Sahel

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Sahel

Angelo Turco

Grande regione naturale dell'Africa settentrionale compresa fra il deserto del Sahara a N e l'ambiente umido-sudanese a S. Tradizionalmente il S. viene ricompreso fra la isoieta di 200 mm e la isoieta di 500 o, in una visione più allargata, di 700 mm a S. Dal punto di vista politico, dopo la lunghissima parentesi coloniale, che dalla metà del Quattrocento si protrasse fino alla fine della Seconda guerra mondiale, e che vide protagoniste Francia, Gran Bretagna e, con assai minore incidenza, Portogallo, il S. agli inizi del 21° sec. si distribuisce su dieci diverse entità statali: Senegal, Mauritania, Guinea Bissau, Gambia, Capo Verde, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Sudan. I primi nove sono riuniti nel CILSS (Comité Permanent Inter-états de Lutte contre la Secheresse dans le Sahel), fondato nel 1973. Nel loro insieme i dieci Paesi coprono una superficie di poco inferiore agli 8 milioni di km2, con una popolazione di circa 80 milioni di abitanti e, nonostante la loro sostanziale omogeneità, risultano caratterizzati da contesti climatici differenti. Così il Sudan, il più vasto (1/3 del totale) e popolato (40%) tra gli Stati saheliani, si estende tra il Tropico del Cancro e l'Equatore, comprendendo vaste aree desertiche cui seguono in sequenza latitudinale fasce steppiche, savanicole, forestali. Il Ciad si presenta in situazione analoga, mentre Niger, Mali e Mauritania si sviluppano per gran parte in pieno Sahara. Si tratta di un insieme geopolitico tra i più sensibili del pianeta, con diffusissime sacche di povertà, che solo in parte lo sfruttamento di risorse minerarie in alcuni Stati (uranio in Niger; più recentemente petrolio in Mauritania, Ciad e Sudan) promette di alleviare. Restano diffusi gli irrisolti problemi di rappresentanza democratica, l'estrema fragilità sociale, i livelli bassissimi di sviluppo umano che, come rivelano i dati forniti dalle Nazioni Unite, pongono queste regioni tra le più povere del mondo. Inoltre, i conflitti provocano continue ondate di violenza e devastazione. In Ciad, martoriato fin dall'indipendenza da sequenze ininterrotte di colpi di Stato preceduti o seguiti da guerre civili; e soprattutto in Sudan, dove nel 2004-05 i venti di pace che sembravano chiudere la più lunga e sanguinosa guerra d'Africa si incrociavano con i nuovi venti di guerra nel Dārfūr.

Va peraltro detto che, come ovunque in Africa subsahariana, ma qui forse in maniera più accentuata che altrove, va crescendo una consapevole società civile di matrice urbana. Accanto a essa, persiste una realtà costituita dai villaggi rurali e dagli insediamenti pastorali che fonda la propria esistenza sui sistemi tecnici e regolativi tradizionali e che, pur non essendo in alcun modo 'contabilizzata', appare assai vitale anche con i suoi specifici problemi.

Sullo sfondo di un contesto geopolitico complesso e in continua evoluzione, il S. presenta come problema centrale quello relativo all'aridità del territorio o, più specificatamente, il problema della desertificazione. Il termine appare però improprio per diverse ragioni. La prima è che, data la modesta conoscenza dei meccanismi climatici e l'assenza di serie storiche di lungo periodo, non è possibile asserire che in questo caso si tratti di una tendenza ben definita, una specie di 'ciclo dell'aridità'. Una seconda ragione è che gli ambienti asciutti presentano una resilienza molto forte, e quindi con una marcata capacità di ricostituzione ecologica dopo un deficit pluviometrico, anche consistente. Certo, a una attenta analisi relativa al 20° sec., il S. ha visto una intensificazione dei periodi siccitosi: 1910-1916, 1944-1948, 1968-1973, 1980-1984. Tra le conseguenze più vistose del fenomeno, e in concomitanza a cause antropiche (dighe sull'affluente Komadugu-Yobe), la contrazione del Lago Ciad, passato da 25.000 km2 verso la metà del Novecento a 5000 km2 agli inizi del 21° secolo. Le anomalie pluviometriche, peraltro, si ripercuotono sui corpi idrici secondo rapporti non proporzionali: così nel 1984, quando una diminuzione delle precipitazioni del 25% ha provocato una riduzione dell'80% degli apporti fluviali al Ciad (bacino Chari-Logone, principalmente). Le ricorrenze siccitose, per quanto rilevanti dal punto di vista geografico-fisico, sono importanti soprattutto per l'impatto sulla geografia umana saheliana. L'agricoltura, a causa delle variazioni pluviometriche interannuali e, dunque, della mutevole estensione degli spazi utili, ha visto aumentare in modo considerevole i suoi già elevati livelli di precarietà con una forte ricaduta sull'allevamento, considerata l'attività principale e caratteristica del Sahel. La periodica contrazione delle precipitazioni ha avuto conseguenze sulla loro durata e sulla loro concentrazione annuale e, quindi, sull'ampliamento delle stagioni secche. A sua volta ciò ha comportato e comporta variazioni nella disponibilità di foraggio dei pascoli, nella vegetazione e nei suoi caratteri qualitativi, nella disponibilità idrica. In parallelo, nella regione si nota una crescita demografica importante, iniziata a partire dagli anni Ottanta, che ha comportato un aumento della pressione umana sugli spazi e le risorse naturali e, di conseguenza, una 'diminuzione' delle terre. D'altronde, grazie al successo ottenuto dai programmi di lotta contro le grandi epizoozie (peste bovina, peripolmonite contagiosa bovina), si è avuto anche un sensibile accrescimento del bestiame.

