ROMANO, Ruggiero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROMANO, Ruggiero.

Maurice Aymard

– Nacque a Fermo il 23 novembre 1923, figlio terzogenito di Luigi, magistrato, e di Bianca Cerami.

Se Romano affermò sempre il suo attaccamento e la sua fedeltà alla città dov’era nato, è Napoli – dove la sua famiglia, dopo il trasferimento del padre, venne ad abitare, al n. 14 di piazza Giovanni Bovio (più nota come piazza Borsa) – che segnò la sua adolescenza e la sua gioventù: vi fece gli studi liceali e universitari, vi scelse la strada della storia, vi conobbe i primi maestri e vi fece le prime ricerche. Anche quando la lasciò per Parigi, Napoli rimase la città del suo cuore, dove veniva a trovare i suoi, e perfino a «riscoprirla», come scrisse a Fernand Braudel l’11 luglio 1951, subito dopo la sua elezione al posto di directeur d’études (v. infra; Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, Archives de Fernand Braudel, Correspondance, Dossier Ruggiero Romano).

Conseguì due lauree (entrambe con la votazione di 110 cum laude), sotto la direzione di Nino Cortese, la prima nel 1945, in storia, alla facoltà di lettere (tesi su Le relazioni tra il Regno di Napoli, la Francia e la Repubblica di Venezia), la seconda nel 1947 alla facoltà di filosofia (tesi su Vincenzo Russo e la Repubblica napoletana del 1799, poi pubblicata con questo titolo in Atti dell’Accademia delle scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli, LXIV (1952), pp. 3-63). L’inaugurazione ufficiale, il 16 febbraio 1947, dell’Istituto italiano per gli studi storici – fondato l’anno precedente da Benedetto Croce che, dopo la morte di Adolfo Omodeo, ne aveva affidato la direzione a Federico Chabod – creò un’opportunità allora del tutto nuova in Italia, poiché permetteva a un gruppo selezionato di giovani laureati di prepararsi alla carriera accademica, ricevendo una formazione avanzata e sviluppando un loro programma personale di ricerca. Romano fece parte del piccolo gruppo di allievi ammessi alla frequenza per il primo semestre di attività dell’Istituto e, per il primo anno accademico ‘regolare’ (il 1947-48), della lista ‘ampia’ dei 37 ammessi nelle stesse condizioni, ma non di quella ‘ristretta’ dei 16 ai quali venne attribuita una borsa, rinnovabile per un secondo anno accademico. Chabod, pur rimanendo nel campo della storia politica, gli affidò un altro argomento, il nuovo equilibrio europeo creato dalla pace di Cateau-Cambrésis del 1559 (su cui Romano avrebbe in seguito scritto La pace di Cateau-Cambrésis e l’equilibrio europeo alla metà del secolo XVI, in Rivista storica italiana, LXI (1949), pp. 526-550). Questo tema d’indagine gli avrebbe aperto inediti orizzonti e l’avrebbe portato a Parigi, grazie a una ‘borsa di scambio’ di un anno del ministero francese degli Esteri. La lettera che Chabod gli consegnò per Braudel, da lui conosciuto agli archivi di Simancas (Spagna) nel 1928, decise il suo futuro.

Arrivato a Parigi il 12 dicembre 1947, Romano rispettò scrupolosamente gli impegni presi con Chabod. Ma l’incontro con Braudel, nel marzo del 1948, creò presto una situazione nuova. Braudel aveva difeso un anno prima la sua tesi di dottorato, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, e ne stava preparando la pubblicazione (avvenuta poi nel 1949). Aveva appena creato, con Lucien Febvre – che l’aveva associato alla direzione delle Annales dopo il suo ritorno dal campo di prigionia in Germania, dove aveva passato cinque anni –, una nuova sezione, la Sesta (dedicata alle Scienze economiche e sociali) dell’École pratique des hautes études (EPHE), che era destinata all’insegnamento della ricerca e all’interno della quale assunse l’anno successivo (1949) la direzione del nuovo Centre de recherches historiques (CRH). Quest’ultima istituzione disponeva di finanziamenti limitati, ma sufficienti – con l’aiuto prima del Centre national de la recherche scientifique (CNRS) e poi di alcune fondazioni statunitensi (Ford e Rockefeller) – per avviare progetti di ricerca, reclutare personale, invitare ricercatori stranieri e organizzare missioni all’estero. Braudel voleva utilizzare il CRH per costituire intorno a sé un gruppo di giovani ricercatori francesi (Pierre Chaunu, Pierre Jeannin e Frederic Mauro) e soprattutto stranieri (Jean-François Bergier, José Gentil da Silva, Vitorino Barbosa de Magalhães Godinho, Giulio Mandich, Frank C. Spooner, Alberto Tenenti, Ugo Tucci e altri ancora). Puntava su di loro e sulle loro ricerche per ampliare le indagini negli archivi dell’area mediterranea e preparare una seconda edizione del suo libro (che sarebbe uscita, in due volumi, nel 1966). Romano fu il primo che lui identificò, e con lui nacque molto presto un rapporto personale e quasi familiare, un’amicizia che rispettava la gerarchia fra maestro e allievo, ma era priva della distanza che caratterizzava i rapporti di Romano con i suoi maestri napoletani.

