SAMO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi SAMO dell'anno: 1965 - 1973 - 1997

SAMO (Σάμος, Samos)

L. Vlad Borrelli

È la più orientale delle isole della Grecia, geograficamente già appartenente all'Asia Minore, da cui dista appena due chilometri.

A) - Storia e topografia. - Centro fiorentissimo di civiltà, patria del filosofo Pitagora, dell'omonimo bronzista e del sofista Melisso, fu sede di un famoso santuario intorno a cui nacque e si sviluppò una delle più illustri scuole della plastica arcaica (v. più avanti, B). La tradizione antica è unanime sull'origine cario-lelega di Samo. Secondo Strabone (xiv, 637) il suo nome, quando era abitata dai Cari, sarebbe stato Parthenia, ma lo stesso nome Samos è stato riconosciuto come un termine di lingua egeo-asiatica e Imbrasos come cario-lelego. Le più antiche popolazioni dell'isola, abitata fin dal III millennio, furono quindi genti cario-leleghe che fin dalla metà del II millennio si appoggiarono alla cultura egeo-asianica, stringendo legami con Creta e con l'Anatolia; in seguito S. fu occupata dagli Ioni e conobbe il massimo splendore sotto Policrate (540-522 a. C.), cui si devono molte delle eccezionali opere edilizie della città.

Dopo una spedizione della Società dei Dilettanti nel 1764 e parziali scavi di archeologi francesi e greci, S. è stata sistematicamente esplorata dalla direzione dei Musei di Berlino prima, e dal Deutsches Archaeologisches Institut di Berlino, poi, in una serie di campagne di scavo che, iniziatesi nel 1910, continuano ancor oggi e hanno messo in luce la città, le necropoli, il porto, il grande santuario di Hera e qualche villaggio di minore importanza.

La città, che recava lo stesso nome dell'isola e la leggenda voleva fondata dal mitico Ankaios, uno degli Argonauti, sorgeva presso l'odierno villaggio di Tigani, intorno a una doppia altura che si protende verso il mare (Kastro), ove sono stati rinvenuti resti di abitati risalenti a un tardo Neolitico o Subneolitico di stadio pretroiano terminanti circa al 2700 a. C. (Minoico Antico I e II e Cicladico Antico I e II) e poi, con una grossa lacuna, del Medio Cicladico I e del Miceneo Medio (bòthroi).

Il perimetro murario, che fino alla fine del XIX sec. era ancora in discrete condizioni, abbracciava sei o sette chilometri e risale in una sua prima redazione ad epoca prepolicratea; è costruito in blocchi poligonali sul lato O e rettangolari su quello E, munito di porte e di torri rotonde e rettangolari (una, esagonale, attesta una ricostruzione di età ellenistica) con accesso dall'interno e chiudeva, in un unico piano urbanistico, la città e il porto. Oltre all'altura di Astypaleia, che era l'acropoli vera e propria, ove sorgeva il palazzo di Policrate, era rinforzato anche il promontorio di Chesias che era come un'acropoli del porto. Il sistema delle costruzioni portuali, coevo al rifacimento delle mura e databile con ogni probabilità al VI sec. a. C., era ancora in parte visibile nel secolo scorso e rappresenta il più antico esempio di porto conglobato nelle mura della città. I due moli, infatti, che chiudevano il porto e il maggiore dei quali misurava 370 m di lunghezza, facevano parte della cinta. L'originalità del porto di S. è forse da collegare con i nuovi sistemi istaurati da Policrate: l'impiego delle cosiddette Samaine, navi per il trasporto dei cavalli (Plin., Nat. hist., vii, 209) e la presenza di "case per le navi" in legno (Herod., iii, 45). Nel porto di S. si trovava infatti il neòrion, consistente in una serie di tettoie per la protezione delle navi da guerra.

