DI MARZO, Salvatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DI MARZO, Salvatore

Pasquale Marottoli

Nacque il 27 febbr. 1875 a Palermo da Carlo e Giovanna Martinetti, in una cospicua famiglia di patrioti e studiosi.

La sua formazione scientifica, interamente avvenuta nella città natale, è legata al nome di V. E. Orlando, il quale alla cattedra di diritto amministrativo, abbinava (fino al 1897) l'incarico di istituzioni di diritto romano. E appunto la sua vena romanistica, necessario alimento peraltro del metodo "giuridico" ch'egli propugnava, attrasse il giovane Di Marzo. Ne fu allievo nella università, laureandosi con lui il 9 luglio 1896 con pieni voti e lode, e più ancora nello studio privato, ove ebbe compagno il coetaneo S. Romano e visse l'esperienza culturale dell'Archivio di diritto pubblico (1891-97), strumento e simbolo della "battaglia per il metodo" di Orlando.

L'esordio romanistico del D. è un esile studio su Il divorzio di Spurio Carvilio Ruga (Palenno 1894): prova giovanile ch'egli criticherà poi esplicitamente (Procedura criminale, pp. 33 s.). Contemporaneo, nell'Archivio di diritto pubblico (IV [1894], pp. 358-60), un brevissimo articolo sulla moderna demanialità dei sepolcri, con riferimenti al diritto romano, ma solo per coglierne la differenza (ivi anche l'esordio scientifico di S. Romano).

Nel 1897, "anno veramente cruciale", il sodalizio dell'Archivio si ruppe per avvenimenti esterni: si allontanò Orlando, eletto deputato (sarà poi chiamato alla università di Roma nel 1901); S. Romano accettò un incarico nella università di Camerino; la rivista cessò le pubblicazioni. Iniziò, sulla cattedra palermitana di istituzioni liberata da Orlando, il magistero di S. Riccobono. Il 4 giugno il D. sposò Matilde Bellanca.

A differenza di numerosi romanisti della sua generazione (il coetaneo, anch'egli palerinitano, G. Baviera, ad esempio, studiò a Berlino nel 1898 con Pernice ed Eck e a Strasburgo nel 1900 con Lenel) il D. non si perfezionò presso università tedesche. Nel 1898 pubblicò a Palenno un'ampia ricerca sul diritto arcaico: Storia della procedura criminale romana. La giurisdizione dalle origini alle XII Tavole.

Opera non innovativa, e nondimeno notevole. In primo luogo per il metodo, che fra le posizioni estreme della dommatica e della sociologia promuoveva una via mediana capace di fissare "i limiti entro cui debbono l'uno accanto all'altro svolgersi i sistemi diversi di quelle due scuole" (p. 4). Ciò spiega, fra l'altro, lo spazio irrilevante assegnato al pensiero di Mommsen nell'impianto della ricerca. Ma il maggior motivo di pregio può forse vedersi nella costante (e tuttavia ragionata) adesione alle fonti, contro tendenze critiche (o addirittura ipereritiche) ormai consolidate nella dottrina: "non è da riputarsi metodo di sana critica quello di negar credenza a quanto gli antichi han tramandato" (p. 71).

Se si eccettua l'elogio (non esente da censure, peraltro) di C. Fadda, l'opera non ebbe buona accoglienza, né poteva averla, per la dissonanza con gli indirizzi culturali del tempo. Forse questo insuccesso, forse la crescente influenza di Riccobono convertirono il D. ad altri temi, ad altre metodiche. Né mai più ritornò alla materia penalistica.

La vocazione della romanistica, all'inizio del secolo, era per una analisi testuale atta a percorrere a ritroso - attraverso le successive elaborazioni, a partire dall'ultima e maggiore, la giustinianea - il mutare (che per il Riccobono fu sempre evoltáione) del diritto romano privato. Era la critica interpolazionistica. Ad essa si volse il D. - sul modello degli studi di Riccobono sui libri di Paolo ad Plautium (1893) e di Giuliano ad Minicium (1894-95) - con i Saggi critici sui libri di Pomponio ad Quintum Mucium (Palermo 1899-1900).

Contributo fra i migliori di una stagione culturale troppo presto degradata negli eccessi del "bizantinismo": vi rifulgono le doti di chiarezza ed equilibrio dell'autore, sempre alieno da rigidità. Secondo un criterio solo tendenzialmente dommatico, la tecnica della esegesi ha maggior posto dell'esame giuridico delle questioni.