Romano comprese molto presto e seppe cogliere l’occasione che gli si presentava, rispondendo alla seduzione e al fascino che aveva per lui l’apertura degli orizzonti della storia proposta da Braudel. Apertura geografica molto larga, il cui simbolo era la promozione del Mediterraneo al ruolo di protagonista principale e quasi di eroe del libro di Braudel (un ruolo assente nel titolo della traduzione italiana, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 1953). Ma anche apertura metodologica a una storia economica dinamica, che centrava la sua attenzione sui movimenti dei prezzi nel loro rapporto con i ritmi generali dell’economia, sugli scambi commerciali (soprattutto marittimi), le finanze e il credito, l’organizzazione dei mercati e le istituzioni che li regolavano, il ruolo degli attori e imprenditori – mercanti, banchieri, armatori, appaltatori della riscossione delle tasse –, le strade marittime e terrestri e i collegamenti che rendevano possibili, a breve così come a lunga distanza, superando tutte le frontiere politiche, religiose e culturali.

Si aprì così per Romano una nuova, lunga fase (1948-66) che fece di lui, visto dall’Italia, il primo degli italiani della ‘scuola delle Annales’ e quasi il rappresentante e il portavoce di Braudel. Seppe svolgere questo ruolo senza mai rimettere in questione il rapporto con i suoi maestri italiani, soprattutto con Croce e con Chabod. D’accordo con Braudel, Chabod gli permise di conciliare la sua ammissione, alla fine del 1948, alla Scuola storica italiana, diretta a Roma da Gaetano De Sanctis, e il suo reclutamento presso la Sesta sezione (con un finanziamento del CNRS) come ricercatore per un anno, rinnovabile due volte. Romano ebbe così la possibilità di iniziare, sotto la direzione di Ernest Labrousse, nuove ricerche sull’economia del Regno di Napoli nel Settecento e sul commercio di Marsiglia, di fare lunghi soggiorni nei principali archivi di Stato italiani (Firenze, Livorno, Genova, Venezia) per individuare e microfilmare i documenti interessanti per Braudel e per lui stesso, di trattare con l’editore Giulio Einaudi la traduzione del libro di Braudel, di organizzare i viaggi, i soggiorni e le conferenze di quest’ultimo in Italia, di pubblicare con lui un piccolo libro sul porto di Livorno (Navires et marchandises à l’entrée du port de Livourne, 1547-1611, 1951, tuttora non tradotto in italiano), e finalmente di preparare e dirigere, dopo una visita sistematica degli archivi dei piccoli centri urbani del Veneto, la prima grande inchiesta collettiva, realizzata con Tucci e Spooner, sulla storia dei prezzi e dei salari tra la fine del Medioevo e l’età moderna a Chioggia e Udine (i cui risultati finali sono rimasti inediti).

Quattro eventi vennero negli anni Cinquanta a indirizzare la sua carriera: l’elezione nel giugno del 1951 (con effetto anticipato al 1° aprile) al posto di directeur d’études all’EPHE (disciplina: storia geografica), che faceva di lui, a ventisette anni, il più giovane dei professori della Sesta sezione; l’insuccesso, nell’autunno del 1955, della sua candidatura al concorso di professore di storia economica in Italia, che provocò la rinuncia a una carriera accademica in patria; un suo soggiorno d’insegnamento, tra l’agosto e l’ottobre del 1957, nell’Università del Cile a Santiago; infine la sua nomina, alla fine del 1957, come direttore della nuova Maison de l’Italie della Cité universitaire internationale di Parigi, che (fino alle sue dimissioni, nell’estate del 1968) tentò di gestire come un ‘collegio universitario’ multidisciplinare. Negli anni seguenti fu crescente la sua partecipazione alla direzione del CRH accanto a Braudel – successore di Febvre (morto nel settembre del 1956) alla presidenza della Sesta sezione e alla direzione delle Annales –, che gli delegò nel 1963 il coordinamento della Divisione di storia economica e sociale – organizzata intorno al CRH –, uno dei due principali poli scientifici della Sezione, accanto a quello delle Aree culturali, diretto da Clemens Heller. Furono tutti eventi che avrebbero contribuito a nuove svolte a metà degli anni Sessanta, come lui stesso avrebbe poi ricordato molti anni dopo in un testo autobiografico (Encore des illusions, in Ruggiero Romano aux pays de l’histoire..., 1983).

