SANGALLO, Antonio da, il Giovane

Enciclopedia Italiana (1936)

SANGALLO, Antonio da, il Giovane

Gustavo Giovannoni

Architetto fiorentino del Rinascimento nato nel 1483, morto nel 1546. Il cognome e la data di nascita di questo grandissimo architetto erano finora falsati o incerti; il primo per l'errata notizia del Vasari che, confondendo forse col parentado di Giuliano da Sangallo, faceva appartenere Antonio alla famiglia Picconi; la seconda per una serie di dati contraddittori, da cui il Milanesi traeva come probabile l'anno 1485. Ora le ricerche di G. Giovannoni hanno stabilito con sicurezza essere Antonio nato nel 1483 da Bartolomeo di Antonio Cordini e da Smeralda Giamberti, sorella di Giuliano e di Antonio il Vecchio, (v. p. 650). La figura di Antonio il Giovane è una delle più complesse che siano apparse nell'architettura del Rinascimento: teorico e costruttore, ricercatore di antichità e fecondissimo inventore di idee architettoniche, architetto e talvolta appaltatore e uomo di affari. Con lui si afferma l'architetto aristocratico, che ha un'alta posizione sociale e che è chiamato a dare disegni di architettura civile e militare in ogni parte d'Italia, valendosi, con una sapiente organizzazione, di un grande numero di aiutanti che fanno capo al suo studio.

Appare così, con tutti i pregi e i difetti, il tipo del moderno professionista, e ne deriva una produzione assai varia, talvolta elevata e accuratamente eseguita, talvolta affrettata e scadente.

Come i suoi zii materni, Antonio fu carpentiere e intagliatore in legno; e pur nel tempo in cui si era affermato come architetto, lo vediamo svolgere attività in questo campo. Giovanissimo dovette seguire in Roma gli zii. E a Roma si iniziò negli studi sull'antico, fonte quasi unica di preparazione architettonica in quel tempo, e si acquistò la benevolenza del Bramante, ormai vecchio e paralitico ma infervorato nei lavori immensi intrapresi per Giulio II. Insieme col Peruzzi, con Menicantonio de Chiarellis, con Giuliano Leno fu nello studio del grandissimo architetto a lavorare ai disegni per S. Pietro, a perfezionarsi nella tecnica e nell'arte e a cominciare ad avere qualche incarico di lavori e talvolta anche ad assumere appalti, al Vaticano e a Castel S. Angelo.

Forse la prima opera che gli venne affidata fu quella della chiesa di S. Maria di Loreto, al cui inizio può assegnarsi la data del 1507; ed egli la concepì come una sala termale romana, quadrata esternamente e dentro ottagona, con grandi nicchie nello smusso, e con la copertura a cupola schiacciata ed esternamente contraffortata (la cupola attuale fu costruita con assai diverso disegno da Giacomo Del Duca sullo scorcio del Cinquecento). Probabilmente dello stesso tempo sono una casetta in Via dei Gigli d'Oro, e l'inizio del palazzetto di Marchionne Baldassini in Via delle Coppelle, che fu assai ammirato e che afferma con grande vigore il suo tipo stilistico nell'architettura civile.

Intanto il cardinale Alessandro Farnese, il futuro Paolo III, ebbe ad affidargli incarico di quello che fu poi lavoro di tutta la vita di Antonio, cioè il palazzo presso Campo di Fiori, sorto dapprima in proporzioni modeste, come ampliamento di un vecchio edificio, poi ricostruito organicamente in più vasta mole. E il cardinale gli fu protettore autorevole per avviarlo a brillante carriera.

Riassumere questa vastissima operosità che così ebbe inizio e che è documentata dai dati quasi sempre precisi del Vasari e dai disegni dell'artista o dei suoi collaboratori, è qui possibile solo elencando alcuni tra i suoi lavori e soffermandosi appena sui principali.

