SAN MARTINO della Battaglia

Enciclopedia Italiana (1936)

SAN MARTINO della Battaglia (A. T., 20-21)

Giuseppe CARACI
Alberto BALDINI

Località della provincia di Brescia, nell'anfiteatro morenico del Lago di Garda, frazione del comune di Desenzano del Garda (cui fu aggiunta dal soppresso comune di Rivoltella), dal quale dista 8,2 km. Non lungi dal piccolo borgo agricolo (859 ab. nel 1931), divenuto celebre per la battaglia del 24 giugno 1859 (v. appresso), è una piccola chiesa romanica restaurata e convertita in Ossario, che ricorda gli eroi morti nel glorioso fatto d'armi. Nel 1893 venne inaugurata sull'altura di S. Martino una torre (con pitture e sculture che si riferiscono al celebre evento e alle altre guerre per l'indipendenza italiana), alta 74 metri, dalla cui cima un faro lancia dal tramonto all'alba lampi tricolori.

La Battaglia di S. Martino. - Fu combattuta fra l'esercito piemontese agli ordini diretti del re Vittorio Emanuele II e l'ala settentrionale dell'esercito austriaco schierato sulle colline moreniche di riva destra del Mincio, mentre altra contemporanea battaglia si combatteva più a sud fra l'esercito francese e la parte centrale e meridionale dello schieramento austriaco, attorno a Solferino.

Gli Austriaci sconfitti in Lombardia erano tre giorni innanzi ripassati a occidente del Mincio - all'insaputa dei Franco-Sardi - allo scopo di attaccare la linea degli alleati tuttora supposti in posizione lungo il Chiese. L'avanzata al Chiese doveva appunto effettuarsi il 24 giugno. Per lo stesso giorno Napoleone III ordinava a sua volta la ripresa offensiva e l'avvicinamento alla linea del Mincio (vedi risorgimento, XXIX, p. 446). Fra quei due fiumi avveniva perciò una battaglia d'incontro, nella quale i due avversarî furono ugualmente sorpresi. Nel corso dell'azione si formò un vuoto di alcuni chilometri tra i Francesi e i Piemontesi - in corrispondenza del tratto fra Madonna della Scoperta e Solferino - ciò che dette luogo a due battaglie distinte, senza stretta connessione fra gli atti tattici dell'una e dell'altra.

La sera del 23 giugno, l'esercito piemontese aveva la 3ª divisione (generale Mollard, brigate Cuneo e Pinerolo) attorno a Rivoltella, la 1ª divisione (generale Durando, brigate Granatieri e Savoia) e la 5ª divisione (generale Cucchiari, brigate Casale ed Acqui) attorno a Lonato, la 2ª divisione (generale Fanti, brigate Piemonte ed Aosta) presso Castel Venzago, e la divisione di cavalleria (generale Di Sambuy, reggimenti Nizza, Piemonte Reale, Savoia, Genova) a occidente di Lonato. La 4ª divisione (generale Cialdini, brigate Regina e Savona) e i Cacciatori delle Alpi agli ordini di Garibaldi operavano fuori del campo tattico: la prima in Val Sabbia, Val Camonica e Val Trompia; i secondi in Val Camonica.

Per l'avvicinamento al Mincio prevedendosi di dovere sbarazzare il terreno a occidente del fiume soltanto da occupazioni austriache supposte di retroguardia - il comando supremo alleato aveva prescritto che l'esercito piemontese dovesse dirigersi su Pozzolengo, mentre l'esercito francese aveva come obiettivo la linea Solferino-Cavriana-Guidizzolo, con l'ala destra ripiegata a Medole. La massa avanzante doveva essere preceduta da reparti di esplorazione e di sicurezza e doveva essa stessa procedere in tale formazione che consentisse - occorrendo - un sollecito schieramento per la battaglia.

Iniziatosi il movimento all'alba, alquanto prima che gli Austriaci iniziassero l'avanzata in senso contrario, i Franco-Sardi andarono ad urtare, poco dopo, contro il nemico, tuttora fermo sulle alture stendentisi dai pressi di S. Martino fino a sud di Guidizzolo.

Secondo il comune convincimento, anche i generali piemontesi, allorché incontrarono con gli elementi di esplorazione e di sicurezza il nemico in posizione sulle alture fra S. Martino e Madonna della Scoperta, ritennero trattarsi di semplici retroguardie nemiche, ciò che li indusse ad attaccare, senz'altro, con le unità più avanzate, facendole poi sostenere a spizzico dai reparti retrostanti. Per la prescritta avanzata su Pozzolengo i Sardi avevano formato tre colonne: una settentrionale (5ª divisione) lungo la riva del lago, una centrale (3ª divisione) lungo l'argine della ferrovia, la terza a sud (1ª divisione seguita dalla 2ª) lungo la strada da Castel Venzago a Madonna della scoperta; la divisione di cavalleria, in riserva.

