SAN GIROLAMO, Andrea da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAN GIROLAMO, Andrea da

Jacopo Paganelli
Riccardo Parmeggiani

SAN GIROLAMO, Andrea da. – Nacque verosimilmente a Bologna negli anni Venti del Trecento. Figlio di Federico, docente di diritto canonico presso lo Studium locale, e di Chiara Conforti, fu nipote del celebre Giovanni d’Andrea, dal quale ereditò la forma cognominale de Sancto Hieronymo, il cui conio si deve alla particolare devozione nutrita dall’insigne giurista verso il dottore della Chiesa, sublimatasi nell’opera Hieronymianus.

L’adozione dell’illustre canonista Giovanni Calderini, a suo tempo compiuta dal nonno, ha dato adito a equivoci, per cui talora la storiografia ha erroneamente attribuito a da San Girolamo il cognome Calderini.

Andrea, come più tardi il fratello Girolamo, venne avviato agli studi canonistici e una volta conseguita la laurea, probabilmente nel 1353, fu cooptato nel Collegio dei dottori della disciplina, come da tradizione di famiglia. A rinsaldare ulteriormente lo spessore della genealogia di giuristi contribuì il matrimonio tra la sorella Novella e il celebre Giovanni da Legnano, che fu dunque cognato di Andrea.

Se l’indubbio peso dell’eredità culturale per linea paterna segnò favorevolmente la carriera di da San Girolamo, per un altro verso, di carattere pratico, l’appartenenza a questo lignaggio determinò forse qualche iniziale difficoltà nei rapporti con la Chiesa. Nel 1354, infatti, il pontefice Innocenzo VI sollecitò un intervento per recuperare da Andrea e dal fratello Girolamo, in quanto unici successori degli eredi del nonno Giovanni d’Andrea (il padre Federico e lo zio Bonincontro erano già deceduti), l’ingente somma di 1361 fiorini, residuo di un più cospicuo deposito a suo tempo effettuato dal rettore papale di Romagna nelle mani del giurista. Se qualche frizione vi fu, questa dovette essere ben presto superata, dal momento che nell’ottobre 1360 Andrea, esponente del quartiere di Porta Procola, venne scelto dal Comune di Bologna quale guida di una nutrita ambasceria incaricata di accogliere il cardinale Egidio Albornoz prima del suo ingresso in città in qualità di rappresentante del nuovo governo pontificio.

Un frammento del discorso pronunciato a Imola o a Castel S. Pietro da Andrea al cospetto del vicario apostolico nei domini temporali della S. Sede è tràdito da due manoscritti (Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano XXIX 179, c. 124r; Napoli, Biblioteca nazionale, VIII AA. 6, c. 32r).

L’esperienza politica dovette concludersi rapidamente in favore della carriera ecclesiastica, ipoteticamente propiziata da quell’importante incontro: su di essa non disponiamo infatti di alcuna informazione prima degli anni Sessanta. Si trattò, in tal caso, di un percorso folgorante, probabilmente finalizzato al conseguimento dell’ambita carica di arcidiacono bolognese – di lì a breve in effetti postulata – in considerazione del connesso ruolo di cancelliere dello Studium cittadino. Dalla supplica avanzata in tal senso, accolta da Urbano V il 27 luglio 1363, si apprende che Andrea aveva già cumulato importanti prebende, quali due canonicati, uno nella cattedrale di Bologna, l’altro nella metropolitana di Ravenna, e l’arcipretura della pieve rurale di S. Giovanni in Persiceto. Il processo di collazione della dignità arcidiaconale fu tuttavia interrotto il successivo 13 dicembre dalla designazione papale del canonista – che non aveva ancora conseguito che gli ordini minori (era infatti soltanto suddiacono) – a vescovo di Volterra.

Già nel settembre del 1361 fu sul punto di diventare vescovo della città toscana allorquando, dopo la traslazione di Aimerico a Bologna, l’arciprete Agostino e il canonico Ranieri supplicarono il pontefice di inviare a Volterra «dominum Andream filium quondam domini Federici reverende memorie domini Iohannis Andree archipresbiterum Sancti Iohannis in Persiceto» (Volterra, Archivio storico diocesano, Notarile Rossa n. 18, c. 13r). La richiesta venne però ritirata circa un mese dopo: i membri del Capitolo della cattedrale dichiararono infatti di aver agito a dispetto della volontà del popolo e del clero volterrano (c. 20r). La vacatio era infatti avvenuta in concomitanza con gli eventi che portarono all’arresto (settembre) e alla decapitazione (ottobre) del signore di Volterra Bocchino Belforti, accusato di voler vendere la città ai pisani. Il rivolgimento, facendo del Volterrano un territorio satellite di Firenze, suggeriva senz’altro, come più appropriato, un ordinario proveniente dalla città sull’Arno. Non a caso, di lì a poco, Pietro Corsini divenne presule di Volterra.

