SAN GIORGIO, Banco di

Enciclopedia Italiana (1936)

SAN GIORGIO, Banco di

Vito Antonio Vitale

Istituto e prodotto tipico della storia genovese, fu la prima organizzazione di un debito pubblico in istituto bancario e di emissione che viene via via assumendo anche funzioni di compagnia coloniale e di navigazione.

Le lontane origini del banco vanno ricercate nel primo prestito di stato contratto dal comune genovese dopo la spedizione di Almeria e di Tortosa del 1147-48. Per pagare i noli dell'impresa, assunti a tutto carico del comune, i consoli del 1149 cedono per 15 anni l'introito di alcune gabelle, verso l'anticipo di 1300 lire genovesi, a una società di 18 cittadini, ciascuno dei quali si quota per una parte. Altri due contratti stipulati tra il 1149 e il 1150 compiono questa operazione finanziaria nella quale lo stato impegna una parte dei redditi ordinarî a pagamento dell'annuo frutto obbligandosi a restituire il capitale entro il termine prestabilito. Soddisfatto il primo impegno, il comune non tardò a ripetere l'operazione cedendo ai prestatori una parte di dazî e gabelle e rendite della Riviera e delle colonie orientali e addirittura affidandone ai creditori l'amministrazione; e poiché sembra che essi acquistino, pagandoli, questi proventi dello stato, i prestiti hanno nome di compere e di comperisti i mutuanti. Siccome poi l'insieme dei più alti magistrati del comune, i consoli prima, poi il podestà e i capitani del popolo coi consigli e infine i dogi assistiti dagli anziani, si chiama il capitolo, i debiti di stato assumono il nome di compere del capitolo e sono registrati in apposito libro detto cartulario e governati da speciali ordinamenti organici, le regole.

Nelle continue e gravi necessità finanziarie derivate dalla torbida vita interna, dalle guerre con le potenze rivali e dalla necessità di proteggere il commercio e le colonie, essendo insufficienti, specie a bisogni urgenti e imperiosi, i mezzi ordinarî di imposizione, si ricorre costantemente al mezzo sicuro e ormai tradizionale; così si accumulano prestiti su prestiti, distinti coi più diversi nomi; e se da principio è agevole pagare nei termini convenuti il capitale, per quanto una parte delle gabelle sia assegnata ad ammortizzare il debito, il pagamento si fa sempre più difficile. L'inconveniente più grave del sistema è dato dal sovrapporsi dei crediti sulle varie tasse e rendite statali, in proporzioni diverse, con diverso tasso d'interesse e separate amministrazioni. Di qui la necessità di provvedimenti che riducano tutto quel groviglio a eguali condizioni e a unica amministrazione. Sin dalla prima metà del secolo XIII si ebbe così una prima sistemazione delle compere del capitolo riunite in una massa di 28 mila luoghi, come le quote o azioni di cento lire genovesi si chiamano dallo spazio che il nome dei creditori occupa nel cartulario, o piuttosto per analogia ai luoghi o carature degli armatori sulle navi. Più luoghi o azioni intestate allo stesso luogatario prendono il nome di colonna; la somma totale dei luoghi costituisce la compera e si dicono paghe gli interessi per lo più trimestrali, e code di redenzione le quote di ammortamento.

Cresciute ancora le compere, specialmente sul principio del sec. XIV, nel 1323 è istituito un apposito magistrato di otto membri detti protettori e nominati dagli interessati medesimi che vengono così ad assumere personalità giuridica collettiva.

