SALGEMMA

Enciclopedia Italiana (1936)

SALGEMMA (o Halite; fr. sel gemme; sp. sal gema; ted. Steinsalz; ingl. Halite)

Carlo Perrier

Minerale costituito da cloruro di sodio NaCl, che cristallizza nella classe più ricca in simmetria, l'esacisottaedrica, del sistema monometrico: i cristalli però sono assai poveri di forme, ché le sole osservate sono {100}, {111} e {210}; la seconda e la terza, però, assai rare.

I cristalli sono generalmente costituiti dal solo cubo {100}, tuttavia, in casi particolari, quando la cristallizzazione avviene da soluzionì contenenti, ad es., urea, l'abito dei cristalli cambia, e la forma, sola o dominante, diventa l'ottaedro. Inoltre i cristalli che provengono per lenta evaporazione dalle sue soluzioni sono cubi regolari, talvolta anche di grandi dimensioni, ma se l'evaporazione avviene un po' rapidamente - non rapidissimamente - allora si ha la formazione delle cosiddette tremie, che sono niente altro che cubi a facce cave costituite da una serie di scalini decrescenti, che nel loro insieme vengono a limitare una cavità piramidale avente il vertice nel centro del cristallo (fig. 1).

Talvolta le tremie sono in rilievo: e il cristallo tende allora ad assumere l'aspetto di un tetracisesaedro, al limite di un rombododecaedro.

La struttura del salgemma è stata tra le prime investigate e determinate: il reticolo cristallino è un reticolo cubico a facce centrate (v. cristalli: Struttura dei cristalli, XI, p. 955, fig. 118). La sfaldatura è perfetta secondo le facce del cubo, piani di scorrimento sono invece le facce del rombododecaedro {110}. Essi si osservano talora, a guisa di grossi piani di separazione, nei giacimenti di salgemma, indici del tormento cui i cristalli, dopo la loro deposizione, furono assoggettati da pressioni tangenziali.

Durezza 2,5; fragile, densità 2,1-2,6 a seconda del suo stato di purezza (purissimo, densità = 2,1498 a 17°,5), sapore salato caratteristico. Qualche volta è colorato in rosso per inclusione di ematite oppure in violetto o in ametista per cause ancora non ben note, ma quasi sempre è incoloro, sebbene spesso torbidiccio, per inclusioni varie, frequentemente liquide: la sua trasparenza si estende poi ben oltre la zona del visibile, nell'ultrarosso stesso, tanto che esso per il suo forte potere diatermico viene impiegato per la costruzione di quegli apparecchi di ottica nei quali si richiede una forte trasparenza per luci di bassa frequenza: questi spettroscopî per l'ultrarosso sono del più alto interesse per lo studio delle strutture delle sostanze, perché è appunto in questa gamma dello spettro che si hanno le frequenze tipiche degli atomi, gruppi e molecole.

Il salgemma pare inattivo in effetto Raman ordinario, data la elevatissima simmetria del reticolo e dei suoi ioni componenti (Na•-Cl′).

Il sale impiegato nell'industria chimica è specialmente il salgemma, quello impiegato nelle industrie alimentari è invece il sale marino, proveniente quasi sempre dall'evaporazione delle acque del mare (v. sale). Del resto la produzione del sale marino non fa che riprodurre in piccolo e nelle prime fasi i giganteschi fenomeni avvenuti nel passato e che diedero origine agl'imponenti giacimenti saliferi sparsi abbondantemente in tutto il mondo.

Giacimenti saliferi. - La stragrande maggioranza dei giacimenti saliferi è ritenuta proveniente da evaporazione di acqua di mare compiutasi in antichissime epoche geologiche, nel Terziario (Trias) o anche nel Secondario (Zechstein per i giacimenti saliferi di Stassfurt, Prussia).

L'acqua del mare contiene, per 100 gr., circa grammi 3,5 di sali disciolti e ha la seguente composizione (in grammi): H2O 96,666; Na• 1,020; Mg•• 0,125; Ca•• 0,040; K• 0,037; Cl′ 1,843; SO4″ 0,256; CO3″ 0,007; Br′ 0,006; e inoltre: boro 0,00002; iodio 0,00020.