Da San Girolamo occupò la cattedra volterrana solo nell’estate del 1364 (risulta infatti ancora a Bologna nel maggio di quell’anno). I primi atti sono compiuti dal suo vicario, l’abate del monastero periurbano dei Ss. Giusto e Clemente, e risalgono alla fine di giugno (Volterra, Biblioteca comunale Guarnacci, 8495, p. 85): in quel mese l’abate Giusto elesse i rettori dei castelli di Sasso e Serazzano, conformemente al lodo stipulato fra il Comune di Volterra e il presule Filippo (1353), in cui le magistrature comunali avevano riconosciuto alla Mensa vescovile metà delle condanne e la sovranità teorica nei castelli della Montagna (Volterra, Archivio storico diocesano, Liber sive quaternus allogationum, c. 41r).

La situazione che da San Girolamo trovò al suo arrivo era tutt’altro che favorevole: Filippo, una decina di anni prima, aveva lamentato le precarie condizioni economiche del vescovato («propter mortalitatem praeteritam, redditus Vulterrani Episcopatus quasi ad nihilum devenerunt»: Giachi, 1786, n. 15); tanto gravose che Carlo IV beneficiò il presule dell’esenzione dal tributo annuo di 30 marche d’argento dovuto all’Impero per il fodro. Dei numerosi castelli appannaggio della Mensa nei secoli precedenti rimaneva solo Berignone, che da San Girolamo riattò, mentre Montalcinello era stato catturato dai senesi. Per protestare contro l’occupazione di quel fortilizio, nel febbraio del 1365 il vescovo nominò procuratori Francesco canonico di S. Frediano di Lucca, suo vicario generale e doctor decretalium, e l’arcidiacono della cattedrale Michele (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 12622), ma la rimostranza dovette rimanere lettera morta: difatti, in una locazione del 1373 (n. 1299), quella località è posta nel ‘comitato senese’.

Durante l’episcopato di Andrea da San Girolamo, vediamo agire come gestori del patrimonio fondiario soprattutto i rettori delle chiese locali – il pievano di Sorciano a Montalcinello, il pievano di Gabbreto a Serazzano (n. 1292), il prete di Libbiano a Sasso (Volterra, Archivio storico diocesano, Liber sive quaternus allogationum, c. 12r) – ai quali era demandata anche la riscossione degli affitti e dei proventi in loco. Colpisce per l’estensione dei beni, dislocati soprattutto in Valdicecina, il ponderoso contratto d’enfiteusi a 29 anni stipulato – chiaramente per ragioni politiche, vista l’esiguità del censo richiesto – con Donato del fu Barone degli Allegretti, il quale avrebbe dovuto consegnare l’affitto per la festa di S. Girolamo (settembre 1367: Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 1277).

Allo svuotamento di potere effettivo del presule fece da contrappunto un più marcato accento sull’autorappresentazione dell’autorità vescovile, specie in occasione dei privilegia tabellionatus, come si evince dalla datatio topica «in camera audientie dicti domini principis» (30 dicembre 1374, Volterra, Archivio storico diocesano, Notarile Rossa n. 19, c. 10v) e dall’intitulatio «sacri Imperii princeps» usata nel maggio del 1368 (Volterra, Biblioteca comunale Guarnacci, 8495, p. 214). Risulta inoltre rinverdita la carica di cancelliere del vescovo, ricoperta da Pietro di Imola (p. 107) e da ser Luisio di magister Nicola di Offida (p. 225). Sappiamo altresì che Andrea aveva promosso un riordinamento dei privilegi imperiali e delle lettere apostoliche, attestanti gli iura episcopali, presenti nell’archivio diocesano (Archivio di Stato di Firenze, Capitoli, Appendice, XLIV, Lib. Iur., cc. 21v-22r).

All’inizio del suo episcopato, da San Girolamo dovette gestire il delicato problema della fuoriuscita di Volterra dal regime signorile belfortesco; l’impressione è che egli abbia agito in collaborazione con le magistrature cittadine. Induce a ritenerlo la datatio topica (il palazzo vescovile) della vendita (7 dicembre 1364) con cui i massari del Comune liquidarono una parte dei beni dei ribelli (Volterra, Biblioteca comunale Guarnacci, ms. 8495, p. 118). Un atto analogo era stato vergato – sempre in Curia – nel luglio, benché manchi la specificazione che gli immobili venduti erano appartenuti agli sbanditi (p. 88). Rivelatrice del perdurante clima di cooperazione è anche la pace (7 aprile 1366) con cui due volterrani, Angelo di Tura e Meo di Conte, rimisero l’uno all’altro i danni arrecatisi, sotto pena di 300 lire: non solo il rogito è scritto nel vescovato, ma la cifra anzidetta avrebbe dovuto essere divisa in tre parti fra il danneggiato, il Comune e il vescovo (p. 118).

