SALUZZO DI MONESIGLIO, Alessandro conte

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALUZZO DI MONESIGLIO, Alessandro

Piero Del Negro

conte. – Nacque il 12 ottobre 1775 a Torino dal conte Giuseppe Angelo e da Maria Margherita Giuseppa Girolama Cassotti dei conti di Casalgrasso.

Il padre era un militare appartenente a uno dei rami minori della famiglia dei marchesi di Saluzzo e si era distinto quale scienziato e organizzatore culturale; la madre era «donna di virile ingegno e di molte lettere» (Vallauri, 1841, p. 289). Secondogenito della coppia – prima di lui era nata Diodata, che avrebbe conquistato la notorietà quale poetessa (v. la voce Saluzzo, Diodata in questo Dizionario) –, Alessandro, che portava il nome del nonno paterno, fu il primo di cinque figli maschi, che furono tutti avviati, prima o dopo, alla carriera delle armi. Una sorella della madre, Matilda, aveva sposato Roberto Taparelli d’Azeglio, il nonno di Massimo, e ne aveva avuto una figlia, Enrichetta, che aveva sposato Prospero Balbo, il padre di Cesare: Alessandro poté fare riferimento a una rete di relazioni familiari di altissimo rilievo sotto ogni aspetto.

Il 22 novembre 1788, quando aveva soltanto tredici anni, Saluzzo, che aveva alle spalle un’educazione tra le mura domestiche, ottenne un brevetto di sottotenente nel reggimento provinciale di Torino, una sorta di riserva dell’esercito stanziale, che in tempo di pace impegnava solo saltuariamente i propri ufficiali. Poté quindi frequentare le scuole teoriche e pratiche d’artiglieria e fortificazione di Torino. Il 17 febbraio 1791 fu trasferito, sempre quale sottotenente, al reggimento di Monferrato, che era, invece, di ordinanza. In quegli anni istituì una «privata Accademia pastorale» (Calvetti, 1854, p. 57). Partecipò alle campagne contro la Francia repubblicana (1793-96), ottenendo il 3 maggio 1794 la promozione a luogotenente. Il 14 aprile 1796 fu fatto prigioniero dai francesi nella battaglia di Dego.

Rimesso in libertà, ritornò a militare nel reggimento Monferrato: il suo battaglione fu incluso in quell’esercito di 9000 uomini che, in conseguenza del trattato di pace tra il Regno di Sardegna e la Francia, fu messo a disposizione di quest’ultima. Tuttavia, mentre i fratelli Annibale e Federico presero parte, nei ranghi della cavalleria francese, alla campagna del 1799 contro gli austro-russi (Federico vi trovò la morte), Alessandro non vi fu coinvolto. Quando i francesi furono cacciati dal Piemonte e fu ricostituita l’armata sarda, egli fu promosso capitano e assegnato allo stato maggiore. Ritornati i francesi nel 1800, abbandonò la carriera delle armi.

Una scelta questa che l’anonimo autore della biografia premessa all’edizione del 1859 della sua Histoire militaire du Piémont, avrebbe imputato a un «atto cavalleresco» (Vita di Alessandro Saluzzo, p. 5) nei confronti dei Savoia, che si sarebbe tradotto nel rifiuto di «consacrare l’opera del braccio [...] allo straniero» (p. 6). In realtà, Alessandro, come del resto il padre e i fratelli Annibale e Roberto, collaborò con quello che era diventato il regime napoleonico, ricoprendo dal 1808 l’incarico di provveditore del liceo imperiale di Torino ed entrando a far parte, in rappresentanza del collegio elettorale del dipartimento del Po, del Corpo legislativo dell’impero, anche se non fu mai presente a Parigi. Di conseguenza, nel 1812 fu nominato cavaliere di un ordine imperiale di un certo prestigio, quello «de la Réunion».

Tuttavia, negli anni napoleonici Saluzzo guardò soprattutto, a un tempo, a monte e a valle di quella stagione, conquistandosi «due meriti eccezionali» (Zucchi, 1927, p. 430), da considerarsi il frutto di «due manovre di notevole acume politico» (Barberis, 1988, p. 268): da un lato, la redazione della già citata Histoire militaire du Piémont (così nella versione a stampa, ma quando fu presentata nel 1811 – e premiata l’anno successivo – quale dissertazione a un concorso, che l’Accademia delle scienze aveva indetto nel 1810, indicando quale tema l’illustrazione di ‘un punto rilevante della storia del Piemonte’, era intitolata Histoire de la milice piémontaise et des guerres du Piémont depuis l’an 1536 jusqu’au 1747); dall’altro, nel 1813, il ruolo di tutore di Carlo Alberto principe di Carignano, un investimento sul futuro di una dinastia sabauda, il cui ramo insignito del titolo regio rischiava l’estinzione (né il re Vittorio Emanuele I, né i suoi fratelli ancora in vita avevano – ed era assai poco probabile che ne avrebbero avuti in futuro – figli maschi).

