Sanità. La retroattivita dei tetti di spesa dopo l'Adunanza Plenaria

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Sanita. La retroattivita dei tetti di spesa dopo l'Adunanza Plenaria

Guerino Fares

Sanità
La retroattività dei tetti di spesa dopo l’Adunanza Plenaria

Il tema dell’efficacia retroattiva dei tetti di spesa si inscrive nell’ambito del quasi-mercato delle prestazioni sanitarie in un contesto segnato da pressanti esigenze di contenimento dei costi e di riequilibrio del bilancio. La limitatezza delle risorse rende la tutela della salute diritto finanziariamente condizionato ed affida alla programmazione il compito di razionalizzare la spesa anche grazie ad una legislazione emergenziale che, se troppo spinta, rischia di sacrificare i principi fondanti lo Stato di diritto. Ci si chiede se le limitazioni alla concorrenza, alla libertà di scelta del paziente e alla tutela dell’affidamento possano essere surrogate da politiche volte al recupero dell’appropriatezza e alla revisione degli strumenti di determinazione del fabbisogno e dei costi economici e sociali, associate a controlli seri ed uniformi indifferenti alla natura dell’erogatore.

La ricognizione. Programmazione dell’offerta sanitaria e vincoli di spesa

La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 12.4.2012, n. 3 – replicata nei suoi contenuti dalla coeva sentenza n. 4 – affronta un aspetto nevralgico del mercato delle prestazioni sanitarie, qual è il tema della legittimità delle determinazioni regionali che, emanate molto spesso in corso d’anno, stabiliscono i tetti massimi di spesa applicabili, in via retroattiva, anche alle prestazioni già rese dalle strutture private accreditate.

Per impostare adeguatamente il problema sottoposto al suo vaglio, il supremo collegio compie una accurata ricostruzione del quadro normativo, ponendo subito in evidenza la principale tensione che il sistema reca al suo interno: coniugare il principio di libertà dell’utente con il principio della necessaria programmazione di settore. Premessa di fondo è che il diritto alla salute, nella sua dimensione di diritto sociale e, in particolare, di diritto a prestazione, si configura come diritto finanziariamente condizionato1 perché: a) il costo delle prestazioni è posto a carico dell’erario pubblico; b) le risorse, per la loro limitatezza, sono insufficienti a far fronte alla domanda di cure da parte degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Di qui, l’esigenza avvertita in modo sempre più pressante soprattutto in un momento di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, di adottare politiche di razionalizzazione e contenimento della spesa.

Questo spiega perché, mentre il diritto dell’utente alla scelta della struttura di fiducia, legittimata ad erogare assistenza in qualità di esercente un servizio pubblico in base al criterio del previo accreditamento e conseguente soggezione ad uno statuto che fissa le modalità di remunerazione e di controllo dell’attività svolta (art. 8, co. 7, d.lgs. 30.12.1992, n. 502), è rimasto sostanzialmente allo stadio di enunciazione teorica, il carattere autoritativo della pianificazione finanziaria si è progressivamente accentuato ed inasprito. Dal piano preventivo annuale, cui la legislazione risalente agli anni dal 1994 al 1996 aveva affidato il compito di calmierare la domanda di prestazioni attraverso la fissazione di livelli uniformi di assistenza e l’elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici2, si è passati alla diffusa prassi di determinazione tardiva del budget giustificata dal vincolo assoluto e invalicabile dei limiti alla spesa sanitaria.

È, in tal modo, mutata bruscamente la direzione dell’intervento calmierante, dal piano della domanda di prestazioni a quello dell’offerta proveniente dalle (sole) strutture private accreditate.

Numerosi sono i precedenti giurisprudenziali evocati ad hoc dall’Adunanza plenaria per sottolineare l’indispensabilità dei meccanismi impositivi del tetto di spesa, la cui fissazione «si atteggia ad adempimento di un obbligo che influisce in modo pregnante sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate»3.

