ROSSI, Salamone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI (de' Rossi), Salamone

Franco Piperno

ROSSI (de’ Rossi), Salamone (Salamon, Salomone, Solomone; Shlomoh min ha Adumim). – Un documento del 1621 ci rivela che era «filius Domini Bonaiuti de Rossis hebreo Mantue». Il luogo di nascita è attestato da un’edizione musicale del 1617 che lo dice «Mantovano»; ignota resta la data: sulla base di quella del suo primo libro (1589), la si può fissare indicativamente attorno al 1570. Bonaiuto (in ebraico Azariah, il che ha indotto talora all’erronea identificazione con l’omonimo medico e biblista morto nel 1573) ebbe altri figli, fra cui Emanuele ed Europa (Madama Europa, cantante e attrice).

Primo musicista ebreo a ricoprire un ruolo rilevante nella storia della musica occidentale, Salamone Rossi fu membro della vasta comunità ebraica di Mantova (più di 2000 persone a fine Cinquecento), aperto alle committenze esterne, in primis dei Gonzaga, e all’interazione con il mondo musicale coevo. Alle eccellenze nell’esecuzione strumentale e nella danza, comuni presso musicisti ebrei nell’Italia della prima età moderna, Rossi aggiunse quella nella composizione musicale, attestata dagli oltre trecento brani tràditi nelle tredici pubblicazioni vocali e strumentali pervenute.

All’agosto del 1589 risalgono i primi dati certi sull’attività di Rossi. Una lista di musicisti salariati della corte di Mantova riporta, alla voce «estraordinari», il nome di «M. Salomone di Rossi hebreo» assieme a quelli di «M.a Europpa sua sorella» e di «Isachino della Profeta hebreo» (Isacchino Massarano, cantore, danzatore e liutista, altro membro della comunità ebraica mantovana e collaboratore di Rossi: assieme furono nel 1602 a Padova presso Pietro Priuli, ritornandone ricoperti di encomi). Con loro, fra gli «estraordinari», anche Alessandro Striggio. I musici ebrei assoldati da Vincenzo Gonzaga, duca dal 1587, parteciparono del mutamento di gusti musicali ch’egli impresse alla corte dopo l’austero ducato di Guglielmo.

Con dedica al duca, da Mantova il 19 agosto 1589, uscì a Venezia presso Ricciardo Amadino Il primo libro delle canzonette a 3 voci. Sul frontespizio e in calce alla dedica l’autore compare come «Salamone Rossi H.»: la «H.» sta per «Hebreo», indicazione di appartenenza etnico-religiosa obbligatoria come il contrassegno giallo che l’ebreo di allora doveva esibire sui propri abiti; essa tornerà, per esteso, in tutte le successive pubblicazioni di Rossi. L’esordio con un volume di polifonia leggera a tre voci è consueto per un musicista ventenne. Il contenuto rivela maturità e modernità di scelte: i testi esibiscono un lessico palesemente ispirato a Torquato Tasso (il n. 3, Vattene pur da me, cruda, lontano, evoca Gerusalemme liberata XVI, 59; il capoverso del n. 17, Scherzan intorno i pargoletti amori, cita il v. 3 di Dolcemente dormiva la mia Clori, Solerti 376), indizio di attualità e sintonia con i gusti di Gonzaga, che nel 1586 aveva tolto il poeta dalla prigionia di S. Anna ospitandolo a Mantova. Inoltre Rossi dispose i primi sette brani del libro a formare, con i rispettivi incipit, l’acrostico «VIVAT S R»: indizio di orgogliosa autorialità, in un membro di una minoranza appena tollerata, certamente incoraggiata dall’apprezzamento ducale. La raccolta non passò inosservata: sei testi vennero rimusicati nel 1592 dal mantovano Giovanni Giacomo Gastoldi, altrettanti nel 1597 dall’inglese Thomas Weelkes. Per converso si nota l’assenza di Rossi dalla silloge madrigalistica L’amorosa caccia de diversi eccellentissimi musici mantovani nativi a 5 voci che, stampata nell’aprile del 1588 e ristampata nel 1592, riunisce ventiquattro musicisti, maggiori e minimi, all’epoca attivi a corte e nella cattedrale.

