominato espressamente tra i ribelli fiorentini condannati da Enrico VII il 23 febbraio 1313. Edificò (probabilmente ante 1325) la cappella di famiglia, dedicata a s. Caterina, nel transetto destro di S. Maria Novella, affidandone la decorazione a fresco ad alcuni maestri giotteschi (fra i quali il ‘Maestro della s. Cecilia’). Come Giunta, anche Bencivenni fu sei volte priore delle arti nel 1307, 1310, 1315, 1317, 1336 e 1342; rivestì inoltre la suprema carica di gonfaloniere di Giustizia nel 1326 (quando il governo di città e contado – incombendo la minaccia di Castruccio Castracani e dei ghibellini – fu affidato a Carlo di Calabria). Due anni dopo fu gonfaloniere di compagnia, e nel 1329 tra i cittadini incaricati di concludere la pace con Pistoia; l’anno successivo operò nella stessa area e ricevette il giuramento di fedeltà degli abitanti di Montecatini appena conquistata, opponendosi alla distruzione del castello. Altri incarichi riguardarono l’ampliamento del palazzo della Signoria (Palazzo Vecchio) nel 1332 e l’edificazione della rocca di Firenzuola in Mugello in difesa dalla famiglia ghibellina degli Ubaldini. Nel 1337 fu tra i Dieci di Balìa, e nel 1341 ambasciatore ad Arezzo. Sotto il dominio di Gualtieri duca d’Atene e con la falsa accusa di aver tradito Firenze fu giustiziato nel 1342 suo figlio Naddo, con già una lunga carriera alle spalle e «uomo di grande astuzia, e molto provveduto e sollicito, ed era uomo tanto sagace, che quasi niuno più in Firenze se ne sapea» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, 1903, p. 201). Alla tirannia del duca d’Atene suo padre Bencivenni si sottrasse vestendo l’abito dei frati domenicani di S. Maria Novella; sua moglie, Beatrice di Naddo Covoni, nell’occasione si fece pinzochera del terz’ordine di S. Domenico e ancora al tempo dell’Estimo del 1352 abitava nel convento. Dopo la cacciata del duca d’Atene, Bencivenni prese l’abito dell’ordine di S. Maria Gloriosa, più noto come quello dei frati gaudenti; proprio alla sua commissione viene anche attribuita la costruzione dello spedale di S. Bernardo all’Osmannoro. Fece testamento e morì nel 1346; fu sepolto davanti alla scalinata che conduce alla sua cappella in S. Maria Novella.

La generazione dei figli di Naddo espresse anche un Berlinghieri detto Bingeri (morto dopo il 1349), l’avo del celebre Giovanni di Paolo che sarebbe stato attivo nel pieno Quattrocento. Iscritto nell’arte della lana, si distinse anche nel mestiere delle armi. Nel 1318 fu spedito a capo di un contingente fiorentino in soccorso del conte di Battifolle che difendeva Genova contro i suoi fuorusciti ghibellini; e nello stesso anno ebbe un ruolo decisivo nelle lotte di partito senesi, in favore del Monte dei nove contro la fazione dei Tolomei. Grato per il suo contributo, il Comune di Siena con una pubblica cerimonia lo fece armare cavaliere concedendogli il diritto di aggiungere al suo stemma l’arme del popolo senese, cioè un leone bianco nel campo rosso. Fu dei priori a Firenze nel 1323, 1330, 1334 e 1346; gonfaloniere di Compagnia nel 1325, 1332, 1336 e 1341, e uno dei Dodici buonuomini nel 1331, 1334, 1337 e 1349 (anno, quest’ultimo, nel quale fu anche console dell’arte della lana). Un suo figlio, Paolo di Bingeri, che fu poi gonfaloniere nel 1364, era stato in precedenza impegnato contro il duca d’Atene (1343), ma nel 1377 prese l’abito chiericale.

Tra i Rucellai della generazione successiva, va segnalato infine per la sua lunga carriera politica, soprattutto fuori di Firenze, Francesco di Andrea di Naddo (morto nel 1398), podestà e capitano del Popolo a Perugia nel 1384-85 e 1394, podestà di Città di Castello nel 1386, capitano di Montepulciano nel 1390, podestà di Ascoli Piceno nel 1394 e ambasciatore presso Gian Galeazzo Visconti nel 1395. In segno di gratitudine i perugini gli donarono una corona di ferro dorato che ancora nel secolo successivo si vedeva appesa nella cappella gentilizia in S. Maria Novella.

In conclusione, l’aver ‘investito’ politicamente in una ferma posizione ‘popolana’ e ‘arciguelfa’ giovò, nel Trecento, alle fortune politiche dei Rucellai. Il mix tra ricchezza e presenza frequente nelle magistrature più ‘targate’ (come il capitanato della Parte guelfa) catapultò la famiglia tra le più influenti di Firenze.

Fonti e Bibl.: O. Malavolti, Dell’historia di Siena, Venezia 1599 (rist. Bologna 1968), p. 80; M. di C. Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in RIS2, XXX, Città di Castello 1903 (rist. Firenze 2008); G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1990-1991, ad ind., s.v. Oricellai; D. Compagni, Cronica, a cura di D. Cappi, Roma 2000; G. di P. Rucellai, Zibaldone, a cura di G. Battista, prefazione di A. Molho, Firenze 2013, pp. 14-19.

E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, I, Firenze 1668, pp. 274-283; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia R., Firenze 1861; F. Galvani, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, III, Firenze 1864, s.v. R.; S. Orlandi OP, Necrologio di S. Maria Novella. Testo integrale dall’inizio (MCCXXXV) al MDIV corredato di note biografiche tratte da documenti coevi, Firenze 1955; G.A. Brucker, Flor-entine politics and society, 1343-1378, Princeton, N. J., 1962, ad ind.; M.B. Becker, Florence in transition, Baltimore 1967; N. Rodolico, Il Popolo minuto. Note di storia fiorentina (1343-1378), Firenze 1968, pp. 108 s.; C.C. Calzolai, Il “libro dei morti” di Santa Maria Novella (1290-1436), in Memorie Domenicane, n. s., XI (1980), pp. 15-218; J.M. Najemy, Corporatism and consensus in Florentine electoral politics, 1280-1400, Chapel Hill 1982, pp. 117, 150, 202, 261, 298; R.A. Fredona, Political conspiracy in Florence, 1340-1382, PhD diss., Cornell University 2010; V. Mazzoni, Accusare e proscrivere il nemico politico. Legislazione antighibellina e persecuzione giudiziaria a Firenze (1347-1378), Pisa 2010 (appendici scaricabili da http: //www. pacinieditore. it/wp-content/plugins/ckeditor-for-wordpress/ckfinder/Files/Accusare %20e%20proscrivere%20-%20APPENDICI.pdf; 10 luglio 2017), ad ind.; A. Naujokat, Non est hic. Leon Battista Albertis Tempietto in der Cappella Rucellai, Aachen-Berlin-Brüssel 2011, p. 42.

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