SETTIMO, Ruggero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SETTIMO, Ruggero

Sebastiano Angelo Granata

– Nacque a Palermo il 19 maggio 1778, da Traiano, principe di Fitalia e marchese di Giarratana, discendente da un antico casato di patrizi e banchieri pisani approdati in Sicilia all’inizio del XV secolo, e da Maria Teresa Naselli, principessa di Aragona.

Ebbe tre sorelle, Maria Ignazia, Stefania e Agrippina, che scelsero la vita monastica, e due fratelli: Luigi, morto in tenera età, e Girolamo, il primogenito, che ereditò i titoli nobiliari e la cura del patrimonio familiare.

Rimasto orfano di padre nel 1783, a tredici anni Ruggero entrò nella Regia Accademia di Marina di Napoli. Si aprì un periodo decisivo per la sua formazione, compiuta a bordo delle navi e sulle acque di un Mediterraneo in armi, centrale per la definizione degli assetti geopolitici dell’età napoleonica. Nel 1792 fu imbarcato sul vascello Tancredi, destinato alla difesa del Regno dalla minaccia francese e a settembre dell’anno successivo, dopo l’adesione di Napoli alla I Coalizione, fu inviato nella rada di Tolone, a sostegno delle truppe inglesi e spagnole che assediavano la città.

Conquistato dal fascino della guerra sui mari, nel 1795 partecipò alla battaglia del golfo del Frejus, fu promosso alfiere e imbarcato sulla Cerere. Dopo tre anni trascorsi sul mar Tirreno per dare la caccia ai barbareschi, nell’ottobre del 1798 potè nuovamente dedicarsi alla crociata antinapoleonica e dirigersi a Malta, a fianco delle truppe comandate da Horatio Nelson, nel tentativo di liberare l’isola dai francesi. La missione fu breve: a dicembre la Cerere fece ritorno a Napoli, permettendo a Ruggero di assistere ai disordini del Regno. La corte fuggita in Sicilia, le truppe repubblicane alle porte della capitale, i quartieri controllati dai lazzaroni, in un vuoto di potere che accresceva violenza e anarchia: fu l’incontro con gli ‘effetti perversi’ della rivoluzione a segnare la sua ideologia, suscitandogli l’avversione per i mutamenti radicali e la decisione di schierarsi a fianco della monarchia e di fare ritorno a Palermo, dove approdò nei primi mesi del 1799. Con l’esercito disciolto, la Marina rappresentava la sola forza al servizio della Corona, e nell’aprile di quell’anno Settimo fu inviato a sostenere l’assedio di Genova, al comando del brigantino Lipari. Successivamente si spostò sull’Adriatico come aiutante di Carlo Acton e infine fu destinato al servizio di terra a Napoli. Dopo l’invasione delle truppe d’Oltralpe, nel 1806, decise di seguire la famiglia reale in Sicilia. Promosso capitano, partecipò all’assedio di Gaeta, alla difesa di Capri, alla fallimentare spedizione contro Gioacchino Murat del 1810. Fu l’ultima operazione di guerra a cui prese parte: l’anno successivo, costretto a lasciare il comando della sua nave per motivi di salute, fu nominato membro del Consiglio di Marina.

L’abbandono della navigazione coincise con l’esordio dell’attività politica, in un momento di forti tensioni per la monarchia borbonica, stretta tra le necessità di nuovi finanziamenti, le resistenze del Parlamento alla concessione di donativi, il ruolo ambivalente della Gran Bretagna, che caldeggiava una riforma costituzionale e si opponeva alle richieste di una nuova spedizione armata. Introdotto nei circoli politici palermitani dall’amico Carlo Cottone, principe di Castelnuovo, Settimo assistette con rammarico all’arresto dei capi dell’opposizione e guardò con favore all’arrivo di William Bentinck. Con quest’ultimo riuscì a mediare per la scarcerazione dei baroni e, in seguito all’allontanamento del re e all’istituzione del Vicariato, fu proposto come consigliere della Corona e direttore della Segreteria di Guerra. Rifiutò entrambe le cariche, ma accrebbe la sua influenza, tanto da essere nominato ministro di Guerra e Marina nel 1812. In questa veste riordinò le milizie e lo stato maggiore e creò l’Ufficio topografico militare. A giugno fu eletto rappresentante di Palermo alla Camera dei comuni: i suoi interventi si concentrarono sulla necessità di stanziare fondi per la difesa dell’isola, ma su questo tema si consumò lo scontro con la fazione ‘giacobina’ di Emanuele Rossi, intenzionata a differire l’approvazione del bilancio per accelerare la crisi del governo.