Sporadici appaiono del resto i rapporti del presule con i Belforti: Iacopo di Belforte fu testimone in Curia nell’agosto del 1364 (p. 96), mentre nel giugno del 1368 egli rimise all’arbitrato di Iacopo dei Rossi di Firenze la controversia con il rettore di S. Giovanni di Pulicciano in ragione delle decime (p. 220). Anche la questione del canonico Granello Belforti, il cui arresto per cospirazione contro il Comune (1363) aveva comportato l’interdetto su Volterra, venne prudentemente disinnescata: costui risulta attivo nel giugno del 1368, quando il suo procuratore allocò un’apotheca con il consenso del vescovo (p. 218); nell’agosto, nelle vesti di priore della canonica cittadina di S. Pietro in Selci, inviò un altro procuratore per permutare la sua prebenda con il chierico Ranieri, rettore di San Maurizio in diocesi di Siena (cfr. p. 331).

Per quanto concerne il versante pastorale, da San Girolamo acconsentì all’erezione del convento femminile di Bibbiano, posto sotto la regola di S. Agostino (aprile 1365: Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 1268), e, nel settembre, ne confermò la badessa Lorenza di Iacopo (Volterra, Biblioteca comunale Guarnacci, 8495, p. 235). L’altro intervento degno di nota è l’erezione di una cappella nella pieve di Radicondoli (Ss. Maria e Michele), che in origine avrebbe dovuto sorgere nel monastero di S. Caterina di quel castello, le cui sostanze furono costituite tramite legato testamentario (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 1282).

L’attività politica e di governo ecclesiastico sopra delineata è testimoniata da una documentazione scarna: il grosso è costituito dalle imbreviature del notaio vescovile Nicolao del fu Masio da Arezzo, conservate alla Biblioteca comunale Guarnacci (ms. 8495), e da alcuni atti sciolti nel Diplomatico dell’Archivio storico diocesano. Non ci sono pervenute invece le imbreviature del «notarius episcopalis Curie» Tommaso di magister Pietro di S. Gimignano; sorte analoga è toccata agli affitti di Montecastelli «in uno quaterno» rogato da ser Francesco di Fredo da Castelnuovo (c. 14v), al libro Y «tempore dominorum Philippi, Aymerici, Petri et Andree episcoporum [...] cum aliquibus collationibus benefitiorum inseritis»; al libro KL, che registrava affitti stipulati da Aimerico «et alii de tempore domini Andree de Bononia»; e al libro LM, che conteneva «domus et possessiones et detemptores sive possessores eorum terre et castri Montisalcini et sue curie tempore domini Andree episcopi», in realtà una grande panoramica, geograficamente ordinata, dei diritti vantati dal Vescovato (i passi citati sono tratti dal Liber Iurium, Archivio di Stato di Firenze, Appendice ai Capitoli XLIV, cc. 25r, 27r).

L’ultima attestazione dell’attività volterrana di Andrea da San Girolamo è del 18 luglio 1373, quando un suo procuratore allocò alcuni terreni a Montieri (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 1299).

Il successivo 19 dicembre il pontefice dispose la sua traslazione dalla sede toscana a quella di Tricarico, demandando ai vescovi di Bologna e di Imola la ricezione del giuramento, non ancora prestato alla fine del febbraio seguente. La documentazione riguardante la titolarità della diocesi lucana, peraltro soltanto indiretta, è pressoché nulla. Quel che è certo è che il compito del vescovo non doveva presentarsi del tutto agevole, dal momento che l’11 gennaio 1374, a meno di un mese dalla sua designazione, Gregorio XI ordinò a Venceslao Sanseverino, conte di Tricarico, e agli zii, i milites Ugo e Tommaso, di restituire al neoeletto Andrea i due castra di Montemurro e Armento, feudi della Chiesa locale illegittimamente occupati nel periodo di vacanza del seggio episcopale. Per facilitare l’azione del nuovo pastore e del fratello Girolamo, già al seguito di Andrea anche a Volterra, lo stesso pontefice inviò due mesi più tardi (28 marzo) una lettera commendatizia alla regina di Sicilia, Giovanna I d’Angiò, in cui in forma iperbolica entrambi venivano ricoperti di elogi («cujus opera sollennia sunt utilia toti mundo precipua»; Grégoire XI, Lettres secrètes et curiales..., a cura di L. Mirot - H. Jassemin, 1935, n. 3333). A soli quattro anni dalla nomina, l’11 gennaio 1378 Gregorio XI dispose per Andrea un nuovo trasferimento di sede, destinandolo all’episcopato di Ceneda (l’attuale Vittorio Veneto).

