ADAMS, Samuel

Enciclopedia Italiana (1929)

ADAMS, Samuel

Arthur Livingston

Nato a Boston (Massachusetts, S. U. A.), il 27 settembre 1722; morto quivi, il 2 ottobre 1803. Grande statista americano, uno dei protagonisti della rivoluzione. La sua attività culmina nella dichiarazione d'indipendenza, il 4 luglio 1776; ma egli lasciò una impronta personale profonda nella costituzione per lo stato del Massachusetts, documento mirabile della giurisprudenza tradizionale anglo-sassone, e in quella degli Stati Uniti (gli "emendamenti" liberali, 1° ottobre 1788). Tuttavia la sua importanza maggiore nella storia degli Stati Uniti è data dall'avere egli, tra il 1764 e il 1775, cioè nel momento più glorioso del comune di Boston, quasi incarnato il comune stesso e imposto, in questa sua qualità, le proprie direttive a tutta l'America. Nulla di speciale ci segnala la sua gioventù. Il padre lo destina al pastorato calvinista, ma egli preferisce l'avvocatura. Diventa poi uomo d'affari, lavora in una banca, vede rovinare il patrimonio suo e della famiglia, anche in seguito ad un atto del parlamento inglese relativo alle compagnie finanziarie, che sollevò fiere proteste fra i coloni, come contrario ai loro privilegi. Si avvia allora per la carriera dell'impiegato, occupando l'ufficio di collettore di tasse nel comune di Boston, ma anche qui lascia imbrogliati i conti. Tuttavia, il suo sottile spirito legalitario, il suo atteggiamento di sostenitore dell'autonomia coloniale e dell'eventuale diritto di resistenza al sovrano, da lui sostenuto nella sua tesi di laurea, gli aprono la strada a dominare nel Town meeting (comune). Redige manifesti, appelli, proteste, progetti. Intuisce fra i primi, se non il primo in America, lo stretto legame tra giornale e opinione pubblica; comprende chiaramente la forza che l'uno e l'altra possono esercitare sulle questioni politiche. Giornalista nella Boston Gazette, egli è scrittore chiaro, acuto, incisivo. La sua idea sempre più ferma è di eliminare il potere legislativo del parlamento inglese dagli affari della colonia e di separare questa dalla madre patria. Nelle istruzioni che egli redige il 1764 per i rappresentanti di Boston nella corte generale del Massachusetts, si oppone veementemente al sistema della tassazione mediante atti del parlamento inglese. Si può spiegare questo estremismo democratico dell'A. pensando alle sue traversie di uomo d'affari, rovinato, raggirato e poi schernito da una aristocrazia di intriganti ricchi, che implorano, poi, da Londra, premî e riconoscimenti. Certo, le sue radicali tendenze separatiste sono corollario della sua democrazia. Egli non vede se non il comune, il Town meeting di Boston; e parte dal principio che, in una data comunità, non esiste altro sovrano se non la comunità stessa. Nessuna legge, nessun regolamento vale senza il consenso della comunità (diritto naturale del Locke e del Pufendorf). Gli interessi della comunità sono gli interessi di ogni singolo individuo, che perciò ha il diritto e l'obbligo di discuterli. Con un tale concetto, è chiaro che una nazione non sarà se non un'associazione libera di comunità; ma che una tale nazione sia destinata a condurre fiacca esistenza, l'A. non si accorge. Egli non prevede l'America quale uscirà dal travaglio della storia: anzi, ha paura dello stato forte, centralizzato. La stessa federazione coloniale è per lui, essenzialmente, uno strumento di guerra; il sentimento suo è sempre democratico e libertario, non nazionale.

Del resto, è da tener conto che queste idee e questi sentimenti dell'A. si adattano perfettamente alle condizioni di fatto dell'America d'allora: 13 colonie, distinte e lontane l'una dall'altra. L'A., poi, è un artista politico. Tenere unite queste 13 colonie, ora con una parola furba o doppia, lasciata cadere al momento giusto, ora con una concessione inaspettata, ora con un discorso sentimentale: questo era un giuoco che gli piaceva. Temperamento eminentemente politico e parlamentare, egli prende gusto a manovrare tra le fazioni, a cimentarsi con esse, vincendo gli uomini con l'arma delle loro stesse debolezze. A questo giuoco egli si abbandona e non ha gusto se non per le soddisfazioni che da esso gli vengono o gli possono venire. Come a tutti i grandi statisti, la coerenza intellettuale gli importa poco. La storia gli disfa i principî generali? Ed egli ne trova dei nuovi. Egli domanda una riforma? Ebbene, quando gli viene accordata, non l'accetta: essa era per lui solo un pretesto d'agitazione. Gli Inglesi compresero esattamente l'ingegno e il "pravo volere" di quest'uomo. E volevano impiccarlo. Ma non osarono mai, tanto temevano le forze d'opinione pubblica che egli aveva sempre a disposizione, sottilmente ordite e lavorate.

Ci sarebbe stato da dubitare che, con uomini e idee direttive così fatte, si potessero raggiungere gli ardui scopi che egli e i suoi concittadini si proponevano. Tuttavia, in virtù di un forte sentimento d'indipendenza, comune a tutte le colonie, la federazione riuscì a combattere alla meglio la sua guerra d'indipendenza, sia pure guerra militarmente insignificante, e vincerla. Ma la storia ha le sue ironie. Le colonie americane hanno imparato a mente e santificato col sangue le dottrine dell'A.; ma 58 anni dopo la morte di lui, il Sud schiavista scenderà in campo con le sue stesse dottrine (che cioè Unione è contratto libero, revocabile a volontà) e gli Stati Uniti uccideranno un milione preciso di uomini per negarle. D'alto valore drammatico, del resto, sono gli anni 1770-1775 a Boston, quando l'A., fiancheggiato da Joseph Warren, da John Hancok, da John Adams, dal Church, dal Revere, e da pochi altri, arbitro della cittadinanza che egli tiene saldamente in pugno, guida con la parola e con gli scritti il boicottaggio dei prodotti inglesi, risponde con lo sciopero generale alla chiusura del porto di Boston, spinge i falsi "Indiani" a buttare in mare il tè inglese (Boston Tea party, 1774), contrasta il terreno a generali e governatori, torturerà, provocherà, costringerà infine i soldati inglesi a buttarsi nella trappola tesa loro a Lexington (19 aprile 1775). E fuori, intanto, nel Massachusetts e nelle altre colonie, organizza i comitati di corrispondenza e le compagnie di franchi tiratori, e pone i fondamenti del primo, del secondo e del terzo congresso continentale. E, al congresso, è lui che riconcilierà la Virginia anglicana al Massachusetts calvinista; che farà accettare Washington all'ambizioso Hancok; che dirà la parola della resistenza, quando si minaccerà lo sbandamento dopo le prime disfatte. Cioè, un'azione serrata, intensa, efficacissima. Quello che l'A. perde nel campo teorico, lo riguadagna nella pratica. Più che a qualunque altro, la rivoluzione americana appartiene a lui. La sua attività politica si chiude con l'ufficio di vice-governatore dello stato di Massachusetts (1789-94) e poi di governatore (179497), dopo di che egli si ritira a vita privata.

Bibl.: The writings of S. A., ed. H. A. Cushing, New York 1904-08, voll. 4; V. L. Parrington, The Colonial Mind, New York 1927, pp. 232 segg. e 402 (bibliografia); J. K. Hosmer, S. A., 2ª ed., Boston 1898.

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