CALVINO, Salvatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CALVINO, Salvatore

Francesco Luigi Oddo

Nato a Trapani il 25 dic. 1820 da Giuseppe, eminente giurista, e da Angela Lombardo, dopo aver terminato in modo brillante gli studi nel liceo cittadino, ricevette l'offerta del titolo di canonico col relativo beneficio. Insofferente però della carriera ecclesiastica, frequentò a Palermo il corso di giurisprudenza, in un periodo di rinnovamento culturale cui imprimeva qualche stimolo il vero o presunto spirito riformistico di Ferdinando II. Notevole influsso ebbe sulla sua formazione culturale E. Amari, promotore di nuovi studi politico-economico-sociali attraverso la collaborazione al Giornale di statistica. In questa direzione mosse particolarmente il C., dalla cultura familiare e da quella universitaria spinto a partecipare all'attività politica clandestina dei comitati democratici mazziniani e repubblicani in genere, operanti a Trapani e a Palermo e facenti capo più direttamente all'attività di N. Fabrizi.

Laureatosi, e conseguito assai presto per concorso l'ufficio di redattore statistico per la provincia di Trapani, tornò ad abitare nella città natale tra il 1845 e il 1848, svolgendo contemporaneamente azione di funzionario esperto e di coraggioso segretario del locale comitato rivoluzionario, sempre in stretti rapporti con quello centrale di Palermo.

Appoggiò un programma aperto alle aspirazioni secolari e alle esigenze della Sicilia, in armonia del resto con il democraticismo mazziniano che vi si era affermato. Cercò anche di far aderire allo schieramento democratico nel Trapanese tutti quegli elementi antiborbonici dell'aristocrazia e della grossa borghesia terriera, il cui ascendente avrebbe potuto convogliare ordinatamente nel moto rivoluzionario non solo i primi gruppi di artigiani e operai della città, ma anche e soprattutto schiere rurali. La sua serenità e correttezza politica, la sua intelligenza e moralità, il suo amore di giustizia e di obiettività gli consentivano di essere un ottimo tramite tra le forze democratiche e quelle moderate liberalconservatrici, fra le quali contò cordiali amici.

Propagatasi la rivoluzione del gennaio 1848 da Palermo a Trapani, potendo ormai contare su circa un migliaio di uomini organizzati in bande armate nell'ex feudo Torrebianca sotto il comando di Giuseppe Agosta, il C. spinse il popolo trapanese alla rivolta e partecipò, con l'aiuto anche di alcuni suoi fratelli, all'assalto dei castelli e baluardi fortificati della città, mentre l'amico E. Fardella sferrava l'attacco decisivo dall'esterno, alla testa delle squadre rurali (29 e 30 gennaio). Nel marzo fu nominato membro della commissione per l'organizzazione della guardia nazionale. Poco dopo però, amareggiato dalle sterili rivalità locali, preferì recarsi a combattere sotto i baluardi di Messina, ancora in mano dei borbonici. Qualche mese dopo passò in Calabria, come sottocapo di Stato Maggiore della spedizione condotta dal Ribotti. Non appoggiata da congrue sollevazioni locali, la spedizione ebbe esito infelice e il C., catturato nel tentativo di riparare a Corfù (11 luglio), fu tenuto prigioniero per diciassette mesi nel castello di S. Elmo in Napoli e quindi, il 25 dic. 1849, esiliato, si recò a Genova. Nel capoluogo ligure il C. si guadagnò da vivere poveramente, traducendo dall'inglese e insegnando lettere classiche e matematica, disciplina in cui si era sempre esercitato con passione. Evitando il pettegolezzo e la litigiosità degli esuli di diversa tendenza, uscì dal riserbo solo quando C. Pisacane, che poi sarebbe diventato suo affettuoso amico, si espresse poco obiettivamente sulla spedizione Ribotti. Amichevoli contatti mantenne con A. Bargoni, Enrico Fardella, il Cianciolo, R. Pilo, pur sempre difendendo una sua indipendenza di giudizio e di azione, e sempre posponendo all'unità repubblicana ogni altra opportunità di decentramento e di autonomia regionale. Senza venir meno alla fiducia nei fini politici, assistette all'assottigliarsi dello schieramento mazziniano, al fallimento dei tentativi del '51 e del '53, alla crisi del repubblicanesimo francese, e all'affermarsi del programma "Italia e Vittorio Emanuele". Frattanto insegnava per due anni nelle scuole tecniche di La Spezia, assolvendo contemporaneamente alle mansioni di segretario del Comitato rivoluzionario genovese. Fallite le imprese di F. Orsini e di P. F. Calvi, meditò col Pilo una grande spedizione in Sicilia, e ne discusse a Malta con il Fabrizi. Ne furono indirettamente stimolate le sfortunate imprese del Bentivegna in Sicilia e del Pisacane nel Napoletano, l'ultima delle quali espressamente sconsigliata, oltre che dal Mazzini, dal C., che ugualmente disapprovò il moto genovese del 29 giugno 1857. Pur contrario alla politica cavouriana, da questa catena di fallimenti fu spinto ad accettare quella linea collaborazionista, purché nel segno dell'unità, che avrebbe portato alla spedizione dei Mille.