L’identificazione di da San Girolamo con Andrea vescovo di Ceneda è possibile sulla scorta delle notizie fornite da alcuni eruditi, secondo i quali, presso la Biblioteca Palatina di Lucca, si conservava un pontificale su cui si leggeva la destinazione per «Andrea Calderini vescovo di Ceneda» (Pera, 1842, p. 285). L’ecclesiastico bolognese non risiedette quasi mai nella cittadina veneta, probabilmente anche a causa della guerra fra i Carraresi e Venezia che portò all’occupazione di Ceneda e delle proprietà vescovili. L’ultimo atto conosciuto di Andrea in Veneto è l’investitura della chiesa di S. Giovanni Battista di Oderzo (1381).

Come ci confermano le fonti, con la sola eccezione del 1380, il canonista durante il periodo di titolarità della diocesi cenetense risiedette con continuità nella propria città natale: del resto, anche in concomitanza con l’episcopato volterrano, da San Girolamo mantenne un forte contatto con Bologna, ritornandovi in almeno un’occasione per partecipare attivamente alla vita accademica. Essenzialmente a quest’ultima dedicò l’ultimo lustro della sua vita, a tal punto da indurre a ritenerla prevalente per impegno, anche in chiave retrospettiva, su quella ecclesiastica. Singolarmente, tuttavia, stando ai rotuli trecenteschi superstiti, Andrea non risulta avere mai insegnato, a differenza del fratello. Una simile ipotesi trova nell’assenza di opere ascritte a da San Girolamo un’ulteriore conferma. Ciononostante, egli ricoprì senza dubbio un ruolo di primo piano all’interno del Collegio di diritto canonico: non solo, infatti, ne fu in quel frangente ripetutamente priore (1378, 1379, 1381, 1383), ma in alcune occasioni nello stesso torno di anni è attestato quale presentatore di laureandi nella disciplina, invariabilmente in ticket con Lorenzo dal Pino e, come si era già più volte verificato negli anni Sessanta, con il cognato Giovanni da Legnano, all’epoca (1377-82) titolare del vicariato apostolico sulla città. Tra questi studenti spiccano per fama e carriera Giacomo Carafa, arcidiacono di Bologna, futuro arcivescovo di Bari, e il celebre canonista Francesco Zabarella.

Riguardo lo Studium Andrea da San Girolamo ricevette inoltre, benché saltuariamente, attribuzioni più ampie, conferendo, ad esempio, insieme al vicecancelliere una laurea in teologia nel 1379 e svolgendo le funzioni arcidiaconali per un esame privato in diritto civile nel 1381. Ad accrescere ulteriormente il legame tra Andrea e la città di Bologna concorse inoltre l’incarico di amministratore dell’importante monastero urbano di S. Procolo, di cui prese formalmente possesso il 30 dicembre 1379.

Il 15 febbraio 1383 il vescovo di Ceneda fu presente al rogito di un codicillo apposto in punto di morte dal congiunto Giovanni da Legnano al proprio testamento. Contestualmente, l’insigne giurista concesse ad Andrea, esecutore delle ultime volontà del defunto fratello Girolamo (giustiziato dal governo bolognese per tradimento nel 1377), la remissione dell’ingente somma di 1000 ducati d’oro a lui spettante in eredità. La notte precedente, il presule veneto aveva assistito in S. Domenico (dove pochi giorni dopo verrà sepolto il cognato) all’estumulazione di un frammento del cranio dall’arca del santo di Caleruega, spoglia per cui era stato fatto appositamente costruire con il concorso della municipalità un prezioso reliquiario.

Il 31 agosto 1383 Andrea da San Girolamo fece testamento, quasi certamente nella propria città natale, dove del resto risulta presente ancora nel giugno dello stesso anno. Del documento rogato dal notaio bolognese Beldo Panzacchi, non conservato, disponiamo di una menzione indiretta in un atto del 29 novembre 1383, in cui il canonista risulta già morto. In quella data le eredi universali del defunto, le nipoti Lucia ed Eletta, figlie del fratello Girolamo, ratificarono un legato testamentario, con il quale il testatore aveva trasmesso al collega Lorenzo dal Pino, membro del Collegio dei canonisti, il giuspatronato di alcune cappellanie della cattedrale di Bologna, passaggio poi approvato il 7 gennaio 1384 dal cardinale Filippo Carafa.

Andrea da San Girolamo morì probabilmente a causa della peste, che produsse in quell’anno a Bologna un elevato numero di vittime.

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