Dopo la partenza di Bentinck per la Spagna fu Settimo a intestarsi la gestione dell’ordine pubblico: in seguito a un tentativo di sommossa chiamò il generale Emanuele de Bourcard al governo della capitale, ma subito dopo – dinanzi al perdurare della crisi parlamentare – rassegnò le dimissioni insieme agli altri componenti dell’esecutivo. Fu richiamato al suo posto a ottobre del 1813, dopo il ritorno di Bentinck e la formazione di un nuovo governo, anch’esso travagliato dallo scontro in seno al partito costituzionale. Campione di realismo politico, fu Settimo a insistere prima per un’alleanza con il partito del sovrano – in cui scorgeva l’elemento di stabilizzazione della politica locale – e poi per il richiamo del re alla guida dell’isola, che avvenne a luglio del 1814: il ritorno di Ferdinando coincise con la sostituzione dei ministri, lo scioglimento delle Camere e l’abolizione della Costituzione. A partire dal 1815 Settimo si allontanò dalla scena pubblica, rientrandovi in occasione della rivoluzione del 1820. In quel frangente si adoperò per riportare in vigore gli ordinamenti del 1812 ed entrò a far parte della giunta provvisoria di sicurezza, incaricata di gestire la situazione e di trattare con le truppe militari giunte da Napoli. Da queste gli fu offerta la nomina a luogotenente, che Settimo rifiutò, ma stavolta la repressione borbonica, di poco successiva, non coincise per lui con l’abbandono degli incarichi pubblici: entrò infatti nella giunta di governo e nel decurionato di Palermo (1821), partecipò alla commissione di salute pubblica (1832), fu membro dell’Istituto di incoraggiamento (1835). Intanto si dedicò alla creazione dell’Istituto Castelnuovo, voluto dal principe nel suo testamento, e sulla gestione dell’ente subì anche un’indagine, archiviata nel 1846.