Sono tra essi nel campo dell'architettura civile: in Roma la casa Dal Pozzo in Borgo, la Zecca (forse iniziata per Bramante nel 1513 e lentamente proseguita), il palazzo del vescovo di Cervia, Pietro de Flisco, in Via di Monserrato, le case di proprietà dello stesso S. in Via Giulia, tra cui è l'inizio di quella divenuta poi il palazzo Ricci-Sacchetti, forse il palazzo Pio in Via del Colosseo e il palazzetto Leroy, detto la Farnesina ai Baullari; fuori di Roma, il palazzo Farnese a Gradoli e il Farratini ad Amelia, l'inizio del palazzo Farnese di Caprarola, il palazzo del vescovo di Rimini a Tolentino e case a Firenze, a Nepi, ad Orvieto, a Terni. Nell'architettura religiosa, oltre alla suindicata chiesa di S. Maria di Loreto in Roma, la chiesa di S. Spirito, e lavori nelle chiese di S. Giacomo degli Spagnoli, di S. Giacomo a Scossacavalli, di S. Giovanni dei Fiorentini, di S. Maria di Monserrato, di S. Marcello; nella regione viterbese, le chiese di S. Egidio a Cellere e di S. Maria di Monte Moro presso Montefiascone e gli inizî di S. Tolomeo di Nepi; a Loreto il completamento e il rinforzo della basilica.

Sono da aggiungere a queste opere la villa Madama elevata per il cardinale Giulio de' Medici in collaborazione con Raffaello e con Giulio Romano, la tomba di Leone X in S. Maria sopra Minerva in Roma, e quella di Piero de' Medici in Montecassino, la cappella Cesi in S. Maria della Pace e gli archi di trionfo elevati per la venuta di Carlo V in Roma nel 1536, il cosiddetto pozzo di S. Patrizio costruito a Orvieto per ordine di Clemente VII nel 1526, immenso pozzo circolare a doppia rampa di accesso, che parve giustamente al Vasari "cosa ingegnosa di capriccio e meravigliosa di bellezza".

Anche come urbanista è vasta l'attività del Sangallo. A Loreto prosegue la costruzione bramantesca della piazza destinata a costituire atrio alla basilica. Tutto suo è il piano della città di Castro cominciata a costruire nel 1537, con iniziativa megalomane, da Pierluigi Farnese, e suoi i principali edifici, distrutti poi nel 1649 con tutta la città. In Roma ebbe parte con Latino Giovenale Manetti e col Baronino ai grandi lavori di rinnovamento promossi da Paolo III e in particolare ai tracciati stradali rettilinei di Via dei Baullari, Via dei Condotti, Via del Babuino, Via Paolina.

Altissima fu la fama del Sangallo come architetto militare. Cominciò ad affermarsi nel 1515 nei progetti e nei lavori di fortificazione di Civitavecchia e nell'invenzione, ivi tradotta in atto, dei fianchi duplicati. Vennero poi i rinforzi nelle cinte murate di Parma, Piacenza, Firenze, eseguite dopo una visita compiuta per incarico di Clemente VII nel 1526 insieme col Sammicheli e col fratello Giovanni Battista da Sangallo alle fortezze dell'Italia centrale per studiarne il rammodernamento; la fortezza da Basso di Firenze, cominciata sotto Clemente VII in collaborazione con Pierfrancesco da Viterbo e poi ripresa dopo il 1534, la rocca Paolina di Perugia, la cittadella d'Ancona, e in Roma ai tempi di Paolo III il completamento della cinta della città Leonina, tra cui l'inizio della porta magnifica su Via della Lungara (poi sospesa per l'opposizione di Michelangelo), il bastione Ardeatino e quello della Colonnella, la fortezza Paolina sul Campidoglio.

In mezzo a questa enorme quantità di lavori, ora curati personalmente ora affidati ad alcuni dei tanti collaboratori sicché non sempre è possibile sceverare la paternità, i due grandi temi a cui il Sangallo diede opera continua sono quelli del Vaticano e del palazzo Farnese in Roma.