L’Histoire militaire du Piémont fu un’iniziativa politico-culturale di grandissimo rilievo: «prima storia generale del Piemonte dell’età moderna», fu «anche una ‘reinvenzione’ della tradizione militare piemontese» (Barberis, 1988, p. 270) in una stagione che appariva a essa assai poco propizia. L’opera fu iniziata, con ogni probabilità, quando Saluzzo si ritirò, dopo Marengo, a vita privata: avrebbe infatti affermato nelle sue memorie che aveva trascorso «les dix [ans] qui suivirent nos désastres à recueillir les fastes de leur histoire» (Zucchi, 1927, p. 590), ovvero la storia dei Savoia, che fu compilata con l’aiuto del fratello Cesare (Calvetti, 1854, p. 81, n. 58). Il concorso bandito dall’Accademia delle scienze, della quale era presidente Prospero Balbo, con cui Saluzzo intratteneva, grazie anche ai legami familiari, «rapports à peu près intimes» (Zucchi, 1927, p. 459) e di cui condivideva i «principes d’un royalisme éclairé» (p. 574), fu quasi certamente un concorso ad personam: in ogni caso la memoria di Saluzzo non ebbe a competere con quelle di altri concorrenti.

Anche l’impegnativa decisione di diventare tutore dei principi di Carignano – Saluzzo fu costretto, dal momento che i Carignano non godevano di un grande appannaggio, a ipotecare i beni della casata, della quale era diventato, dopo la morte del padre nel 1810, il capo – fu sostenuta da un «conseil de famille» della madre di Carlo Alberto e di Maria Elisabetta, del quale facevano parte Balbo e Antonio Maria Filippo Asinari di San Marzano (anche con lui Saluzzo era «dans des rapports [...] intimes», Zucchi, 1926, p. 543), cioè i maggiori esponenti di un ‘partito’ riformatore, che cercava di salvaguardare la tradizione piemontese innestandovi gli aspetti più positivi dell’esperienza napoleonica.

Nel gennaio 1814 il regime napoleonico in affanno aveva confermato Saluzzo alla testa della terza coorte della guardia nazionale urbana di Torino. Quando, in aprile, gli austriaci occuparono Torino, costituirono un consiglio di reggenza presieduto da Asinari e del quale Saluzzo fu nominato segretario. Ma il consiglio di reggenza fu sciolto dopo otto giorni dal re Vittorio Emanuele, che in quella fase si appoggiava alla fazione reazionaria. Saluzzo ritornò a far parte del corpo di stato maggiore, che fu incaricato di riorganizzare. Nel 1815 fu posto a capo dello stato maggiore di Ignazio Thaon di Revel, commissario plenipotenziario in Liguria e fu promosso luogotenente colonnello.

Nei primi anni della Restaurazione Saluzzo si adoperò soprattutto nella difesa dei diritti di Carlo Alberto alla successione al trono sabaudo: da un lato, con l’appoggio di Asinari e di Balbo riuscì a far sì che il Congresso di Vienna lo riconoscesse quale erede al trono; dall’altro, indusse Vittorio Emanuele a integrare il principe nella corte e nell’esercito sabaudi. Nel 1817 Saluzzo favorì il matrimonio di Carlo Alberto con l’arciduchessa Maria Teresa, figlia del granduca di Toscana Ferdinando III, così come tre anni più tardi ebbe un ruolo anche nel matrimonio di Maria Elisabetta con l’arciduca Ranieri, il fratello dell’imperatore d’Austria.

Come testimoniato da queste scelte, Saluzzo – pur avendo ben presente la necessità di impedire che andasse in porto il progetto degli imperiali di «confondre en un seul système la défense générale des Etats du Roi et de la Lombardie» (p. 545) – fu dal 1816 al 1820 il segretario della commissione mista austro-piemontese che, stabilendo e in parte realizzando un piano di difesa, recepì sostanzialmente i desiderata austriaci. Egli era quindi assai lontano dal condividere i sentimenti ostili agli Asburgo presenti nella società e nell’esercito piemontesi, sentimenti nutriti soprattutto dall’affermazione di un’ideologia nazionale che avrebbero favorito i moti del 1821.