Le guerre contro la Corsica, il Finale, Venezia e i Catalani dànno luogo nel corso del sec. XIV ad altre dieci compere con cessione di nuovi redditi di gabelle e proventi coloniali, unificate a lor volta nel 1381 nella Compera di S. Paolo. Eppure con tutti questi provvedimenti non si è avuta una radicale sistemazione della complicata e costosa amministrazione; e quando le poco fortunate imprese orientali del Boucicault, governatore a Genova per Carlo VI di Francia, portano alle imposizioni di nuove gravose gabelle, tuttavia insufficienti, e alla revisione generale delle vecchie e già tutte impegnate, con decreto del 27 aprile 1407 i quattro procuratori di S. Giorgio esistenti sin dal 1405 e i quattro aggiunti sono costituiti in Ufficio di S. Giorgio con incarico di dare assetto definitivo alla complessa materia. Ne deriva con successivi provvedimenti, durati un quadriennio, la conversione dei prestiti esistenti in un prestito consolidato e redimibile, ridotto all'unico interesse del 7%, amministrato da una compagnia rappresentante il consorzio di tutti i creditori, detta Società delle compere e dei banchi di S. Giorgio e comunemente Casa, Ufficio e poi Banco di San Giorgio che ha sede nel palazzo del comune o Palazzo del mare rimasto tuttavia in possesso del governo, finché con atto solenne del 1451 è ceduto al banco e assume il nome di Palazzo di san Giorgio.

A questa unione si aggiunsero poi anche le compere dapprima rimaste fuori, aumentando in tal modo sempre più il capitale della Società di San Giorgio; mentre per contribuire con una parte dei proventi alle necessità dello stato venivano ridotte successivamente le paghe o rate di interessi. Più tardi all'interesse fisso venne sostituito il dividendo, la somma che rimaneva netta da dividersi fra i luogatarî, dedotte le spese e gli aggravî. All'aumento del capitale provvide anche l'uso del moltiplico già introdotto fin dal 1371 da Francesco Vivaldi, subito largamente imitato, consistente nell'immobilizzare i luoghi di una compera e i relativi interessi sino a raggiungere una determinata somma destinata a estinguere in tutto o in parte una gabella o a riscattarla. È noto che anche Cristoforo Colombo manifestò l'intendimento di un'operazione di questo genere; ma il lascito, cui accennò nella lettera del 2 aprile 1502 ai protettori, non ebbe seguito.

I debiti di varia natura originati da cause molteplici avevano dato luogo a tante diverse obbligazioni di debito e credito fra il governo e la società San Giorgio da generare grande confusione nei rispettivi conti con minaccia di questioni e litigi. Dopo una serie di contratti rivolti a determinare con precisione i rapporti tra i due enti, il 23 dicembre 1539 fu stipulato il Gran Contratto di consolidazione, conversione del debito redimibile in perpetuo e sistemazione di tutti i rapporti col governo e di tutti i privilegi già concessi alle compere.

Per esso il governo confermava alla Società di San Giorgio le 76 gabelle che le aveva dato in pegno, tra le quali le più importanti del sale, delle carni, dell'olio, del grano, del vino, del ferro, e per non pregiudicarne gli introiti si impegnava a non imporre nuovi balzelli senza il consenso dei protettori delle compere, confermava alla società gli antichi privilegi, il possesso della Corsica ceduta nel 1453 e delle terre assegnate posteriormente: Lerici, Sarzana, Sarzanella, Levanto, Pieve di Teco e Ventimiglia. Di più il doge e i governatori al principio di ogni anno dovevano giurare l'osservanza dei patti stabiliti con la società che a sua volta si impegnava di aumentare di 17 mila lire la dotazione annua a favore dello stato montante allora a 33 mila lire e di iscrivere nel conto del governo un importo di 3500 luoghi, tesoro dello stato per il caso di bisogni straordinarî.

Divenuto perpetuo il debito e perciò anche l'esazione delle gabelle, prima temporanea e revocabile, crebbero sempre più di valore i luoghi di San Giorgio che offrivano impiego stabile e non soggetto ad arbitrario rimborso e crebbe perciò anche il credito della banca, la quale ampliò la cerchia delle sue operazioni e poté soccorrere la repubblica non solo di prestiti, ma di continui sussidî gratuiti per le spese straordinarie.

Fu così compiuto l'ordinamento definitivo dell'Ufficio o Banco di San Giorgio che già, quasi stato nello stato, aveva avuto l'ammirazione del Machiavelli. Ma non c'era, come a lui parve, interferenza fra i due enti, né il banco assorbì lo stato né questo violò con la sua azione e le sue fazioni l'autonomia di quello. La Casa di San Giorgio curava specialmente il progresso e lo sviluppo dell'industria e del commercio, ma non le era affidata la direzione della guerra e della difesa della patria, che spettava alla repubblica. San Giorgio rappresentava soprattutto l'elemento economico e finanziario; soltanto nelle sue terre e colonie esercitava l'autorità politica. I due elementi operavano bensì uniti e concordi ma distiriti e questo spiega perché San Giorgio potesse rimanere costantemente ordinato e tranquillo nel turbine frenetico delle contese che agitarono la vita della repubblica.

