SALARIO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SALARIO

Ester Capuzzo

(XXX, p. 493; App. II, II, p. 771; III, II, p. 648)

Sul piano lessicale è ricorrente la confusione che si registra a diversi livelli, da quello legislativo a quello giurisprudenziale, a quello sindacale, aziendale e contrattuale, circa i termini s. e stipendio, riferibili il primo alla paga spettante agli operai e il secondo alla remunerazione per gli impiegati, indifferentemente usati per esprimere il concetto di retribuzione. Questo termine, a sua volta di portata più ampia e maggiormente comprensiva, riesce a definire in modo più preciso, rispetto ai precedenti, il corrispettivo della prestazione lavorativa. Alla formazione della disciplina dell'istituto e all'elaborazione delle sue linee di sviluppo ha contribuito molto, negli ultimi decenni, la giurisprudenza con giudizi di merito e di legittimità su questioni diverse: dall'applicazione precettiva del principio della retribuzione proporzionata e sufficiente sancito dall'art. 36 della Costituzione (1° comma), al principio della onnicomprensività delineato dall'art. 2121 del Codice civile, alla definizione e alla composizione della retribuzione nonché all'individuazione dei suoi elementi diretti e indiretti.

Nella struttura del s. rilevanti sono gli elementi volti a remunerare la qualifica professionale e l'anzianità di servizio costituenti il minimo di paga base o differenziale di qualifica, come l'indennità di contingenza e gli scatti di anzianità. Questi, introdotti dagli accordi interconfederali del 1946 prima per gli impiegati dell'Italia settentrionale, poi estesi a quelli del centro-sud, successivamente recepiti nei d.P.R. 1097 e 1098 del 29 luglio 1960 ex lege 741/1959, sono volti a premiare la fedeltà del lavoratore all'azienda, e dopo la legge 15 luglio 1966 n. 604 la permanenza nella stessa, senza alcun rapporto con la sua professionalità e la sua produttività. Nel tempo gli scatti di anzianità hanno assunto un ruolo specifico nella struttura del s. divenendo il più rilevante elemento di rigidità in riferimento al doppio meccanismo automatico cui erano agganciati da un lato l'anzianità, cioè lo scatto biennale, e dall'altro la quota percentuale del s. base e dell'indennità di contingenza rivalutata annualmente in relazione agli incrementi intervenuti della contingenza stessa.

Accanto a questi elementi si collocano: a) i superminimi individuali, o di merito, e quelli collettivi, sia aziendali sia di categoria; b) le mensilità supplementari, a partire dalla tredicesima mensilità o gratifica natalizia, che di norma è prevista dai contratti collettivi nazionali ma per alcune categorie di lavoratori è contemplata da appositi provvedimenti legislativi, come per i portieri (l. 21 marzo 1953 n. 215), i lavoratori domestici (l. 27 dicembre 1953 n. 940), i lavoratori a tempo determinato (l. 18 aprile 1962 n. 230); c) le gratifiche di bilancio e simili; d) gli incentivi (cottimi individuali e collettivi, i premi di produzione e di rendimento, di presenza, di assiduità, di fedeltà o altro); e) i compensi per lavoro straordinario, notturno e festivo; f) le indennità, spesso genericamente denominate e di difficile classificazione, erogate a vario titolo, in misura fissa o variabile, in riferimento alle condizioni della prestazione o a determinate mansioni oppure alla qualità soggettiva del lavoratore; la legislazione previdenziale ha escluso dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte al lavoratore a titolo di diaria o d'indennità di trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50% dell'ammontare ai sensi della l. 153/1969, poi modificata dalla l. 1° giugno 1991 n. 166 che, interpretando la precedente, ha chiarito che nella diaria o indennità di trasferta sono comprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per contratto a prestare la loro opera in luoghi variabili e diversi dalla sede aziendale, anche se a carattere continuativo.