La Sesta sezione – dove Romano, come sopra accennato, fu per tre anni ricercatore prima di diventare professore – influì molto sulla sua vita. Oltre al rapporto personale con Braudel e alle sue responsabilità scientifiche e amministrative, vi trovò un ambiente eccezionalmente dinamico, che gli aprì nuovi orizzonti di ricerca e gli procurò contatti personali e intellettuali con molti colleghi, storici o scienziati sociali di varie discipline, francesi o stranieri residenti in Francia, ma anche invitati per soggiorni più o meno lunghi (Ömer Lütfi Barkan, Earl J. Hamilton, Frederic C. Lane, José Luis Romero e così via). Fra di loro ebbero una grande importanza i colleghi polacchi (Marian Małowist, Witold Kula, Rafał Górski, Tadeusz Manteuffel, Antoni Maczak, Andrzej Wyrobisz, Bronisław Geremek, Barbara Grochulska), con i quali Braudel aveva stabilito un rapporto molto stretto nel 1957, durante un viaggio in quel Paese, e che costituivano una vera scuola storica. Romano creò così intorno a sé una rete multidisciplinare e internazionale variegata e densa.

Se egli visse male il suo scacco in Italia del 1955, la direzione della Maison de l’Italie gli offrì la possibilità di allargare la rete internazionale che aveva costruito a studiosi più giovani, italiani e non, venuti a terminare i loro studi o a iniziare le loro ricerche in campi diversi dalla storia e dalle scienze sociali e umanistiche: medicina, scienze naturali, arti, letteratura.

La svolta decisiva fu però provocata dalla sua scoperta dell’America Latina, che lo portò a relativizzare e poi a criticare le certezze e le ipotesi di lavoro che aveva fatto sue sin dall’arrivo a Parigi. Come detto, nel 1957 venne invitato dall’Università del Cile a Santiago (ma già nel 1954 Braudel aveva proposto il suo nome a Mario Góngora, allora ordinario di Storia medievale in quella università); insegnò la storia economica di impostazione francese – in particolare la storia dei prezzi – e formò un gruppo di ricercatori cileni. Esplorò sistematicamente le risorse degli archivi locali, e prima di tornare in Francia si fermò a Montevideo. Dopo un soggiorno nel 1961 a Buenos Aires – dov’era stato invitato da Romero, allora ordinario di storia sociale generale in quella Università –, nel 1962 tornò in Cile, e nel 1963 fu di nuovo in Argentina, a Córdoba. Nello spazio di qualche anno, l’America ispanica – dal Cile all’Argentina, dal Perù al Messico – diventò il suo principale campo di attività: vi dedicò cicli di insegnamento e di conferenze all’estero, ricerche poi confluite in articoli e libri (spesso pubblicati inizialmente in spagnolo, e non sempre tradotti in italiano o in francese), e, a partire del 1963-64, periodi di insegnamento alla Sesta sezione (dal 1975 École des hautes études en sciences sociales, EHESS) e la direzione di diplomi e di dottorati preparati e difesi fino alla sua pensione (1989) da più generazioni di studiosi latino-americani, venuti a Parigi a seguire i suoi seminari, talvolta con una borsa di studio, spesso anche come rifugiati politici, e di cui molti occuparono, dopo il ritorno in patria, posti accademici importanti. Tuttavia, malgrado l’intensità della sua produzione scientifica, largamente diffusa e letta nell’America ispanofona – alla quale dedicò, dopo numerosi articoli e saggi, i suoi tre ultimi libri, due dei quali usciti postumi (Moneda, seudomonedas y circulación monetaria en las economías de México, 1998; Il vallo della Patagonia: i nuovi conquistatori; militari, scienziati, sacerdoti, scrittori, 2003, con V. Blengino; Mecanismo y elementos del sistema económico colonial americano, siglos XVI-XVIII, 2004, trad. it. 2007) –, essa rimase a lungo poco conosciuta sia in Italia sia in Francia, dove fu letta soprattutto dagli ‘americanisti’.