Il porto militare e quello commerciale, poi, non erano separati, come di consueto, ma collegati in un unico bacino. Al tempo di Policrate appartiene anche il tunnel, riscoperto nel 1882, che, con il tempio di Hera e il molo lungo, era una delle meraviglie dell'isola (Herod., iii, 6o). Opera di Eupalinos (v.) di Megara il tunnel lungo 1 km, e alto in media m 1,75, scavato nella montagna su cui sorgeva la città, racchiudeva un acquedotto che dalla fonte Agiades, a N delle mura, attraverso un canale cilindrico in terracotta (lungo 853 m dall'ingresso del tunnel alla fonte) recava l'acqua nella zona del porto. I lavori furono iniziati alle due estremità, come mostrano alcune modifiche e deviazioni. Presso il porto si trovava l'agorà di età ellenistica e dovevano sorgere, secondo quanto risulta da iscrizioni, una stoà, un archèion per la conservazione dei decreti di stato, un agoranòmion e due ginnasî, uno di epoca ellenistica, l'altro forse anteriore. Nella zona nord-occidentale, entro la cinta muraria, sono le rovine del teatro, con pochi resti della scena e la cavea aperta a S-O; poco più in basso del teatro, è una cisterna. In età romana sotto il teatro passava un acquedotto. I resti dell'abitato romano (terme, anfiteatro, ecc.) sono nella parte sud-occidentale della città. L'altura di Tigani, ove era sorto il villaggio preistorico, fu occupata nel I sec. d. C. da una villa romana, ove fu rinvenuta una statua mutila di Traiano; all'edificio romano si sovrappose, poi, una piccola casa tardo-antica e su questa nel V sec. una piccola chiesa a una navata con nartece ed abside ornata da un mosaico con motivi decorativi, probabilmente una cappella sepolcrale appartenente alla grossa basilica paleocristiana sorta sulle costruzioni romane.

Le necropoli si trovano nelle immediate adiacenze delle mura; la necropoli occidentale, della metà del VI sec. a. C., conteneva svariati tipi di sepolture: bare in pietra, in terracotta o mattoni, sepolcri a camera, pìthoi, ossuari, stele sepolcrali con iscrizioni in dialetto ionico, ecc.

A circa 5 km dalla città sorgeva il grande santuario che risale a epoca molto antica: probabilmente fondato intorno all'XI-X sec. a. C. ad opera degli Ioni, portatori del culto di Hera, che può essersi anche innestato su un preesistente culto di una grande dea madre della natura, terra madre delle paludi, sovrana dei vegetali, non dissimile dalla Artemide Orthìa, lasciato dai Carî. Menodotos (in Athen., xv, 672 Frag. Hist. Gr., iii, 103), infatti, attribuisce la fondazione dell'Heraion ai Lelegi e alle Ninfe. Il luogo fu comunque sede di un abitato preistorico di tipo anatolico, scoperto negli scavi del 1910-12, investigato estensivamente dal Welter nel 1925-27 e di nuovo esaminato e riveduto dal Milojćič nel 1953-55. Il Milojćič vi distinse otto periodi successivi: 1) contemporaneo alle tarde fasi di Troia I e forse all'inizio di Troia II, a Beycesultan XIII-XIV, Kusura B e la fine di Tarso, prima Età del Bronzo (F. B. I) (2500 a. C. circa) con l'impianto di un insediamento con case di tipo prevalentemente a mègaron; 2) sotto al successivo tempio di Hera appare una importante struttura contemporanea alle prime fasi di Troia II e Tarso, prima Età del Bronzo (F. B. II); 3) viene costruito un muro di fortificazione contemporaneo alle tarde fasi di Troia II e Tarso (F. B. II); grossa casa in mura "ciclopiche"; 4) pacifica ricostruzione delle case del tipo a mègaron sulle rovine delle più antiche entro un muro di recinzione contemporaneo a Troia III-IV, al tardo Egeo F. B., Beycesultan VII-VI, Tarso F. B. III; grosso sepolcro a pìthos di un fanciullo. Alla fine di questo periodo (circa 2100 a. C.) appare una generale distruzione dòvuta forse a un invasione o a un terremoto; 5) corrispondente a Troia V: le fortificazioni erano probabilmente in rovina; tra le rovine delle case si situano piccoli sepolcri a cista in pietra e le fondamenta di una singolare doppia casa (siamo sempre nella prima Età del Bronzo); 6) corrispondente a Troia VI e al Medio Elladico (Medio Cicladico): scarsi resti anche per il rimaneggiamento del terreno nella costruzione del santuario; 7) compaiono i primi cocci micenei analoghi a quelli trovati nei bòthroi della collina di Tigani (Tardo Elladico I); 8) presenza di un tumulus che aveva originariamente il diametro di 6 m presso il quale sono stati trovati oggetti tardo-micenei e ceramica del Tardo Elladico III A-B già frammisti a cocci geometrici. Alla stessa fase appartiene il più recente ritrovamento di un muro e di resti di costruzioni tardo-micenee e di quattro bòthroi a forma di pozzi riempiti da centinaia di vasi in terracotta (dal Geometrico fino alla seconda metà del VII sec.), qualche figurina in terracotta e in alabastro, statuette egiziane in bronzo e un preziosissimo avorio della metà del VII sec. rappresentante un adolescente inginocchiato (scavi Buschor 1958). Ad epoca micenea risale anche un grosso muro curvilineo trovato presso le fondamenta settentrionali del posteriore Heraion e che proteggeva probabilmente l'insediamento dal corso dell'Imbrasos che lambiva il suo margine occidentale. Al disopra di questo ottavo strato appare uno strato alluvionale di incerta spiegazione, ipoteticamente riferito all'invasione ionica.

