ATTONE, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ATTONE, santo

Alessandro Pratesi

Molto discussa ne è l'origine: la maggior parte dei biografi lo dice nato in Spagna, a Badajoz (l'origine portoghese è affermata, senza fondamento, dal solo Fioravanti), e pellegrino in Italia nei primi anni del secolo XII; giunto a Vallombrosa durante il governo abazíale di s. Bernardo degli Uberti, sarebbe stato accolto nella Congregazione segnalandovisi ben presto per spirito di pietà e forza di carattere, tanto che alla morte del ven. Almario (o Ademaro) Alberti (dopo il 9 febbr. 1115 e prima della fine dell'anno 1125) venne chiamato a succedergli nella direzione del monastero di Vallombrosa e nel generalato della Congregazione.

La tradizione che lo vuole oriundo spagnolo non sembra però anteriore al secolo XVI, e trasse probabilmente motivo dai contatti che A. ebbe con Didaco, vescovo di Santiago de Compostela e dall'impulso da lui impresso al culto di s. Giacomo in Pistoia. L'italianità - se non la toscanità - di A. sembra piuttosto assicurata dal nome, prettamente italiano, dalla circostanza che difficilmente uno spagnolo sarebbe stato chiamato a capo della Congregazione vallombrosana, sorta da poco e retta fino allora da abati tutti toscani, e ancor meno a governare la diocesi di Pistoia, nonché dal fatto che per i suoi rapporti con l'arcivescovo di Compostela A. preferì valersi dei buoni uffici di Ranieri, chierico pistoiese divenuto canonico di Santiago, anziché rivolgersi direttamente a quel presule.

Del periodo in cui A. resse la Congregazione vallombrosana si hanno una sua supplica in forma di lettera al pontefice Onorio II, scritta alla fine del 1125 per impetrare il perdono in favore dei Fiorentini colpiti dalla censura ecclesiastica dopo la distruzione da loro perpetrata della rocca di Fiesole, e due documenti a lui indirizzati da Innocenzo II, rispettivamente del giugno 1130 e del 2 sett. 1133; gli si attribuisce anche la fondazione di nuovi monasteri, tra cui S. Maria di Vigesimo e S. Michele di Siena, entrambi sottoposti a Passignano.

Morto Ildebrando vescovo di Pistoia, anch'egli vaflombrosano, A. fu eletto a succedergli nella diocesi: gli agiografi, che a più riprese ne lodano la modestia, parlano di un suo reiterato rifiuto, finché non si assoggettò al volere del pontefice: può darsi però che si tratti di una leggenda. Già il 21 dic. 1133 lo stesso papa confermava a lui i confini e i possessi dell'episcopato pistoiese e in pari data ingiungeva anche il clero di Prato di prestare obbedienza al nuovo vescovo.

L'attività pastorale di A. fu delle più intense ed energiche: combatté strenuamente la simonia e si schierò con decisione contro l'antipapa Anacleto II Una rapina sacrilega compiuta nel 1138 nella chiesa di S. Zenone lo accese di sdegno ed egli non esitò a colpire di scomunica i consoli della città, ispiratori dell'atto nefando, confortato dall'approvazione del pontefice. Nello stesso anno veniva delegato dal papa, insieme con altri vescovi, quale giudice nella vertenza tra il capitolo pisano e l'abate di S. Lussorio.

Tra il 1138 e il 1142 l'amarezza causatagli dalle continue controversie tra il clero di Prato e la pieve di S. Giusto lo indusse a chiedere a Innocenzo II di esonerarlo dal peso della cattedra episcopale, ma il papa, che ne aveva apprezzato le virtù, lo esortò a rimanere al suo posto e, ricevutolo in visita presso la Sede apostolica, gli dimostrò la propria solidarietà con un mandato ai Pistoiesi di prestare al loro vescovo onore ed affetto e con l'ingiunzione al clero di Prato di rendergli obbedienza. Uguale stima gli manifestò Celestino II, il quale tra l'altro lo nominava, nel 1143, delegato della Sede apostolica per dirimere una lite tra l'arcivescovo di Pisa e il vescovo di Lucca.