Quest'ultimo, secondo alcuni, non è tutto sotto forma di combinazione inorganica, ma anche di combinazioni organiche.

Oscillazioni nel contenuto medio dei sali si hanno da mare a mare (v. sale) e da luogo a luogo, i mari nordici essendo più poveri in sali disciolti che i mari tropicali (il rapporto dei sali resta sensibilmente costante): notevole però è un relativo minimo che si riscontra nelle zone equatoriali; la composizione degli antichi mari avrà, forse, differito quantitativamente più o meno, qualitativamente no.

I grandiosi fenomeni compiutisi nel passato e che originarono gli attuali giacimenti, si ripetono naturalmente ancora adesso, per es., a Kara Bugas, e appunto quanto qui succede ha offerto una spiegazione dell'origine di questi giacimenti.

Kara Bugas è una specie di lago salato, relativamente poco profondo, con una superficie di kmq. 18.346; giace in mezzo a una zona desertica e non riceve acqua da nessuna altra parte se non da uno stretto canale largo poco più di 200 m. che lo connette col Mar Caspio. Data la forte evaporazione a causa del clima desertico della regione il suo livello è di m. 0,436 inferiore a quello del Caspio, cosi che questo gli fornisce una quantità di acqua salata nella misura di circa 400-700 mc. ogni secondo, pari a una quantità annua di sali di 350.000 tonn. L'evaporazione dell'acqua porta di conseguenza alla cristallizzazione dei sali disciolti.

L'Ochsenius diede alle lingue di terra separanti il lago salato dal mare il nome di sbarramenti e questa teoria prese il nome di teoria dello sbarramento. Non tutti concordano con questa ipotesi, alcuni differendone solo per qualche particolare, altri per basi concettuali diverse.

Secondo F. Walther, almeno nel caso dei giacimenti germanici, l'evaporazione sarebbe avvenuta in un lago salato esposto a un clima desertico che aveva ormai scisso qualunque legame con l'Oceano, mentre il Fulda, combinando le due teorie e forse maggiormente aderendo al vero, ritiene che dapprima sia avvenuta una concentrazione sul tipo di quella che ancora avviene a Kara Bugas, poi, chiusosi il canale, la concentrazione sarebbe avvenuta portando alla separazione dei varî minerali salini.

Ed effettivamente un mare della composizione attuale per uno spessore di 1000 m. d'acqua separerebbe uno strato salino avente al massimo 15 m. di spessore: dapprima, ma al disopra del deposito dei materiali sospesi nell'acqua, e magari con questi commisto, un sottile strato di calcare, poi uno strato di gesso di circa 70 cm., poi cloruri e solfati varî, ma con potenza di strati assai inferiore al reale.

Contro questa teoria della sedimentazione da soluzioni marine ordinarie furono avanzate anche altre ipotesi: per esempio, alcuni ammisero, per il sale delle cupole salifere americane, un'origine vulcanica: acqua carica di cloruro di sodio proveniente da esalazioni vulcaniche avrebbe depositato il sale disciolto. Il recente ritrovamento di alghe fossili in alcuni giacimenti parla nettamente contro questa ipotesi.

Né pare maggior fortuna possa avere la teoria di I. P. Voitesti che vorrebbe spiegare l'origine dei giacimenti salini, sia dei Carpazî in Romania, sia di tutti gli altri, ammettendo che la neve di cloruro di sodio originatasi a una certa epoca del raffreddamento della Terra, sia poi stata dilavata dall'acqua non appena essa poté condensarsi: soluzioni molto concentrate si sarebbero raccolte in immensi bacini e avrebbero dato origine ai depositi salini.

Opinione prevalente attuale è a ogni modo quella del deposito da soluzioni formatesi per concentrazione di laghi salati staccatisi tosto o tardi completamente dall'oceano e la chimica-fisica, per merito degli studî di I. H. Van't Hoff e della sua scuola, ha portato ormai molta luce sul meccanismo della separazione dei minerali salini, sulle cause della loro successione e della loro paragenesi, almeno nei grandi tratti, ché moltissimi particolari restano ancora nel buio.

Infatti gli studî eseguiti in laboratorio, in condizioni costanti e ben definite, non possono senz'altro essere trasportati in natura, dove le mutevoli condizioni, fenomeni di ridissoluzione e conseguenti trasporti di sali già depositati, alterazioni di svariatissima natura sopravvenute durante la storia del giacimento, possono avere alterato l'ordine di successione e la paragenesi dei varî minerali.