In particolare, per ciò che concerne l'indennità di anzianità, una prima modificazione della disciplina codificata è stata attuata dalla l. 2 aprile 1958 n. 339 che ha riconosciuto ai lavoratori domestici, in caso di licenziamento o di dimissioni, il diritto all'indennità di anzianità, determinata per il personale impiegatizio nella misura di una mensilità del s. percepito e per i prestatori d'opera manuale nella misura di 15 giorni per ogni anno di servizio. Successivamente la l. 18 dicembre 1960 n. 1561 (art. 1) ha stabilito che l'indennità di anzianità dovuta agli impiegati vada corrisposta in misura non inferiore all'importo di tante mensilità quanti sono gli anni di servizio, computando anche le frazioni di anno per dodicesimi con l'arrotondamento a un mese della frazione di mese superiore ai 15 giorni. La l. 230/1962 ha, infine, stabilito di attribuire anche ai lavoratori a tempo determinato la corresponsione di una somma alla cessazione del rapporto di lavoro (premio di fine lavoro). Durante gli anni Sessanta quest'istituto è stato recepito dalla contrattazione collettiva e dalla prassi aziendale: ciò ha permesso il consolidarsi della rilevante differenza del trattamento degli operai e assimilati che percepiscono soltanto pochi giorni all'anno d'indennità per scaglioni commensurati agli anni di servizio prestati, mentre a tutti gli impiegati è riconosciuta come minimo inderogabile un'indennità pari a una mensilità.

Nel superare la concezione che riteneva l'indennità di anzianità come una sorta di premio di fine lavoro, la dottrina e la giurisprudenza hanno all'inizio attribuito a questo istituto una funzione prevalentemente previdenziale non mancando successivamente, nell'evoluzione della disciplina giuridica del rapporto di lavoro, di considerare l'indennità di anzianità "soprattutto una forma di retribuzione differita destinata a maturare al termine del rapporto di lavoro in relazione alla sua durata, concorrendo altresì a sollevare il lavoratore e la famiglia dallo stato di bisogno in cui, a seguito di tale evento, possono versare". A ribadire siffatta interpretazione è intervenuta la l. 604/1966 (art. 9) che ha riconosciuto il diritto all'indennità di anzianità nella risoluzione del rapporto di lavoro, mentre la Corte Costituzionale con una serie di sentenze emesse tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta ha sancito l'illegittimità delle norme di legge che prescrivano condizioni e limiti per l'attribuzione al lavoratore cessato dal servizio dell'indennità di anzianità.

Nella seconda metà degli anni Settanta, di fronte alla necessità di ridurre il costo del lavoro, il legislatore è stato poi indotto ad adottare provvedimenti di modifica del computo dell'indennità di anzianità che ne hanno ridotto notevolmente l'ammontare, concretizzatisi nel D.L. 1° febbraio 1977 n. 12 (poi convertito in l. 31 marzo 1977 n. 91) che, per aver suscitato forti opposizioni da parte dei lavoratori e delle forze sindacali, è stato poi sostituito dalla l. 29 maggio 1982 n. 297 con la quale tale istituto ha ricevuto una nuova regolamentazione. Quest'ultima legge ha, infatti, tracciato, in integrale sostituzione del disposto dell'art. 2120 del Codice civile, le linee fondamentali del nuovo istituto del trattamento di fine rapporto (TFR) che matura soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, stabilendo il computo anno per anno delle quote di anzianità di fine rapporto che, in tal guisa, vengono commensurate alle retribuzioni di tutti gli anni di servizio, e quindi non più in riferimento all'ultima retribuzione, con un incremento delle quote annue da cui scorporare l'onere degli interessi e della svalutazione monetaria.

Nella struttura del s. una posizione a sé stante è stata assunta dall'indennità di contingenza o scala mobile, istituto originatosi nel secondo dopoguerra, che ha assolto alla specifica funzione di adeguare i livelli retributivi alle variazioni del valore della moneta e del costo della vita. Il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni ha subito nel tempo profonde modificazioni nel tentativo di ridurne il potenziale inflattivo, dal momento che all'aumento continuo del costo del lavoro seguiva a sua volta la crescita dei prezzi.

Per quanto invece riguarda le indennità varie che compongono il s. (rischio o disagio, funzione, trasferta), in particolare per i corrispettivi relativi alle indennità di mensa e di trasporto e per i loro importi sostitutivi, predisposti dall'azienda con riferimento alla generalità dei dipendenti e per esigenze connesse all'attività lavorativa, dopo varie interpretazioni contrastanti, la l. 537/1993 ha previsto con decorrenza dal 1994 l'esclusione dalla base imponibile contributiva entro tetti determinati. Il D.M. 3 marzo 1994 ha, infine, stabilito l'esclusione nell'intero importo dei corrispettivi nei servizi di mensa, predisposti con mense aziendali, del vitto somministrato ai dipendenti da pubblici servizi e alberghi e del servizio di trasporto predisposto dal datore di lavoro. Tutte queste voci retributive costituiscono i cosiddetti elementi accessori del s. base per i quali, data la loro rilevante varietà riscontrabile nella contrattazione nazionale e aziendale dei diversi settori produttivi, non è possibile effettuare una classificazione sistematica ma solamente descrittiva, mentre nella proliferazione talvolta eccessiva delle voci salariali, causa precipua della "giungla retributiva", non si può non cogliere la complessa funzione dell'istituto del s. che non soltanto si pone come corrispettivo del lavoro singolarmente prestato ma si delinea, al contempo, come lo strumento per la ripartizione del reddito fra i vari gruppi professionali e sociali all'interno del mondo del lavoro.