Il santuario più antico sorse vicino al mare, in una zona paludosa sulla riva orientale di quel braccio dell'Imbrasos ove, presso un sacro cespuglio, voleva la leggenda che fossero avvenuti la nascita e il matrimonio di Hera ed ove sarebbe stata miracolosamente trovata l'antichissima immagine aniconica della dea che Pausania avrebbe ancora veduto. I più antichi resti architettonici (IX-VIII sec. a. C.) comprendono una piazza lastricata con uno strato di cenere e cocci - la sede dell'altare di età geometrica - circondata da naìskoi e un tempio, hekatòmpedon (inizî VIII sec.), orientato ad E, e con lunghissima cella a due navate (circa 33 m × 6,50), ma con grande incertezza sugli elementi dell'alzato ligneo che poggiava su mura in mattoni crudi sostenute da uno zoccolo di piccoli blocchi di pietra calcarea; probabilmente la copertura era simile a quella di un modellino votivo in terracotta di casa a forma ellittica, trovato fra gli ex voto del santuario, con ripido tetto a capanna e un'apertura per l'uscita del fumo. Ancora prima della metà dell'VIII sec. le pareti della cella furono poste in opera quadrata sulle mura di fondazione dell'edificio precedente; venne aggiunta una peristasi e le pareti sorrette da sostegni lignei (7 × 17) a sezione quadrata appoggiati su zoccoli di pietra. Davanti alla fronte orientale si trovava una piscina per i bagni rituali del simulacro di Hera. Un secolo più tardi, dopo un'alluvione, vi si sovrappose un analogo periptero nel quale fu abolita la fila centrale di sostegni, così che divenne ad una navata. Il pronao aveva un fregio inciso e dipinto con la rappresentazione di una processione di guerrieri, alto circa 30 cm, di cui resta ancora qualche traccia. L'immagine sacra, sostituitasi all'antichissimo aniconico tronco d'albero era, secondo le fonti, opera di Skelmis o Smilis di Egina, che aveva rappresentato la dea in una figura lignea da vestirsi, di cui è tramandata forse l'effigie da monete dell'isola. Sul livello della pavimentazione della cella del secondo tempio sono stati trovati i resti della base. Dinanzi alla fronte del tempio era l'altare. Gli altari più antichi avevano la forma di un tozzo rettangolo che veniva periodicamente ricoperto e ingrossato; dalle origini (metà del sec. X a. C.) alla fine del VII sec. se ne sono riconosciuti sette successivi (il primo è di m 2,50 × 1,20 circa), l'uno sovrapposto all'altro, fino a formare un rettangolo con lati più lunghi e di un'altezza di circa tre metri. Il secondo altare è datato alla metà del IX sec., il terzo alla prima metà dell'VIII sec., il quarto alla metà dell'VIII, il quinto alla seconda metà dello stesso secolo (circa 725 a. C.); il sesto altare è contemporaneo al terzo hekatòmpedon (circa 675 a. C.), il settimo è del 625 a. C. circa, e delle stesse dimensioni del precedente. Allo strato del VII sec. appartengono anche altri bacini sacri per immergervi il simulacro ligneo della dea, alimentati con le acque dell'Imbrasos mediante una canalizzazione eseguita fra il tempio e l'altare e in comunicazione col mare mediante un canale di scolo (circa 66o a. C.) e un muro, di cui si è trovato l'inizio sotto l'angolo S-E del tempio di Hera, che proteggeva il santuario dalle acque dell'Imbrasos, e due piccoli edifici sulla piazza dell'altare forse dedicati ad Afrodite e Hermes. Contemporaneo al tempio, a S-O di questo, sul precedente letto del fiume che in quest'epoca deviò per ragioni sia artificiali che naturali il proprio corso, era un portico ionico a due navate lungo 70 m, aperto a E con davanti un lastricato (portico S). Al tempo del settimo altare (625 a. C.) risale, poi, il muro di peribolo e un monumentale propileo di accesso dalla parte N al temènos formato da una semplice porta larga 18,50 m con in mezzo un'apertura di 4,5 m attraverso cui passava la strada delle processioni.

