ROSA, Salvatore

Enciclopedia Italiana (1936)

ROSA, Salvatore

Enrico CARRARA
Carlo GAMBA
Andrea DELLA CORTE

Pittore, poeta e musicista, nato all'Arenella, presso Napoli, il 21 giugno 1615 da una famiglia e in un ambiente di pittori, morto a Roma il 15 marzo 1673. Il richiamo della congenita attitudine lo trasse dagli studî letterarî alla pittura e alla musica; e con quella sostentò gli anni dell'aspra adolescenza. Come gli se n'offerse il modo, si recò a Roma (1635), più alta scuola della sua arte; ma solo nel 1639 vi si fermò; e allora, per attirare (dicono) l'attenzione su di sé, nelle liete radunanze d'amici o nelle feste del carnevale, amò recitare all'improvviso, come era il gusto e l'uso del tempo, sotto la maschera di Pascariello Formica e poi di Coviello Patacca, caricature partenopee. Nel 1640, forse per fuggire persecuzioni destate dalla pungente sua arguzia, si collocò a Firenze presso i Medici; e quivi, al contatto di quegli artisti che volentieri verseggiavano, come L. Lippi, autore del Malmantile, e Ant. Abati, e G. B. Ricciardi e Fr. Baldovini (il cantore di Cecco da Varlungo) si volse per diletto al poetare: "Pinger per gloria e poetar per gioco" (III, 132). Sorsero così, nei laboriosi ozî della ospitalità dei Maffei di Volterra, le tre prime satire sulle arti da lui coltivate. La sollevazione di Masaniello (1647) gli offrì lo spunto per un'altra satira (IV), ma non più; ché la sua partecipazione alla rivolta nella misteriosa Compagnia della morte, è un'invenzione d'un biografo impostore (B. De Dominici), che naturalmente piacque ai romantici dell'Ottocento e rinfrescò la sua fama. Tornato a Roma nel 1649, accasatosi alla Trinità dei Monti, più non si mosse che per qualche viaggio, continuando a battagliare col pennello e con la penna. Ne ebbe anche noie dall'Inquisizione; ma in complesso, e malgrado i suoi lamenti, era pregiato e ben pagato: e quando morì solenni furono gli onori a lui resi e decoroso il sepolcro che tuttavia si vede in S. Maria degli Angeli.

L'arte pittorica. - A 17 anni entrò nello studio di pittore dello zio Domenico Greco, poi del celebre Francesco Francenzano suo cognato. Molto studiò direttamente dalla natura, subendo l'influenza di Agnelio Falcone dal quale tolse il gusto delle macchiette e delle battaglie. Le sue due prime Battaglie ricordate dalle fonti si trovano ora in raccolte private. A Roma rimase attratto dalla pittura di genere di P. van Laer e di M. Cerquozzi e di paesaggio di A. Tassi, acquistando ampiezza di visione paesistica, ricchezza cromatica, luminosità e ariosità di sfondi, grande animazione nei particolari. Molte delle sue opere si trovano a Firenze, agli Uffizî: battaglie, marine grandi e piccole, l'allegoria della Pace, la Selva dei Filosofi, le Tentazioni di S. Antonio, la Menzogna, due autoritratti (1660-1665), ecc.; in S. Felice in Piazza un S. Pietro sulle acque, in casa Capponi due grandi paesaggi, in casa Martelli la Congiura di Catilina, nella galleria Corsini Battaglie e altro, ecc. A questo periodo risalgono anche due paesaggi a Modena, un S. Torpè a Pisa, una Battaglia al Louvre. Quivi si trova pure un suo eccellente quadro, Saul e la pitonessa, appartenente al secondo periodo romano, più progredito nella figura sull'esempio dei caravaggeschi. Vi appartengono pure la Madonna del suffragio e il S. Paolo Eremita a Brera; la Disputa di Gesù, la Parabola di S. Matteo e altro a Napoli; il Prometeo e altri quadri nelle gallerie Corsini, Colonna, Doria, Spada, in S. Giovanni dei Fiorentini, a Roma. Ricordiamo infine, tra i quadri ora fuori d'Italia, quelli a Chantilly e a Chatsworth presso il duca di Devonshire.

La fama imperitura del R. si deve specialmente alle battaglie e ai paesaggi nei quali al suo tempo in Italia non fu superato se non da Claudio Lorenese. Nei soggetti storici amò classicheggiare risultando freddo; nei soggetti mitici ebbe talvolta fantasia originale, impressionante per effetti di luce e d'intonazione unita. Eseguì anche molte incisioni.