Seguirono in breve volgere di tempo altri scritti minori. Degno di particolare menzione quello sulle quinquaginta decisiones di Giustiniano. Rapida anche la carriera accademica. Libero docente nel 1899 (istituzioni di diritto romano, università di Palermo), il 21 genn. 1900 conseguì come straordinario la cattedra di diritto romano nella università di Camerino, prevalendo su S. Solazzi pur a parità di punteggio, grazie al decisivo appoggio di V. Scialoja.

Il ritmo della produzione scientifica continuò cospicuo fino al 1906. Durevole influenza ebbero sulla dottrina scritti brevi ma penetranti: quello sui Bonae fidei contractus (Palermo 1904), di cui si dichiarava il carattere postclassico; quello sulla eredità giacente (Sulla dottrina romana dell'eredità giacente, Prato 1904), contributo importante a dipanare il groviglio di concezioni che si intrecciano nel diritto classico e in parte si conservano, non risolte in unità, anche nello stesso diritto giustinianeo.

La prolusione cagliaritana Sulla odierna tendenza degli studii romanistici (Palermo 1902) getta luce sul travaglio di una intera cultura incalzata da un obbiettivo mutamento di ruolo delle fonti romane entro la scienza del diritto privato, governata da perduranti intendimenti dogmatici, chiamata ad una revisione dei suoi procedimenti e del suo stesso oggetto. Il D. vi esprime un sereno e tuttavia vigoroso atto di fede nel metodo storico, legato alla critica testuale, e nella sua funzione primaria per un rinnovamento dall'interno del sistema giuridico.

Dopo Camerino (ove ritrovò S.Romano) e Cagliari, nel 1903 il D. tornò in Sicilia, alla cattedra messinese di diritto romano già tenuta da C. Ferrini, A. Ascoli e G. Segrè. Ivi, nel 1905, divenne ordinario. Rettore nel 1908-09: a cagione di quella carica, recatosi a Roma per conferire col ministro L. Rava, scampò al terremoto (in cui, fra i tanti, perì il romanista A. De Medio). Dopo un triennio a Pisa (1909-12), finalmente fu chiamato all'università di Palermo, alla cattedra di storia del diritto romano lasciata da G. Baviera, e poi, nel 1917, alla morte del suo antico maestro "G. Gugino, a quella di diritto romano.

Frutto della attività didattica, a rompere il silenzio scientifico di quegli anni, furono le Lezioni sul matrimonio romano (Palermo 1919) e Le cose e i diritti sulle cose (ibid. 1922). Due volte, nel 1923-24 e nel 1933-34, fu rettore dell'ateneo.

Prende data nel dopoguerra l'impegno politico. Nella imminenza delle elezioni generali del novembre 1919 ebbe parte nella fondazione della Unione liberale (Palermo, 22 ag. 1919), aggregazione eterogenea di notabili e agrari siciliani che portò comunque il suo appoggio a V. E. Orlando. Poi, gradualmente, la conversione verso la destra estrema, divenuta partito di governo. Furono i nazionalisti palermitani (C. Cervello, A. Cucco, F. Ercole), dopo la fusione con i fascisti nell'aprile 1923, ad agire da tramite, introducendo il D. insieme con altri intellettuali di area liberale. Alle elezioni del 6 apr. 1924 (XXVII legislatura) egli riuscì deputato nel "listone", capeggiato in Sicilia da Orlando ma egemonizzato dai fascisti, che stravinse. Dopo il delitto Matteotti e la stretta autoritaria del regime, Orlando si dimise (6 agosto 1925). Il D. riniase. Divisione, fra maestro e allievo, emblematica di quella che attraversò l'intera cultura liberale.

Breve, ma intenso, fu il suo cursus honorum: prosindaco di Palermo (1925) e poi dal 24 dic. 1926 al 28 sett. 1929 podestà, nel periodo della offensiva alla mafia legata alla forte personalità del prefetto C. Morì (al quale diede leale sostegno). Ancora deputato nella XXVIII legislatura (1929-34), dal 12 sett. 1929 al 20 luglio 1932 fu sottosegretario di Stato per la Educazione nazionale (ministro il nazionalista B. Giuliano). Infine fu nominato senatore del Regno (io marzo 1934).

Con il declinare della attività politica, cominciò una seconda "giovinezza" scientifica, preannunciata da un felice studio sul principato (1934). Chiamato a Roma alla cattedra di istituzioni di diritto romano (29 ott. 1935), vi ebbe anche l'incarico di diritto greco-romano, confermato negli anni seguenti (tranne il 1937-38) con la mutata denominazione (peraltro discutibile) di diritto bizantino.