Nel VI sec., probabilmente una generazione prima di Policrate, si iniziarono giganteschi lavori di ampliamento del santuario: sorsero nuovi portici, nuovi templi, e fu ricostruito il tempio di Hera; ci è anche tramandato il nome degli architetti, Rhoikos e Theodoros, che ritroveremo nella storia della plastica samia. Il tempio, certamente diptero (circa 51 × 102 m) sarebbe stato anche "canonizzato" da Theodoros in un trattato teorico citato da Vitruvio; era in pòros ed aveva otto colonne sulla fronte, 21 sui lati lunghi, 10 sul tergo e due file di colonne interne a sostegno della copertura del pronao e della cella (che misura circa 26 × 78 m); nel pronao ogni fila comprendeva 5 colonne, mentre nella cella ogni fila ne noverava 10. Ne risultava così una inconsueta selva di colonne da giustificare l'epiteto di Labirinto delle fonti antiche. Gli intercolumnî della fronte variavano dal centro ai lati secondo un sistema di graduazione che può essere derivato dalle grandi sale ipostile dei templi egiziani. La colonna aveva un capitello di forma caratteristica, con un viticcio di fiori di loto intorno al collarino e mancanza di abaco. Dinanzi al tempio sorse un nuovo, grosso altare in pòros (l'ottavo, circa 36,57 × 16,58 m) di cui restano le fondamenta e molti elementi della decorazione architettonica che lo rivelano come il primo altare ionico. Per la prima volta l'altare fu armonizzato con il tempio e, mutando orientamento, fu costruito in asse con questo. In epoca tardorepubblicana l'altare fu restaurato e in età imperiale romana accuratamente sostituito da una sua esatta copia in marmo. Il portico S fu sostituito dal cosiddetto edificio S, opera di Rhoikos, fornito di una singola linea di colonne nell'asse della cella, profondo pronao e un peristilio dedicato ad Afrodite e Hermes, i quali poi, erano già onorati insieme con Hera fin dall'epoca geometrica. Ad essi furono dedicati, forse, anche altri due tempietti della stessa epoca nella piazza a N dell'altare (conosciuti come Tempio A e Tempio B). Il culto nel santuario di Afrodite ed Hermes è attestato dalle fonti antiche e da iscrizioni. Contemporaneo all'edificio S è il portico N-O, ad una navata e diviso in tre vani aperti a S. Un altro portico era a S-O del tempio con circa 29 colonne fra le ante sulla fronte e una seconda fila nell'interno.