Nel 1592 Salamone Rossi compare di nuovo in una lista di salariati dei Gonzaga, ancora assieme alla sorella e a Isacchino; con loro c’è per la prima volta Claudio Monteverdi. In entrambe le liste (1589 e 1592) il salario mensile di Rossi ammonta a lire 13 e soldi 19. Pur contemplando la possibilità di altre forme di remunerazione, si osserva che nel 1592 il maestro di cappella Giaches de Wert percepisce 84 lire, il neoarrivato Monteverdi 75, il vice maestro Benedetto Pallavicino 39, l’organista Francesco Rovigo 38. Il servizio di Rossi a corte è documentato negli anni 1595, 1602, 1606-1610, 1615, 1621, 1622 e 1624; la frammentarietà delle fonti non impedisce di ravvisare continuità fino agli anni di Ferdinando Gonzaga. Rossi ricevette sempre il medesimo salario; è possibile che il basso ammontare del salario vada ricondotto alla condizione di ebreo (Parisi, 1994, p. 198), e ciò a onta del fatto che Rossi dovette rivestire un ruolo guida di almeno un gruppo strumentale citato come «compagnia o concerto» o «sinfonie di Salamone», utilizzato a corte e spesso inviato altrove su richiesta di autorità locali (Mirandola, luglio 1607; lago di Garda, giugno 1609; Milano, maggio 1610; Parma, gennaio 1624). Di questo gruppo fecero parte altri salariati di corte, fra cui, dal 1603, i fratelli Orazio e Giovan Battista Rubini, ammirati e ben pagati violisti: Rossi si trovò dunque a dirigere musicisti stipendiati fino a quattro volte più di lui. Peraltro il tangibile apprezzamento dei Gonzaga si manifestò in due decreti (di Vincenzo nel 1606, di Francesco nel 1612) di esenzione dall’obbligo di esibire il discriminatorio contrassegno giallo.

Con dedica da Venezia, 16 settembre 1600, di nuovo indirizzata al duca Vincenzo, uscì presso Amadino il Primo libro de madrigali a 5 voci contenente «primitie delle mie fattiche». Con ciò Rossi pare rinnegare l’esordio del 1589: la ragione sta forse nel fatto che il libro delle canzonette fu da Rossi dato alle stampe «persuaso da altri», mentre l’uscita dei madrigali con dedica al duca «è mia ellezzione volontaria». Primizie assolute sono, in ogni caso, i «madrigali per cantar nel chittarrone con la sua intavolatura posta nel soprano» (i nn. 12-17 del libro): si trattò della prima attestazione a stampa della prassi dell’accompagnamento strumentale della polifonia vocale. Dal Secondo libro (1602) Rossi estese l’accompagnamento a tutti i brani e sostituì l’intavolatura con un «basso continuo per sonare in concerto» (nei successivi libri «per sonar istromenti da corpo»). I suoi madrigali contribuirono, assieme a quelli di Monteverdi, Pallavicino e Gastoldi, alla ricchezza e modernità della fioritura di questo genere nella Mantova dei Gonzaga, riflettendone i gusti musicali e le predilezioni letterarie (frequenti le concordanze testuali con Monteverdi). Se il Primo libro, che ebbe ben quattro ristampe, diede ampio spazio alla lirica di Battista Guarini, Cesare Rinaldi e Livio Celiano (alias Angelo Grillo), dal Secondo Rossi si aprì, fra i primi, alla moderna lirica di Gabriello Chiabrera e Ottavio Rinuccini, e dal Terzo (1603) iniziò a musicare componimenti di Giambattista Marino (ben dieci, dalle Rime del 1602, fra cui la Canzon de’ baci in otto parti). La cerchia di committenti e dedicatari comprese la marchesa Felicita Guerrera, vedova di Luigi Gonzaga di Palazzolo (Secondo libro), Alessandro I della Mirandola (Terzo libro), Federico Rossi di San Secondo (Quarto libro, 1610), Francesco Ludovico Gonzaga, figlio di Vincenzo (Quinto libro, 1622, con otto «madrigali concertati»). Completarono la serie delle pubblicazioni madrigalistiche un tardivo Primo libro a quattro voci (1614), dedicato al principe Alfonso d’Este (brani risalenti ai primi anni del secolo, tra cui sette stralci dall’atto III del Pastor fido), e i Madrigaletti a due voci (1628), dedicati a Paolo Emilio Gonzaga (con madrigali di Giambattista Basile e sonetti di Petrarca e di Rinuccini).

Tale successione editoriale indica il periodo di Vincenzo Gonzaga (morto nel 1612) come il più fecondo di Salamone Rossi e ne circoscrive l’ambito geografico dei movimenti al Ducato mantovano con i suoi vassalli o confinanti. Il quadro è confermato dalle quattro raccolte di musica strumentale: Primo (1607) e Secondo libro delle sinfonie e gagliarde (1608) a 3-5 voci, seguiti dal Terzo (1613, pervenuto in ristampe del 1623 e del 1638) e Quarto libro de varie sonate (1622), composti «per sonar due viole» (il Quarto per due violini) «e un chitarrone». I dedicatari furono rispettivamente il nobile mantovano Paolo Guglielmo Andreasi, Cesare d’Este duca di Modena e Reggio (la dedica seguì l’incontro fra il duca e Salamone Rossi e la sua compagnia di strumentisti avvenuto nel 1607 a Mirandola, fautore Alessandro Pico), Ferrante Gonzaga principe di Guastalla, e Vincenzo II Gonzaga.