Recentemente, recependo esperienze effettuate negli Stati Uniti, in Italia hanno avuto notevole diffusione accordi sindacali a livello aziendale che hanno attribuito ai dipendenti alcuni emolumenti in aggiunta al trattamento economico stabilito sulla base della contrattazione collettiva, ma non incidenti sugli istituti legali e contrattuali di retribuzione indiretta (13° e 14° mensilità, TFR). Tali accordi (vale qui ricordare per tutti quello del gruppo Olivetti del 20 novembre 1988 istitutivo del premio di competitività, e quello del gruppo FIAT del 4 luglio 1989 che, invece, ha introdotto il premio performance), rifiutando l'idea che il s. non sia più una variabile indipendente nel processo economico, hanno collegato la retribuzione, nell'accoglimento della logica del cosiddetto profit sharing mirante a contemperare gli obiettivi individuali al controllo del conflitto sociale in un'ottica di equilibrio e contenimento del costo del lavoro, alla redditività aziendale. Queste nuove formule di politica salariale s'inseriscono in un processo avviato da tempo per il personale direttivo che nell'evolversi della situazione politica, sindacale e giurisprudenziale potrebbe trovare effettiva applicazione per i ruoli operativi accelerando anche in Italia l'introduzione di più efficienti meccanismi di mercato.

Per ciò che concerne, invece, il cosiddetto sistema delle integrazioni salariali erogate dalla Cassa integrazione guadagni in funzione di temporaneo sostegno alle imprese, e quindi ai lavoratori, in presenza di situazioni che possano ostacolare l'attività produttiva, cioè nei processi di ristrutturazione e di riconversione aziendale, una particolare utilizzazione di questo strumento avviene con i contratti di solidarietà (disciplinati dalla l. 19 dicembre 1984 n. 863, dalla l. 28 gennaio 1988 n. 48 e dalla l. 23 luglio 1991 n. 223) con i quali il datore di lavoro assorbe l'eccedenza di manodopera mediante una riduzione dell'orario. La stipulazione del contratto di solidarietà comporta un trattamento d'integrazione salariale pari al 50% del trattamento retributivo perso. La l. 223/1991 che ha mantenuto operante il principio sancito dal comma 2, art. 1 della l. 863/1984 in base al quale il trattamento retributivo perso va determinato inizialmente non tenendo conto degli aumenti salariali previsti dai contratti collettivi aziendali nei sei mesi precedenti alla stipulazione del contratto stesso, ha, invece, stabilito l'esonero del trattamento integrativo dal limite sull'importo massimo erogabile previsto dalla l. 427/1980 (che fissava un'integrazione pari all'80% del s. che sarebbe spettato per le ore di lavoro non prestate, con un tetto di 600.000 lire mensili da aumentarsi dal 1° gennaio di ogni anno a partire dal 1981, in misura dell'80% della variazione dell'indennità di contingenza maturata l'anno precedente).

Va poi rilevato che se l'art. 36 della Cost. ha notevolmente attenuato il principio della rigida corrispettività, sancito dall'art. 2094 del Codice civile, stabilendo che la controprestazione retributiva dev'essere commensurata alle esigenze soggettive del lavoratore e, in ogni caso, sufficiente per garantire al lavoratore stesso e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (elemento questo lungi dall'essere prefissato per l'impossibilità di stabilire un parametro di riferimento e in mancanza di una legislazione sul s. minimo), l'evoluzione del concetto della corrispettività del rapporto di lavoro è stata caratterizzata dalla graduale attenuazione del nesso tra prestazione e compenso salariale, a vantaggio di quest'ultimo, nel senso che gradatamente è stato dilatato il numero dei casi in cui all'erogazione retributiva non corrisponde l'erogazione di proporzionate energie di lavoro.