La svolta latino-americana di Romano non si limitò allo spostamento geografico dei suoi interessi, o a una forma di allontanamento dal proprio ambiente. Egli fece dell’America ispanica un campo sperimentale per riformulare il quadro generale della storia economica: questa avrebbe rinunciato a imporre all’America coloniale i criteri di analisi e di interpretazioni elaborati per studiare il passato dell’Europa, e avrebbe dettato uno sguardo nuovo su quel passato. Tale riformulazione si organizzava intorno a tre grandi principi, che avrebbe in seguito riassunto nei consigli dati nel citato Encore des illusions: «i miei allievi dell’America centrale e meridionale [...] non devono credere all’esistenza di un modello storiografico valido sempre e dappertutto; devono inventare, costruire il loro modelli interpretativi, dei modelli più vicini possibili alle realtà dei loro Paesi, della loro storia» (p. 19). Il primo principio era la distinzione – ripresa dallo storico austriaco Alfons Dospch – fra economia ‘naturale’ ed economia monetaria, alla quale dedicò con Tucci il sesto volume degli Annali della Storia d’Italia (Economia naturale, economia monetaria, 1983): la stragrande maggioranza dei prodotti e servizi si organizza – in particolare (ma non soltanto) nelle società rurali indiane o meticce – senza ricorrere all’uso di monete metalliche, che servono prima di tutto al grande commercio coloniale. Ne risulta (secondo principio) che i prezzi non possono più servire come indicatori privilegiati di una congiuntura economica condivisa dalle due parti dell’Atlantico: ciò spiega il titolo di Conjonctures opposées da lui scelto per il suo libro del 1992 sulla crisi del Seicento in Europa e nell’America iberica, che sviluppa nelle loro piene dimensioni le idee presentate trent’anni prima nel saggio Storia dei prezzi e storia della moneta (in Rivista storica italiana, LXXV (1963), pp. 239-268). Terzo principio: chi vuole capire le regole e le logiche di funzionamento precolombiane e coloniali, non può limitarsi alle fonti scritte prodotte e conservate dalle istituzioni amministrative o religiose. Deve utilizzare le risorse e le griglie analitiche delle altre discipline, in particolare di quelle che si occupano delle società che ricorrono poco alla scrittura, l’antropologia e l’etnologia: ciò spiega il suo entusiasmo per l’etnostoria teorizzata dal sociologo e antropologo John V. Murra (ucraino nato a Odessa, cresciuto in Romania, emigrato nel 1935 negli Stati Uniti di cui diventò cittadino).

La metà degli anni Sessanta segnò per Romano un’altra svolta, provocata da un’esigenza – percepita dopo aver passato i quarant’anni d’età – di rinnovamento personale. Così l’avrebbe rievocata nel 1983: «io percepii […] che l’Università era ormai arrivata al suo limite. […] Bisognava prendere le sue distanze; preparare il più seriamente possibile i suoi seminari; dirigere con passione i lavori dei giovani studiosi. Però, per agire, per esercitare una influenza (intellettuale, e, di sicuro, non politico o come si dice, ‘di potere’) bisognava andare altrove. E, quasi, ricominciare tutto ex novo» (Encore des illusions, cit., p. 21).