La potestà di determinazione dei limiti di spesa – regolata ab origine dall’art. 32, co. 8, l. 27.12.1997, n. 449 che ne valorizzava il carattere preventivo rispetto all’erogazione delle prestazioni4 – è rimessa in via esclusiva alla regione; e il suo esercizio costituisce un passaggio necessario per la successiva contrattazione tra le aziende sanitarie locali e le singole strutture accreditate che definiscono accordi (art. 8 quinquies, d.lgs. n. 502/92) aventi ad oggetto l’acquisto, da parte delle prime, del volume massimo di prestazioni sanitarie erogabili dalle seconde nell’anno di riferimento.

I condizionamenti finanziari devono, tuttavia, fare i conti, da un lato, con la garanzia di intangibilità del nucleo essenziale e irriducibile del diritto alla salute, cui fa da pendant l’obbligo della Repubblica (consacrato dall’art. 117, co. 2, lett. m, Cost.) di assicurare i livelli essenziali di assistenza sanitaria; dall’altro, con quei valori ugualmente protetti dalla nostra Costituzione5 – la tutela del legittimo affidamento e della pretesa alla certezza dei rapporti giuridici – di cui sono titolari le strutture erogatrici del servizio, per le quali un’ordinata programmazione e un ragionevole livello di remunerazione rappresentano un fattore decisivo e imprescindibile per l’efficace gestione e la sopravvivenza stessa dell’azienda.

Della doverosa ricerca di un giusto punto di equilibrio fra le esigenze sopra evidenziate la pronuncia in esame si mostra ben consapevole, laddove ricorda come le regioni godano di «un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico».

L’assunto è pienamente condivisibile – anche laddove riconosce che le strutture pubbliche non sono il pilastro ma “uno” dei pilastri del sistema accanto, evidentemente, agli operatori privati – ed è utile a contenere l’enfasi riposta dalla giurisprudenza maggioritaria sulla missione assolta dalle strutture pubbliche: una condizione di superiorità che può essere accettata sul piano dei principi ma che risulta anacronistica ed insostenibile, anche in termini finanziari, se utilizzata per perpetuare privilegi ormai incompatibili con l’imperativo del rientro dai disavanzi.

Si vuol dire, in altre parole, che pur accettando la tesi del giudice amministrativo che riserva alle sole strutture pubbliche la consustanzialità al Servizio sanitario nazionale6, e pur accettando le implicazioni di questa tesi, tali per cui la struttura privata è concessionaria di pubblico servizio nei limiti dell’accordo con la Asl concernente il volume (tipologia e quantità) e il costo delle prestazioni da rendere mentre la struttura pubblica è sempre concessionaria, non si può rinunciare ad una puntuale verifica circa la razionalità e la tenuta del sistema analizzando attentamente le ricadute di queste concezioni sui meccanismi di controllo del buon andamento degli apparati amministrativi e del corretto uso del pubblico denaro.

Se, in ipotesi, si revocassero tutti gli accreditamenti e si azzerassero i tetti di spesa in un contesto, astrattamente ammissibile7, in cui il decisore politico riservi all’operatore pubblico l’intero mercato delle prestazioni sanitarie, ciò non potrebbe in ogni caso legittimare la creazione di zone franche sottratte al controllo sulla congruità ed appropriatezza della gestione di risorse pubbliche.

Della responsabilizzazione nell’uso di risorse limitate e del rispetto dei vincoli di bilancio si era già fatta pienamente carico la cd. “riforma bis”, nel prevedere che i livelli essenziali e uniformi di assistenza dovessero essere rapportati alle effettive disponibilità finanziarie (art. 1, co. 3, d.lgs. n. 502/1992 e s.m.i.).

In virtù di tale ultima norma, l’individuazione dei LEA doveva essere effettuata contestualmente alla individuazione delle risorse destinate al SSN, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico finanziaria; inoltre, le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza andavano garantite dal Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità stabilite dalla legge.

Relativizzando il concetto di gratuità, si introduce un criterio selettivo per quanto riguarda i soggetti destinatari. Solo se non superano determinati tetti di reddito, essi andrebbero affrancati dall’obbligo di compartecipare alla spesa: mentre la determinazione dei livelli essenziali vale a circoscrivere l’erogazione gratuita sul piano oggettivo8.

Il livello essenziale, per sua natura, evoca i valori della eguaglianza ed uniformità: ma, in quanto dà per scontata la limitatezza delle risorse, rinvia ai canoni di efficienza, efficacia ed economicità del servizio pubblico.