Il primo, veramente, a iniziare tal genere di ricerche fu S. Usiglio; purtroppo esse furono di scarso successo perché inquinate da gravi difetti d'impostazione. Ciò non di meno esse costituirono il punto di partenza delle ricerche del Van't Hoff, il quale ne riconobbe ed evitò le cause di errore.

L'errore dell'Usiglio fu di avere studiato l'evaporazione dell'acqua del mare facendo avvenire la concentrazione in recipienti, nei quali la temperatura risentiva le continue variazioni di quella dell'ambiente, mentre Van't Hoff eliminò questo difetto studiando (sostanzialmente) l'evaporazione a temperatura costante, studiando cioè l'evaporazione isotermica.

Per avere un'idea dei fenomeni avvenuti durante l'evaporazione dell'acqua del mare, possiamo qui limitarci all'esame dell'evaporazione di soluzioni contenenti solamente i sali KCl e MgCl2, dove compare il sale doppio KCl•MgCl2•6H2O, la carnallite.

Di regola l'aggiunta di un sale a un altro che abbia uno ione in comune (qui lo ione Cl′) abbassa la sua solubilità.

Si prendano due assi cartesiani: sopra uno di essi si porti la quantità di KCl, sull'altro la quantità di MgCl2 contenute nelle loro soluzioni sature, espresse in molecole sempre per una certa quantità di acqua, per es., 1000 molecole, a una determinata temperatura (fig. 2). Così a 25° nella soluzione satura di KCl si hanno per 1000 molecole di H2O, 88 molecole di KCl (punto A), in quella di MgCl2 108 molecole di questo sale (punto B). Se si aggiunge MgCl2 alla soluzione satura di KCl, la quantità di questo diminuisce. Lo stesso vale per la soluzione di MgCl2 per aggiunta di KCl. Ad es., aggiungendo alla soluzione satura di KCl 50 molecole di MgCl2, la quantità del primo contenuta nella soluzione satura di esso si riduce a 35 molecole (punto C); aggiungendo alla soluzione satura di MgCl2 una molecola di KCl, la solubilità del primo si riduce a 106,3 molecole (punto D).

Questi due composti però dànno un sale doppio, la carnallite KCl•MgCl2•6H2O, che presenta una certa solubilità variabile col contenuto di KCl e di MgCl2 nella soluzione, come lo indica la curva EF. Il punto F rappresenta la concentrazione di una soluzione satura di carnallite e di KCl (KCl, 11 mol. - MgCl2, 72,5 mol.). Il punto E quella di una soluzione con corpi di fondo carnallite e bischofite (MgCl2•6H2O) (KCl, 2 mol. - MgCl2,105 mol.). I punti giacenti sulle curve rappresentano soluzioni sature di uno dei sali in presenza di quantità variabili dell'altro (o degli altri) e quindi sono soluzioni stabili sature; il campo fra le curve e gli assi rappresenta soluzioni non sature: i punti d'incontro di due linee rappresentano soluzioni sature di due sali. Se una soluzione non satura è rappresentata dal punto 2, con KCl : MgCl2 = 1 : 1, concentrandosi, detto punto si sposta lungo la retta 02 fino a incontrare la linea AF in G, si separa in questo istante KCl e la soluzione si arricchisce in MgCl2, giunti in F si separa carnallite, ma poiché con la separazione di questa avviene un eccessivo impoverimento di KCl della soluzione, parte di questo prima separatosi va in soluzione fino a che il risultato finale dell'evaporazione è formazione di carnallite pura. Lo stesso succede per un punto 1 (KCl : MgCl2 > 1 : 1), solo che in questo caso il risultato finale è separazione di carnallite e silvina (KCl). Un punto 4 (KCl : MgCl2 〈 11 : 72,5 = 0,152 : 1) porterebbe a separazione primaria di carnallite e poi, giunto in E, a separazione anche di bischofite (MgCl2•6H2O).

Nelle acque del mare il rapporto K : Mg cade presso a poco sulla retta O3 e quindi i fenomeni sarebbero analoghi a quelli indicati per i punti 1, 2 e 4, salvo che il KCl si riassorbe completamente e il punto finale della cristallizzazione si trova in E.

