LAURIA, Ruggero di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LAURIA, Ruggero di

Andreas Kiesewetter

Nacque poco prima del 1250 a Scalea, primogenito di Bella d'Amico nutrice di Costanza di Svevia (figlia del futuro re di Sicilia Manfredi e di Beatrice di Savoia) e di un piccolo feudatario calabrese di cui non conosciamo il nome.

Non sappiamo nulla della sua giovinezza. Il 13 giugno 1262 egli fu presente a Montpellier con sua madre al matrimonio di Costanza con l'infante Pietro (poi re Pietro III d'Aragona), al seguito della futura regina in viaggio verso l'Aragona. La particolare condizione di fiducia di cui Bella godeva presso Costanza favorì poi l'ascesa del L. che entrò a far parte del seguito dell'infante Pietro; dal 1268, infatti, troviamo il L. sempre vicino al principe.

Il 6 sett. 1270 fu investito insieme con la madre dal re Giacomo I d'Aragona di Vall de Seta e Cheroles (presso Cocentaina) nel Regno di Valencia; l'8 genn. 1274 ricevette l'investitura di Rahal Albinçarco, presso Alcalá. Nel 1280 il L. poté inoltre acquisire vigneti e proprietà terriere presso Xátiva e Cocentaina.

Dopo la morte di Giacomo I (27 luglio 1276) il L. partecipò attivamente all'amministrazione del Regno di Valencia nel quale, subito dopo la morte di Giacomo, la popolazione musulmana si era sollevata contro gli Aragonesi. Il L. nell'estate 1276 fu nominato baiulus e castellano di Cocentaina e Alcoi e dovette provvedere alla difesa delle due città.

Il suo operato deve aver incontrato il favore del nuovo sovrano poiché egli, dopo la repressione della rivolta, fu investito di altri beni presso Biar e nell'ottobre 1278 ricoprì, forse per poche settimane, l'ufficio di sostituto del procuratore generale nel Regno di Valencia.

Non sappiamo in che modo abbia partecipato all'allestimento della flotta di Pietro III per la spedizione a Tunisi e in Sicilia, anche se forse già alla fine del 1279 o all'inizio del 1280 era presente in Ifrīqiya come inviato del re; in ogni caso non si imbarcò con la flotta che partì il 6 o 7 giugno 1282 da Portfangos verso Tunisi. Il L. non partecipò neppure alle operazioni di Pietro III dal 28 giugno alla fine di agosto 1282 davanti al porto tunisino di Collo, e compare per la prima volta nel settembre 1282 insieme con Giacomo e Federico, i figli di Costanza e Pietro III, in viaggio per la Sicilia, dopo che Pietro III il 30 o 31 ag. 1282 era sbarcato a Trapani. Il 5 ottobre fu nominato capitano e rettore di Augusta, ufficio che ricoprì per poche settimane, poiché agli inizi del 1283 accompagnò Pietro nella spedizione in Calabria e a nome del re prese possesso della città di Gerace.

Sino alla primavera 1283 il L. non ebbe comandi militari importanti; fu quindi sicuramente una sorpresa il fatto che il 20 apr. 1283 venisse nominato ammiraglio di Catalogna e Sicilia al posto del figlio naturale di Pietro III, Giacomo Pérez, poiché quest'ultimo sino a quel momento aveva operato con successo contro la flotta angioina.

Non sappiamo chi fosse il suo maestro, né grazie a chi avesse acquisito le eccellenti conoscenze nautiche che senza dubbio possedeva, come dimostrano i risultati che ottenne. In ogni caso, spettò al L. il comando supremo delle flotte militari riunite siculo-catalane e la responsabilità del loro armamento, e soprattutto dipese dalla sua capacità l'andamento della guerra dei Vespri siciliani, che fu in gran parte combattuta sul mare. La sorprendente decisione di Pietro III si dimostrò un insospettabile colpo di fortuna e la decisiva carta vincente degli Aragonesi nella guerra dei Vespri, poiché essa diede inizio alla carriera del L., ricchissima di successi.