Se l’attività sanitaria svolta dalla rete degli operatori pubblici si rivela inefficiente e diseconomica, in quanto i risultati sono raggiunti con un eccessivo dispendio di mezzi (sono di questo genere le disfunzioni insite nel finanziamento a piè di lista del comparto pubblico), allora cresce il rischio di compromettere l’erogazione di tutte le prestazioni classificate dal decisore politico come essenziali, e cresce il grado di inefficacia dell’intero sistema. Un sistema, si può aggiungere, che ha maglie troppo larghe sul versante della domanda ed è discriminatorio su quello dell’offerta, atteso che i tetti di spesa sono imposti alle sole strutture private sulle quali, in assenza di meccanismi legislativi in grado di prevenire e sanzionare i deficit dei providers pubblici, viene in ultima istanza a gravare l’onere del riequilibrio finanziario del SSN, imposto dalla inefficienza del comparto pubblico.

Occorre verificare, allora, se l’attuale assetto realizzi in modo equo e proficuo i rigidi limiti di programmazione economica derivanti dai tetti di spesa.

La focalizzazione. Libertà di scelta, concorrenza e regressioni tariffarie

La Corte costituzionale configura, ormai da tempo, il diritto alla salute come «un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento»9.

Secondo la Corte, «dopo l’enunciazione da parte delle legislazione sanitaria del principio della parificazione e concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facoltà di libera scelta da parte dell’assistito, si è progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario. In questo modo si è temperato il predetto regime concorrenziale attraverso i poteri di programmazione propri delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili (cfr. art. 8 quinquies del d.lgs. 19.6.1999, n. 229)».

La giurisprudenza amministrativa, nel suo insieme e salvo talune eccezioni10, esclude di conseguenza che il principio della libera scelta possa considerarsi allo stato vigente, perlomeno se si guarda alle fonti di finanziamento complessivo delle strutture sanitarie, e ne circoscrive la portata al solo campo delle prestazioni rese sulla base degli accordi contrattuali e remunerate a tariffa.

Ciò determina evidenti disfunzioni, come ha avvertito l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, posto che «in assenza di opportuni meccanismi concorrenziali tra gli erogatori delle prestazioni sanitarie, vengono meno anche gli incentivi a rivelare i costi effettivi delle prestazioni e a trasferire questa informazione sul prezzo. Risulta, quindi, alquanto difficile valutare con certezza se la decisione da parte della Asl di erogare direttamente le prestazioni sanitarie, non ricorrendo, quindi, al mercato, sia effettivamente giustificata dai minori costi sostenuti dalle stesse Asl rispetto a quelli sostenuti dalle altre strutture sanitarie operanti sul mercato, a parità di standard di qualità» (segnalazione Agcm AS145 del 26.6.1998).

In presenza di un sistema di quasi mercato o concorrenza imperfetta, in cui l’azienda sanitaria pubblica è al contempo prestatore di servizi (per il tramite dei propri presidi ospedalieri) e soggetto finanziatore delle strutture private in competizione con i suoi presidi, il diritto di libera scelta dell’utente, che attiene al luogo di cura e non ai livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni (C. cost. 23.11.2007, n. 387), naturalmente stenta a trovare affermazione.

La diversità di trattamento fra strutture pubbliche e private è resa evidente dal meccanismo delle cd. regressioni tariffarie, volto a quantificare la percentuale variabile di abbattimento della remunerazione da applicare alle singole strutture o ai settori (branche, macroaree) che abbiano sforato il limite massimo consentito di spesa: si tratta di una tecnica di recupero e riequilibrio, che interviene a consuntivo e in via eventuale rispetto alla programmazione a monte.

Da qui la tesi, accolta in alcune pronunce giurisprudenziali, secondo cui «la mancata previsione di compensabilità di prestazioni extra budget non vizia necessariamente l’atto di programmazione regionale»11.

Il tenore letterale delle norme di riferimento depone in senso contrario12, sicché, come affermato in altre pronunce, è illegittima una previsione secondo la quale le prestazioni extra-budget non siano in alcun modo remunerate13.