Nel 1144 A. ottenne dall'arcivescovo Didaco di Compostela, attraverso i buoni uffici del canonico Ranieri, già chierico di Pistoia e maestro nella scuola capitolare di Santiago de Compostela, la preziosa reliquia della testa di s. Giacomo il Maggiore: portata con venerazione dai pellegrini Mediovillano e Tebaldo, che lo stesso vescovo aveva inviato in Spagna, essa fu accolta solennemente e riposta nella cattedrale, dedicata a S. Zenone, dove fu subito eretta una sontuosa cappella, consacrata l'8 luglio I 145. Da una lettera di Eugenio III del 22 nov. 1145 si apprende che a pochi mesi di distanza essa era già meta di numerosi pellegrinaggi; nella stessa data il pontefice concedeva ai visitatori sette giorni di indulgenza.

A. intervenne successivamente in favore degli uomini di Serravalle fatti prigionieri per la congiura contro Pisa; la pietà dei Pistoiesi attribuì anche all'intercessione del vescovo la salvezza da una pestilenza scoppiata nella regione intorno al 1150: a ricordo dell'evento venne edificata la chiesa di Maria S.ma delle Porrine.

Testimonianze della presenza di A. si hanno ancora il 25 nov. 1151, allorché consacrò un altare nel duomo di S. Zenone; il 16 febbr. 1153, quando conferì a Giovanni prete, pievano di S. Paolo, l'incarico di presenziare un atto di donazione fatto alla chiesa cattedrale; e il 24 apr. 1153, data in cui lo stesso vescovo locò un poderetto all'Ospedale di S. Giacomo.

Un documento pontificio di Anastasio IV in data 14 febbr. 1154 è indirizzato già al successore di A., il vescovo Traccia o Treccia; per cui si può senz'altro accettare la tradizione che ne fissa la morte al 22 maggio 1153 (la data del 1143, indicata per "lapsus" dal Rosati, fu poi meccanicamente ripetuta da altri autori).

Fu sepolto nella chiesa, oggi scomparsa, di S. Maria in Corte, senza che le sue spoglie fossero oggetto di venerazione particolare: ma il 25 genn. 1337, scavandosi le fondamenta del costruendo battistero, venne ritrovato il suo corpo intatto che fu solennemente traslato nella cattedrale (probabilmente il 22 giugno, poiché il ricordo più antico della commemorazione di A., documentato da aggiunte postume ad un calendario del secolo XI negli ultimi fogli di un codice miscellaneo della Biblioteca capitolare di Pistoia, si ha sotto questa data; nello stesso giorno si trova commemorato in messali vallombrosani del secolo XVI). Il 24 genn. 1605 Clemente VIII concedeva che se ne celebrasse il culto nella diocesi di Pistoia e presso la Congregazione vallombrosana con la Messa e l'Ufficio del comune dei confessori pontefici, fissandone la festa nel dies natalis (22 maggio). L'8 apr. 1614 Paolo V estese la medesima facoltà alla diocesi di Badajoz, mentre nel 1691 la Congregazione dei riti approvò la supplica del vescovo di Prato Leone Strozzi intesa a riconoscerne il culto anche nel territorio di sua giurisdizione.

A. fu pure agiografo: scrisse infatti la vita del fondatore della Congregazione vallombrosana e quella di s. Bernardo degli Uberti. Entrambe furono pubblicate la prima volta dal p. Tesauro Veli, abate vallombrosano di S. Prassede in Roma, nel 1592. Successivamente vennero ristampate nel 1612 in Roma, nella tipografia di Guglielmo Facciotti, la prima col titolo Vita sancti Ioannis Gualberti abbatis, Congregationis Vallis umbrosanae institutoris, scripta a sancto Attone Pacensi, Hispani nominis propagatore eximio, qui cum primo Vallis umbrosanae familie abbas generalis fuerit, Ecclesiae Pistoriensi praesul celeberrimus gloriose profuit, e la seconda col titolo Vita sancti Bernardi monachi et abbatis monasterii S. Salvii et Vallis umbrosae generalis, S.R.E. cardinalis et Parmensis episcopi. Dall'edizione di Tesauro Veli la biografia di s. Giovanni Gualberto fu ripresa dal Mabillon e di qui riprodotta dai Bollandisti e dal Migne.

La narrativa di A. abbonda di elementi descrittivi, soprattutto nell'enunciazione dei miracoli attribuiti ai santi dei quali si occupa; il suo latino è limpido e scorrevole, ricco di clausole ritmiche.

Si attribuisce ad A. anche il racconto De translatione capitis divi Iacobi apostoli, conservato manoscritto nell'Archivio comunale di Pistoia.

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