Il L. organizzò la difesa della Sicilia e della testa di ponte aragonese in Calabria e con Giovanni da Procida, dopo la partenza di Pietro il 6 maggio 1283 per la Catalogna, fu tra i consiglieri della regina Costanza e dell'infante Giacomo nell'amministrazione della Sicilia. Nello stesso tempo riuscì anche a costituirsi una non trascurabile signoria territoriale nella Sicilia nordorientale, dove negli anni seguenti fu investito da Pietro III e Giacomo II di Castiglione di Sicilia, Francavilla di Sicilia, Novara di Sicilia, Linguaglossa, Motta Camastra, San Piero Patti, Ficarra, Tortorici e Tripi.

Subito dopo la partenza di Pietro III il L. prese energiche misure per la difesa da un paventato attacco angioino alla Sicilia. Nella primavera 1283 Carlo I d'Angiò aveva fatto armare in Provenza una flotta di 18 galee al comando di Barthélemy Bonvin e Guillaume Cornut; essa giunse a Napoli il 21 maggio, fu rinforzata dal principe ereditario e vicario Carlo con altre navi e salpò poi verso Malta, allora contesa tra gli Angioini e gli Aragonesi. Il L. dal canto suo - messo al corrente da informatori dell'impresa organizzata dagli Angioini - aveva equipaggiato 22 galee che presero il mare da Palermo e incalzarono la flotta provenzale. Nella notte tra il 5 e il 6 luglio (secondo gli Annali genovesi, ma secondo Bartolomeo da Neocastro nella notte tra il 7 e l'8 giugno) il L. riuscì a sorprendere la flotta angioina in quello che è oggi il porto di La Valletta e a circondarla. Il giorno successivo infuriò una lunga e sanguinosa battaglia navale che finì con la vittoria del Lauria. Più della metà delle circa 20 galee angioine furono catturate, mentre otto o nove navi, al comando di Bovin, riuscirono a fuggire. Il L. sfruttò subito questa vittoria, che gli aveva assicurato la supremazia nel Mediterraneo occidentale, per compiere una scorreria sulle coste del Principato e della Calabria.

Nell'inverno 1283-84, però, Carlo I e suo figlio misero in cantiere tre nuove flotte, in Provenza, a Napoli e in Puglia. Il L. doveva anzitutto evitare che queste squadre si riunissero, perché altrimenti egli avrebbe avuto di fronte un nemico notevolmente superiore per numero. Decise quindi in primo luogo di impedire il congiungimento della flotta provenzale con quella napoletana (infatti la flotta pugliese avrebbe dovuto attraversare lo stretto di Messina o circumnavigare la Sicilia rendendosi quindi facilmente intercettabile). Alla fine di aprile 1284 il L. prese il mare da Messina con una flotta di 30-35 galee e, dopo aver nuovamente saccheggiato le coste della Calabria e del Principato, dal 3 giugno cominciò le operazioni navali nel golfo di Napoli. Il principe ereditario Carlo d'Angiò il 5 giugno 1284, tratto in inganno da un'apparente fuga del L., salpò con 28 galee dal porto di Napoli e accettò lo scontro davanti all'isoletta di La Gaiola a sudest di Nisida. La battaglia finì, grazie alla superiorità del L. nel comando della flotta, con una schiacciante vittoria delle forze siculo-catalane, tanto più che il grosso delle galee angioine aveva preso la fuga già prima dell'effettivo scontro. Nove galee della flotta napoletana furono prese e una fu affondata; lo stesso principe ereditario e molti dignitari francesi caddero nelle mani del Lauria. Carlo costituì un importante pegno nelle mani di Pietro III e dei suoi figli Alfonso III e Giacomo II nelle trattative per la soluzione della questione siciliana, e fu liberato solo nel novembre 1288.