Come precisato in più occasioni dal giudice amministrativo, il sistema di progressiva riduzione delle tariffe destinate a remunerare le prestazioni che eccedono il tetto massimo prefissato è espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria in funzione di tutela della finanza pubblica affidato alle regioni e trova giustificazione concorrente nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala nonché effettuino opportune programmazioni della rispettiva attività14.

In un importante parere reso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AS145/1998, cit.) si è posto in luce che «l’abbattimento delle tariffe rappresenta un importante meccanismo proconcorrenziale, in quanto, da un lato, induce le singole strutture a rivelare il prezzo delle prestazioni erogate, dall’altro comporta che le strutture che sopportano i maggiori costi di erogazione siano indotte a limitare, o addirittura annullare, l’offerta delle stesse, alimentando quindi la domanda diretta verso le strutture sanitarie più efficienti e permettendo anche il conseguimento di obiettivi di contenimento della spesa».

In effetti, il tema della conoscibilità dei costi di produzione ha una valenza plurima e fondamentale nel settore sanitario.

Per altro verso, si pone il problema dell’unità di grandezza cui parametrare il sistema delle regressioni negli atti di programmazione (delibera regionale) ed attuativi (accordi): fissando un limite di spesa complessivo per tutta la macroarea, senza disaggregarlo in tanti tetti finanziari per ogni singola branca o centro, la regressione può riguardare tutto il complesso delle prestazioni appartenenti alla macroarea, a prescindere dalla loro peculiare connotazione specialistica, sicché sul singolo centro accreditato finiscono con il riverberarsi gli effetti negativi di uno sforamento cagionato con il concorso di centri anche ubicati al di fuori dell’ambito territoriale della ASL di appartenenza.

Ci si deve, allora, chiedere se non sia più opportuno e razionale, onde evitare una simile eccessiva dilatazione, fare riferimento alle attività erogate da ogni singola struttura, il che consente un elevato grado di prevedibilità circa l’andamento del tetto, o alla branca, il che accrescerebbe il tasso di concorrenzialità ed omogeneità fra le strutture, assicurando con degli opportuni raccordi informativi ed adempimenti procedimentali (es. previsione di tavoli tecnici) le basilari esigenze di conoscenza in ordine al grado di saturazione del tetto15.

I profili problematici. Il rilievo del ritardo nella determinazione del budget

La dottrina ha posto efficacemente in luce che «una importante causa di contenzioso è data dal ritardo con cui le determinazioni di spesa col relativo tetto vengono assunte. Il ritardo finisce col conferire alla delibera una efficacia retroattiva (essendo interamente trascorso l’esercizio annuale di riferimento): ne risultano violate le aspettative dei singoli operatori che, rimasti privi della necessaria guida programmatoria, abbiano fatto affidamento sulla situazione in atto»16.

L’Adunanza plenaria evidenzia, al riguardo, la presenza di un contrasto scaturito da due opposti indirizzi nella giurisprudenza. Il primo di essi tende ad escludere la legittimità della fissazione di tetti in via retroattiva, specie quando intervenga in un periodo avanzato dell’anno, poiché finisce per ledere l’autonomia e l’integrità delle scelte imprenditoriali, alterando gravemente le dinamiche concorrenziali tra erogatori pubblici e privati: merita particolare segnalazione, in proposito, l’accento posto sulle «esigenze di un’adeguata istruttoria, nel quadro di un sollecito e leale espletamento dei relativi adempimenti».

Il secondo orientamento ritiene invece legittima – ed anzi fisiologica, attesa la complessità del procedimento di quantificazione delle risorse disponibili, del quale essa costituisce solo l’atto terminale – la fissazione retroattiva del tetto regionale di spesa anche a distanza notevole dall’inizio delle attività assistenziali.

A quest’ultima opzione interpretativa, l’Adunanza plenaria dichiara di aderire: concludendo per l’infondatezza del motivo con cui il ricorrente contesta la legittimità ex se della deliberazione regionale che fissa i tetti di spesa in corso d’anno.

La sentenza si fa carico, tuttavia, del bilanciamento tra gli interessi e valori in gioco.

In primo luogo, contenimento della spesa versus pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate nel luogo di cura di propria scelta: con condivisibili enunciazioni sull’importanza del collegamento tra responsabilità e spesa, sulla centralità del nucleo irriducibile del diritto alla salute, sulla stretta correlazione fra la determinazione dei tetti di spesa e la conoscenza delle risorse disponibili. La morale è che «il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private deve conciliarsi con il principio di programmazione, che persegue lo scopo di assicurare la razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento della spesa pubblica»17.

