SACRAMORO da Rimini

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SACRAMORO da Rimini (Sacramoro Menchiozzi)

Gianluca Battioni

SACRAMORO da Rimini (Sacramoro Menchiozzi). – Nacque a Rimini nel 1424 da Antonio di Sacramoro Menchiozzi e da Costanza dell’Albareto.

Il padre era al servizio dei Malatesta con incarichi amministrativi e fu probabilmente l’artefice delle prime fortune del ramo riminese di una famiglia milanese, quella de Menclociis / de Chiociis, ancora testimoniata fra gli ‘officiali’ sforzeschi nel secondo Quattrocento: un avo di Sacramoro, Giorgio, in un rogito riminese del 1384 era infatti detto de Mediolano. La famiglia assunse il cognome Sacramoro, in sostituzione di quello Menchiozzi, proprio grazie all’ascesa sociale realizzata da Sacramoro da Rimini.

Non è noto se Sacramoro abbia compiuto studi regolari. Una testimonianza tardiva pare alludere alla frequenza dell’Università di Perugia negli anni in cui vi insegnava Francesco Della Rovere – il futuro pontefice Sisto IV – e dunque fra il 1451 e il 1455: questo spiegherebbe la stima e la simpatia subito nutrite dal pontefice per l’oratore milanese.

Almeno dalla metà del 1452 Sacramoro fu addetto alla cancelleria malatestiana e inviato in missioni diplomatiche, non senza qualche traversia: nel 1454, mentre Sigismondo Pandolfo era al servizio di Siena contro Aldobrandino Orsini conte di Pitigliano, Sacramoro fu arrestato da un inviato di quella Repubblica che gli sequestrò la corrispondenza diplomatica, fra cui quella indirizzata dal signore di Rimini ai sovrastanti alla costruzione del Tempio riminese.

Nell’autunno del 1457 fu a Napoli per le trattative di pace fra Sigismondo Pandolfo Malatesta e re Alfonso, e nel 1460 a Milano, per trattare, con la mediazione di Francesco Sforza, il soldo di Sigismondo Pandolfo con Ferrante d’Aragona. Nel 1462 fu poi inviato a Niccolò Piccinino per trattare il matrimonio di una figlia del condottiero con Giovanni, figlio naturale di Malatesta. Nel 1463 ricevette la procura per abiurare all’eresia della quale Sigismondo Pandolfo era stato accusato da Pio II. Era dunque divenuto uomo di stretta fiducia del signore riminese.

Nel settembre del 1464, nell’anno successivo alla rovina politica di Sigismondo Pandolfo, Sacramoro fu invece assunto come ‘famiglio cavalcante’ di Francesco Sforza, con uno stipendio mensile di 30 fiorini. Nel 1465 fu inviato a Roma, donde si recò a Napoli (nel maggio); nella capitale del Regno si trovava anche nel 1466, quando vi si recò Lorenzo de’ Medici per rafforzare l’incerta posizione politica della sua famiglia in Firenze, ed ebbe modo di riconoscere e apprezzare precocemente le brillanti doti di Lorenzo il Magnifico.

Deceduto Francesco Sforza nel marzo del 1466, Sacramoro fu confermato da Galeazzo Maria nel ruolo di ‘famiglio cavalcante’, con stipendio superiore ai colleghi. Nel luglio del 1466 fu inviato a Roma e poi a Firenze; nell’autunno si ipotizzò di inviarlo a Venezia, ma un anno più tardi (autunno 1467) era invece a Vienna presso Federico III per trattare dell’investitura ducale di Galeazzo Maria in occasione della discesa in Italia che l’imperatore stava preparando. Nel 1468, a Firenze, affiancò Nicodemo Tranchedini e nell’ottobre lo sostituì come oratore residente (dopo il suo trasferimento a Roma); nella città toscana rimase fino alla primavera del 1473, acquisendo una profonda conoscenza della situazione politica fiorentina e crescendo nella considerazione degli Sforza e dei Medici.

In effetti, il 12 gennaio 1472 fu nominato segretario della cancelleria segreta sforzesca per il suo lungo servizio e per i suoi meriti; il 3 giugno 1473 Firenze concesse a lui e ai suoi discendenti la cittadinanza e l’immunità fiscale. Bartolomeo Scala, il cancelliere fiorentino, si rivolgeva a lui come a compater (Bartolomeo Scala. Humanistic..., a cura di A. Brown, 1997, p. 19); nel gennaio del 1472, in un anonimo elenco fiorentino di centonove rilevanti personaggi cittadini, figurava anche il nome di Sacramoro, accompagnato dal motto «va adagio, che ci è di mali passi» (Corti, 1952, p. 155). Restavano comunque vivi i rapporti riminesi: nel 1469-70 fu in corrispondenza con Roberto Malatesta, impegnato a ricostituire il dominio del padre Sigismondo Pandolfo.

Intanto, all’inizio del 1471, Sacramoro aveva scritto a Galeazzo Maria «che se recordi trovarmi un giorno una donna et un nido per non essere chiamato forestiero a Milano» (cit. in Cerioni, 1970, p. 221). La scelta del duca cadde su una figlia di un altro ‘officiale’ sforzesco, Pietro Paolo della Strada, incinta di un precedente matrimonio, che portò a Sacramoro una dote di 2000 fiorini (e il cui nascituro poteva contare su un patrimonio valutato 10.000 fiorini).

Nel marzo del 1473 Sacramoro fu inviato a Roma per seguire le trattative che dovevano portare il vescovo di Novara, Giovanni Arcimboldi, al cardinalato. Quando costui ottenne la porpora, il duca scrisse al suo oratore che avrebbe fatto ritorno a Firenze – dove nel frattempo lo sostituiva il nipote Filippo Sacramoro – e che a Roma sarebbe stato sostituito da Giovanni Andrea Cagnola. Pietro e Girolamo Riario, nipoti del pontefice Sisto IV, informarono però Sforza di non gradire Cagnola e di avere invece apprezzato Sacramoro, che rimase così a Roma.