Queste edizioni testimoniano il carattere innovativo dell’attività di Rossi violinista e direttore di complessi strumentali. Le due ultime sono capostipiti del genere seicentesco della sonata a tre per due violini e continuo: il titolo del brano d’apertura nel Terzo libro ne lascia trasparire la consapevolezza (Sonata prima detta la Moderna). I brevi brani senza indicazione d’uso (sinfonie) e quelli nello stile della danza (gagliarde, brandi, correnti, balletti) vanno ricondotti al repertorio composto da Rossi per gli spettacoli di corte, spesso realizzati da attori ebrei. Commedie allestite da ebrei espressamente richieste dal duca Vincenzo (1601: «vogliamo però che sieno gli Ebrei che la recitino», Parisi, 1997, p. 303, n. 42) sono documentate dal 1598 al 1620; la partecipazione di Rossi è accertata nel 1605, 1606 (Intrighi d’amore del Tasso con intermedi di Federico Follino), 1608 (L’idropica di Guarini: primo intermedio su versi di Chiabrera) e 1611. L’impiego teatrale di queste composizioni è suggerito da diversi titoli che rinviano probabilmente ad attori e personaggi di commedia (Narciso; La Emiglia; La Cecchina, forse per l’attore Pier Maria Cecchini; La Silvia; La turca; La favorita), a caratteri (La disperata; Amor perfetto; La sconsolata; La gratiosa; L’ingrata), ad abiti di scena (Il verdugale). In altri casi i titoli derivano da nomi di persone conosciute da Rossi (L’Andreasina; La Corombona; Venturino; La casalasca, per i citati fratelli Rubini da Casale), anche della comunità ebraica locale (La Norsina; La Massara).

Nel 1617 Rossi fu uno degli «eccellentissimi musici», fra cui Monteverdi, che fornirono brani per la sacra rappresentazione La Maddalena di Giovan Battista Andreini, il celebre Lelio, attore di casa a Mantova; Rossi compose il balletto Spazziam pronte, o vecchiarelle «cantato e sonato con tre viole da braccio». L’episodio attesta l’integrazione di Rossi nella società dei Gentili, segno di emancipazione professionale e di accettazione. Ne fu conferma un nuovo decreto di libertà nel vestire concesso a Rossi «musico di Sua Altezza» nel giugno 1619.

Fra il settembre del 1622 e il maggio del 1623 venne preparata, indi pubblicata a Venezia presso Pietro e Lorenzo Bragadini, l’opera musicale più significativa e originale di Salamone Rossi: Hashirim Asher li-Shlomo, trentatré salmi, inni e canti sinagogali a 3-8 voci, primo esempio di polifonia su testi ebraici (e prima stampa musicale, laddove testo e notazione non scorrono da destra verso sinistra, come in ebraico, bensì alla latina da sinistra a destra). Il lavoro uscì con un corposo apparato di paratesti intesi a giustificare sul piano dottrinale l’impiego della musica d’arte nella liturgia ebraica e a dissipare la diffidenza delle sinagoghe per innovazioni allogene e contrarie alla tradizione (dedica di Rossi al banchiere Moses Sullam; prefazione del rabbino Leon Modena; sua risposta a un quesito circa la legittimità dell’uso della polifonia in sinagoga approvata da cinque rabbini di Venezia; tre componimenti encomiastici). È un coraggioso segnale di emancipazione e riscatto nonché di volontà di porre la musica religiosa ebraica sullo stesso piano di quella cattolica. L’opera venne riscoperta nel 1861 e pubblicata in edizione moderna per la prima volta nel 1877 da Samuel Naumbourg, dando avvio di fatto allo studio della personalità artistica di Rossi.

La dedica dei Madrigaletti a 2 voci, da Venezia 3 gennaio 1628, è l’ultimo documento noto del musicista. Nello stesso anno uscì a Venezia un’edizione di Musiche varie, perduta (Vanhulst, 1996). I conflitti per la successione a Vincenzo II Gonzaga, morto senza eredi nel dicembre 1627, portarono nel luglio 1630 al sacco di Mantova da parte di truppe austriache e alla devastazione del ghetto. Le tracce del musicista si perdono in questi frangenti, aggravati dal contagio della peste. Congetturale resta l’ipotesi (Complete works, a cura di D. Harrán, 1999, p. 12) che, abbandonata Mantova, egli abbia fatto parte di un’accademia musicale istituita in Venezia da Leon Modena.

Opere. Complete works, a cura di D. Harrán, I-XIII, Middleton (Wis.), 1995-2003; catalogo tematico: J. Newman - F. Rikko, A thematic index to the works of S. R., Hackensack (N.J.) 1972.

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