SALINI, Tommaso, detto Mao

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALINI, Tommaso, detto Mao

Gianni Papi

SALINI, Tommaso, detto Mao. – È recente la scoperta dell’atto di battesimo del pittore, avvenuto a Roma il 21 novembre 1577 (Cavietti - Curti, 2012, pp. 418-422). Si era sempre creduto che egli fosse nato nel 1575, dal momento che Giovanni Baglione (Le vite de’ pittori..., 1642, p. 288) ne riporta la morte il 13 settembre 1625, all’età di cinquant’anni.

Gli studi di Marco Cavietti e Francesca Curti (2012) e quelli di Lothar Sickel (2012, pp. 478-480) rendono oggi un’immagine più chiara del rapporto molto stretto che legò Salini a Baglione. La madre di Salini, Giulia Boschi, aveva sposato in seconde nozze, il 26 settembre 1591, il pittore Francesco Morelli, di origine fiorentina. Ma la presenza della Boschi a Roma risaliva almeno al novembre 1571, quando aveva sposato Battista Salini, di famiglia fiorentina (o meglio di Settignano), che fu poi il padre di Tommaso e che nel 1582 era già morto. Dal 1581 nella bottega di Morelli in piazza S. Maria sopra Minerva era stato allocato – dalla madre Tommasa Grampi – Giovanni Baglione, anch’egli di origini fiorentine, affinché apprendesse il mestiere di pittore, tramite il versamento di dodici scudi l’anno; nel 1582 l’apprendistato fu prorogato per un altro anno. Verosimilmente Baglione continuò a frequentare la bottega di Morelli fino alla morte di questi nel 1595 (poco prima di morire Morelli fu testimone alle nozze di Baglione, in quello stesso 1595).

L’amicizia fra Salini e Baglione nacque dunque molto presto, nel contesto familiare di Morelli, dove – a partire dal 1591 ‒ entrambi vivevano.

Il legame si rafforzò ancora di più nel 1595, quando sia Salini sia il fratello minore di Baglione, Jacopo, partirono per l’Ungheria a combattere contro i turchi. Questa notizia fu già riportata da Antonino Bertolotti (Curiosità storiche..., 1879, p. 228), ma non è stata recuperata dagli studi moderni fino al contributo di Sickel. Jacopo morì in guerra, Tommaso invece si salvò e tornò a Roma; è possibile che il legame fra Baglione e Salini si stringesse ancora di più e che il primo vedesse nel secondo il fratello minore che aveva perduto.

Alla luce di questa amicizia dovranno essere letti anche i fatti successivi, a cominciare dall’appassionata biografia che Baglione (Le vite de’ pittori..., cit.) dedicò a Salini, soprattutto consegnandogli un primato nella natura morta che ha suscitato infinite discussioni negli studi moderni: «Salini Romano si mise a far de’ fiori e de’ frutti, e d’altre cose dal naturale ben espresse; e fu il primo che pingesse et accomodasse i fiori con le foglie ne’ vasi, con diverse invenzioni molto capricciose e bizzarre, li quali a tutti recavano gusto, e con gran genio sì bravamente li faceva, che ne ritrasse buonissimo guadagno» (p. 288).

Il cosiddetto processo Baglione del 1603 (analisi recenti in Di Sivo, 2011, ma anche in Papi, 2014), che vide contrapposti Caravaggio e Baglione per la diffusione di sonetti osceni che avevano per bersaglio il secondo, fu un’altra manifestazione di tale rapporto; Salini, nettamente schierato nel processo dalla parte di Baglione, veniva sprezzantemente indicato da Caravaggio come suo «angelo custode», e bollato con parole durissime: «può essere che se diletti e che impiastri lui ancora, ma io non ho mai visto opera nessuna d’esso Mao». Già due anni prima il rapporto con Merisi era stato burrascoso: il 2 ottobre 1601 Salini, che era accompagnato da un servitore di Baglione, denunciava Caravaggio per essere stato minacciato da questi con la spada in via della Scrofa (Bassani - Bellini, 1994, pp. 116 s.; trascrizione in Cesarini, 2011, p. 251, docc. 27-28).