Dopo il suo trionfale ritorno a Messina il L. non disarmò la flotta, ma compì scorrerie sulla costa nordafricana per rimpinguare le proprie casse e quelle dell'infante Giacomo. Nel settembre 1284 comparve a sorpresa davanti a Gerba che fu occupata e saccheggiata. Secondo Ibn Khaldoun tra la popolazione musulmana dell'isola fu compiuto un vero massacro e più di 8000 persone furono vendute come schiavi. Il L. ebbe in feudo Gerba prima da Pietro III e poi da Giacomo II, impose alla popolazione musulmana un tributo annuo di 500 onze d'oro e fece costruire un castello sulla costa.

All'inizio dell'estate 1285 il L. compì scorrerie sulle coste ioniche della Calabria e della Puglia e nel luglio riuscì a conquistare perfino Taranto, quando lo raggiunse l'ordine di Pietro III di dirigersi immediatamente verso la Spagna con la flotta, per arginare l'invasione francese della Catalogna, poiché papa Martino IV nel febbraio 1284 aveva investito Carlo di Valois, il giovane figlio di Filippo III di Francia, dei Regni di Aragona e Valencia.

Il L. giunse a Barcellona il 23 ag. 1285; nella notte tra il 3 e il 4 settembre, con 34 galee, sconfisse presso Rosas una squadra francese di 25 galee; 13 navi caddero nelle sue mani insieme con l'ammiraglio nemico Giovanni Orreo, mentre le altre 12 unità francesi fuggirono verso Aigues-Mortes. Il L. profittò immediatamente del vantaggio tattico e inseguì la flotta nemica compiendo scorrerie sulle coste della Linguadoca e della Provenza. Questa vittoria decise anche le sorti dell'invasione francese in Catalogna, perché quell'esercito, privo di rifornimenti via mare, fu costretto alla ritirata.

All'inizio di novembre 1285 il L. ebbe il comando della flotta nel corso della conquista di Maiorca da parte dell'infante Alfonso che, senza incontrare grande resistenza, poté espugnare l'isola come vendetta per il "tradimento" del re Giacomo di Maiorca (fratello minore di Pietro III) che si era alleato con Filippo III. A Maiorca il L. fu raggiunto dalla notizia della morte di re Pietro (11 nov. 1285). In base alle norme di successione al trono stabilite da Pietro stesso, il L. si trovò allora a essere "servitore di due padroni", perché il primogenito Alfonso III succedette al padre nei territori della Corona d'Aragona (Aragona, Valencia, Contea di Barcellona e Maiorca), mentre al figlio minore Giacomo toccò la Sicilia. Negli anni seguenti, infatti, il L. fu attivo sia in Catalogna per Alfonso sia in Sicilia per Giacomo, anche se la maggior parte della sua attività si svolse in Sicilia, soprattutto perché l'isola era minacciata dai tentativi angioini di riconquista, mentre la Catalogna, dopo la distruzione della flotta francese, non era più minacciata da alcun pericolo dalla parte del mare.

Nell'agosto 1286 il L. occupò per Alfonso III e Giacomo II le isole Qerqena, che egli subito ricevette in feudo da Giacomo II, come Gerba. Più di 1250 saraceni furono deportati dalle isole e poi venduti come schiavi a Trapani e a Palermo per 4442 onze d'oro, mentre alla popolazione residua fu imposto un tributo annuo di 150 onze d'oro.