Al riguardo, un momento significativo è stato segnato dalla l. 20 maggio 1970 n. 300 che ha stabilito il mantenimento dell'obbligazione retributiva a carico del datore di lavoro qualora il lavoratore svolga attività sindacale, partecipi a corsi di studio, espleti funzioni presso uffici elettorali, eserciti in sostanza diritti costituzionalmente protetti ma oggettivamente estranei al rapporto di lavoro. Nel nostro ordinamento, però, il problema della corrispettività della retribuzione riferita al s. sufficiente a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore non appare essere pienamente risolto, dal momento che non sempre il s. può essere determinato in base a qualità e quantità di lavoro svolto e si rende, quindi, necessario compiere una sorta di compensazione attuata mediante il sistema della previdenza sociale che opera una diminuzione delle retribuzioni a favore di quei s. che altrimenti non sarebbero sufficienti ad assicurare ai lavoratori e alle loro famiglie quanto previsto dal dettato costituzionale.

Nell'ambito del sistema retributivo italiano, infatti, con l'istituzione della Cassa per la gestione degli assegni familiari (creata nel 1937, successivamente regolata dal d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797 e attualmente dal D.L. 3 marzo 1988 n. 69, convertito poi in l. 13 maggio 1988 n. 153), organismo amministrato dall'INPS e costituito con contributi proporzionali alla retribuzione versati dagli imprenditori e dallo stato, la cui corresponsione ha subito modificazioni nel tempo in senso anche restrittivo (ci si riferisce alla l. 17 ottobre 1961 n. 1038, alla l. 23 giugno 1964 n. 433, alla l. 29 marzo 1965 n. 337, alla l. 26 maggio 1975 n. 161, alla l. 8 agosto 1980 n. 440, alla l. 25 marzo 1983 n. 79, alla l. 28 febbraio 1986 n. 41), questa compensazione viene realizzata. Gli assegni familiari, che furono istituiti con evidente finalità assistenziale e non, quindi, con carattere retributivo, pur essendo stati attratti progressivamente nell'orbita della retribuzione accentuando in tal modo la loro funzione di sostentamento, possono essere corrisposti anche alla lavoratrice alle medesime condizioni e con i medesimi limiti previsti per il lavoratore (l. 9 dicembre 1977 n. 903). La l. 153/1988 nel dettare una nuova disciplina delle prestazioni per i carichi di famiglia, oltre ad abolire gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia e le maggiorazioni introdotte nel 1983, ha modificato la denominazione della prestazione economica previdenziale integrativa del s. in assegno per il nucleo familiare dal momento che tale elemento integrativo viene erogato in rapporto al reddito complessivo della famiglia, al numero delle persone a carico e, infine, al particolare status del soggetto avente diritto: divorziato, separato, o in altre condizioni particolari.