Fino dal 1412 l'amministrazione dell'ufficio, fondendo le precedenti magistrature, fu affidata a otto protettori e otto procuratori delle compere di San Giorgio non più impiegati del governo ma nominati dai comperisti, presieduti dal più anziano, detto priore. Alla fine dell'anno di carica i protettori, che erano i veri dirigenti dell'ufficio, divenivano per un altro anno procuratori per curare e riscuotere le somme rimaste inesatte nell'anno precedente e per altri incarichi minori. Nel 1588 l'ufficio dei procuratori fu reso autonomo, con la durata di due anni e speciali incombenze. I protettori e procuratori erano assistiti dal consiglio di 52 membri scelti dai procuratori tra i maggiori partecipi delle compere; gli affari di maggiore importanza erano decisi dal Grande General Consiglio di 480 membri eletto dai protettori, metà a sorte e metà a scrutinio segreto e a maggioranza, tra i possessori di almeno dieci luoghi, senza distinzione di ceti. Tutte le altre cariche però dovevano essere distribuite alternativamente tra i nobili e i popolani.

Le operazioni finanziarie dell'ufficio variarono secondo i tempi; la funzione bancaria nei riguardi dei privati, cominciata subito dopo l'unione del 1407, fu sospesa nel 1444 e ripresa nel 1586 dopo la perdita delle colonie e dei dominî territoriali: da questo momento specialmente il banco fu insieme istituto di credito, banco di deposito e gestore delle entrate pubbliche. Il suo biglietto di cartulario fu in certo senso l'embrione del biglietto di banca e, in quanto poteva essere girato, il precursore dell'assegno bancario. Sorto per la sistemazione e per l'amministrazione del debito pubblico, il Banco di San Giorgio divenne via via un grande razionale centro di coordinazione della massima quota della ricchezza pubblica e privata sotto la vigilanza e la garanzia del governo ed ebbe la funzione di una vera banca moderna con deposito di capitali, fedi di credito, conti correnti, assegni circolari, finanziamenti allo stato e alle iniziative commerciali private.

La cessione dei proventi coloniali ottenuti in pegno dei prestiti aveva portato il Banco di San Giorgio al governo delle colonie, ma fu suo triste destino di riceverle in difficili momenti e nelle più critiche situazioni politiche. Avendo incorporato tra le compere del 1407 la Maona di Cipro, e i relativi diritti contro il re dell'isola, l'ufficio assunse l'8 luglio 1447 il possesso della colonia di Famagosta. Il suo governo, per quanto ispirato a criterî commerciali e fiscali, fu improntato a costante cura della regolarità e legalità amministrativa, oculata e salda affermazione di dominio in un punto delicato e importante del Mediterraneo, all'interesse e a incremento insieme dell'ufficio e della città amministrata.

Il dominio a Famagosta durò fino al gennaio 1464, quando la città cadde in mano del re di Cipro. Nello stesso tempo il banco aveva assunto il possesso delle colonie tauriche ceduto dalla repubblica ormai incapace di conservarle, dopo la caduta di Costantinopoli. Era un tentativo per cercar di salvare i redditi delle gabelle dei quali il banco da tempo era entrato in possesso esclusivo, ma dopo penose vicende Caffa e gli ultimi possessi del Mar Nero erano perduti nel 1475.

Più a lungo il banco conservò la Corsica, ceduta nel 1453 su desiderio degli stessi abitanti e tenuta, tolta un'interruzione tra il 1464 e il 1485, fino al 1562 quando l'isola fu retrocessa alla repubblica che riaveva insieme Sarzana col suo capitanato, Levanto, Pieve di Teco e Val di Aroscia, e Ventimiglia già passate al banco tra il 1484 e il 1515.