Da questo insieme di fenomeni nasce la necessità per gli allevatori di diversificare i loro sistemi di produzione e di adattare le transumanze. In particolare, parallelamente all'impoverimento dei pascoli saheliani, si osserva una progressiva tendenza degli allevatori a spostarsi verso le regioni più meridionali, dove ancora sussistono spazi pastorali e terre coltivabili. Questa meridionalizzazione si presenta in modo assai complesso, drammatico talora, giacché coinvolge aspetti culturali e sociali delle popolazioni dedite alla pastorizia: è il caso dell'eggol, la migrazione senza ritorno, come la chiamano i Peul, il popolo che con maggior forza incarna il pastoralismo saheliano. Si disegna così una nuova geografia del S., imperniata sul progressivo slittamento verso Sud sia degli insediamenti sia dei tradizionali tragitti della transumanza. Questo fenomeno, a sua volta, provoca altri effetti. Per esempio, nel corso di questi spostamenti multiformi, che implicano una riterritorializzazione dello spazio naturale, l'allevatore entra in contatto con delle 'zone classificate': parchi nazionali, riserve naturali, santuari faunistici, riserve della biosfera (nei termini del programma MAB, Man and Biosphere, dell'UNESCO) e talora anche delle semplici foreste classificate, delle aree protette aventi statuto differente e nelle quali è proibito ogni accesso pastorale e ogni passaggio di animali. In effetti, quasi tutte le aree protette in Africa occidentale, dal Senegal (Parco nazionale di Djoudj) al Ciad (Parco nazionale di Zakouma), sono investite dalla transumanza durante la stagione asciutta e sono dunque oggetto di un uso illegale dei pascoli. Contemporaneamente, le interdizioni concernenti le aree protette si traducono in un accrescimento della pressione dei pastori sugli spazi 'non classificati' e dunque nelle periferie delle riserve e dei parchi. Queste sono occupate da agricoltori oppure agropastori che generalmente non si spostano per la transumanza poiché hanno stabilito localmente un equilibrio ecologico e sociofunzionale nell'utilizzazione dello spazio e delle risorse naturali. Si comprende dunque come questo spostamento pastorale verso le savane umide del Sud produca delle gravi alterazioni degli assetti geografici, con tutto quello che ciò comporta in termini di tensioni e di conflitti, non solo tra pastori e agricoltori, secondo l'immagine stereotipa che si ha in Occidente, ma con l'implicazione di una moltitudine di altri soggetti come gli allevatori sedentari, i pescatori - preoccupati per i loro specchi d'acqua sui quali converge il bestiame - e, infine, gli agenti delle acque e foreste incaricati di far rispettare i divieti relativi alle aree protette.

Questa nuova territorializzazione saheliana, dovuta allo spostamento delle attività pastorali e alla riconfigurazione delle reti di transumanza, acquista un significato strategico almeno per due motivi. Da un lato, essa assume una valenza internazionale: seguendo gli itinerari di transumanza, le mandrie passano da un Paese all'altro, sicché ogni tensione, ogni conflitto per l'uso delle risorse pastorali, anche localizzato, rischia di assumere il profilo di una crisi che coinvolge più Stati. Dall'altro lato, emerge il problema della rilevanza economica del pastoralismo. Si pensi, per es., che in Burkina Faso l'agricoltura e l'allevamento partecipano per il 25% al PIL occupando all'incirca l'80% della popolazione. Inoltre, i prodotti animali, escludendo le pelli e il cuoio, contribuiscono per 1/5 al valore delle esportazioni (in seconda posizione dopo il cotone). Quanto al Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, l'allevamento è praticato prevalentemente secondo il sistema pastorale transumante (Peul, ma anche Tubu e Tuareg) contribuendo per circa l'11% alla formazione del PIL e rappresentando l'attività principale per più di 1/5 della popolazione.

La territorialità saheliana odierna sembra così riannodare le fila con le proprie origini storiche, restituendo alla mobilità il segno geografico distintivo. Ai complessi movimenti pastorali, infatti, se ne aggiungono altri che si potrebbero definire, rispettivamente, di breve e di lungo raggio. I primi riguardano i movimenti di popolazioni che lasciano gli spazi rurali saturi di uomini e bestiame convergendo nelle città, specialmente le capitali: la geografia del S. diventa così sempre più una geografia urbana, se si considera che all'inizio del Novecento la popolazione delle città era inferiore all'1%, mentre un secolo più tardi aveva superato il 40%. I movimenti di lungo raggio, invece, si riferiscono alle migrazioni internazionali: si è calcolato che, prima della crisi avoriana, 1/5 dei burkinabé vivesse in Costa d'Avorio, mentre 1/6 dei maliani fosse fuori del proprio Paese. Imponente anche l'afflusso verso l'Europa: pur scontando la difficoltà delle quantificazioni precise, si può avere un'idea del fenomeno considerando la stima secondo cui più della metà dei neri africani salariati di Francia sono Soninké provenienti dalla valle del fiume Senegal.

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