SALUTO

Enciclopedia Italiana (1936)

SALUTO (fr. salutation; sp. saludo; ted. Gruss, Begrüssung; ingl. greetings, salutation)

Raffaele CORSO
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Per quanto variabili, le forme del saluto nelle società primitive hanno base e fondamento nel duplice desiderio di mostrare alla persona che si riverisce la propria inferiorità, da una parte, e la simpatia o la devozione, dall'altra. Questi due sentimenti operano, in generale, in maniera distinta, dando origine a forme e formule differenti di riverenza e di rispetto, ma possono anche associarsi per dar vita a manifestazioni combinate. Quando il sentimento dell'inferiorità prevale, ciò che si osserva nelle società a carattere dispotico, feudale e militare, il saluto prende la forma di un omaggio, tendente a esprimere con cenni e parole la dipendenza, la sottomissione e perfino la servitù. Appartengono a questa classe gli atti di prostrarsi davanti al capo o al signore col viso a terra, di strascinarsi sulle mani e sulle ginocchia, o di stare prono col piede del signore sulla nuca o sulla testa, e talvolta di presentarsi con le mani legate o con una fune al collo o con un fardello addosso, nell'atteggiamento di chi supplica o implora grazia (v., per la προσκήνησις adorazione, I, p. 519).

Con l'elevarsi del senso di dignità, si attenua il rigore di questi atti che servono a esprimere la sottomissione di un individuo a un altro, e se ne semplifica la forma. La genuflessione accompagnata spesso dall'atto di cospargersi il capo, la faccia, le braccia, il petto di terra (Dahomey, Congo, ecc.) non è altro che una forma schematica e simbolica della prostrazione con la faccia nella polvere; come pure simbolo dell'atto di presentarsi con le mani e le braccia legate è l'altro di congiungere le palme in avanti o di portarle al petto.

Nel vecchio regno del Dahomey i dipendenti si presentavano al re strisciando sulle ginocchia; tra i popoli del Niger inferiore è segno di gran rispetto prostarsi fino a toccare con la fronte il suolo. Quasi lo stesso avviene nella Costa d'Oro e nel Congo. In quest'ultimo, quando un indigeno deve rivolgere la parola al capo o al padrone, s'inginocchia stendendo le mani e battendole. Nell'isola di Giava, chi appartiene a classe umile deve camminare con le ginocchia piegate dinnanzi al superiore, finché non si allontani dalla sua vista. Nelle isole Samoa si considera mancanza di rispetto non inclinare il corpo passando davanti a un superiore che sta seduto. L'idea della subordinazione, che è implicita in questa categoria di riverenze, fa sì che il saluto prenda aspetti differenti a seconda della classe sociale dell'ossequiante e dell'ossequiato. Nell'Unyanyembe (Territorio del Tanganica) incontrandosi un Uezi (uomo di classe inferiore) e un Valuni (uomo di classe nobile) si salutano, il primo congiungendo le mani, il secondo battendole lievemente. A Sumatra l'inferiore s'inclina e mette le mani giunte in quelle del superiore, quindi se le porta alla fronte. Nell'Abissinia quando due individui s'incontrano, se sono di eguale condizione, si riveriscono sollevando un lembo del vestito; se sono di differente condizione, l'inferiore ha l'obbligo di scoprirsi il corpo fino alla cintola. Fra i Dancali, la tribù degli uomini bianchi (Ghedinto, Adò Iammarà) ha l'obbligo di ossequiare ogni componente della tribù degli uomini rossi (Damoheita, Assa Iammarà) col bacio delle mani senza contraccambio. Similmente si comportano i Tahitiani al cospetto del loro re o del capo. Il saluto che i Calmucchi fanno ai loro capi principali consiste nel portare la mano destra alla fronte e toccare con essa il fianco del personaggio, a cui fanno onore. Il cavaliere kirghiso, per riverenza, discende dal cavallo. I naturali della Costa d'oro hanno, come gli Abissini, due forme di saluto, l'una che eseguono scoprendosi una sola spalla, la sinistra, l'altra scoprendosele tutte e due.

La simpatia, il piacere, la gioia vengono espressi generalmente con gesti e cenni adatti a suscitare nell'amico, nel compagno, nel protettore sentimenti analoghi. Tra le forme comuni di questa categoria figurano, in primo luogo l'atto di battere le palme o di scuoterle, o di portarle sulla fronte, o sul petto o di metter fuori la lingua.