Il tempio di Rhoikos e Theodoros venne distrutto dal fuoco, secondo Pausania durante la conquista persiana dell'isola (530 a. C.), ma probabilmente prima ed accidentalmente. L'immagine di culto fu conservata in un edificio a forma di portico, il cosiddetto monòpteros, davanti al tempio, forse fornito di un baldacchino mobile in legno. Ancora prima della fine del VI sec., poco più a O, si iniziò la ricostruzione di un altro colossale tempio. Tale fu, però, la grandiosità del disegno che quest'edificio subì la sorte di molti altri analoghi dell'Asia Minore che, dopo lavori (protrattisi fino in epoca romana, rimasero incompiuti. Il tempio (circa 52,40 × 108,70 m), che sorge su un alto podio, era un diptero ionico con due peristasi intorno alla cella (come l'Artemision di Efeso), tre file di colonne sulle fronti, il profondo pronao diviso in tre navate da due file di cinque colonne; la fronte E aveva 8 colonne, quella O 9 ed i lati lunghi 24; non c'era opistodomo e la cella rimase sempre ipetra. Le colonne più antiche (pronao e fronte) sono in pòros con base e capitello in marmo, quelle più recenti sono tutte in marmo: i diametri sono differenti ed il capitello è del tipo detto samio-ionico (che il von Gerkan oppone a quello efesio). Il pronao e la cella dovevano essere decorati da un fregio in pòros che non fu mai finito, ma del quale restano frammenti. Già nel I sec. a. C. si era abbandonata ogni speranza di terminare il colossale tempio; tuttavia nel II sec. d. C. una scala di accesso con dieci gradini sostitul la rampa di età greca, ma in realtà servì piuttosto per i due modesti tempietti che furono costruiti in quel tempo accanto all'altare. Nel VI sec. a. C., all'epoca di Policrate, il santuario si era adornato di numerosi monumenti, tesori, opere d'arte e un gran numero di piccoli edifici distribuiti lungo il percorso della strada delle processioni, fra cui la base con il gruppo di Gheneleos. Secondo gli studî più recenti (O. Ziegenaus, in Ath. Mitt., lxxii, 1957, pp. 87-151) ad età policratea appartengono anche i resti del periptero ionico a N-E del grande tempio (cosiddetto Tempio C), già ritenuto del VII sec.; esso ha orientamento N-S, 6 × 12 colonne, un pronao molto profondo a tre navate, gli intercolumnî dei lati lunghi maggiori di quelli dei lati stretti e non ha gradini. Forse di poco più tardo è il vicino tempio D. Nella stessa epoca furono ampliati e arricchiti edifici precedenti come il portico N, il doppio tempio di Hermes e Afrodite e i templi delle stesse divinità.

Il santuario era attraversato da alcune vie sacre. Le più antiche erano tre: 1) una strada che venendo dalla città, attraverso l'ancora sconosciuto propileo E portava al lato N della piazza dell'altare; 2) la cosiddetta "strada delle fontane" che dall'altrettanto sconosciuto propileo N, in direzione S-S-E portava allo stesso luogo e rappresentava il termine di una antica strada di campagna; 3) la "strada del porto" che dal mare si dirigeva verso il lato S della piazza dell'altare. Queste tre vie mutarono notevolmente il proprio tracciato al tempo del terzo e del quarto tempio. Ad esse si aggiunse poi una quarta strada che dalla parte orientale del santuario conduceva al lato S della piazza.

In epoca romana, oltre ai già citati rifacimenti dell'altare, sorsero poi un tempio di età augustea presso i resti dell'arcaico periptero ionico, un piccolo tempio corinzio davanti al grande altare (II-III sec. d. C.), un altro tempio corinzio più tardo, terme, naìskoi, doni votivi, fra cui un'esedra della famiglia di Cicerone. All'attività imperiale appartengono ancora la costruzione di case talvolta a due piani (II sec. d. C.), le canalizzazioni verso E, una grossa strada lastricata che conduceva verso la città (III sec. d. C.). Nel 260 d. C. circa il santuario subì una violenta distruzione per opera degli Eruli; nel V sec. vi fu costruita una basilica cristiana a tre navate (m 18 × 30). All'insediamento ricostruito dopo l'invasione dei Goti appartiene una fontana (V-VI sec. d. C.).

Strabone (xiv, 1-14) cita fra le meraviglie dell'Heraion anche una pinacoteca che custodiva pitture di Timanthes, Parrasio, Apelle e menziona tre statue colossali di Mirone, di cui si è riconosciuto il basamento di fronte a quello di Gheneleos. Le tre figure rappresentavano Atena, Eracle e Zeus nel mezzo e furono prese da Antonio. Augusto rimise in posto le due statue laterali, ma trasportò lo Zeus in Campidoglio, ove gli eresse un'edicola.