Le satire. - Tre odi sui lamenti di Giobbe, qualche strofetta da lui o da altri musicata, non hanno importanza; e neppure ne avrebbero molta (quanto a perfezione d'arte) più raffinati, se non vi sentissimo una vibrante attualità. Hanno infatti questo di caratteristico (almeno le migliori), che anziché rivolgersi alle astratte categorie dei vizî, investono il viziato esercizio delle arti, di cui il R. era esperto. Di qui una concretezza di riferimenti che a tratti le avviva, pur fra moltissima borra. I tesori e i favori prodigati alla Musica (I) sono biasimati per la viltà dei musici su cui discendono; più nota è la satira II (La Poesia), contro i vizî poetici del secentismo, ai quali per verità non si sottrae neppur l'autore; ma là dove addita agli squallidi encomiatori di falsi eroi per più degna materia di canto le piaghe del "popol doloroso", si avverte l'anelito verso una maggior serietà spirituale, che pur fra gli scherzi e gli errori della sua esistenza, il R. non smentì mai. Libero da servitù verso i principi, da piaggeria verso i poienti, egli vinse la propria sorte con le sole forze dell'ingegno. Serietà spirituale, che egli celebra anche nella III (La Pittura), biasimando nei pittori la scarsità della cultura, la tenuità o volgarità dei quadretti di genere, la lascivia dei nudi e delle finzioni procaci. Enfasi, disordine, esuberanza: ma più d'un tratto è forte più d'uno è arguto. È insieme giovenalesco e comico: ha per maestro l'Aquinate, ma per amici i poeti burleschi fiorentini. I moti di Napoli gl'ispirano (IV, La Guerra) alcune terzine forti, ma tosto il tono s'attenua nella vanità delle mode di Parigi o nella macchietta del soldataccio mercenario. La maligna diceria che le Satire egli avesse "rubate o compre da un amico che in cielo ora riposa" (V, 603) gl'ispirò un sonetto arguto e una lunga satira (V, L'Invidia) che nel 1653 diceva aver quasi finita. Questa e le due seguenti hanno forma di tenue dialogo; nella VI (Babilonia) scritta trent'anni dopo la sua prima venuta in "Babel" (Roma) cioè non prima del 1665, squilla più forte la nota contro i nuovi potentati della curia romana; la VII, che fu ignota alle vecchie stampe e non pare compiuta perché mutua dalle altre intere terzine e molti concetti, è un soliloquio del poeta, aggirantesi sul Pincio, e meditante sulla vanità dell'opera sua. Il sorriso è scomparso dal suo labbro: la vita gli si scolora, affiorano i pensieri della tomba; sincero dunque anche da ultimo, e più umano.

E forse la modesta grandezza del R. è proprio in questa schietta umanità, ben lontana dall'enigmatica figura che la fantasia romantica creò di lui.

L'opera musicale. - Non si sa chi sia stato maestro del R. per l'arte musicale. Certo conobbe a Napoli le composizioni di G. B. Trabaci, di I. Lambardi, dello Spiardo, a Roma le opere monodiche teatrali. Da giovane scrisse versi per musica, nel genere bernesco. Recatosi a Firenze, dove conobbe il Bandini, si fece forse guidare nella composizione da A. Cesti, che aveva intonato qualche sua cantata; verso il 1660, forse, compose egli stesso parecchie cantate. Nelle poche musiche pervenuteci si riscontrano melodie piacevoli, eleganti benché popolaresche, di schietto gusto meridionale, sovente nel disegno delle siciliane; le arie non recano fioriture, né seguono il mito dei pensieri e delle parole; il basso continuo è tecnicamente accurato; il recitativo secco è ben distinto dall'aria.

Ediz.: La prima stampa delle Sei satire uscì con la datazione di Amsterdam forse nel 1695; e di poi più volte nel sec. XVIII con aggiuntevi note di A. M. Salvini. Altre ve ne appose G. Carducci nell'ed. Barbera del 1860, con un discorso proemiale (poi in Opere, II). La VII pubblicò F. Palizzi nel 1876; tutte, con le altre rime e con lettere, G. A. Cesareo (Napoli 1892) intendendo darne l'ediz. critica: ma vedi B. Croce, in Giornale storico della letteratura italiana, XXI (1893), p. 127 segg.

Bibl.: La biografia, premessa dal Cesareo alla sua ediz. sfata le leggende corse intorno al Rosa; per cui Lady Morgan, The life and times of S. R., Parigi 1824; e contro: V. Moreno, Discorso storico sopra S. R., Napoli 1832. - In particolare sul pittore: A. Bartsch, Le peintre graveur, Vienna 1820, XX, p. 265; L. Ozzola, Vita e opere di S. R., Strasburgo 1908; A. Muñoz, Roma barocca, Roma-Milano 1919; A. Pettorelli, S. R., Torino 1924; U. Prota-Giurleo, La famiglia e la giovinezza di S. R., Napoli 1929; B. Cattaneo, S. R., Milano 1929; H. W. Schmidt, Die Landschaftsmalerei S. R.s, Halle 1930. - Sul poeta: F. Cretella, L'ideale di S. R. e le satire, Trani 1890; T. Fanciullacci, L'opera satirica di S. Rosa, Venezia 1905. - Per il R. improvvisatore comico, G. Martucci, in Nuova Antologia del 16 ottobre 1885; per il R. musicista, N. D'Arienzo, in Rivista musicale italiana, I, p. 389 segg. - Di "fantastiche" burle il R. è fatto autore dal Hoffmann, nei Racconti fantastici. - Per un poemetto di A. Barbier (Chiaia), in cui apparisce, cfr. G. Carducci, Opere, III, p. 465.

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