Il Tibetano davanti al Dalai Lama si leva il copricapo, incrocia le braccia sul petto e mette fuori la lingua. I Toda delle colline del Neilgherry quando vogliono esternare il sentimento del loro rispetto, portano la mano destra alla fronte ponendo il pollice sul naso. Quest'organo comparisce nei gesti che indicano ossequio o complimento presso varie genti, specie fra quelle in cui si pratica il bacio olfattivo o nasale (v. bacio). Nel costume dei Lapponi, degli Eschimesi, dei Malesi e dei Polinesiani è segno di cortesia l'avvicinare il proprio naso al naso di un'altra persona. Nella Polinesia a questo atto si aggiunge l'altro di prendere la mano del forestiero per strofinarla sul proprio naso o sulla propria bocca. Fra gli Eschimesi poi, è un complimento prendere fra l'indice e il pollice il naso di un amico.

A queste forme se ne aggiungono varie altre, come lo sfiorare con le labbra le ginocchia, i piedi, gli abiti della persona che si vuol riverire; o come il salto e la danza in segno di giubilo.

L'amichevole saluto dei Fuegini consiste nel saltellare. Nelle isole Figi, quando un capo di rango inferiore va a riverire un capo di rango elevato col suo seguito, deve compiere un ballo rituale.

Con queste formalità tocchiamo il campo delle cerimonie magicosacre, di cui alcuni saluti non sono che residui o avanzi, essendo ispirati primitivamente dall'idea di allontanare dalla persona supposti mali o malefizî. Espressioni di cortesia e di rispetto, che hanno fondamento in superstizioni, sono i fuochi che si accendono, i suffumigi con sostanze aromatiche che si fanno nell'atto di riverire un personaggio.

Alcune tribù australiane quando vanno nel territorio di una tribù vicina, hanno cura di presentarsi con le torce a vento accese, nel desiderio che la fiamma purifichi l'aria e la sgombri d'ogni insidia malefica. Alcuni Indiani dell'America Meridionale recandosi a visitare una tribù vicina, lo fanno irrompendo con rumori guerreschi, per non essere scambiati con gli spettri che si avvicinano di soppiatto. Origine cerimoniale ha anche il saluto che si fa volgendo le spalle alla persona amica o ragguardevole. Certamente esso si riporta al tabu largamente noto, che proibisce di fissare gli occhi sul viso altrui.

Ai gesti seguono o si accompagnano le formule che servono a meglio esprimere il sentimento della devozione, o sono detti augurali o di congratulazione.

Questa forma di saluto, che ha grande sviluppo nell'Asia, si trova in altri paesi, specie nell'Africa, dove i Negri insieme con gli omaggi servili, indirizzano ai loro signori voti augurali e rallegramenti. Due Kirghisi di condizione elevata, nell'incontrarsi si salutano, invocando ciascuno i sette avi dell'altro; i Mongoli della steppa detti Kalkha s'inginocchiano dicendo: Amore e pace! Gl'Indiani Serpenti dell'America Settentrionale, avvicinandosi ad uno straniero che merita rispetto, gli dicono: siamo ben fortunati, anzi incantati! Talvolta l'ossequio consiste in una serie di formalità, per le quali si richiede non meno di un quarto d'ora, come accade tra gli Araucani, i quali nell'accogliere l'ospite, chiedono informazione circa il benessere suo e dei suoi parenti, accompagnando ogni risposta con felicitazioni espresse in frasi elaborate.

E. Spencer, Principi di sociologia, trad. Salandra, Torino 1901; A. Hovelacque, De quelques formes de salutation, in Revue des traditions populaires, V (1890), p. 119 seg.; B. Andree, Ethnographische Parallelen un Vergleiche, Lipsia 1887, p. 225 seg.; P. Sébillot, Le folk-lore, Parigi 1913.

Antichità classica. - I Greci si salutavano scambiandosi una parola di buon augurio (χαῖρε "sii lieto", o un'espressione simile; nelle lettere spesso ἔρρωσο "sta' sano") e consideravano uso contrario a un popolo libero l'inchinarsi come facevano gli Egiziani e i Persiani. Di solito i Greci si salutavano a distanza; segno più intimo di amicizia era lo stringersi la mano. Anche il saluto romano è un augurio: Have! "Dio ti salvi!" (nella tradizione è prevalsa la grafia men corretta Ave); Vale! "sta sano!"; raramente un popolo ha dato al saluto l'importanza che esso aveva per i Romani. I ricchi signori, che erano sempre attorniati da una folla di clienti, volevano che questi si presentassero tutte le mattine a fare il loro saluto al patrono (salutatio matutina), di solito con le parole: Have, domine, Have, rex; gli alti magistrati eran salutati dai cittadini più ragguardevoli. Mancare abitualmente all'obbligo del saluto mattutino era considerata scortesia e intollerabile indipendenza. Anche per la strada il minore doveva essere il primo a salutare il più autorevole; solo quando un cittadino aveva presentato la sua candidatura al consolato o ad altro alto ufficio pubblico, cercava, senza tante distinzioni, di salutare quanta più gente poteva. Chi riceveva il saluto doveva rispondere; e poiché il saluto era rivolto con un vocativo, gli uomini autorevoli si facevano accompagnare da uno schiavo (nomenclator), che suggerisse loro il nome della persona incontrata.