Numerose sono le tracce dell’esistenza di Salini negli archivi del Vicariato di Roma (Alla ricerca di “Ghiongrat”..., 2011, p. 518); il pittore era presente nel 1601, già sposato con la ventenne Anastasia Mazzoleni, nella parrocchia di S. Maria del Popolo. Nel 1602 la coppia figurava in una nuova abitazione in via Paolina. Nel 1607 erano ancora solo Tommaso e Anastasia a vivere in una casa alla Trinità, dopo che ben tre figli erano morti in età infantile; abitarono insieme ancora in quell’area urbana, senza più avere figli, fino all’agosto 1623, quando veniva registrata la morte di Anastasia Salini in via Paolina; solo tre mesi dopo, il 9 novembre, Tommaso si risposava con Lucia Fellini, che sarebbe deceduta pochi mesi dopo, nell’agosto del 1624, ancora in strada Paolina. Nel settembre del 1625 (il giorno 14 secondo i documenti del Vicariato, il 13 secondo Baglione) Salini moriva nell’abitazione di via Paolina e veniva sepolto in S. Lorenzo in Lucina. Nel frattempo si era sposato per la terza volta con Clarice Bibiena, che ne risulta consorte dal documento di morte.

Il 3 luglio 1621 a Salini venne conferito il cavalierato onorifico dello Speron d’oro (Schütze, 1992, p. 328 nota 32), notizia che riporta anche Baglione, sottolineando così il prestigio dell’amico; l’onorificenza veniva anche recepita nei censimenti pasquali dal 1623 al 1625 e nel documento della morte (Alla ricerca di “Ghiongrat”..., 2011, p. 518).

Baglione riporta anche l’episodio – tuttora non chiarito (si veda Papi, 1995, pp. 27-29) – dell’accusa di Salini nei confronti di Antiveduto Gramatica (quando questi, dal 17 gennaio 1624, era principe dell’Accademia di S. Luca), riguardo al tentativo di vendere segretamente il dipinto di proprietà dell’accademia attribuito allora (ma oggi non più) a Raffaello e raffigurante S. Luca che dipinge la Vergine. Tale accusa – non sappiamo se fondata, ma è probabile che la vendita venisse avallata dal gruppo dirigente accademico (la cosiddetta colletta) al fine di acquisire fondi per avviare la costruzione di una nuova chiesa – riuscì a far deporre dal principato Antiveduto (1° ottobre 1624). Salini venne reintegrato nella colletta, dalla quale, a quanto riporta Baglione, era stato estromesso proprio in occasione dell’avvento di Gramatica.

Negli studi degli ultimi decenni l’attività pittorica di Salini è stata al centro di un tormentato dibattito, sia per i dipinti di figura, sia per le nature morte. Specialmente per queste ultime, dopo tante prese di posizione da parte di vari studiosi (si vedano da ultimo Cottino, 2010, e Paliaga, 2011, cui si rimanda anche per la bibliografia precedente), si è tuttora in un territorio di incertezza, senza alcun dato definitivo da cui partire per ricostruire questa importante attività, attestata peraltro da notizie documentarie (oltreché dalle roboanti parole di Baglione), che si riferiscono soprattutto all’esecuzione di fiori.

La scoperta dell’inventario, redatto il 12 settembre 1625 in occasione della morte di Salini (Pegazzano, 1997), ha fornito elementi importanti per ipotizzare la fisionomia del pittore quale autore di soggetti con fiori. Erano già noti molti documenti che riferivano di una notevole produzione di quadri di fiori da parte di Salini, in esecuzione forse seriale, perché registrati talvolta in numero di dieci, di dodici (per il cardinale Ludovico Ludovisi, per Cosimo II de’ Medici, per il cardinale Scipione Borghese, per il cardinale Desiderio Scaglia, per Cassiano Dal Pozzo, per l’abate Attilio Brunacci: un riepilogo in Paliaga, 2009, p. 118 note 4-5).

Nell’inventario vengono elencati molti quadri di fiori (finiti e non), ma la novità rispetto alle notizie precedenti è una descrizione che vi si può leggere: «dodeci quadri de fiori diversi [...] con vasi d’invenzione de puttini di azzurro» (Pegazzano, 1997, p. 145); vi viene anche indicato Mario Nuzzi (Mario dei Fiori), nipote del pittore, quale consulente per l’inventariazione. Ciò ha spinto Mina Gregori (1997) a ipotizzare che i «fiori» di Salini potessero essere riconosciuti in uno dei gruppi dei cosiddetti «Maestri del vaso a grottesche», in particolare in quello facente capo al discusso Giacomo Recco. Questa ipotesi attributiva ha trovato consensi (Veca, 2002; Cottino, 2016) ed è stata ampliata da Franco Moro (2011), suscitando qualche perplessità riguardo all’appartenenza dei numerosi dipinti a un solo autore (si veda, ad esempio, Cottino, 2016, p. 152).