B) - Scultura. - È soprattutto attraverso i cimelî rinvenuti nello Heraion che si è potuto restituire consistenza al nome di "Scuola di Samo" che con tanta frequenza ricorre nelle fonti antiche, connessa alle oscure origini del sorgere della plastica greca.

A Rhoikos, Theodoros e Smilis si attribuisce infatti l'invenzione della tecnica della terracotta e quindi della statuaria e ai primi due quella della fusione a cera perduta, il perfezionamento della toreutica, ecc. I due artisti, dai quali discende tutta una dinastia, vengono collocati da Plinio ora nella metà del VII, ora nella metà del VI sec. a. c.; si propende per la datazione più recente giustificando la oscillazione cronologica con lo sforzo di concentrare sotto la stessa sigla conquiste di epoche diverse. Ma se nulla è rimasto di questi primi scultori, se non notizie vaghe o iperboliche e aneddoti indicativi, come quello che riferisce della tecnica da essi usata di costruire le loro statue con pezzi lavorati in diverse città, all'uso egiziano (aneddoto che può tuttavia aver riproposto la sfocata questione di una ascendenza egizia per la scultura greca), il suolo dell'Heraion ha però restituito un numeroso complesso di sculture aggregabili sotto il segno di un medesimo indirizzo stilistico di cui si riescono a fissare i lineamenti. Le opere monumentali, fra cui una diecina di colossali koùroi, vi sono affiancate da altre in proporzioni minuscole in terracotta, calcare, legno, avorio e materiale prezioso, così da presentare la continuità di una compatta tradizione indigena dal X alla fine del VI sec. a. C. (quando decadde la potenza politica dell'isola). Il suo linguaggio formale è tipicamente orientale, ma ben diverso da quello milesio caratterizzato da una statica giustapposizione di volumi: esso si esprime attraverso la fluidità del modellato e della linea di contorno (come nella statua marmorea dedicata da Leukios, 570-60 a. C.) che può annullare o trascurare l'espressione del volume per risolversi in un puro ritmo ascensionale (come in una figuretta bronzea di auleta) o può, indugiando nella finezza delle pieghe, nella trasparenza delle vesti, mantenere una mirabile unità di rittno come nella famosa Hera di Cheramyes (Museo del Louvre, 570-560 a. C.) considerata come il capolavoro dell'arte samia, che trova un immediato precedente nella Kòre dedicata dallo stesso Cheramyes, ora ai Musei Statali di Berlino (v. vol. iii, fig. 1300). È intorno a questa statua che fu raggruppato un manipolo di sculture tra cui due kòrai dell'acropoli di Atene (nn. 677 e 619) che mutarono poi la loro paternità in nassia (ferma restando, beninteso, la scoperta di stretti rapporti fra la plastica samia e quella di Nasso). Ricorderemo altresì le statue di dignitarî che, pur nelle analogie di gusto e di atteggiamento con quelle milesie, mantengono questa vitalità scattante della linea di contorno. Al medesimo periodo (metà VI sec.) appartiene pure un gruppo di sei statue di cui restano tre, più o meno complete, la cui base reca il nome di Gheneleos e che rappresentano, pur soggiacendo a una legge paratattica che esclude fra esse ogni colloquio, uno fra i primi gruppi della plastica statuaria.