La presenza di NaCl non fa che spostare le linee verso l'origine degli assi; i fenomeni non cambiano, ma si separa contemporaneamente sempre NaCl. La presenza dei solfati sposta invece molto l'andamento dei fenomeni.

La loro rappresentazione grafica riesce assai più difficile; con una certa approssimazione si può riuscire con un diagramma a triangolo, come consiglia E. Jänecke. Per le solubilità a 25° varrebbe il triangolo della fig. 3. Nei campi compresi fra le linee si ha una sola fase solida, lungo le linee di confine se ne hanno due, agl'incontri delle linee invece tre, il tutto sempre oltre al NaCl. Se si considerano anche i sali di Ca, allora bisogna tener conto pure delle linee punteggiate. L'andamento della cristallizzazione è dato dalla fig. 4; e terminerebbe al punto Z; si noti che la verticale incontra il triangolo delle concentrazioni - che non corrisponde al precedente - al momento in cui s'inizia la cristallizzazione dei sali di K e Mg.

Come profilo teorico degli strati, sempre in presenza di salgemma, salvo nel primissimo straterello di gesso (tratto a-b della fig. 4), si dovrebbe avere, dal basso in alto: 1. gesso (CaSO4•2H2O); 2. anidrite (CaSO4); 3. polialite (polihalite) [Ca2K2Mg (SO44)4•2H2O]; 4. bloedite (MgSO4•Na2SO4•4H2O); 5. reichardtite (MgSO4•7H2O); 6. reichardtite e leonite [Mg2H3Na (SO4)4•8H2O]; 7. reichardtite e kainite (MgSO4•KCl•3H2O); 8. kainite e MgSO4•6H2O; kainite e kieserite (MgSO4•H2O); 9. kieserite e carnallite; 10. kieserite, carnallite e bischofite.

L'alite si ritroverebbe prevalentemente tra le zone 1-3.

La fig. 5 dà un'idea dell'enorme eliminazione di acqua che dovette avvenire prima dell'inizio della separazione dei sali di Mg e K.

In natura si hanno notevoli deviazioni da questo profilo teorico: in primo luogo è da osservare che i processi di cristallizzazione, come sopra indicati, avvengono solo se nelle masse si stabiliscono condizioni di vero equilibrio. Ora, se queste condizioni si possono in laboratorio realizzare abbastanza facilmente, ad es., mediante agitazione, ciò non succede più in natura, dove per effetto di differenziazioni gravitative i cristalli vanno al fondo e si possono così sottrarre alle reazioni successive cui dovrebbero dar luogo.

Per esempio, riferendoci alla questione della carnallite, come prima descritta, se il KCl, che prima si separa, va a fondo e si ricopre con uno strato di carnallite, esso viene sottratto alla successiva reazione con la soluzione, così che, mentre il risultato finale dell'evaporazione per il punto 2 dovrebbe essere - vero equilibrio - formazione di carnallite pura, si avranno, invece, tre strati, uno inferiore di silvina, poi uno di carnallite e infine uno strato di bischofite - falsi equilibrî.

Ora simili casi sono assai frequenti in natura e sono causa per cui può comparire uno strato, che, normalmente, non dovrebbe comparire.

Infine manca spesso, anche nei giacimenti più completi, come quelli di Stassfurt, lo strato di bischofite, cosa facile a spiegarsi ammettendo che le ultime acque madri siano ritornate al mare: per contro si ritrovano notevoli strati di anidrite. Una parte di essa deve la sua origine da un lato a gesso che essendo venuto a trovarsi in presenza di soluzioni concentrate, perdette la sua acqua, e dall'altro a polialite, successivamente decompostasi; ma la maggior parte di essa è probabile sia di apporto estraneo. Alcuni pensano che possa essere dovuta a gesso dapprima separatosi nel fondo di un mare che all'inizio della concentrazione dovette avere una superficie assai più larga del complesso del giacimento salifero definitivo: disciolto più tardi da acque meteoriche, sarà stato portato al bacino avente già acque assai concentrate, o anche con cristallizzazione avanzata.