Dall'inizio del 1287 il L. intensificò nuovamente l'armamento della flotta a Palermo e a Messina, perché si aspettava un'offensiva angioina contro la Sicilia. In realtà nell'aprile 1287 una flotta angioina era riuscita a riconquistare Malta e a creare una testa di ponte ad Augusta. Mentre Giacomo II cingeva d'assedio Augusta, il L. decise di inseguire la flotta angioina, nel frattempo tornata a Napoli per portare altri rinforzi in Sicilia. Il 23 giugno 1287, nel golfo di Napoli tra Castellammare di Stabia e Sorrento, il L. con circa 40 galee attaccò la flotta angioina comandata da Narjaud (IV) di Toucy, nel frattempo cresciuta fino a 60-80 galee, e la sbaragliò dopo un aspro combattimento. Circa 50 galee angioine furono catturate e numerosi nobili angioini furono fatti prigionieri e vennero rilasciati solo dietro pagamento di esorbitanti riscatti, motivo per il quale la battaglia passò alla storia come "battaglia dei conti". Questa vittoria fu sicuramente il più grande e significativo successo del L., perché fu ottenuta in una situazione di inferiorità numerica di quasi uno a due e perché mise fuori causa per dieci anni la potenza marinara angioina.

Immediatamente dopo la battaglia il L. concluse una tregua navale di due anni con Roberto II di Artois e il cardinale Gerardo Bianchi da Parma che avevano la reggenza del Regno di Napoli per Carlo II, ancora prigioniero. Questa tregua sollevò critiche in Sicilia e perfino un'accusa di tradimento, perché egli non aveva tratto profitto dalla vittoria di Castellammare di Stabia per un'azione decisiva contro Napoli e si era limitato all'occupazione delle isole di Capri, Ischia e Procida. Principale portavoce dei suoi critici era presumibilmente Bernat Sarriá, che nel 1286 aveva guidato una fortunata spedizione navale nel golfo di Napoli e certamente aspirava alla carica di ammiraglio. Il conflitto tra il L. e Sarriá si inasprì poi per le contese a proposito dei loro feudi in Sicilia e soprattutto nel Regno di Valencia dove i possedimenti dei due confinavano direttamente; il 12 marzo 1292 si giunse persino a una formale sfida a duello.

La vittoria del 1287 garantì definitivamente la supremazia della flotta siculo-catalana nel Mediterraneo occidentale e significò anche la fine delle grandi operazioni navali per i successivi dodici anni della guerra dei Vespri siciliani. Solo nell'estate 1289 il L. comandò la flotta che trasportava a Gaeta Giacomo II e le sue truppe per conquistare la città. L'assedio non ebbe successo e il 24 agosto Giacomo dovette concludere con Carlo II una tregua sulla base dello status quo.

Dopo aver compiuto nel 1290 una nuova scorreria sulle coste del Nordafrica, il L. nella primavera 1291 giunse in Catalogna, quando il re Alfonso III, inaspettatamente, morì il 18 giugno. Contro la volontà di suo padre e del fratello maggiore, Giacomo realizzò nuovamente l'unione personale delle due corone d'Aragona e di Sicilia e insediò in Sicilia il fratello minore Federico come luogotenente. L'11 sett. 1291 Giacomo donò al L. come allodio la città di Alcoi nel Regno di Valencia e contemporaneamente lo investì della vicina Cocentaina. Già nell'aprile 1292 il L. fu rimandato in Sicilia per compiere scorrerie a Monemvasia, Chio e in varie altre isole dell'Egeo, per rimpinguare con il bottino le casse vuote del Regno di Aragona.

Negli anni seguenti, con Giovanni da Procida, fu tra i consiglieri dell'infante Federico nell'amministrazione della Sicilia, ma si dedicò anche ai suoi affari personali e ad accrescere i suoi possedimenti. In effetti il L. era riuscito già dagli anni Settanta del XIII secolo - in primo luogo con il commercio degli schiavi, ma anche con l'esportazione di cereali dalla Sicilia alla Catalogna e con le sue razzie - ad accumulare immense ricchezze che fecero di lui uno degli uomini più ricchi del Regno d'Aragona e uno dei più importanti creditori di Giacomo II.