Il D. non ebbe scuola e non fece parte di una scuola. Incapace, per aristocratico senso della misura, di ogni estremismo, rimase estraneo alle polemiche che infiammarono la romanistica in quei decenni, innescate dalla poderosa reazione di S. Riccobono agli eccessi del metodo critico. Qualità umane e scientifiche trovarono l'espressione più congeniale nel manuale di Istituzioni di diritto romano: in primo luogo limpidità ed equilibrio, insieme con una dottrina amplissima e aggiornata. Così che Orestano ha potuto parlare di "originalità della sintesi". Uscito una prima volta a stampa litografica a Milano nel 1936, ebbe cinque edizioni dal 1937 al 1946, man mano arricchite, fermo il disegno originario della semplicità didattica. Nondimeno opera di veta scienza.

Caduto il fascismo, il D. venne sottoposto a procedimento di epurazione e sospeso dall'insegnamento (1° ag. 1944); fu pienamente reintegrato - insieme con P. De Francisci e A. De Marsico - solo nel nuovo clima politico seguito al trionfo elettorale centrista, secondo il voto espresso dalla facoltà romana di giurisprudenza il 4 maggio 1948. Ma frattanto era sopravvenuto il collocamento a riposo (29 genn. 1945).

Perse anche il seggio al Senato. Da tempo vedovo, senza figli, dalla solitudine trasse le forze per l'ultima stagione scientifica. Le basi romanistiche del codice civile (Torino 1950) sono un unicum nella letteratura romanistica: analisi puntuale, rispetto ai singoli articoli del nuovo codice, degli antecedenti, nella dottrina classica o giustinianea, offerti dal diritto romano, sussidio al lavoro forense, e nel contempo monumentum per la scienza giuridica moderna a non obliterare le "basi" su cui insiste.

Infine, alla vigilia della morte, coerente integrazione del programma di conservare alla prassi giuridica il supporto delle fonti romane, pubblicò il Manuale elementare di diritto romano.

Professore emerito dal 30 maggio 1950, il D. morì a Roma il 16 maggio 1954.

Fonti e Bibl.: Necrologi di R. Orestano, in Studia et documenta historiae et iuris, XX (1954), pp. 521-27 (con bibl. peraltro non completa), poi in "Diritto". Incontri e scontri, Bologna 1981, pp. 667-74; A. Giannini, in Temi, maggio-giugno 1954; C. Sanfilippo, in Iura, VI (1955), pp. 532 s.; F. U. Di Blasi, in Giornale di Sicilia, 16 maggio 1964. Una testimonianza di V. E. Orlando, sul suo "studio laboratorio" palermitano, ove si formò il D., dal titolo Santi Romano e la scuola italiana di diritto pubblico, si legge ora in Scritti giuridici varii (1941-52), Milano 1955, pp. 479-504. Modalità e problemi della romanistica del '900 in R. Orestano, Diritto romano, in Novissimo Digesto italiano, V, pp. 1024-47, poi in Diritto, pp. 193-250, infine in Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, pp. 513-69; L. Labruna, La "Romanistica", in Introduzione allo studio della cultura classica, II, Milano 1973, pp. 147-195; M. Talamanca, Diritto romano, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Milano 1981, pp. 673-784. Sugli esordi della critica interpolazionistica in Italia F. Casavola, Breve appunto ragionato su profili romanistici italiani, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, VIII (1984), pp. 413-348. Sulla classe politica siciliana nel tramonto della età liberale; v. G. Micciché. Dopoguerra e fascismo in Sicilia (1919-27), Roma 1976; G. C. Marino, Partiti e lotta di classe in Sicilia da Orlando a Mussolini, Bari 1976, ad Indicem. Irreperibile presso il ministero della Pubblica istruzione il fascicolo personale, non ancora versato all'Archivio di Stato, utili ma parziali indicazioni sono nella pratica ad nomen, n. 656, presso l'Ufficio del personale della Università di Roma "La Sapienza", oltreché nel Bollettino ufficiale del ministero suddetto (specie quello del 1900). Alla mancanza di annuari della università di Palermo e di altro materiale di archivio supplisce per gli anni Novanta l'Annuario d'Italia, e poi il Calendario generale del Regno d'Italia, a cura del Ministero dell'Interno, Roma, ad annos.

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