Un’altra voce dell’inventario («un fiasco in tavola incorniciato», Pegazzano, 1997, p. 144) ha indotto Viktoria Markova (1999) ad attribuire a Salini la celebre Fiasca fiorita (olio su tavola) della Pinacoteca civica di Forlì, ipotesi che al momento non trova unanime consenso fra gli studiosi (si veda da ultimo, per un quadro completo della questione, Benati, 2016, pp. 253 s., n. 39). Infine, un altro passo dell’inventario, che registra «un pappagallo roscio della istessa grandezza [tre palmi]» (Pegazzano, 1997, p. 145), ha convinto Cottino (2001, pp. 59 s.; 2002) a collegare l’opera a quella di medesimo soggetto presso il Musée des Beaux-Arts di Nantes.

Per quanto riguarda la ricostruzione dell’attività del Salini figurista, la biografia baglionesca fornisce alcuni elementi da cui partire. Vi viene, infatti, ricordata la pala con l’Apoteosi di s. Nicola da Tolentino nell’omonima cappella della chiesa di S. Agostino, tuttora ivi conservata, che sarebbe stata realizzata su disegno di Baglione (Salerno, 1952). I lavori di decorazione della cappella ebbero un forte sviluppo nel 1615 ed è probabile che in quell’anno sia stato commissionato anche il dipinto a Salini (Pedrocchi, 2006, pp. 107-109), il quale verosimilmente lo eseguì di lì a poco.

Ancora in S. Agostino viene citato sull’altare nei pressi della cappella di S. Monica «il S. Thomasso da Villanova che fa elemosina a diversi poveri, con molte figure a olio, assai diligente» (G. Baglione, Le vite de’ pittori..., cit., p. 287); il dipinto, oggi disperso, forse realizzato intorno al 1618, anno di canonizzazione del santo, fu probabilmente inviato nel 1659 alla chiesa del convento di S. Agostino a Catanzaro (Panarello, 2006), e la sua iconografia potrebbe corrispondere a quella presente in un’incisione pubblicata da Sigismondo Tamagnini da Recanati (Relatione della canonizatione di S. Tomaso da Villanona, Roma 1659). In S. Lorenzo in Lucina Baglione (Le vite de’ pittori..., cit., p. 287) ricorda un S. Lorenzo per un altare a destra del maggiore, realizzato su disegno dello stesso Baglione e attualmente disperso.

Il biografo registra ancora sull’altar maggiore di S. Agnese in Agone il Martirio di s. Cecilia, che Federico Zeri ha pubblicato nel 1955 (la sua ubicazione attuale è ignota) e che probabilmente fu eseguito nel 1616 (Vannugli, 2006); infine, cita uno «stendardo» per la chiesa degli Scalpellini, S. Andrea in Vincis (oggi distrutta), che è stato giustamente riconosciuto nell’opera in collezione privata che su una faccia presenta la Gloria dei Quattro santi coronati e sull’altra il loro Martirio (Marini, 1982, p. 69). Da documenti recuperati nel 2003 (Colucci, pp. 172-174) l’esecuzione dello stendardo dovrebbe fissarsi nel 1614.

È possibile che poco prima della data 1618 tracciata sul retro della tela sia stato eseguito il S. Francesco donato dal medesimo Salini all’Accademia di S. Luca (e tuttora ivi conservato). Sebbene con qualche difficoltà, la data 1615 e la firma del pittore sono leggibili su una S. Cecilia recuperata in collezione privata da Alberto Cottino (2001, p. 92); chiude il breve catalogo di opere sicure di Mao un S. Carlo Borromeo di collezione privata, firmato e datato 1617 (Negro, 2002).

Altre opere perdute sono uno stendardo commissionato nel 1608 (per 85 scudi) dalla Compagnia del Ss. Sacramento di S. Maria in Trastevere (Vannugli, 2006) e alcune pitture non meglio specificate per la cappella della Madonna in S. Biagio a Montecitorio, per le quali Salini firmò una quietanza il 22 settembre 1616 (Moretti, 2011).

Come si nota, sono molto poche, e stilisticamente abbastanza omogenee, le opere su cui ci si può basare per ricostruire la fisionomia del Salini figurista; sono anche molto concentrate nel tempo (fra il 1614 e il 1618), cosicché resta avvolta nel buio l’attività del primo decennio del secolo, nel quale Salini dovette essere molto legato a Baglione e probabilmente anche al movimento caravaggesco. Le opere pervenute documentano un artista di discreto livello, ma tutt’altro che un protagonista, ancora in parte legato al linguaggio di Baglione, ma anche timidamente interessato a farsi coinvolgere, alla metà del secondo decennio, da artisti più aggiornati, come Orazio Borgianni, Giovanni Francesco Guerrieri, Orazio e Artemisia Gentileschi.