Ancora nel 1835 Saluzzo, pur riconoscendo che negli ultimi vent’anni «les nouvelles opinions italiques [avaient] fait de si grands progrès» in Piemonte, avrebbe preso le distanze da «ce désir vague d’une nationalité incertaine» (p. 489).

L’affermazione, ai vertici del governo sardo, dell’asse ‘napoleonico’ tra Asinari e Balbo basato sul royalisme éclairé mise le ali alla carriera di Saluzzo. Il 12 maggio 1817 fu nominato colonnello comandante della Legione reale leggera, un corpo che era stato ricostituito ai fini di un maggiore controllo delle frontiere. Il 23 marzo 1819 divenne, «à [son] insu» (p. 554), comandante dei carabinieri reali, il corpo privilegiato dal sovrano. Infine, il 27 novembre 1820 fu promosso maggior generale e chiamato a ricoprire l’incarico di primo segretario – vale a dire ministro – della Guerra e della Marina: si trattò anche questa volta di una «nouvelle inattendue» (p. 556).

Nel frattempo, nel 1818 aveva dato alle stampe, presso il libraio torinese Pier Giuseppe Pic, i cinque volumi dell’Histoire militaire du Piémont e aveva sposato, il 23 agosto, Teresa Maria Luisa Arborio Gattinara dei marchesi di Breme, una sorella dell’abate Ludovico, il fondatore del Conciliatore: Saluzzo si sarebbe preso cura dei figli di Teresa, la quale era reduce da due vedovanze.

L’ascesa di Saluzzo ai vertici del ministero della Guerra dispiacque ai generali di primo piano, che la considerarono «un tort qui leur était fait», e a Carlo Alberto, che «depuis cette époque il ne [l’]honora plus ni de sa confiance, ni de sa même amitié» (p. 557). I moti liberali del marzo 1821, che Saluzzo avrebbe giudicato «le malheureux et criminel délire de quelques insensés» (p. 577), colsero di sorpresa il nuovo ministro, nonostante che il loro capo, Santorre De Rossi di Santarosa – le «seul parmi les hommes de cette révolution» che «avait un caractère à la portée des grands événements qui se passaient» (Zucchi, 1927, p. 514) – fosse alla testa di una delle divisioni del dicastero della Guerra. Quando il re Vittorio Emanuele decise, il 12 marzo, di abdicare, tutti i suoi ministri diedero le dimissioni e si allontanarono da Torino. Saluzzo riparò in Savoia.

Dopo il fallimento dei moti, Saluzzo divenne bersaglio «d’une injuste malveillance» (Zucchi, 1927, p. 527) alimentata sia da Carlo Alberto, che cercava di scaricare su altri le responsabilità di una rivoluzione che il suo atteggiamento ambiguo e le sue amicizie in campo liberale avevano alimentato, sia dalla fazione reazionaria, che aveva trovato il suo libellista principe in Rodolphe de Maistre. Fu per replicare al Simple récit des événemens arrivés en Piémont dans les mois de mars et d’avril 1821 (Paris 1822) di quest’ultimo che agli inizi del 1822 Saluzzo compose «un compte-rendu de [sa] conduite au ministère» (p. 531), dato alle stampe sul tamburo da un pubblicista francese, Alphonse de Beauchamp, e una dozzina d’anni più tardi confluito nelle sue memorie.

Nel frattempo, grazie a un amico, Giuseppe Antonio Piccono della Valle di Mosso, che allora reggeva di fatto il ministero degli Esteri, Saluzzo aveva ottenuto dal nuovo re Carlo Felice – che pure non l’amava in quanto lo riteneva «l’homme du Prince de Carignan» (p. 505) e che, non a caso, lo ricevette a corte «avec une bonté froide» (pp. 527 s.) – la nomina a inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Russia, dove rimase fino al giugno del 1825, quando la salute della moglie e soprattutto la notizia che Rodolphe de Maistre stava per diventare primo ufficiale del ministero degli Esteri lo indussero a presentare le dimissioni e a ritirarsi a vita privata, che trascorse tra Torino e il castello di famiglia.