Altri ritengono possibile un suo apporto successivo per effetto di materie organiche, altri infine, e forse con più ragione, a trasformazione, operata da acque sulfuree, del calcare che ricoprì a un certo momento il giacimento.

Molte deviazioni sono invece da ricondursi a trasformazioni intervenute durante la storia del giacimento, ché questo, dopo ricoprimento di uno strato impermeabile e affondamento negli strati anche per migliaia di metri, deve avere subito in determinati punti notevoli variazioni nel suo assetto mineralogico primitivo, in relazione, ad es., a fusione incongruente di qualche sale per elevazione di temperatura (sale solido A⇄sale solido B+liquido) e spremitura della parte liquefatta per effetto di forti pressioni non uniformi (non idrostatiche). Altre deviazioni sono da împutarsi a ricorrenza di cristallizzazioni per nuovi apporti di acque o a variazioni della temperatura a cui avvenne la cristallizzazione.

Quasi sempre i giacimenti sono costituiti solo da CaSO4 (gesso o anidrite), sottostanti, poi, banchi di alite e infine un cappello di anidrite più o meno trasformata in gesso, mentre mancano gli strati sovrastanti dal 3 in poi.

I giacimenti salini si riscontrano in tutte le epoche geologiche, però specialmente nel Trias e nel Miocene, e in tutte le parti del mondo spesso in connessione con giacimenti d'idrocarburi e di zolfo.

In America i giacimenti saliferi si riscontrano essenzialmente intorno al Golfo del Messico: ivi in una fascia di bassopiani costieri, compresa fra l'istmo di Tehuantepec a nord e il Rio Grande a sud, si notano una sessantina di collinette dette "mounds" alte in media dai 5 ai 10 m., raramente raggiungenti i 30-50 m.

Il materiale costituente il sottosuolo del bassopiano è formato da sabbie e argille appartenenti prevalentemente al Pleistocene e al Miocene a sud e al Miocene a nord, ma i mounds sono qua e là traforati da rocce assai diverse, come calcari duri, gesso e anidrite, e inoltre sono costellati da numerose sorgenti salate, note già da lunghissimo tempo. Però fu solo nel 1862 che venne scoperto che in queste collinette si rinveniva del sale.

Sondaggi fatti dimostrarono che esso vi si trova in forma di immensi pilastri, di cui non pare si sia ancora riusciti a trovare il fondo, anche con ricerche spinte fin quasi a 2 km. di profondità. Nella parte superiore il pilastro è un po' slargato a forma di fungo e sui suoi fianchi gli strati del terreno incassante cessano di essere orizzontali, come lo sono invece nel bassopiano, tendendo a diventare perpendicolari. Sulla sommità del pilastro c'è un cappello di roccia, detto cap rock, dello spessore di un centinaio di metri in media e costituito da anidrite, qua e là più o meno idratata in gesso, e non infrequentemente associata con zolfo, oppure con calcite o calcare dolomitico e comunque spesso alternata con strati di sale (fig. 7). L'età della formazione salina non è nota con molta esattezza: nei terreni circostanti si è riscontrato, dal basso verso l'alto, l'oligocene, il pliocene, il miocene, il pleistocene, e si ritiene quindi probabile che essa sia triassica o permica.

Il particolar modo di presentarsi di questi domi, o cupole salifere, diede origine a parecchie discussioni intorno alla loro origine, la loro forma a cratere fece dapprima pensare a un'origine vulcanica, ma ora si propende a considerarli, come quelli tedeschi, di origine tettonica (fig. 6 a, b, c, d).

Nell'Europa particolarmente interessanti sono i giacimenti saliferi della Germania, assai ben conosciuti anche dal punto di vista geologico. Essi si riscontrano nel Permico superiore (Zechstein), che, a mano a mano ci si spinge verso il nord, si affonda sotto un mantello del Secondario e poi del Terziario.

Vi si possono distinguere alcuni bacini, come quello di Hesse tra il massiccio renano e la Foresta di Turingia, e quello della Turingia, fra la Foresta di Turingia e il Harz, dove si notano ampî affioramenti di Trias. Fra il Harz e il Flechtingerhöhenzug si estende il bacino di Magdeburg-Halberstadt, disseminato di Cretacico superiore, prolungantesi a nord nel distretto di Hannover, dove comincia ad apparire il Terziario. Infine nella Germania del nord esiste un'ultima zona di massicci saliferi sottostante a terreni terziarî e quaternarî: essa prende inizio nel Helgoland e si congiunge, attraverso i massicci della bassa Elba, con quelli della regione di Berlino.