Prima fase della battaglia: attacchi slegati. - Il primo impeto dei pochi fanti dei reparti di esplorazione cacciò gli Austriaci dal margine delle posizioni; ma ben presto questi, rinforzati, contrattaccarono con successo. Poco dopo tutto l'VIII corpo austriaco occupò le alture attorno a S. Martino, e una brigata del V corpo l'altura di Madonna della Scoperta, avendo altra brigata in prossimità, a pronto rincalzo. Le tre divisioni piemontesi (1ª, 5ª e 3ª) non solo vennero ad impegnarsi contro nemico superiore, più che per numero, per forza di terreno; ma si trovarono a troppo intervallo l'una dall'altra, specialmente la 5ª (al centro) dalla 1ª (a destra). Di più, l'ansia di prevalere prontamente indusse alcuni divisionarî ad impiegare subito la brigata di testa, senza stretto legame fra l'azione di questa e quella della brigata di coda. Così, della 3ª divisione attacca S. Martino soltanto la brigata Cuneo non tempestivamente sorretta dalla Pinerolo, e della 1ª divisione attacca Madonna della Scoperta soltanto la brigata Granatieri, non sostenuta tempestivamente dalla brigata Savoia, mentre la 5ª volgevasi ad aiutare la 3ª attaccando S. Martino, quando però il Mollard aveva già dovuto ripiegare dietro l'argine della ferrovia.

Verso le ore 11 il comando supremo sardo faceva avanzare anche la 2ª divisione, prescrivendo che una brigata (Aosta) puntasse contro S. Martino e l'altra brigata (Piemonte), col divisionario generale Fanti, puntasse contro Madonna della Scoperta.

La brigata Aosta, venne rinforzata da bersaglieri e da artiglieria, ed entrò in linea verso le ore 16 svolgendo un attacco avvolgente contro la sinistra dei difensori di S. Martino, i quali furono inchiodati sul posto, e cioè impossibilitati tanto a contrattaccare i Piemontesi quanto a spostarsi a sostegno del centro austriaco a mal partito contro i Francesi.

Alla brigata Aosta si unirono sei battaglioni della Pinerolo e quattro della Cuneo.

Seconda fase: attacco generale. Poco prima del tramonto, Vittorio Emanuele, che era personalmente fra i soldati in prima linea, otteneva il coordinamento degli attacchi per un assalto decisivo simultaneo, su tutta la linea Corbù-San Martino-La Contracania.

Da destra a sinistra l'ordine dei reparti era in quel momento il seguente: Brigata Pinerolo, 8° battaglione bersaglieri, brigata Aosta, 1° battaglione bersaglieri, brigate Casale, Cuneo, Acqui, 5° battaglione bersaglieri. Dopo un violento concentramento di fuoco delle artiglierie divisionali, le truppe si lanciarono eroicamente all'ultimo assalto. La veemenza di questo fu tale che la cima fu raggiunta in un solo sbalzo e il nemico, fulminato dai pezzi subito portati a coronare la linea, iniziò il ripiegamento, lento dapprima, ma poi precipitoso, quando si sferrò la carica dei cavalleggeri del "Monferrato".

Al tramonto (ore 20) le alture di S. Martino erano sgombre e due ore dopo il Fanti stabiliva il quartier generale a Pozzolengo. Gli Austriaci si affrettarono nella notte ai passi del Mincio.

Da parte piemontese il maggior peso della battaglia fu sopportato dalle divisioni 3ª e 5ª e dalla brigata Aosta, che videro cadere, fra morti e feriti, il 20 per cento della forza; mentre gli Austriaci, avvantaggiati dagli appostamenti difensivi, ebbero perdite ragguagliate a circa il 6 per cento della forza, fra morti e feriti.

La battaglia di S. Martino, quantunque in definitiva favorevole per le armi piemontesi, ebbe pericolose oscillazioni, soprattutto dovute, come detto, nella prima fase, alla mancanza di "insieme" negli attacchi, cui l'impeto eroico dei fanti piemontesi si lasciò andare senza ben valutare le circostanze; e riuscì a vittoriosa conclusione solo quando fu dato all'attacco, rivelatosi durissimo, il coordinamento mancato nelle prime ore.

Ma poiché il ritardato successo delle armi piemontesi si era avverato quando già il generale Benedek, comandante l'VIII corpo d'armata austriaco che difendeva S. Martino, aveva ricevuto - ma non ancora eseguito - l'ordine di ripiegamento al Mincio (e ciò in dipendenza degli eventi sfavorevoli per gl'Imperiali nel settore di Solferino), i malevoli - che non mancarono neppure fra gli alleati - ne presero motivo per diminuire il merito e il valore dello sforzo eroico compiuto dai Piemontesi.