La forma più comune di saluto nel mondo classico, usata peraltro, più che nella vita giornaliera, negl'incontri o nei distacchi di grande importanza, era la stretta di mano: la vediamo rappresentata nei monumenti figurati, e soprattutto nelle stele sepolcrali; molto in uso era il bacio, derivato dall'Oriente e o dato effettivamente o inviato con un gesto della mano. Atto di omaggio più che di saluto, per es. da parte dei soldati al generale, era il bacio della mano o delle ginocchia, mentre il saluto militare vero e proprio sembra fosse dato portando la mano destra alla testa. Il saluto fatto alzando e protendendo il braccio destro, pur avendo in origine valore di adorazione, fu usato come saluto in età romana verso persone cui era dovuta reverenza: ce ne parlano le fonti (Svetonio, Marziale, ecc.) e ce ne dànno testimonianza alcuni monumenti. Tra questi un rilievo di Treviri in cui si vede un bambino che saluta il maestro, e uno dei rilievi dei plutei traianei del Foro romano, ove si vedono personaggi col braccio alzato in atto di salutare l'imperatore.

Oriente. - Nell'Oriente islamico (come del resto nell'antico Oriente), tratto caratteristico del saluto è l'inchino del capo e del corpo, e il portare la mano alla fronte. Formula tipicamente musulmana del saluto è l'augurio as-salām alaikum "salute a voi" (cui il salutato risponde ‛alaikum as-salām). Da questa formula nasce il vocabolo italiano salamelecco, il cui senso spregiativo deriva dal troppo cerimonioso atteggiamento degli orientali.

A. Becker-H. Göll, Charicles I, Berlino 1877-78, p. 223 segg.; Gallus II, ivi 1880-82, p. 194; H. Blümner, Römische Privataltertümer, Monaco 1911, p. 213, 380, 445; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, col. 2060 segg.

Folklore. - I saluti popolari variano da paese a paese, secondo le classi sociali, lo stato delle persone e secondo le occasioni (ore della giornata, circostanze, ricorrenze solenni, ecc.), e possono consistere o in semplici gesti o in parole, ovvero in queste e in quelli combinati insieme. Tra i gesti, i più comuni sono la stretta di mano, il bacio, l'abbraccio, il cenno con la mano "far servo", cioè salutare muovendo le dita a mano ferma), la scappellata o l'atto di toccare il cappello; ma accanto a questi che hanno carattere amichevole e confidenziale ve ne sono altri, di carattere ossequioso o riverenziale, che possono dirsi gerarchici, come quelli che sono espressi da inferiore a superiore. Tra questi la genuflessione completa (sopra due piedi) o incompleta (sopra un piede), l'inclinazione del capo, l'inclinazione del corpo (nella Cina e nel Giappone esistono gradazioni specifiche di genuflessione secondo le gerarchie).

Tra le locuzioni che l'amicizia e la confidenza suggeriscono, ve ne sono di vario genere, di complimento, di augurio, di auspicio, spesso espresse in maniera immaginosa e pittoresca (salute! "viva!, felicità!, buon pro, ecc.); e fra quelle riverenziali: "servo suo" "bacio le mani". Caratteristici il "voscenza binidica" siciliano e il "ciao" (propriamente s-ciao cioè schiavo, s'intende: suo) d'origine veneta, ma diffuso in tutta l'Italia settentrionale e ora anche in parte nella centrale. Vi sono saluti-formule: "Dio vi accompagni", "Deo gratias" (cfr. anche il Grüss Gott dei paesi cattolici di lingua tedesca), ecc.; e le formule talvolta sono veri e proprî motti dialogici tra le persone che si riveriscono, come a dire: "Viva Gesù e Maria"- "S. Giuseppe in compagnia".

Non mancano saluti con le offerte, con gli omaggi, con i doni, in circostanze solenni.

P. Sébillot, Le folk-lore, Parigi 1913, pp. 223-226; A. Hovelacque, De quelques formes de salutation, in Revue des traditions populaires, V (1890) p. 119 segg.; G. Navanteri, Il "voscenza" in Sicilia, in Archivio delle tradizioni popolari, XXII (1903); cfr. per l'Italia, G. Pitré, Bibliografia delle tradiz. pop. in Italia, Torino 1894.