PERANDA, Sante

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PERANDA, Sante

Stefano L'Occaso

PERANDA, Sante (Santo). – Nacque da Nicolò a Venezia nel 1566 (Ridolfi, 1648, 1924, p. 264). Le fonti danno conto di un più che verosimile apprendistato presso i pittori Frank Pauwels (Paolo Fiammingo), Leonardo Corona e Jacopo Palma il Giovane; presso quest’ultimo rimase tre anni secondo Ridolfi (1648, 1924, p. 264) e quattordici secondo Boschini (1660, 1966, p. 482).

Quarto dei pittori delle sette maniere, nella celebre definizione data da Marco Boschini nella Breve instruzione, Peranda seguì le orme di Palma, ma «ebbe maniera così graziosa, gentile e leggiadra, che si può dir veramente che in gentilezza superasse il Maestro» (Boschini, 1674, pp. n.n.).

La diffusione delle sue opere seguì sostanzialmente le rotte dei pittori della tarda maniera veneziana. Nelle chiese e nei palazzi della Serenissima numerose erano, e in parte sono ancora, le sue pitture, che giunsero in numerosi luoghi di Terraferma: nel Bergamasco e in Val Camonica (Fossaluzza, 2013, pp. 67 s.), nel Trevigiano, a Burano, dove due sue tele sono in S. Martino (Rusca, 2001, pp. 136-139); due opere si conservano a Trieste, in S. Giusto e nella chiesa del Rosario (Ivanoff, 1956); diverse sono in Dalmazia (Gamulin, 1966, 1973; Fisković, 1976; Gamulin, 1977 e 1985; Demori-Staničić, 1992), anche se non tutte le attribuzioni in questione sono condivisibili. Le proposte attributive di pitture a Udine (Rizzi, 1969) e Cordovado (Goi, 1983) necessitano un riesame, mentre sembrano perdute le opere dipinte per Bologna (Masini, 1666) e Rovigo (Bartoli, 1793), essendo difficilmente condivisibili i suggerimenti di Vittorio Sgarbi (1988). La Trasfigurazione in S. Salvar a Verona, che Bartolomeo Dal Pozzo (1718, p. 261) gli attribuiva, è oggi nel Museo di Castelvecchio, ma riferita a Leonardo Corona. Un’Ascensione di Cristo si conserva a Fabriano, nel monastero di S. Luca (segnalazione di Angelo Mazza).

Isolata prova degli esordi è la pala con S. Martino e il povero nella parrocchiale di Rio San Martino (Scorzè, Venezia), firmata e datata 1585 (Manzato, 1988). Nel 1592 Peranda si recò a Roma al seguito di Marino Grimani, futuro doge, rimanendovi «per qualche tempo» (Ridolfi, 1648, 1924, p. 265). Fu anche a Loreto, dove il suo protettore lo raccomandò al cardinale Tolomeo Gallio (Ridolfi, 1648, 1924, p. 264). La conoscenza del tardo manierismo centro-italiano sembra confermata nell’opera di Peranda dalla propensione a costruzioni diagonali e a figure avvitate su loro stesse.

Rientrato in patria – nel 1594 era iscritto alla Fraglia dei pittori di Venezia (Favaro, 1975, p. 142) – dipinse le tele della chiesa di S. Giuliano raffiguranti S. Rocco che cura gli appestati e la Morte di s. Rocco, pagate nel 1595 (Mason Rinaldi, 1979) e, attorno al 1599, una Natività per i cappuccini di Conegliano, oggi conservata nella parrocchiale di Golasecca, nel Varesotto (Mason, 1990; Fossaluzza, 2013, p. 67).

Nel 1604 Giovanni Stringa ricordava alcune opere del pittore offrendo un importante termine ante quem; tra esse la Caduta della manna in S. Bartolomeo e il S. Diego che guarisce gli infermi in S. Francesco della Vigna (Sansovino - Stringa, 1604, cc. 95b, 126a). La prima delle due tele, di grandi dimensioni, è certamente una delle opere di maggior impegno di quegli anni, assieme alla maestosa Battaglia di Jaffa in Palazzo ducale, completata attorno al 1605 e commissionatagli dal doge Grimani, per il quale dipinse anche il Martirio di s. Cristoforo nella parrocchiale di Bertesina, presso Vicenza (Fossaluzza, 1997, p. 236); forse nel 1601 Peranda dipinse una perduta Natività in S. Giuseppe di Castello a Venezia (Sansovino - Stringa, 1604, c. 128b; Carroll, 1980; Pellegriti, 2003, p. 379 n. 17). Firmato e datato 1602 è il Martirio di s. Cristina dipinto per S. Antonio a Torcello e oggi nei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia.