Si avvicinava intanto la cesura del 1848, data della rottura definitiva del suo rapporto con la monarchia: Ruggero aderì subito al IV Comitato provvisorio di Palermo, e rimase al suo posto anche dopo lo sbarco delle truppe napoletane incaricate di riportare l’ordine (17 gennaio). In ragione della sua grande esperienza politica fu scelto come presidente del comitato generale (24 gennaio) e poi come capo del governo provvisorio (1 febbraio). In questa veste gestì i rapporti con la monarchia, rifiutando le concessioni sovrane del 6 marzo (che prevedevano anche la sua nomina a luogotenente) e formulando un ultimatum all’indirizzo del re, con la mediazione di lord Minto. Fu Settimo a presiedere la solenne inaugurazione del Parlamento (25 marzo), a dichiarare l’indipendenza dell’isola e a formare il primo ministero siciliano, una compagine a cui presero parte numerosi moderati – Mariano Stabile, Pietro Riso, Vincenzo Fardella di Torrearsa – e Pasquale Calvi rappresentante dell’ala democratica. Scelto come presidente della nuova entità statale che prese l’antico nome di Regno di Sicilia, Ruggero scandì tempi e modi della dichiarazione di decadenza dei Borbone (13 aprile) e fu abile a curare i rapporti diplomatici, grazie alla nomina di rappresentanti nei principali Stati preunitari. Meno efficace fu la gestione della politica interna: il Parlamento e l’esecutivo erano percorsi da lotte intestine, discordi sui nodi salienti della governance e incapaci di arginare la conflittualità sociale che travagliava l’isola. A ciò si aggiunse il problema delle finanze – sull’orlo del dissesto – e quello della difesa, che risentiva dell’assenza di un esercito regolare. Le capacità di mediazione di Settimo non riuscirono a impedire la crisi di governo del mese di agosto, seguita dal rifiuto della Corona di Sicilia da parte di Amedeo di Savoia e dalla débâcle militare inferta dalle truppe di Carlo Filangieri, che il 13 settembre conquistarono Messina. La situazione fu aggravata, a febbraio del 1849, dallo scioglimento del nuovo governo, ma in quel contesto drammatico Ruggero rimase l’uomo simbolo della rivoluzione: ai primi di marzo – quando il Parlamento rifiutò le condizioni sovrane dell’Atto di Gaeta, decidendo di combattere a oltranza – fu proclamato all’unanimità «padre della patria», e incaricato di formare l’ennesimo esecutivo. Il compito si rivelò arduo: il gabinetto, a maggioranza moderata, durò solo pochi giorni, e Settimo fu costretto a nominarne un altro, dando vita a una compagine di coalizione (Calvi, Stabile, Vincenzo Errante, Pietro Lanza di Butera, Vincenzo Di Marco e Gaetano Catalano), anch’essa incapace di gestire la difesa e di arginare l’avanzata dei soldati borbonici, che dopo aver conquistato Catania (10 aprile) marciavano su Palermo con una forza ormai preponderante. La rivoluzione aveva fallito, ma Ruggero fu tra gli ultimi a rassegnarsi alla sconfitta: il 20 aprile tentò di creare l’ultimo governo di emergenza, e solo due giorni più tardi, dinanzi all’impossibilità di trovare una solida maggioranza, decise di cedere i suoi poteri alla Municipalità e di firmare la resa. Alla fine del mese si imbarcò su una nave inglese e salpò per Malta, dando inizio alla sua vita da esule.

Sull’isola Settimo divenne punto di riferimento per buona parte dell’emigrazione: fu il leader dei moderati, dialogò con i democratici (soprattutto Giuseppe Mazzini, Rosolino Pilo, Francesco Crispi e Nicola Fabrizi), agì come mediatore di polemiche e conflitti. Fu sua l’idea di differire la pubblicazione dei documenti ufficiali del governo quarantottesco, per non accendere le diatribe fra i ministri, e a lui ricorsero quasi tutti i redattori di memorie sulla rivoluzione, per ricevere giudizi sulle loro opere.

Molto vicino a Matteo Raeli e a Torrearsa – che ne aveva sposato l’amata nipote Giulietta, figlia del fratello Girolamo – in quegli anni Ruggero modificò la sua ideologia, condannando il modello insurrezionalista e allontanandosi dalle posizioni autonomiste in favore dell’opzione unitaria. Fu scettico sull’utilità della guerra di Crimea per la soluzione della questione italiana e fiducioso in un intervento inglese, che caldeggiò più volte tra il 1850 e il 1858, scrivendone a lord Palmerston. Altrettanta speranza ripose nell’annessione diretta della Sicilia al Piemonte: su questa eventualità polemizzò con il federalista Francesco Ferrara e trovò invece un’intesa con Giuseppe La Farina, al quale negò però la sua personale adesione alla Società nazionale, non volendo «spingere ad una rivoluzione che non offre alcuna speranza di riuscita» (La Farina, 1869, II, p. 34).