Morto Carlo Felice nel 1831, il nuovo re Carlo Alberto – che voleva «bien recompenser» Saluzzo «d’anciens services», ma si guardava bene, come avrebbe scoperto ben presto, da restituirgli «son affection» (p. 589) – gli offrì successivamente le cariche di viceré della Sardegna e di presidente delle università di Torino e di Genova, che Saluzzo rifiutò, mentre accettò, in settembre, quelle di ministro di Stato e di presidente della sezione degli Interni del Consiglio di Stato, di cui cercò di ampliare, senza molto successo, i poteri. Anche se Carlo Alberto gli tributò negli anni successivi alcuni riconoscimenti (tra il 1832 e il 1840 divenne cavaliere di gran croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, grande di corona e cavaliere dell’Ordine supremo dell’Annunziata, nel 1848 fu promosso luogotenente generale), le maggiori soddisfazioni Saluzzo le ebbe sul piano culturale.

Nel 1822 fu eletto socio dell’Accademia delle scienze di Torino, nel 1833 divenne vicepresidente dell’appena costituita Deputazione sopra gli studi di storia patria e nel 1838 fu eletto presidente – una carica allora a vita – dell’Accademia delle scienze. Partecipò in quella veste al primo congresso degli scienziati italiani (Pisa, 1839) e fu eletto presidente generale del secondo congresso, che si tenne a Torino nel settembre del 1840. Pronunciò in tale occasione un discorso, in cui tra l’altro elogiò, ma senza eccessi enfatici, «la comune nostra patria», l’Italia, e auspicò che i congressi realizzassero una «universale Accademia» (Atti della seconda riunione degli scienziati italiani tenuta in Torino nel settembre del 1840, Torino 1841, p. 20). Clemente Solaro della Margarita, il capofila dei reazionari piemontesi, pur riconoscendo che nel congresso «ogni cosa andò stupendamente e col dovuto ordine» (Solaro della Margarita, 1852, p. 147) avrebbe comunque accusato Saluzzo di aver coperto un’operazione «utile soltanto a stender in Italia le fila della gran cospirazione europea» (p. 148).

Dopo il congresso di Torino, Saluzzo fu «cooptato nei più vari corpi accademici attivi in Italia e in Europa» (Barberis, 1988, p. 319); un successo personale, che tuttavia nel suo caso non fu espressione di un impegno politico, che oramai si era inaridito. Quando Carlo Alberto decise la svolta liberal-nazionale del suo regno, Saluzzo fu, il 3 aprile 1848, tra i primi senatori nominati dal re.

Uno dei suoi primi biografi scrisse che «poco si udì in Senato la sua voce» (Vita di Alessandro Saluzzo, cit., p. 19). Ma va tenuto conto del fatto che – non si sa per quale motivo – soltanto un anno dopo, il 7 marzo 1849, la sua elezione fu approvata e Saluzzo prestò il prescritto giuramento.

Nel corso del 1849, e soprattutto del 1850, partecipò a non poche discussioni, difendendo posizioni conservatrici e distinguendosi, in particolare, per la sua ferma opposizione all’abolizione del foro ecclesiastico.

Morì a Torino il 10 agosto 1851, tre anni dopo la scomparsa della moglie.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, sez. 1, Archivio Saluzzo di Monesiglio. Inoltre: A. de Saluces, Histoire militaire du Piémont, I-V, Turin 1818; A. de Beauchamp, Histoire de la révolution du Piémont, Paris 1822, passim; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, passim; [J. Croset-Mouchet], Le comte Alexandre de Saluces, de Valgrana et Monesiglio, Paris 1852; C. Solaro della Margarita, Memorandum storico politico, Torino 1852, pp. 147 s.; G.B. Calvetti, Cenni biografici di Cesare Saluzzo, Torino 1854; Vita di A. S., in A. de Saluces, Histoire militaire du Piémont, II éd. revue, augmentée et ornée de plans, I, Turin 1859, pp. 1-20; P. Bosi, Il soldato italiano istrutto nei fasti militari della sua patria, Torino 1870, p. 527; M. Zucchi, Carlo Alberto dalla Restaurazione all’avvenimento al trono nelle memorie inedite di A. di S., in La rivoluzione piemontese dell’anno 1821. Nuovi documenti, a cura di E. Passamonti - A. Luzio - M. Zucchi, Torino 1926, pp. 481-599; Id., I moti del 1821 nelle memorie inedite di A. S., in La rivoluzione piemontese del 1821. Studi e documenti, a cura di T. Rossi - P.C. Demagistris, I, Torino 1927, pp. 420-542; W. Barberis, Le armi del principe. La tradizione militare sabauda, Torino 1988, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/ D_l?OpenPage.

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