Scoppiata la guerra del '59, si arruolò nei reparti del Ribotti, che operava nei Ducati. Superata la crisi degli accordi di Villafranca, che parvero risospingere il C. sulla posizione politica del Pilo, riprese l'attività militare dedicandosi all'organizzazione dei reparti d'esercito nei Ducati annessi. Dall'esercito si dimise per seguire nella spedizione siciliana Garibaldi, cui suggerì di sbarcare a Marsala. Da qui fece pervenire l'ordine di raccolta di tutte le forze rivoluzionarie verso Salemi e Calatafimi, e nell'esplorazione dei luoghi rischiò la cattura; partecipò poi alla battaglia di Calatafimi restandovi ferito. Per ordine di Garibaldi operò il collegamento con la colonna Pilo che marciava da est su Palermo, e a San Martino delle Scale, colpito dal nemico, il Pilo moriva tra le sue braccia. Congiuntosi a Garibaldi nell'assalto e nella presa della città, trattò, con il Crispi, la resa delle truppe borboniche. Nominato provvisoriamente segretario alla Guerra, in attesa di V. Giordano Orsini, si dichiarò per la immediata annessione della Sicilia e per la prodittatura Depretis; tornò poi sul campo di battaglia con il grado di capitano, rifiutando la prodittatura che gli era stata offerta e curando i contatti tra Garibaldi e il nuovo prodittatore Mordini. Dopo aver presentato al re i risultati del plebiscito siciliano, nel novembre 1860 si dimise, accettando solo l'Ordine militare di Savoia.

Con un programma agli elettori, in cui l'unità nazionale era connessa con ampie libertà amministrative locali, fa eletto deputato per la Sinistra nel collegio di Monreale per l'VIII legislatura, poi per la IX, X e XI, durante la quale, nel giugno 1871, declinava il mandato non essendo in grado di sostenerne le spese. Alla Camera, dove fu segretario nella X legislatura, il C. si batté nell'interesse del Mezzogiorno e della Sicilia contro gli stati d'assedio, il borbonismo tollerato, la proprietà ecclesiastica, gli istituti religiosi, il brigantaggio, l'assenteismo parlamentare, ecc. Fece parte della Commissione di verifica per l'esatto elenco dei Mille, sostenne tutte le iniziative pacifiche di Garibaldi, dissuadendolo vivamente dall'impresa che lo avrebbe portato ad Aspromonte. Ingiustamente arrestato come complice delle azioni garibaldine, assieme al Mordini e al Fabrizi, la sua difesa fu sostenuta da P. S. Mancini. Riprese le armi nel 1866, al fianco di Garibaldi, ed ebbe da lui l'ordine di trasmettere il famoso "obbedisco".

Sconsigliò il tentativo di Mentana, come aveva sconsigliato quello di Aspromonte, avendo accettato la legittimità come principio direttivo di tutta la vita civile, politica e militare del paese. Fece anche parte della Commissione d'inchiesta sulla Regia cointeressata dei tabacchi. Dopo le dimissioni da deputato, spinto dal bisogno economico, collaborò all'impresa commerciale di N. Bixio; alla morte di questo, accettò l'ufficio di provveditore agli studi e, successivamente, di ispettore per gli istituti tecnici, di capo di gabinetto al ministero degli Interni sotto il governo Depretis, di regio commissario al municipio di Genova, di segretario del Consiglio di stato, di cui divenne membro effettivo nel 1869.

Morì a Roma il 22 sett. 1883.

Fonti e Bibl.: S. C., Appunti della spedizione del 1848 in Calabria, in F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861, Torino 1907; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell'Italia, Roma 1880, ad vocem;G. La Loggia-G. Cappello-G. Mustica, Biografia di S. C., Roma 1887; F. Guardione, La spedizione calabro-sicula, in Memorie della rivoluz. sicil. del 1848, II, Palermo 1898; A. Bargoni, Memorie, Milano1911, passim;P. Schiarini, I Mille nell'Esercito, in Memorie storiche militari, V(1911), p. 541; M. Rosi, Il Risorg. ital. e l'azione d'un patriotta cospiratore e soldato, Torino 1906; E. Casanova, L'emigraz. siciliana dal 1849 al 1851, in Rass. storica del Risorgimento, XII (1925), p. 31; Id., L'emigraz. e i comitati democr. sicil. dal 1849 al 1852, L'Aquila 1927, passim;L. Ortoleva, S. C., Palermo 1934; F. De Stefano, I Fardella di Torre Arsa, Roma 1935, passim;Id., S. C. e la sua azione unitaria nel Risorg. ital., Palermo 1942; A. Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969 ad Indicem; Diz. d. Risorg. naz., II, pp. 490 s.; Encicl. ital., VIII, p. 481.

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