Alla corrispettività del s. è strettamente collegata una questione che ha acquisito sempre più rilevanza dal punto di vista giuridico-sindacale ed economico, cioè quella della dilatazione della definizione della retribuzione sulla base del principio di onnicomprensività che si fonda su un'operazione interpretativa della giurisprudenza facente leva in particolare sul disposto dell'art. 2121 del Codice civile che, nella sua formulazione originaria, stabiliva la definizione onnicomprensiva della paga periodica ai fini del calcolo dell'indennità di preavviso e di anzianità. Sulla base di questa disposizione, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui tutte le erogazioni corrisposte al lavoratore secondo criteri di continuità e predeterminatezza devono non soltanto essere incluse nella base di calcolo dell'indennità di fine rapporto, ma devono anche essere calcolate agli effetti di tutti gli elementi indiretti della retribuzione globale, cioè sia di quella periodica che di quella differita (maggiorazioni per il lavoro straordinario e notturno, compensi per ferie e festività, malattie e simili, voci o integrazioni corrisposte a titolo d'incentivo, premio, indennità, gratifica o mensilità supplementari). Secondo tale orientamento giurisprudenziale, mantenutosi costante sino al 1978, la definizione onnicomprensiva della retribuzione comprendeva oltre all'indennità di anzianità tutte quelle ipotesi in cui è prevista una retribuzione senza prestazione lavorativa (indennità di preavviso e di morte ex art. 2118 e art. 2122 Codice civile, risarcimento del danno per licenziamento illegittimo ex art. 8, 1° comma l. 15 luglio 1966 n. 604 e art. 18, 2° comma l. 20 maggio 1970 n. 300, corresponsione della retribuzione globale alla lavoratrice licenziata per causa di matrimonio ex art. 2, 1° comma l. 19 gennaio 1963 n. 7); tale definizione, pertanto, distingue da queste quelle erogazioni che, pur corrisposte dall'azienda e obbligatoriamente concesse su richiesta del lavoratore, hanno diversa natura. In esse, oltre ai rimborsi spese, agli atti di liberalità seppure remuneratoria ex art. 770 del Codice civile, alle prestazioni di tipo assistenziale o previdenziale, sono compresi i cosiddetti fringe benefits, cioè quelle liberalità erogate sotto forma di opere e servizi o di prestazioni in natura, di cui il dipendente può beneficiare. Tra i benefici accessori più diffusi sono compresi: gli sconti sui prodotti aziendali, i sussidi scolastici, i contributi di natura non volontaria versati a casse previdenziali e assistenziali, il servizio di mensa, il concorso alle spese di trasporto, il godimento di beni messi a disposizione dall'azienda quali l'alloggio e l'autovettura o il pagamento da parte dell'azienda stessa della tassa di circolazione e dell'assicurazione obbligatoria della vettura privata, i prestiti a tasso agevolato, ecc. Successivamente la Corte di Cassazione, rilevando il fatto che il principio della onnicomprensività determinava l'appiattimento delle definizioni della retribuzione utilizzate dalla contrattazione e, quindi, la violazione dei principi che garantiscono l'autonomia collettiva, ha dato vita a un nuovo indirizzo giurisprudenziale secondo cui tale principio "costituisce soltanto una tendenziale regola di giudizio in funzione suppletiva di eventuali disposizioni legali o contrattuali sulla determinazione della retribuzione".

Per ciò che riguarda la parità di trattamento retributivo nella prestazione lavorativa che trova la sua base nell'art. 3 della Costituzione concernente il principio di eguaglianza, oltre che essere stato oggetto dell'interesse della giurisprudenza con riferimento a quelle circostanze che, in taluni casi, possono determinare una discriminazione retributiva (età, sesso, nazionalità, mansioni), questa è stata garantita relativamente al sesso da una specifica normativa. La l. 9 dicembre 1977 n. 903 ha tutelato, infatti, la parità di trattamento, e non soltanto retributivo, tra uomo e donna, nel mondo del lavoro. Successivamente la l. 10 aprile 1991 n. 125 ha esteso l'ambito dei comportamenti discriminatori contro cui viene accordata la tutela giudiziaria (discriminazioni dirette e indirette). Con diverse sentenze la Corte di Cassazione (rispettivamente 16 gennaio 1979 n. 325, 5 maggio 1980 n. 3089, 30 luglio 1980 n. 4896 e 11 gennaio 1984 n. 209) da un lato ha stabilito che l'autonomia sindacale può legittimamente stabilire per i lavoratori appartenenti all'uno o all'altro sesso una retribuzione inferiore, fatta salva l'"equa retribuzione" ex art. 36 Cost. che costituisce un quid minus, e dall'altro ha ritenuto legittima l'attribuzione di paga più bassa con riferimento a mansioni diverse e non già sul presupposto di un minor rendimento del lavoro femminile.

L'accordo sul costo del lavoro del 3 luglio 1993 ha posto le basi per una nuova struttura del s. che viene a essere determinato su due diversi livelli di contrattazione: da un lato scompare l'indennità di contingenza, dall'altro acquistano rilevanza altre voci definite come incentivi. La struttura del s., anche con il nuovo accordo, rimane sempre diversificata fra le varie categorie, sia per le voci che la compongono, sia per la misura di quella principale, definita appunto paga base, determinata con la contrattazione a livello nazionale.

Ciascun contratto collettivo, infatti, stabilisce il compenso base e le modalità per la sua determinazione, in modo unico per tutto il territorio nazionale e uguale per lavoratori e lavoratrici. Il compenso base è commensurato a una scala parametrale, suddivisa in diversi livelli, ai quali corrispondono le varie qualifiche in cui è inquadrato il lavoratore nell'organizzazione aziendale. Alla paga base, stabilita con la contrattazione collettiva, può aggiungersi la voce di s. aggiuntivo, determinato con contrattazione collettiva aziendale, in misura fissa per tutti o con diversi parametri a seconda dei livelli di carriera. Tale voce ha maggior rilievo con la nuova struttura del s. prevista dall'accordo del 3 luglio 1993, e può essere determinata anche in base a indici di rendimento. La durata dei contratti nazionali di lavoro è fissata in un biennio per la parte retributiva (quattro anni per la parte normativa), mentre gli aumenti debbono essere coerenti con l'inflazione programmata. Non è previsto, inoltre, il riallineamento automatico.