Seguì con interesse le vicende belliche del 1859: inizialmente dubbioso sulla tenuta dell’asse franco-piemontese, si appassionò poi ai combattimenti, chiedendo costanti aggiornamenti a Torrearsa e dolendosi della firma dell’armistizio di Villafranca, in seguito al quale pensò di tentare una trattativa diplomatica con Torino. A bloccarlo fu la notizia dello sbarco di Marsala: Settimo ne percepì subito le potenzialità, disapprovando il nipote, Pietro (figlio di Girolamo), che pochi mesi prima aveva accettato l’incarico di intendente a Catania, schierandosi a fianco della monarchia borbonica. Ruggero visse attraverso le esistenze dei suoi compagni il divampare della rivoluzione: a lungo si rammaricò di non poter lasciare Malta insieme a loro, per partecipare all’unificazione italiana, e a malincuore – a causa dei problemi di salute – declinò gli inviti di Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour che gli chiedevano di tornare in patria. Fu così costretto a spedire per posta la sua scheda di voto per il plebiscito, e a delegare la nipote a ritirare il collare della Ss. Annunziata conferitogli da Vittorio Emanuele II. Nel 1862, dopo essere stato nominato nel 1861 in absentia presidente del Senato, provò a organizzare il suo rientro in Sicilia, ma anche stavolta la malattia glielo impedì. In quei mesi fu protagonista di uno scontro con il vescovo di La Valletta, strenuo sostenitore delle reazioni antiunitarie, che non gli perdonò la sottoscrizione del prestito per i danneggiati dal brigantaggio. Consapevole della fine imminente, Ruggero accettò di scrivere una lettera di discolpa. Morì a La Valletta il 2 maggio 1863, fra le braccia di Raeli.

Poté ricevere i sacramenti prima di tornare finalmente a Palermo, dove fu sepolto nella chiesa di S. Domenico.

Fonti e Bibl.: Il corpus principale della sua documentazione e dei suoi carteggi privati è custodito a Palermo presso la Società siciliana di storia patria, Sala Lodi, Carte Settimo Un memoriale inedito della sua esperienza in Marina si trova presso la Biblioteca nazionale di Napoli (Prov.63, Memorie del capitano Ruggero Settimo, 1808-1814), mentre per i decenni successivi si segnalano i documenti dell’Archivio di Stato di Palermo: la Miscellanea contiene le Carte Fitalia, le Carte Castelnuovo (sulla gestione dell’Istituto agrario) e quelle del governo del 1848, ma è possibile trovare riferimenti anche nei fondi Luogotenenza e Ministero per gli Affari di Sicilia. Sue lettere sono presenti presso l’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma (fondi Nelson Gay e Archivio) e la Biblioteca Fardelliana di Trapani (Carteggio Torrearsa). Giornali e documenti riguardanti il suo esilio sono custoditi presso la National Library e il National Archive di Malta (fondo Gov, ad annum). Fra i profili biografici si segnalano: F. Cordova, R. S., Torino 1852; G. Colonna, R. S., Torino 1861; M. Bertolami, R. S. Commemorazione, Torino 1863; F. Perez, Orazione in morte di R. S., Palermo 1863; C. Avarna, R. S. nel risorgimento siciliano, Bari 1928; O. Ziino, R. S. e il Risorgimento italiano, Roma 1930; G. Abbadessa, R. S. nella rievocazione di Francesco Perez, Roma 1939; F. Pennavaria, R. S., Firenze 1940; G. Bonaffini, Attività politica di R. S. attraverso documenti inediti (1811-1847), Palermo 1974. Sul suo ruolo durante il decennio inglese si vedano: F. Renda, La Sicilia nel 1812, Palermo 1963, ad ind.; S.A. Granata, Monarchie mediterranee. Ferdinando IV di Borbone tra Sicilia ed Europa (1806-1815), Roma 2016, ad indicem. Sulla partecipazione ai moti del 1820: F. Renda, Risorgimento e classi popolari in Sicilia 1820-21, Torino 1968, ad indicem. Riguardo alla sua attività nel 1848, numerosi sono i riferimenti, sia nella memorialistica coeva sia nelle ricostruzioni storiografiche. Si segnalano: Parlamento di Sicilia. Discorso di apertura di R. S., Palermo 1848; la raccolta R. S. e la Sicilia. Documenti sulla insurrezione Siciliana del 1848, Italia 1848; Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Sicilia, I-IV, Roma 1911, passim; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, ad ind.; F. Renda, Storia della Sicilia, II, Palermo 1985, ad indicem. Sull’esilio si vedano: G. La Farina, Epistolario, raccolto e pubblicato da A. Franchi, I-II, Milano 1869, ad indices; C. Gallo, Matteo Raeli e R. S. attraverso alcune lettere, Siracusa 1964; G. Ciampi, I liberali moderati siciliani in esilio nel decennio di preparazione, Roma 1979, ad indicem.

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