Le figure plasticamente meno definite e il luminismo soffuso di questo insieme di opere sono indizi di una maturità stilistica ormai raggiunta in cui le iniziali componenti palmesche si vanno stemperando.

Forse nel 1608 si trasferì a Mirandola dove – è documentato dal 5 febbraio 1609 (Venturi, 1882, p. 142) – servì il duca Alessandro I Pico; pur con alcuni rientri in patria e con viaggi a Modena, Peranda rimase nella cittadina emiliana fino al 1627. Il ciclo delle Storie di Psiche destinato al palazzo dei Pico fu forse iniziato nel 1606, ma non fu completato prima del 1610.

Nel 1716 da Mirandola il ciclo giunse a Mantova, dove oggi si conservano sette tele: una di esse, firmata e datata 1610, è in palazzo d’Arco, mentre sei sono nel Museo di Palazzo ducale, dove si conservano altre tre tele dello stesso ciclo dipinte da Palma, che ne aveva dato principio: le opere dell’uno e dell’altro si alternano senza alcuna relazione con l’ordine della narrazione (L’Occaso, 2011, pp. 265-269).

Immediatamente successivo (1608-10 circa) potrebbe essere il ciclo delle Età del mondo, anch’esso conservato nel Museo di Palazzo ducale e proveniente dal palazzo dei Pico, dove trovava completamento nella tela da soffitto designata come Concilio degli dei o come il Caos, dipinta da Palma, autore dell’Età del ferro. Le tre tele di Peranda (Età dell’oro, dell’argento, del bronzo) appartengono al periodo più noto e studiato della sua produzione.

L’Età dell’oro più di tante sue altre opere palesa nella struttura compositiva tripartita e nella rigogliosa vegetazione lo studio dell’arte di Paolo Fiammingo. L’ascendente di Leonardo Corona si nota in alcune figure, come il Saturno che in alto, in cielo, governa la scena, mentre velature ambrate e argentee creano un’atmosfera vaporosa (L’Occaso, 2011, pp. 269-272).

Le composizioni riscossero un certo successo, tanto che Peranda replicò il ciclo anche in pitture (perdute) nella villa Leoni a Castelcucco nel Trevigiano (Ridolfi, 1648, 1924, p. 271) e in quattro tele attualmente non identificate che nel 1848 figuravano tra i beni del defunto Giovanni Andrea I Colonna a Roma (F. Mariotti, La legislazione delle belle arti, Roma 1892, p. 150 nn. 686-689). Perdute sono altre opere giunte da Mirandola a Mantova nel 1716, fra le quali otto vasti teleri di soggetto mitologico (quattro Storie di Fetonte, un Deucalione e Pirra, un Diluvio, un Licaone fulminato da Giove, una Caduta dei giganti) e un Davide e Golia (L’Occaso, 2006).

Nel secondo decennio del Seicento Peranda dipinse per Mirandola alcune delle sue opere più affascinanti, tra le quali spiccano i ritratti di Laura d’Este, Giulia d’Este, Luigi d’Este e Alessandro I Pico, per lo più conservati nel Museo di Palazzo ducale (L’Occaso, 2011). La penetrazione psicologica degli astanti esibita in queste pitture suscitò l’entusiasmo dei contemporanei – tra essi Francisco Pacheco (1649) – e ha suggerito confronti con la ritrattistica di Frans Pourbus il Giovane. Allo stesso periodo appartengono importanti pale per chiese mirandolesi, come la Lapidazione di s. Stefano per la collegiata, la Conversione di Saulo per S. Francesco e l’Immacolata con i ss. Ubaldo e Geminiano (1612), rimasta in Duomo fino al 1811 e poi trasferita a San Possidonio. Il terremoto del maggio 2012 ha danneggiato numerose di queste opere, per lo più oggi conservate nel Palazzo ducale di Sassuolo, e ha causato la quasi totale perdita delle Stimmate di s. Francesco, già in S. Francesco. Di ignota provenienza è la sfarzosa Regina di Saba davanti a Salomone di Dublino (National Gallery of Ireland; Meijer, 2001, p. 123; Fossaluzza, 2013, pp. 69 s.), apice qualitativo di questa fase.