Con questo accordo vengono apportate modificazioni sostanziali nell'ambito del sistema di rivalutazione automatica dei s., in base al quale l'adeguamento dei s. al costo della vita è affidato alla contrattazione nazionale per singole categorie. È prevista l'indennità di vacanza contrattuale, la cosiddetta scala mobile ''carsica'', che costituisce un elemento provvisorio di retribuzione: la misura è pari al 30% del tasso d'inflazione programmata ed è applicata sugli importi del minimo salariale e della contingenza nel caso in cui, a tre mesi dalla scadenza del vecchio contratto, non sia avvenuto il rinnovo; qualora, invece, dopo sei mesi, non sia stato ancora definito, l'indennità è elevata al 50%. L'elemento provvisorio, quindi, viene riassorbito nei nuovi aumenti salariali al momento della stipula del contratto. Tale meccanismo è unico per tutti i lavoratori. È fissata nel limite di 40 giorni la procedura per ottenere la cassa integrazione straordinaria; per quella ordinaria, invece, è prevista la possibilità di utilizzo per le aziende con meno di 50 addetti. Viene, inoltre, generalizzato a 32 anni il limite di età per il contratto di formazione e lavoro per il quale, mancando una regolamentazione del trattamento retributivo, è stato attribuito alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare l'assetto della retribuzione mediante il cosiddetto ''salario d'ingresso'', sistematicamente utilizzato a partire dalla metà degli anni Ottanta come strumento per favorire l'assunzione di giovani lavoratori, rappresentando uno degli apporti più significativi alla disciplina legale di questo istituto. Il D.L. 5 gennaio 1993 n. 1, poi non convertito, ha stabilito la disciplina legale dell'istituto del s. d'ingresso che "non appare legato a rapporti di lavoro precari, a termine, quali quello di formazione e lavoro, ma risulta utilizzabile soltanto per assunzioni a tempo indeterminato" essendo venuto meno il nesso tra retribuzione ridotta e componente formativa del rapporto (per l'assunzione del lavoratore la scelta del datore di lavoro è vincolata alle fasce deboli del mercato, come previsto dall'art. 25, comma 5 lett. a e c, della l. 223/1991).

Per l'accordo del 3 luglio 1993 spetta alle imprese e ai sindacati a livello regionale contrattare con le Agenzie per l'impiego forme di s. d'ingresso per agevolare l'inserimento dei lavoratori, mentre la retribuzione viene commensurata al lavoro prestato al netto delle ore impiegate per la formazione. Prende forma, inoltre, il lavoro interinale che, destinato a industria e servizi e ammesso soltanto per le qualifiche professionali medio-alte, viene accettato dalle parti sociali dopo le forti rimostranze manifestate al D.L. 5 gennaio 1993 n. 1 (art. 13). Per questo particolare tipo di rapporto le Agenzie d'intermediazione devono garantire un minimo mensile al personale così assunto.

Alcune novità sono state introdotte dal contratto dei metalmeccanici siglato il 5 luglio 1994, per il quale sono state utilizzate le regole e le procedure fissate dagli accordi di luglio 1993. Tra queste vanno segnalate: il ''premio di risultato'' per la contrattazione aziendale e le 72 ore annue di riduzione dell'orario di lavoro che, già concordate nei precedenti contratti, sono state finora considerate come elemento retributivo: 48 ore saranno trasformate in 6 giornate di riposo, mentre le rimanenti 24 potranno tradursi in indennità sostitutive, soltanto, però, per le aziende che sono in attivo e previa contrattazione delle parti. In caso contrario saranno commutate in 3 giorni di riposo. Immutati sono rimasti gli scatti di anzianità che nel settore metalmeccanico sono ancora fissati in percentuale anziché in valore assoluto. Quanto alla nuova disciplina riguardante l'ultimo elemento automatico della retribuzione per questa categoria, è previsto che sia definita entro due anni da una commissione paritetica.

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