C’è, poi, l’interesse al contenimento della spesa versus l’interesse degli operatori privati ad agire, in coerenza con il fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici, secondo una logica imprenditoriale e sulla base di un quadro quanto più possibile sicuro e chiaro circa le prestazioni remunerabili e le regole da applicare18.

Qui la sentenza svolge gli argomenti più importanti, rifacendosi alle puntualizzazioni già fornite dalla stessa Adunanza plenaria19 e, in particolare, alla valorizzazione dell’affidamento degli operatori economici da essa concretamente ancorato alle decurtazioni imposte dalle norme finanziarie al tetto valevole per l’anno precedente.

«La tutela di tale affidamento richiede – si legge nel passo decisivo – che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno. Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli. Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti»20.

Evidenziando come i principi basilari di buona amministrazione rendano opportuna l’esplicazione sia pure provvisoria di scelte programmatorie all’inizio dell’anno, si punta a risolvere gli aspetti più critici del sistema, messi in risalto dalla dottrina21, onde «evitare che il taglio tardivamente effettuato possa ripercuotersi sulle prestazioni già erogate dalle strutture nella ragionevole aspettativa dell’ultrattività della disciplina fissata per l’anno precedente, con le decurtazioni imposte dalle norme finanziarie»22.

Sviluppando il pensiero del Consiglio di Stato, si può ritenere che mentre è ammissibile un lieve ritardo, quando l’amministrazione provvede a fissare il tetto ad anno di molto inoltrato (ad es. dopo il mese di agosto), essa è tenuta ad una istruttoria partecipata e a motivazioni particolarmente accurate. Il potere discrezionale, per così dire, si assottiglia quanto più aumentano il ritardo nella assunzione della determinazione del budget e il divario rispetto alle decurtazioni note, perché operate dalle leggi finanziarie.

Secondo una costante giurisprudenza amministrativa sull’interpretazione dell’art. 2, l. n. 241/1990, il ritardo con cui il provvedimento amministrativo viene adottato rispetto al termine per la conclusione del procedimento non comporta consumazione del potere e non è motivo di annullamento del provvedimento stesso, anche se può avere rilievo ad altri fini (si pensi ad un’azione di natura contrattuale in caso di inadempimento procedimentale dell’ente o di avvenuta certificazione del credito da parte di quest’ultimo). Tuttavia, occorre valutare attentamente le conseguenze della omessa o incompleta osservanza di alcuni obblighi da parte della p.a.: ad es., esecuzione di un monitoraggio, attraverso un tavolo tecnico, delle prestazioni erogate volto a fornire alle strutture accreditate erogatrici informazioni relative al raggiungimento del tetto fissato per la singola branca di interesse.

Ebbene, quando si esula dall’ambito dei poteri vincolati, e quindi dal campo applicativo dell’art. 21 octies l. n. 241/90, non è lecito fare appello alla incomprimibilità dei tempi tecnici e, al tempo stesso, liquidare come irrilevante il ritardo nell’adozione del provvedimento o il mancato perfezionamento delle fasi procedurali previste dalla legge.

Note

1 La giurisprudenza costituzionale in tema di limiti finanziari alla attuazione del diritto alla salute è copiosa; fra le pronunce più significative si segnalano C. cost. 16.10.1990, n. 455 e 20.11.2000, n. 509. Si sono occupati del tema, in dottrina, Merusi, F., I servizi pubblici negli anni ‘80, in Quad. reg., 1985, 39 ss.; Palatucci, L., La concezione dei diritti finanziariamente condizionati nel periodo del suo consolidamento: un’inattesa estensione del welfare state costituzionale nel settore sanitario, in Bin, R.-Brunelli, G.-Pugiotto, A.-Veronesi, P., a cura di, «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 665 ss.; Ferrara, R., L’ordinamento della sanità, Torino, 2007, 188 ss.