Nel secondo decennio i tempi di esecuzione delle opere si dilatarono: il Martirio di s. Orsola per S. Bartolomeo a Modena, iniziato nel 1611, fu concluso solo nel 1616 (Venturi, 1882, pp. 146 s.); il Miracolo di s. Carlo del Duomo di Carpi, in lavorazione nel 1612, fu posto in opera solo cinque anni più tardi; alcuni ritratti di esponenti delle famiglie Pico e d’Este rimasero nel suo studio per quasi un decennio.

Peranda non trascurò mai i legami con il Veneto; nel 1611 (come ritenuto dalla maggior parte della critica) o nel 1615 (Baldissin - Caniato, 1998) dipinse l’Ultima Cena in S. Martino a Conegliano; a ciò si aggiunga che, sullo scadere del secondo decennio, la richiesta di pale d’altare da parte della committenza emiliana calò e ciò gli diede agio di realizzare opere per Venezia – la Pietà con i ss. Carlo Borromeo e Francesco in S. Salvador non anteriore al 1617 (Mason, 2008, p. 38) – e per l’entroterra veneto; tra il 1623 e il 1625 consegnò due grandi tele raffiguranti i Misteri gloriosi e i Misteri dolorosi, per S. Nicolò a Treviso (Abiti, 1998, p. 40).

L’ultima produzione di Peranda, da Longhi (1946) definita «neo-mistica», si distingue per un colore estenuato e sfatto e per una certa ripetitività: la Visitazione in S. Fantin a Venezia, non anteriore al 1630 (G. Vio, I «misteri» della chiesa di S. Fantin in Venezia, in Arte veneta, XXXI (1977), p. 231 n. 41), per esempio, replica lo schema delle tele in S. Bartolomeo e in S. Francesco della Vigna. Tra le ultime opere vanno infine ricordate le numerose tele, alcune delle quali non finite, eseguite per la chiesa di S. Nicola dei Tolentini a Venezia.

Vari studiosi si sono cimentati nella ricostruzione dell’attività grafica di Peranda (tra essi: Ferri, 1890; Tietze - Tietze Conrat, 1944; Marchiori Ascione, 1958, p. 129; Disegni veneti, 1965, p. 39 n. 41; Bettagno, 1966; Pignatti, 1996; Meijer, 2000; Rearick, 2001; Piai, 2008; L’Occaso, 2011, pp. 268 s., 271; Meijer, 2011). Molti di questi disegni sono di discutibile autografia e pochissimi sono connessi a pitture dell’artista; a essi si può aggiungere il foglio preparatorio per il Miracolo di s. Carlo di Carpi, conservato nel Musées royaux des beaux-arts di Bruxelles (inv. 10861).

Peranda morì nel 1638 a Venezia e fu sepolto in S. Nicola dei Tolentini (Ridolfi, 1648, 1924, p. 273).

Tra i suoi allievi i più celebri furono il dalmata Matteo Ponzone, con lui nei primi anni mirandolesi, il bresciano Filippo Zaniberti, forse il pesarese Simone Cantarini (Cellini, 1997) e il vicentino Francesco Maffei, che alla morte del maestro completò alcune opere rimaste inconcluse, in S. Nicola dei Tolentini e agli Incurabili. Fu pittore, seppure con modesti esiti, anche il figlio Michelangelo.

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Dal Pozzo, Le vite de’ pittori... veronesi, Verona 1718, pp. 261, 306, Aggiunta, 1718, p. 41; F.I. Papotti, Annali o Memorie storiche della Mirandola (1751), in Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola, III, Mirandola 1876, ad ind.; G. Cadioli, Descrizione delle pitture di Mantova, Mantova 1763, pp. 28, 30 s.; G.T. Faccioli - A. Joppi - V. Joppi, Chiese di Udine (1778, con rimaneggiamenti del 1870 circa), Udine 2007, pp. 178-180, 246 s.; F. Bartoli, Le pitture… della città di Rovigo, Rovigo 1793, p. 153; D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno…, II, Venezia 1803, pp. 54 s., 59; G. Moschini, Guida per la città di Venezia …, Venezia 1815, ad ind.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, p. 312; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi…, Modena 1855, pp. 342, 350-358; A. Venturi, La R. Galleria Estense in Modena, Modena 1882, ad ind.; P.N. Ferri, Catalogo riassuntivo della raccolta di disegniR. 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