Il trattato di Anagni del giugno 1295 cambiò, almeno in apparenza, la situazione nell'area del Mediterraneo occidentale, perché Giacomo II restituì formalmente la Sicilia a papa Bonifacio VIII, ma dietro le quinte sostenne l'elevazione di suo fratello minore Federico III a re di Sicilia. Il L. stesso aveva accompagnato Federico a un incontro con Bonifacio VIII presso Valmontone il 30 maggio 1295 e davanti al papa aveva dichiarato l'improponibilità della questione della restituzione della Sicilia alla Chiesa. Tuttavia successivamente il papa cercò di tirare il L. dalla sua parte e l'11 ag. 1295, dietro pagamento di un censo annuo di 50 onze d'oro, lo investì formalmente di Gerba e delle Qerqena, che il L. aveva ottenuto già nel 1284 e nel 1286, e fino a quel momento aveva tenuto, come feudo da Giacomo II.

Il L. partecipò in modo determinante alla acclamazione di Federico a re di Sicilia a Catania in un Parlamento del 15 genn. 1296 e alla sua incoronazione il 25 marzo 1296 a Palermo.

Durante una campagna militare nella primavera e nell'estate 1296 crebbe, però, la tensione tra il L. e Federico. I motivi di questo contrasto non sono chiari; il L. aveva presumibilmente sperato di influenzare pesantemente Federico e di determinarne la politica, mentre il nuovo re si emancipò politicamente sempre di più e si appoggiò soprattutto a Blasco d'Alagona il Vecchio che in quei giorni evidentemente riuscì a superare il L. nel ruolo di più importante consigliere del re.

Quando Giacomo nel 1296 e all'inizio del 1297 propose a suo fratello un incontro a Ischia o a Nicotera, Federico lo rifiutò categoricamente, mentre il L. si pronunciò a favore. La minaccia di Giacomo II del 7 genn. 1297 di revocare al L. tutti i feudi nel Regno di Valencia può aver contribuito alla definitiva decisione del L. di abbandonare la causa di Federico, tanto più che i suoi avversari in Sicilia confermavano il re nell'opinione che il L. lo avesse tradito e fosse già passato dalla parte di Giacomo.

All'inizio del 1297 si venne a un'aperta rottura, per cui il L. nel febbraio lasciò la Sicilia e incaricò dell'amministrazione dei suoi feudi siciliani il nipote Giovanni; questi, però, poco dopo la partenza del L. si ribellò apertamente al re e i feudi vennero quindi confiscati.

Il giorno successivo al suo arrivo a Roma, il 2 apr. 1297, Giacomo II restituì al L. le cariche di ammiraglio di Aragona, Catalogna e Valencia, e tre giorni dopo gli furono confermati i suoi feudi nel Regno di Valencia. Nello stesso tempo egli fu nominato viceammiraglio della Chiesa romana, dopo che Bonifacio VIII il 20 genn. 1297 ebbe creato Giacomo capitano generale e ammiraglio della Chiesa e il 4 aprile investito del Regno di Sardegna e Corsica; per questo Giacomo aveva promesso di assoggettare la Sicilia con una flotta di 60 galee che si sarebbe dovuta armare a spese del papa. Il 6 aprile, infine, Bonifacio VIII investì il L. di Aci Castello, che apparteneva alla Chiesa di Catania, mentre il 20 nov. 1297 Carlo II d'Angiò lo nominò ammiraglio del Regno di Sicilia e lo investì della baronia di Acerno.

Nell'estate 1297 il L. aveva cercato invano di riconquistare Catanzaro per gli Angioini, e invece dovette subire la sua prima e ultima sconfitta, in un combattimento contro Blasco d'Alagona tra Squillace e Catanzaro nel corso del quale gli riuscì solo a fatica di salvare la vita. Nell'autunno 1297 il L. tornò in Aragona dove si dedicò all'allestimento della flotta con la quale Giacomo II l'anno dopo doveva intraprendere, in nome di Bonifacio VIII e Carlo II, le operazioni militari contro Federico III.