Tutta la regione fu a lungo tormentata da un lento e continuo corrugamento orogenetico e noi troviamo testimonî sicuri delle colossali pressioni tangenziali, che entrarono in giuoco, nella formazione di enormi sinclinali e anticlinali, dove appunto si rinvengono tutti i giacimenti saliferi della regione.

Specialmente interessanti dal punto di vista geologico sono a questo riguardo le cosiddette cupole salifere di forma e struttura perfettamente analoghe a quelle americane, ma che per le loro particolari condizioni poterono essere assai meglio studiate (fig. 8). La spiegazione che si dà della loro origine è la seguente: il primitivo giacimento salino, dopo ricoprimento con altri strati e affondamento nella crosta terrestre, subì, da un certo momento in poi, forti spinte laterali con risultante diretta dal basso verso l'alto, di guisa che esso finì per attraversare gli strati sovrastanti quasi come pasta uscente da un foro (movimenti diapirici di Mrazec). I numerosi piani e direzioni di scorrimento del salgemma devono avere certo assai facilitato questo movimento.

In Polonia numerosi giacimenti si trovano nella regione carpatica da Cracovia alla frontiera romena. Celebre e sfruttato specialmente nel Medioevo è quello di Wieliczka del Miocene, geologicamente costituito da due parti: l'inferiore formata da strati relativamente regolari con una potenza massima di 150 m., in cui il salgemma si presenta cristallizzato in grossi elementi grigiastri, in agglomerati granulari a grana fina includenti sabbia, e infine cristallizzato in elementi da 2 a 5 cm. di colore grigio verde (Grünsalz); la superiore formata da argille salifere, in cui sono sparsi blocchi di sale verde, talvolta potenti 50 m. Sia nelle argille sia nel salgemma si sono rinvenuti numerosi fossili appartenenti allo Schlier, piano deI Miocene. Altri giacimenti si rinvengono a Bochnia, a Wapno, a Kalusz e a Starunia nel distretto di Bohorodezany, dove il salgemma si trova in grossi blocchi di sfaldatura con inclusioni zonate di bitume.

In Romania, i giacimenti si presentano lungo l'intera catena dei Carpazî e nella Transilvania in continuazione di quelli della Galizia, con i quali mostrano evidente unità tettonica. Terziarî, in parte riferibili al Paleocene, in parte al Miocene. I più occidentali sono nel distretto di Rîmnicu-Vălcea, cui si aggiungono numerosi altri nei distretti di Prahova, di Slănic, di Buzău, dove il minerale si trova a giorno, ecc. Altri giacimenti si trovano in Transilvania in formazioni costituite prevalentemente da argille salate del Miocene medio; a Sighet (Maramures) composti di tre miniere principali noti all'epoca romana e in Bucovina.

Sono ancora da menzionare in Alsazia i giacimenti scoperti nel 1904 nelle trivellazioni fatte per ricerche di litantrace (il primo pozzo fu scavato a NO. di Mulhouse) costituiti da salgemma, includenti sali potassici, silvite e silvinite, anidrite e pochi sali di magnesio e compresi nelle marne dell'Oligocene inferiore. Nella Spagna i giacimenti di salgemma con arenarie e marne di Cardona, in provincia di Barcellona, in grandi domi anticlinali riferiti all'Eocene o anche all'Oligocene. In Austria, giacimenti triassici nell'Alta e Bassa Austria, nel Salisburgo, nel Tirolo e nella Stiria, di cui il più importante è quello del Salzkammergut.

I giacimenti italiani sono assai più modestí e appartengono tutti alla cosiddetta zona gessoso-salina-solfifera del Miocene: se ne hanno in Calabria (Lungro), in Sicilia, in Toscana (Volterra): questi sono anche i più importanti.

Si possono ricordare infine i giacimenti saliferi africani dell'Algeria e della Dancalia (questi ultimi, a quanto pare, accompagnati da sali potassici) e quelli asiatici della Cina e dell'India.

V. tavola a colori.