Nel momento stesso in cui abbandonava la direzione del CRH, tale ‘altrove’ fu l’Italia e l’editoria, e si identificò con la casa editrice Einaudi, dov’era consulente da qualche anno, soprattutto per la traduzione di opere straniere, che fece di tutto per allargare ai Paesi dove aveva contatti personali (Polonia, Francia, Gran Bretagna, America Latina ecc.) e alle discipline non storiche, come l’antropologia, l’economia, l’epistemologia, la psicanalisi, la filosofia. La sua ambizione dichiarata era di fare di Einaudi l’editore di riferimento per l’introduzione in Italia delle opere più importanti e nuove nel campo delle scienze sociali e umane, e di agire così, dall’interno, sulle dinamiche della cultura italiana, mobilitando tutte le risorse della rete internazionale e multidisciplinare di contatti e di informazioni che aveva creato – da Parigi e in occasione dei suoi viaggi – durante i due decenni precedenti. La tappa ulteriore fu la proposta di Grandi opere ambiziose, organizzate sotto la forma di collane di volumi collettivi, pianificate e curate da lui, con l’aiuto di un piccolo gruppo di consiglieri. Delle tre proposte formulate fin dal 1966, la terza, quella di una Storia universale, fu rimandata a più tardi, e poi abbandonata negli anni Ottanta. Le altre due da lui concepite e programmate furono portate a termine e occuparono un posto di primo piano per più di venticinque anni nei dibattiti culturali italiani: la prima nel campo della storia, la seconda in quello di tutte le scienze, sociali, umane e naturali. La Storia d’Italia (I-VI, 10 tt., 1972-1986), lanciata nel 1966, fu integrata prima dalla collana degli Annali (I-XXVI, 28 tt., 1978-2011) e poi da quella delle Regioni dall’Unità ad oggi (I-XX, 1977-2002), portata a termine, quando Romano lasciò la Einaudi, da Corrado Vivanti e Carmine Donzelli. Fu seguita dall’Enciclopedia (I-XVI, 1977-1984), lanciata nel 1969. Questi due progetti mobilitarono centinaia di autori, quasi esclusivamente italiani per la Storia d’Italia (con pochissime eccezioni, come Braudel e Jacques Le Goff, il che non bastò a impedire ad alcuni di denunciare un’impresa ‘ispirata da fuori’, dall’école des Annales), ma divisi quasi a metà fra l’Italia e il resto del mondo per l’Enciclopedia. Entrambe le opere sono profondamente segnate dalle letture, dalle riflessioni e dai contatti personali accumulati e capitalizzati da Romano durante i decenni precedenti, da quando aveva lasciato Napoli: attestano l’originalità del percorso intellettuale e della cultura di questo «italien hors d’Italie» (Busino, in Ruggiero Romano aux pays de l’histoire..., 1983, p. 181). Un italiano di cui lo storico polacco Krzysztof Pomian – uno dei coordinatori principali dell’Enciclopedia –, nel suo intervento in una giornata di studi a Parigi (En souvenir de Ruggiero Romano, Maison de l’Italie, Cité universitaire internationale, 28 maggio 2015), ha ricordato giustamente che aveva sempre rifiutato di abbandonare la cittadinanza italiana, e ha sottolineato che era «il più italiano degli italiani» che abbia mai conosciuto. Un italiano che, attraverso la varietà dei suoi articoli, saggi e interventi spesso polemici, riuscì a creare per sé un posto nello stesso tempo atipico e di primo piano nella cultura italiana, che voleva contribuire ad aprire sul mondo e sulle dinamiche in corso nelle scienze della seconda metà del Novecento.

Morì a Parigi il 5 gennaio 2002.

Fonti e Bibl.: Romano aveva predisposto fin dalla metà degli anni Ottanta la cessione dei suoi libri, manoscritti, dossier e schedari e della sua corrispondenza a varie istituzioni: Società napoletana di storia patria (prima del 1988): libri e documenti sul Regno di Napoli; Scuola superiore di studi storici dell’Università di San Marino (1989-91): la maggior parte della sua biblioteca, tranne le parti ‘napoletana’ e ‘latino-americana’; Torino, Fondazione Luigi Einaudi (1999-2003): libri e materiale documentario sull’America Latina; Milano, Fondazione Feltrinelli (2002): tutto il resto dei suoi documenti e libri, e della sua corrispondenza. Vi si devono aggiungere: Torino, Casa editrice Einaudi: tutto il materiale legato alla sua attività editoriale; Corrispondenza privata di Fernand Braudel, Parigi, Bibliothèque dell’Institut de France, Quai de Conti, dossier Ruggiero Romano, 225 lettere; Parigi, Maison de l’Italie, Città internazionale universitaria, archivi del suo periodo direzionale, depositati presso gli archivi nazionali francesi.

Per le bibliografie su Romano, si vedano più sotto quelle curate da Luciano Lovera nel 1983 (243 titoli, più 6 libri collettivi e una rivista, diretta da lui e Marcello Carmagnani dal 1979, Nova americana) e da Alberto Filippi nel 2000 (369 titoli).

R. R. aux pays de l’histoire et des sciences humaines. Etudes publiées à l’occasion de son 60e anniversaire, n. monografico della Revue européenne des sciences sociales - Cahiers Vilfredo Pareto, XXI (1983), 64 (in partic. R. Romano, Encore des illusions, pp. 13-28; L. Lovera, Bibliographie de R. R., pp. 45-60; G. Busino, Un italien hors d’Italie, pp. 181-190); R. R., l’Italia, l’Europa, l’America. Studi e contributi in occasione della laurea honoris causa, a cura di A. Filippi, Istituto di studi giuridico-politici dell’Università degli studi di Camerino, Camerino 2000 (in partic. K. Pomian, Laudatio. Storia e enciclopedia nell’opera di R. R., pp. 25-44; A. Filippi, Guida alla bibliografia degli scritti editi di R. R., 1947-1998, pp. 455-485); R. R. Atti dell’incontro di studi, San Marino, giugno 2012, Scuola superiore di studi storici, a cura di P. Butti di Lima, San Marino 2014.

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