Il giudizio tradizionale sul governo del banco in Corsica, accusato di prepotenza rapace e di esosa spietata crudeltà, è suscettibile di equa revisione. La necessità di condurre l'isola all'obbedienza instaurandovi un governo che non fosse puramente nominale, portava seco la necessità di sradicare consuetudini inveterate e di urtare interessi locali e personali ritenuti intangibili onde trovò tenace resistenza in un popolo noto per la fierezza del carattere e per il vivo sentimento d'indipendenza, aizzato e guidato da famiglie feudali che si erano lungamente conteso il dominio dell'isola.

Terribile fu specialmente la lotta contro la feudalità, ma il banco, sebbene inesorabile contro i ribelli, non si può tacciare di tirannia, anche se i suoi ufficiali non sempre corrisposero agli ordini e agl'intendimenti dei protettori, quando il senso della responsabilità e il desiderio della giustizia e della retta amministrazione hanno nei preziosi registri di lettere dell'Ufficio di San Giorgio, che si conservano abbondanti, ma sono stati sinora poco esplorati, un'ampia e costante documentazione.

L'ordinamento coloniale del banco fu preso a modello dall'Inghilterra per la Compagnia delle Indie; la sua struttura economica e amministrativa ne fece l'ordinamento più saldo e duraturo della vita della repubblica, tale da resistere per secoli. Ma i suoi congegni, perfetti per i tempi loro e magnificamente adatti ai mestieri tipici della banca e dell'armamento, erano già invecchiati e non corrispondevano più alle nuove esigenze del traffico e del mercato monetario in età di crisi generale del danaro, quando San Giorgio nel 1746 rese alla repubblica l'ultimo grande servigio prestandole 10 milioni di lire di banco per salvarla dall'eccidio estremo minacciato dagli Austriaci. Il Banco tentò di rimediare anche a questo grave colpo, ma ormai era arretrato di fronte alla struttura moderna del capitalismo borghese e dissanguato dai prestiti allo stato divenuto impotente a pagare. Le prepotenze e le dilapidazioni imposte dai Francesi alla nuova repubblica democratica istituita nel 1797 diedero il colpo di grazia all'istituzione, che negli ultimi tempi era divenuta anacronistica. Inutile il tentativo di rinnovare e trasformare il Banco compiuto nel 1804 da Luigi Corvetto, che nel 1799 aveva anche scritto un Saggio sulla Banca di San Giorgio, proponendo di assegnargli una quota dei beni nazionali per compensare in tutto o in parte il debito dello stato; avvenuta l'annessione all'impero, Napoleone mise il Banco in liquidazione, né l'effimero governo repubblicano del 1814 ebbe il tempo o il modo di tradurre in atto il proposito di restaurare il glorioso istituto.

Delle vecchie opere, oltre al saggio del Corvetto, sono ancora utili: C. Cuneo, Memorie sopra l'antico debito pubblico, mutui e compere di S. Giorgio in Genova, Genova 1832. Inoltre: E. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla Casa di San Giorgio, in Atti Soc. lig. di storia patria, XXXV, specialmente parte 2ª; E. Marengo, G. Pessagno, C. Manfroni, Il Banco San Giorgio, Genova 1911; R. Di Tucci, Le imposte sul commercio genovese fino alla gestione del Banco di San Giorgio, Bergamo 1930; id., Le imposte sul commercio genovese durante la gestione del Banco di S. Giorgio, in Giornale storico letterario della Repubblica, anno V-VI (1929-30). Per il governo del Banco nelle colonie del Mar Nero: A. Vigna, Codice diplomatico delle colonie Tauro-Liguri durante la signoria dell'Ufficio di S. Giorgio (1453-75), in Atti Soc. lig. st. pat., VI e VII (1868-81); per Farmagosta: V. Vitale, Statuti e ordinamenti sul governo del Banco di San Giorgio a Farmagosta, ibid., LXIV (1935); per la Corsica: C. Bornate, La Corsica e il Banco di S. Giorgio, in Arch. stor. di Corsica, anno V (1929), p. 144 segg., e gli altri studî del Bornate e del Russo, in Rivista storica italiana, 1935; sulla Corsica tra il sec. XV e il XVI v. Archivio, cit., 1932 segg. Per i tentativi del Corvetto: M. Ruini, Luigi Corvetto, Bari 1929.