Alla costruzione di S. Pietro egli aveva avuto più o meno parte in tutte le prime fasi; ma dopo il 1520, morto Raffaello, ebbe l'incarico diretto della direzione, dapprima avendo in sottordine il Peruzzi, poi solo, e questa direzione e il titolo di architetto papale mantenne fino alla morte. Una prima serie di progetti di completamento della grande mole egli tracciò ancora al tempo di Leone X, una seconda al tempo di Paolo III, e questa prese forma concreta nel grande modello che ancora si conserva nel Museo dell'opera di S. Pietro e in un inizio dei lavori dal lato del braccio meridionale, del quale inizio il noto affresco del Vasari alla Cancelleria consacra il ricordo, poichè quasi tutta quella costruzione fu poi abbattuta nei lavori del periodo michelangiolesco.

Manteneva il S. in esso i deambulatorî intorno alle absidi, che forse erano già apparsi negli ultimi progetti del Bramante, e avanti alla chiesa disponeva quasi distaccato un immenso prospetto fiancheggiato da torri e contenente l'atrio e la loggia della Benedizione: concezione grandiosa nella massa, ma talmente frazionata di ordini architettonici, guglie, gallerie d'arcatelle da meritare le severe critiche di Michelangelo. Indiscusso invece fu il merito del S. nel consolidare le vacillanti strutture elevate in fretta dal Bramante, e invero tutti i contemporanei, compreso il non benevolo Vasari, sono d'accordo nel riconoscere in lui l'alta competenza tecnica del costruttore.

Nel Palazzo Vaticano la sua opera può dirsi diffusa in ogni parte e segnatamente nella Cappella Paolina, nella Sala Regia, negli ultimi ordini del cortile di S. Damaso, nei rinforzi al cortile del Belvedere.

Il palazzo Farnese è, come si è detto, il vero capolavoro sangallesco e forse il capolavoro dei palazzi cinquecenteschi, e al S. va tutto il merito, anche se dopo di lui Michelangelo e il vignola e il Della Porta vi abbiano eseguito notevoli aggiunte. Nella pianta chiara e organica, nel prospetto forte e severo in cui la semplicità delle linee rende evidenti e schiette le armonie delle proporzioni, nel vestibolo fatto a guisa di basilica e nel grande cortile veramente romano, è espresso il sentimento sereno ed equilibrato che è sintesi del Rinascimento architettonico italiano.

Il tipo di facciata del palazzo Farnese, che con la sua predominanza della parete piena e liscia e l'accentuazione degli angoli a bugne, delle linee orizzontali di davanzale e di piano, si contrappone all'inquadratura albertiana o bramantesca degli ordini architettonici, avrà numerosissime applicazioni nei periodi successivi; ma spesso saranno scialbe, come in molte opere dell'Ammannati o del Fontana, o saranno ravvivate nel periodo barocco da una nuova stranezza di ornamenti. La semplicità di espressione che è in arte il mezzo più difficile e produce grandi opere solo se è sorretta da una grande elevatezza di studio e da un carattere individuale e forte nell'ideazione delle singole parti, si riscontra in modo magnificamente inimitabile nel palazzo Farnese, dalla concezione dell'insieme al disegno delle finestre, delle porte, delle arcate, al tracciato delle sagome di capitelli e di cornici.

In grado minore queste qualità si riscontrano nelle altre composizioni di architettura civile sopra menzionate, assai più che in quelle, molto spesso manchevoli, della chiesastica; si ritrovano nei sepolcri, di cui il S. ha definitivamente fissato il tipo architettonico imitante l'arco trionfale, sostituito alle sopravvivenze delle ricche e minute opere decorative quattrocentesche; e perfino nelle opere di fortificazione, come nella porta di S. Spirito in Roma, nella fortezza da Basso di Firenze, nel mastio di Civita Castellana, ove una vera potenza di forma espressiva architettonica si sprigiona dal tema tecnico e pratico.