2 Cfr. art. 6, co. 5, l. 23.12.1994 n. 724; art. 2, co. 8, l. 28.12.1995 n. 549; art. 1, co. 32, l. 23.12.1996 n. 662.

3 Così Cons. St., sez. V, 25.1.2002, n. 418. Analogamente, sez. V, 28.2.2011, n. 1259; sez. III, 21.2.2012, n. 935. Nel senso che il provvedimento che stabilisce i tetti di spesa e il riparto del fondo sanitario è qualificabile come atto di programmazione della spesa sanitaria, e pertanto non è soggetto a comunicazione di avvio del procedimento, Cons. St., sez. V, 12.5.2009, n. 8839; sez. III, 7.12.2011, n. 6454.

4 «Le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’articolo 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni, individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presìdi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’articolo 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».

5 Nel senso che il principio del legittimo affidamento nella certezza giuridica e nella stabilità delle norme e degli atti amministrativi costituisce elemento fondamentale e connaturato allo Stato di diritto, tanto da costituire un argine alle disposizioni legislative che pregiudichino irrazionalmente e in via retroattiva situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori, C. cost. sentt. 26.7.1995, n. 390, 4.11.1999, n. 416, 12.11.2002, n. 446, 15.7.2005, n. 282, 26.1.2007, n. 11, 30.1.2009, n. 24.

6 In questi termini, Cons. St., sez. V, 22.4.2008, n. 1858.

7 L’ordinamento giuridico, italiano ed europeo, non impone al singolo Stato membro di aprire il servizio sanitario agli operatori privati. Il rapporto tra sistema nazionale di assistenza sanitaria, modalità di finanziamento e tutela della concorrenza è frutto dell’opzione che lo Stato compie adottando il proprio modello organizzativo. L’obbligo di rispetto del diritto costituzionale e, soprattutto, del diritto europeo esige, tuttavia, che una volta optato per un modello misto pubblico-privato, la presenza privata venga regolata in modo conforme ai principi di trasparenza, obiettività, proporzionalità e concorrenzialità (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 16.6.2010, n. 1891). L’intervento pubblico può legittimamente incidere sulle modalità strutturali del sistema di welfare, anche in punto di esclusione della presenza stessa di operatori economici privati, ma quest’ultima, ove ammessa, non può essere sottoposta a limitazioni all’accesso che non siano quelle preordinate alla verifica di compatibilità con l’interesse pubblico sottostante e con le esigenze della finanza pubblica (TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 6.5.2011, n. 874). Fa notare Rotigliano, R., Brevi note sui mercati sanitari in Italia, in Serv. pubbl. app., 2004, 435, che «dalla Costituzione non ricaviamo un precetto che imponga alla Repubblica di istituire apparati amministrativi per dispensare cure sanitarie, e la scelta di farlo è allora rimessa al legislatore ordinario nel rispetto dei principi costituzionali». Sul rapporto fra autonomia statuale e politiche pro-concorrenziali di matrice comunitaria, Civitarese Matteucci, S., Servizi sanitari, mercato e «modello sociale europeo», in Merc. conc. regole, 2009, 179 ss.

8 Non vanno, tuttavia, intese come distinte e separate le misure che temperano il concetto di universalità delle prestazioni, da un lato, e dei loro beneficiari, dall’altro. Anche l’imposizione di forme compartecipative alla spesa per l’assistenza farmaceutica e le prestazioni sanitarie (cd. ticket) può incidere, infatti, in termini oggettivi sulla quantità e qualità delle prestazioni garantite e, quindi, sui livelli essenziali di assistenza: cfr., in tal senso, C. cost. 16.7.2012, n. 187 che puntualizza come la compartecipazione debba essere prevista in misura omogenea sull’intero territorio nazionale.

9 In tal senso, fra le tante, C. cost. 26.5.2005, n. 200, in Giur. cost., 2005, 1761 ss., con nota di Cuocolo, L., Lo strano caso della «costituzionalità sopravvenuta» e lo pseudo-principio di libera scelta del medico.

10 Cons. St., sez. V, 29.3.2004, n. 1667 e 31.1.2003, n. 499.

11 TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 19.9.2011, n. 1245. La sentenza, che compie anche affermazioni meritevoli di approfondimento in ordine alla compensazione tra mobilità attiva e mobilità passiva, si segnala per il tentativo di garantire la continuità nella fruizione delle prestazioni sanitarie nell’arco dell’intero anno solare attraverso una programmazione adeguata dell’attività da parte dell’erogatore, giudicando legittime le clausole che sanzionano con la mancata remunerazione delle prestazioni successive l’avvenuto superamento del 90% del tetto massimo alla fine del decimo mese.