Giovanni Antonio Feruffini, segretario del cardinale Pietro Riario, in una sua lettera al duca del 22 maggio 1473, scriveva che «el papa [...] n’è innamorato como uno amante de una damicella, et merito quidem, per la sua modestia et altre singulare parte ha demonstrato in quello ha havuto ad tractare et cetera» (cit. in Somaini, 1997, p. 33).

Nel Natale del 1473 Sisto IV conferì motu proprio a Sacramoro alcuni dei benefici vacanti per la morte del cardinale Niccolò Forteguerri, del valore di 400 ducati d’oro (le commende vallombrosane di S. Fabiano e di S. Maria di Grignano nella diocesi di Pistoia e dei Ss. Pietro e Paolo di Moscheto nella diocesi di Firenze), affinché potesse acquistare il protonotariato apostolico, che ne costava 300. Il 13 gennaio 1474 Sacramoro annunciò di voler prendere gli ordini sacri avendo annullato il matrimonio «ratum et non consumptum», e pochi giorni dopo (19 gennaio) fu emessa la bolla che gli conferiva il protonotariato.

La stima e la confidenza del pontefice, e soprattutto il rapido e probabilmente inatteso passaggio dell’oratore dallo stato laicale a quello ecclesiastico, generarono sospetti in Galeazzo Maria circa la fedeltà e l’obbedienza al regime sforzesco di un Sacramoro ora prelato apostolico; ma, superati i sospetti iniziali, il duca si rese conto ben presto dei vantaggi che un oratore ecclesiastico gli avrebbe procurato a Roma, a partire da quelli formali, che consentivano di superare la questione ricorrente della precedenza con gli oratori veneziani nelle occasioni pubbliche. Anzi, fra l’agosto del 1474 e il gennaio del 1475, fu proprio Galeazzo Maria Sforza a progettare la promozione del protonotario al vescovato, dapprima di Piacenza, poi di Como, poi di Tortona, a mano a mano che si prospettavano le vacanze di queste sedi. Sacramoro venne infine promosso vescovo di Piacenza nell’ottobre del 1475 e traslato poco dopo a Parma nel gennaio del 1476 (senza risiedervi).

Lo stipendio di oratore a Roma era di cento ducati al mese, ma Sacramoro aveva potuto arrotondarlo con i proventi dei benefici ecclesiastici: ai precedenti si aggiunsero, rispettivamente nel gennaio e nell’agosto del 1474, le commende delle abbazie di S. Gaudenzio e di S. Giuliano di Rimini. Nel giugno del 1475 rifiutò la proposta, avanzata dal pontefice, di diventare tesoriere generale, per mantenere un’esclusiva fedeltà al regime sforzesco. Nell’inverno dello stesso anno compì una breve missione a Napoli per sincerarsi delle condizioni di salute di re Ferrante. Intanto, stringeva rapporti confidenziali con prelati, oratori e intellettuali che gravitavano su Roma: particolarmente fitta, in quegli anni, la corrispondenza con Francesco Filelfo e Jacopo Ammannati Piccolomini.

Intanto a Milano la situazione precipitava: dopo l’assassinio di Galeazzo Maria Sforza (26 dicembre 1476), la solidità del regime sforzesco vacillava, per i ripetuti tentativi dei fratelli del defunto duca di togliere il potere alla vedova, Bona di Savoia, reggente per il figlio Gian Galeazzo Maria, e al segretario Cicco Simonetta. Sacramoro, verosimilmente nominato consigliere segreto almeno dal gennaio del 1476, fu richiamato nel dominio sforzesco, e il 30 agosto 1478 fece il suo ingresso nella diocesi di Parma (dove era stato sino ad allora sostituito da luogotenenti, vescovi suffraganei, vicari generali).

Il compito che gli venne affidato dai duchi, da svolgere nella più stretta collaborazione con gli altri ‘officiali’, era quello di garantire l’ordine pubblico e l’obbedienza cittadina agli Sforza: assicurare la pace fra le ‘squadre’, ovvero tra le fazioni aristocratiche (inizialmente il suo operato veniva visto con particolare sospetto dalla squadra dei Rossi); ma anche moralizzare un clero turbolento e colluso con le ‘squadre’, e riformare i monasteri femminili. Sacramoro si distinse per i doni e per i restauri alla cattedrale e al palazzo vescovile. In quegli anni di residenza a Parma furono però frequenti anche le missioni a Milano in qualità di consigliere segreto.

L’operato di Sacramoro nella diocesi fu interrotto dall’aggravarsi delle tensioni tra Venezia e Ferrara, che avrebbero condotto allo scoppio della cosiddetta guerra di Ferrara (2 maggio 1482). La situazione era delicata, anche perché Roberto Sanseverino e il parmense Pier Maria Rossi avevano colto l’occasione per ribellarsi a Ludovico il Moro, che nel novembre del 1480 si era definitivamente impadronito del potere a Milano. Lo Sforza ricorse allora all’esperienza del vescovo oratore, destinandolo a Ferrara: qui Sacramoro giunse nell’inverno del 1481, ma pochi mesi dopo morì (25 agosto 1482).

I funerali si svolsero il 27, nella cattedrale di Ferrara; la salma, accompagnata dagli ambasciatori del re di Napoli, di Firenze, del marchese di Mantova e da altri gentiluomini e dottori ferraresi, fu imbarcata sul Po alla volta di Parma, nella cui cattedrale Sacramoro fu sepolto.

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