Alle opere di plastica maggiore vanno aggiunti i ritrovamenti di microplastica restituiti dai varî strati nello scavo dell'Heraion: numerosissime figure in terracotta che sono state divise in due gruppi, uno comprendente quelle dei secoli X-VI e l'altro quelle ellenistiche e tardo-romane (quelle arcaiche sono quasi sempre dipinte con vernice e fino al VII sec. appaiono liberamente impastate, mentre dal VI sec. sono ricavate da una matrice); i lebeti ornati di grifi (Greifenkessel) in bronzo di cui S. fu fiorente centro di produzione nel VII e nel VI sec. a. C.; gli avorî, fra cui il già citato adolescente inginocchiato del VII sec., trovato nei recenti scavi, e un rilievo con l'uccisione di Medusa da parte di Perseo alla presenza di Atena (inizî del VI sec.); un gran numero di oggetti lignei comprendenti statuette, navicelle, sgabelli e suppellettili varie. Molti di questi ultimi, che si trovavano nel museo di Vathy, sono stati rubati, dispersi o distrutti da cattivi restauri; fra i più singolari si ricordano un gruppo ligneo con hierogamìa di Zeus e Hera dell'ultimo venticinquennio del VII sec. (v. vol. iii, fig. 1462) e gli xòana trovati dal Buschor negli ultimi scavi, ove è rappresentata Hera con alto pòlos e veste riccamente lavorata (seconda metà del VII sec.). Caratteristico anche in queste opere minori è il modellato fluido, senza particolari accentuazioni, gli occhi e le labbra mollemente rigonfi, la capigliatura resa come una massa unitaria. Notevolissime sono anche le importazioni straniere che attestano i fiorenti rapporti commerciali di S. in epoca arcaica, come le figure in terracotta cipriote, molto frequenti nell'ultimo decennio nel VII e nel primo del VI sec. a. C., di una terracotta più porosa e ruvida di quella samia contemporanea, figurine in terracotta e qualche statuetta e frammenti bronzei egizi (fra cui una testa femminile con collare della seconda metà dell'VIII sec., un Bes, un gatto, tutti in bronzo), una mazza assira con esseri favolosi, un bruciatore a forma di mano di provenienza hittita o nord-siriana (VIII-VII sec.), ecc.

Al materiale plastico si unisce poi una enorme quantità di ceramica, copiosa fin dai primi strati preistorici e caratteristica dell'ambiente di cultura greco-orientale.

Con la fine del VI sec., col decadere della potenza di S., conquistata dai Persiani prima e asservita poi agli Ateniesi e agli Spartani, si spegne la fioritura della plastica samia: l'ultimo nome illustre della scultura samia, Pythagoras, non appartiene più alla storia dell'isola di cui conservava ancora l'etnico. Emigrato a Reggio, la sua figura, problematica ancora malgrado reiterati tentativi di ricostruzione, si pone comunque al centro di uno dei nodi più complessi della scultura greca: il trapasso dall'arcaico al classico, lo stile severo, che si svolse in ambiente e su suolo greco e italiota, ma per cui le isole quali S. sono ormai divenute una più che marginale periferia. Fra le opere di questa epoca un torso di giovane proveniente dall'Heraion, che nei suoi caratteri esteriori può essere avvicinato all'Efebo di Kritios, conserva ancora la trattazione volumetrica propria dell'arte samia arcaica. Per il V sec., si ricorderà un rilievo con giovane nudo e dea seduta di chiaro influsso policleteo.

All'epoca ellenistica appartengono delle statue femminili panneggiate (Muse) che attraverso i comuni caratteri dello stile insulare conservano taluni tratti peculiari della tradizione samia arcaica.

Le monete samie del VI sec. sono in elettro e in argento tagliate secondo la misura ponderale euboica; ve ne è, però, anche qualcuna di peso lesbio. Alcune sono non iscritte, altre presentano una protome leonina, un avancorpo di toro, un'aquila, un fiore, ecc. e un quadrato incuso. La serie monetaria istaurata da Policrate unisce per la prima volta sullo stesso pezzo la protome leonina e quella taurina. Mentre le monete policratee di elettro conservano inalterato il peso, quelle in argento presentano una riduzione del 25% del peso del metallo rispetto a quelle precedenti; si tratta di una vera e propria svalutazione monetaria non dissimile da quella istaurata da Solone ad Atene circa cinquant'anni prima. Alla stessa epoca e alla stessa provenienza sono forse riferibili anche due stateri in piombo, già ricoperti di elettro, con la rappresentazione di un'aquila che divora un serpente, due pezzi falsi dell'antichità e che possono essere collegati con una leggenda raccolta da Erodoto (iii, 56): Policrate avrebbe pagato la ritirata dei Lacedemoni che assediavano il porto di S. pagandoli con stateri falsi.

All'epoca del dominio ateniese (439-408) compaiono tetradracmi con gli emblemi di Atene. La testa di Hera adorna di stephàne si trova nelle monete del 394-364 a. C. mentre in quelle di età romana appare riprodotta la statua di culto dell'Heraion ed il mitico eciste Ankaios.

I musei delle località di Tigani e di Vathy, nell'isola di S., contengono la maggior parte dei materiali di scavo menzionati.

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