Il L. ebbe il comando anche di questa flotta, con la quale nell'estate 1298 Giacomo II fece ritorno in Italia e, dal settembre 1298 al febbraio 1299, prese parte alla campagna militare che era guidata da Giacomo solo formalmente. Il L. era interessato soprattutto alla riconquista dei feudi che l'anno prima gli erano stati confiscati dal re di Sicilia, motivo per il quale la campagna militare si concentrò nel Nordest dell'isola. Dopo la conquista di Patti e Milazzo nonché degli antichi feudi del L., Giacomo e l'ammiraglio il 21 sett. 1298 diedero inizio all'assedio di Siracusa che nel gennaio 1299 fu interrotto senza successo. Nel marzo dello stesso anno i due tornarono quindi a Napoli per raccogliere la flotta e rinforzarla ancora.

Alla fine di giugno 1299 la flotta angioino-catalana, forte di 58 galee, salpò alla volta della Sicilia al comando del L. che era accompagnato da Giacomo II e dall'erede al trono angioino Roberto duca di Calabria. Il 4 luglio Federico accettò battaglia con circa 40 galee davanti a Capo d'Orlando e fu annientato dal L. che catturò 22 galee siciliane. Giacomo rinunciò a inseguire la flotta sconfitta e rese possibile la fuga a suo fratello: per questo fu accusato anche davanti al papa dal L., che sin dalla rottura del 1297 incalzava Federico con odio implacabile.

Strategicamente la vittoria di Capo d'Orlando si rivelò in realtà priva di valore, perché Giacomo II, adducendo pretesti, tornò in Aragona, mentre un esercito angioino - sbarcato presso Trapani nel novembre 1299 al comando di Filippo d'Angiò principe di Taranto - fu annientato presso Falconaria (l'odierna Birgi) il 1° dicembre da Federico III e Blasco d'Alagona, in quella che fu la battaglia decisiva della guerra dei Vespri siciliani. La cattura del figlio prediletto tolse ogni volontà di combattere al re Carlo II d'Angiò che intavolò trattative di pace senza comunicarlo al papa.

Dopo la vittoria di Capo d'Orlando il L. continuò a prendere parte alle operazioni di Roberto duca di Calabria nella Sicilia orientale, che culminarono nella capitolazione di Catania nell'ottobre 1299. Dopo la disfatta di Falconaria (alla quale fu estraneo), alla fine del 1299 tornò nuovamente a Napoli per trasportare nuove truppe in Sicilia nella primavera dell'anno seguente. Come ringraziamento per la vittoria dell'anno precedente, il 22 apr. 1300 Carlo lo investì della Contea di Malta (Malta, Gozo e Comino), investitura rimasta sulla carta perché il L. non poté conquistare l'isola che rimase sotto la signoria di Federico.

All'inizio di giugno 1300 il L. sbarcò nuovamente presso Capo d'Orlando con 36 galee. In seguito si ritirò prima a Napoli e poi a Gaeta per aspettare rinforzi e per attirare Corrado Doria, nuovo grande ammiraglio di Federico III, fuori dai porti siciliani verso Nord e attaccarlo. In effetti il Doria si lasciò ingannare e il 14 giugno 1300 con una flotta di 32 galee, presso l'isola di Zannone a nordest di Ponza, si vide davanti inaspettatamente la flotta del L. con 58 galee. Poiché 5 galee genovesi del Doria avevano preso la fuga già prima del combattimento, il L. ebbe questa volta il gioco facile: 20 galee siciliane, l'ammiraglio nemico e numerosi altri nobili furono catturati. La battaglia navale di Zannone significò la completa eliminazione della flotta siciliana dalla guerra dei Vespri, ma non cambiò l'esito della guerra, perché Carlo II d'Angiò non seppe utilizzare la supremazia sul mare che il L. aveva conquistato per lui.