Nei numerosissimi disegni lasciati da Antonio da S., la maggior parte dei quali si conserva agli Uffizî per il dono che nel 1574 ne fece al granduca Francesco il nipote Antonio, queste doti ancor più si manifestano, come sempre avviene quando la fantasia è libera di esprimersi al difuori delle strettoie della realtà costruttiva. Negli schizzi, ad es., per la casa S. in Firenze (n. 1348), negli studî planimetrici per un grande palazzo reale (n. 999), in quelli per il prospetto di un palazzo forse del duca di Castro (n. 1684), nelle piante per S. Tolomeo di Nepi (n. 551,865), per S. Marco di Firenze (nn. 1312, 1363, 1364), per S. Giacomo di Scossacavalli (n. 1374, 1350) e per S. Giovanni dei Fiorentini (nn. 199, 510) in Roma, e in tanti disegni di architettura militare (nn. 754, 779, 782, 808, 942, 1506), ecc., appaiono soluzioni e motivi di vastità nuova, che preludono a tante forme maturate nel periodo successivo e fanno pensare a quale altezza l'opera complessiva del S. avrebbe potuto giungere se non si fosse esageratamente estesa in una attività professionale e avesse potuto rimanere in un campo racchiuso come l'opera del Sammicheli, del Sansovino, del Palladio.

Ai collaboratori di Antonio da Sangallo si è sopra accennato. Basterà ricordare tra i primi il fratello Giovanni Battista, fedelissimo suo compagno e coadiutore, il quale nel breve tempo che gli sopravvisse ne continuò le opere e portò a termine la traduzione dei libri di Vitruvio (ora alla bibl. Corsiniana di Roma) iniziata da Antonio fin dal 1531; e i cugini Francesco, valente scultore oltre che architetto, e Gianfrancesco e Bastiano, detto Aristotile; e Nanni di Baccio Eigio, il Mangone, il Labacco, il Rosselli, il Baronino, il De Rocchi, Nanni Unghero, ecc.; ai quali talvolta venivano ad aggiungersi pure architetti di grande valore individuale, come il Peruzzi, forse nei momenti in cui lo scarso lavoro li induceva a ricorrere a un collega più fortunato e alla protezione di una consorteria formatasi nella corte papale, che il Vasari chiamava "setta sangallesca". Ed era uno studio ordinato quasi militarmente, i cui membri sottoponevano al capo rilievi e disegni e ne ricevevano da vicino o da lontano istruzioni precise, e lo coadiuvavano volenterosi pur in quegli studi dall'antico, in quelle ricerche di meccanica, in quella raccolta di oggetti d'arte che Antonio, con mirabile versatilità operosa e con instancabile desiderio di cultura, ha perseguito in tutti i periodi della sua esistenza, fortunata e piena.

V. tavv. CXXXV-CXXXVII.

A. Labaccus, Forma Templi S. Petri in Vaticano (Antonius S. Galli inv.), Roma 1547; F. De Marchi, Architettura militare, 1599; C. Promis, Memorie storiche, ecc., Torino 1841; A. Guglielmotti, Le fortificazioni, ecc., I bastioni di A. da S., Roma 1860; A. Ronchini, Il Montemelino di Perugia e le fortificazioni di Roma, in Giornale di erudizione artistica, I (1872), p. 162; A. Rossi, Spogli vaticani, ibid., VI (1877), p. 205; A. Bertolotti, Spesarie, ecc., sotto Paolo III, Modena 1878; id., Nuovi documenti intorno ad A. da S., in Buonarroti, XVIII (1890-93), pp. 246 segg., 278 segg., 319 segg.; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902-12, II, III; F. De Navenne, Le palais Farnese, in Revue des Deux Mondes, CXXXI (1895), p. 382 segg.; P. Bourdon e R. Laurent Vibert, Le palais Farnese d'après l'invent. de 1653, in Mélanges d'arch. et d'hist., XXIX (1909), p. 145 segg.; A. Colasanti, Loreto (coll. Italia art.), Bergamo 1910; K. Frey, Zur Baugeschichte St. Peters, in Jahrb. der preuss, Kunstsam., XXXIV (1913; Beiheft); M. Borgatti, Il bastione ardeatino, Roma 1916; P. Perali, Orvieto,Orvieto 1919; G. Giovannoni, Saggi sull'arch. del Rinascimento, Milano 1931; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIX, Lipsia 1935 (con bibl.).

V. anche la bibl. citata sotto la voce sangallo, giuliano, e le opere generali citate sotto la voce rinascimento.