12 L’art. 8 quinquies, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 502/92, cit., prescrive che le regioni stabiliscano «i criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura».

13 Cons. St., sez. V, 26.9.2006, n. 4699, ord.; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 8.3.2011, n. 338. Per TAR Lazio, Latina, sez. I, 2.5.2008, n. 500, le scelte operate in punto di limiti alla remunerabilità delle prestazioni rese in eccedenza sono scelte di merito censurabili in sede di legittimità solo sotto il profilo della manifesta illogicità o irragionevolezza. Nel senso che la struttura privata non è tenuta ad erogare al di fuori del contratto prestazioni agli assistiti, tanto meno a titolo gratuito, Cons. St., sez. V, 30.4.2003, n. 2253; TAR Lazio, Roma, sez. III, 2.3.2006, n. 1599.

14 Cfr., per un riscontro, Cons. St., sez. IV, 15.2.2002, n. 939, ove inoltre si specifica che se venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa fissati dalla regione il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato. Analogamente, TAR Campania, Napoli, sez. I, 3.2.2010, n. 537, in Giur. mer., 2010, 2578 ss., con nota di Mancini Palamoni, G., Note sulla disciplina dei tetti di spesa in materia sanitaria.

15 In tale direzione si muove la proposta di legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati (atto C-4269), che mira ad accrescere il grado di concorrenza, tendendo ad escludere dal circuito le imprese inefficienti e favorendo al tempo stesso il “controllo” del singolo operatore da parte delle strutture della stessa branca.

16 Corso, G., Pubblico e privato nel sistema sanitario, in Corso, G.-Magistrelli, P., a cura di, Il diritto alla salute tra istituzioni e società civile, Torino, 2009, 29.

17 Si erano già espresse in questi termini, Cons. St., sez. III, 6.6.2011, n. 3374; sez. V, 28.2.2011, n. 1252.

18 In tal senso, Cons. St., sez. V, 11.8.2010, n. 5632.

19 Cons. St., A.P., 2.5.2006, n. 8, in Dir. giust., 2006, n. 22, 114 ss., con nota di Fares, G., Sanità, tetti di spesa per i centri privati. Il provvedimento dell’Asl è atto plurimo.

20 Gli operatori privati hanno, dunque, un punto di riferimento regolatore. Per la prevalenza aprioristica dell’esigenza di contenimento della spesa sugli altri interessi, tuttavia, Cons. St., sez. V, 19.11.2009, n. 7236.

21 Corso, G., Pubblico e privato nel sistema sanitario, cit., 29: «Le conseguenze sono più gravi quando, come spesso è accaduto, il tetto di spesa stabilito con efficacia retroattiva è più basso di quello dell’esercizio precedente: sicché la struttura accreditata scopre a posteriori di avere operato sulla base di un budget più contenuto di quello su cui riteneva di poter fare affidamento».

22 Così Cons. St., sez. III, 7.3.2012, n. 1289. «Si deve, al riguardo, convenire – conclude l’Adunanza plenaria – con l’indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. V, n. 1252/2011; sez. III, n. 4551 e n. 6811 del 2011) che valuta favorevolmente l’adozione di determinazioni che, nell’esplicazione di una discrezionalità piena in quanto orientata verso le prestazioni future, stabiliscano, all’esordio dell’esercizio, almeno tetti provvisori sulla base dei dati disponibili relativi alle norme finanziarie già in vigore ed alla composizione del tetto di spesa, rinviando alla statuizione finale la quantificazione definitiva. L’adozione di tali atti di programmazione provvisoria – conseguente all’esigenza di far fronte ad un sistema che richiede tempi tecnici non comprimibili in relazione alle varie fasi procedimentali previste dalla legge che fisiologicamente si svolgono solo in epoca successiva all’inizio dell’erogazione del servizio – consente, infatti, all’operatore di porre in essere scelte consapevoli sulla base di previsioni attendibili ancorché suscettibili di limitate correzioni».

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