Il totale annientamento della flotta di Federico III nelle battaglie navali di Capo d'Orlando e di Zannone ebbe come conseguenza che il L. negli ultimi due anni della guerra dei Vespri, sino alla pace di Caltabellotta (31 ag. 1302), dovette occuparsi soprattutto di problemi logistici e dell'organizzazione e dei rifornimenti dell'esercito in Sicilia e non prese quasi più parte alle operazioni militari. Causa di questo crescente disimpegno furono presumibilmente anche le sue critiche condizioni di salute; un informatore aragonese presso la Curia alla metà di marzo 1302 lo definisce quasi "in puncto mortis" (Finke, 1902). Il trattato di Caltabellotta, comunque, garantì al L. il possesso di Aci Castello di cui era stato investito da Bonifacio VIII nel 1297.

Dopo la conclusione del trattato il L. rimase nel Regno di Napoli, poiché, dopo la sua convalescenza, nella primavera 1303 accarezzava il progetto di una grande impresa militare contro Alessandria e Il Cairo, per la quale aveva trovato anche l'appoggio del papa. Il progetto non si realizzò ed egli si limitò ad alcune scorrerie in Tunisia negli anni 1303 e 1304. Nel giugno 1304 si recò in Sicilia dove si riconciliò con Federico III. Non sappiamo se gli furono restituiti i feudi sequestrati nel 1297. Federico lo incaricò di condurre trattative per una formale alleanza con Giacomo II e di concordare una condotta comune dei due fratelli per quel che riguardava la Compagnia catalana nell'Impero bizantino. Dalla Sicilia tornò a Valencia, dove giunse il 18 luglio 1304. Lì, o nei suoi vicini feudi di Cocentaina e Alcoi, trascorse i suoi ultimi mesi di vita.

Morì a Valencia il 17 genn. 1305 (l'iscrizione funeraria indica il 1304, ma è datata nello stile dell'Annunciazione); fu sepolto nel monastero di Santes Creus (presso Barcellona), come egli stesso aveva stabilito il 10 sett. 1291.

Il L. si era sposato due volte: la prima nel 1279 con Margherita Lancia, sorella di Corrado e Manfredi, poi nel 1291 con Saurina d'Entença, figlia di Berengario d'Entença, che gli sopravvisse. Dal primo matrimonio ebbe un figlio, Ruggero (Rogeronus) - che soffriva di epilessia e che succedette al padre sia nei feudi e possedimenti nei Regni di Valencia e Sicilia sia nella signoria su Gerba e le Qerqena -, e tre figlie: Beatrice, Gioffredina e Ilaria. Dal secondo matrimonio nacquero tre figli: Roberto, morto in tenera età, Berengario - che dopo la morte del fratello maggiore, il 24 nov. 1307, gli succedette in tutti i feudi e possedimenti -, Carlo, e una figlia, Margherita.

Il L. fu senza dubbio un genio militare. Le sue quattro vittorie tra il 1283 e il 1287 influenzarono in modo decisivo il corso della guerra dei Vespri siciliani e i rapporti di forza nel Mediterraneo occidentale, perché la flotta siculo-catalana poté ottenere la sovranità illimitata sul mare e quindi fare della Sicilia una inespugnabile fortezza marina. Le due vittorie successive, riportate dopo il passaggio alla parte di re Carlo II d'Angiò, invece, passano in seconda linea dal punto di vista della strategia navale, perché non poterono imprimere una svolta definitiva all'andamento della guerra. In ultimo luogo il merito del L. fu soprattutto che Pietro III e i suoi due figli dal 1283 al 1297 poterono tenere la Sicilia contro una soverchiante coalizione di nemici.

Le personali qualità del L. contrastano con le sue capacità militari e con i suoi successi. Di temperamento irascibile, come attestano le sue ripetute sfide a duello, non indietreggiò davanti a una condotta di guerra - insolitamente brutale anche per quei tempi - che comportò anche massacri di donne e bambini. Oltre che dalla sua crudeltà la sua gloria è oscurata anche dalla sua avidità, che aveva già colpito negativamente i suoi contemporanei.

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