Un esame obiettivo del corpus del pittore deve ripartire da qui e dimenticare l’incredibile messe di dipinti che gli è stata riferita nel corso di oltre mezzo secolo di studi critici, alterandone completamente la fisionomia e dando luogo a un catalogo che ha perso di vista le ‘vere’ e poche opere di Tommaso giunte fino a noi. Infatti, tutte le tele riferite a Salini raffiguranti pastori con animali, contadine, giochi di bambini, ma anche soggetti religiosi come, ad esempio, le tre versioni dell’Incoronazione di spine e soggetti allegorici quali Amore vincitore (si vedano Gregori, 1989; Markova, 1989, 2002 e 2012; Papi, 1989 e 1990; molte altre sul mercato antiquario e nei cataloghi d’asta), saranno da assegnare a una serie di maestri anonimi (fra questi i cosiddetti Maestro degli armenti e Maestro di Baranello: Papi, 2009, pp. 385-387, e 2011).

Anche le opere che dal 1976 (Zeri, pp. 104-108) hanno costituito elementi basilari per la ricostruzione del catalogo di Salini figurista e naturamortista dovranno essere stornate dal suo corpus. La prima è il dipinto con i Ss. Cecilia e Valeriano di collezione privata, da assegnare al Maestro dell’Elemosina di s. Lucia (Papi, 2011). La seconda è il famoso Ragazzo con fiasco del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, nel quale Zeri aveva riconosciuto la mano di Salini nella natura morta e quella di un altro artista, forse Michelangelo Cerquozzi, nella figura, e che più tardi (almeno da Markova, 1989, in poi) è stato assegnato interamente a Salini. Studi recenti lo hanno definitivamente espunto dal catalogo del pittore: si veda, ad esempio, l’opinione di Franco Paliaga (2009, pp. 117-121), che ha giudicato la figura di un maestro anonimo e il brano di natura morta del Monogrammista SB, una personalità di naturamortista attiva oltre i limiti biografici di Salini, del quale Giuseppe De Vito (1990) ha pubblicato un primo nucleo di opere. Il dipinto di Madrid è da attribuire a un nuovo maestro, da chi scrive denominato Maestro della Flagellazione Lampronti (Papi, 2016).

Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti..., Roma 1642, pp. 287 s.; A. Bertolotti, Curiosità storiche ed artistiche raccolte negli archivi romani, in Archivio storico, artistico, archeologico e letterario della città e provincia di Roma, III (1879), p. 228.

L. Salerno, Di T. S., un ignorato caravaggesco, in Commentari, III (1952), pp. 28-31; Id., Precisazione su Giovanni Lanfranco e su T. S., ibid., V (1954), pp. 253-255; G. Testori, Nature morte di T. S., in Paragone, V (1954), 51, pp. 20-25; F. Zeri, T. S.: la pala di Sant’Agnese a Piazza Navona, ibid., VI (1955), 61, pp. 50-53; M. Gregori, Notizie su Agostino Verrocchi e un’ipotesi per Giovanni Battista Crescenzi, ibid., XXIV (1973), 275, pp. 36-56; F. Zeri, Nota a T. S., in Id., Diari di lavoro 2, Torino 1976, pp. 104-108; M. Marini, Il Cavaliere Giovanni Baglione pittore e il suo “angelo custode” T. S. pittore di figure. Alcune opere ritrovate, in Artibus et historiae, III (1982), 5, pp. 61-74; A. Cottino, La natura morta caravaggesca a Roma, in La natura morta in Italia, a cura di F. Zeri, II, Milano 1989, pp. 650-727 (in partic. pp. 676-678, 703-709, con bibl. precedente); M. Gregori, Altre aggiunte a T. S., in Paragone, n.s., XL (1989), 475, pp. 52-57; V.E. Markova, Alcune nuove proposte per T. S., ibid., pp. 26-41; G. Papi, Un tema caravaggesco fra i quadri di figura di T. S., ibid., pp. 42-51; G. De Vito, Un diverso avvio per il primo tempo della natura morta a Napoli, in Ricerche sul ’600 napoletano, Napoli 1990, pp. 115-159; G. Papi, Note in margine alla mostra ‘L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana. Grande pittura del ’600 e ’700’, in Paragone, n.s., XLI (1990), 485, pp. 73-88; S. Schütze, Arte liberalissima e nobilissima..., in Zeitschrift für Kunstgeschichte, LV (1992), p. 328 nota 32; R. Bassani - F. Bellini, Caravaggio assassino. La carriera di un «valenthuomo» fazioso nella Roma della Controriforma, Roma 1994, pp. 116 s.; G. Papi, Antiveduto Gramatica, Soncino 1995, pp. 27-29; M. Gregori, Una svolta per T. S. pittore di nature morte, in Paragone, s. 3, XLVIII (1997), 15-16, pp. 58-63; D. Pegazzano, Documenti per T. S., ibid., pp. 131-146; V.E. Markova, Su T. 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