BARBATO, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARBATO, santo

Alessandro Pratesi

Visse nel sec. VII, ma non si conoscono né la data di nascita né il luogo d'origine. Le tradizioni, raccolte da alcuni autori, che lo vogliono nativo di Cerreto Sannita o di Castelvenere, in provincia di Beneyento, non hanno fondamento; gli anni dal 602 al 604, variamente indicati per la nascita, sono frutto di calcoli approssimativi, es sendogli genericamente attribuita l'età di ottant'anni al momento della morte. Ancor più fantastica è la notizia che sia stato preposto dal vescovo di Telese alla chiesa parrocchiale di S. Basilio a Morcone e successivamente costretto ad abbandonare la sede per sottrarsi all'ambiente divenutogli ostile m seguito ad una serie di calunnie diffuse sul suo conto.

Accertata è invece la presenza di in Benevento nel momento in cui era minacciata dalle truppe di Costante II, venuto in Italia per riguadagnare all'impero di Bisanzio i territori perduti 1(663): il duca Romualdo,, comprendendo di non poter fronteggiare da solo il nemico, aveva chiesto aiuti al padre, il re Grimoaldo, che era subito partito da Pavia con un grosso esercito. A questo punto l'elemento storico e l'elemento fantastico si intrecciano e si fondono nel racconto agiografico della Vita s. Barbati in maniera tale che non è facile sceverare il vero dal falso. La leggenda presenta ìLongobardi tuttora tenacemente legati ad alcuni culti idolatrici che rappresentavano la persistenza di antichi usi nazionali (l'adorazime- della vipera, un simulacro aureo che lo stesso duca avrebbe tenuto in grande onore nel suo palazzo, e la venerazione dell'albero sacro con il rito della pelle di caprone appesa ai suoi rami, che i cavalieri colpivano da tergo mangiandone poi i brandelli: in questa pratica,, probabilmente di carattere più popolare, si riconosce il nucleo originario della leggenda del noce e delle streghe di Benevento); il clero cattolico combatteva naturalmente con tutti i mezzi tali usi pagani, e B. avrebbe, colto l'occasime dell'assedio, prospettato come una punizione celeste, per indurre i Longobardi ad abbandonare i loro culti peccaminosi: Romualdo si sarebbe impegnato in tal senso, se la città fosse stata liberata dalla minaccia dei Greci. L'agiografo presenta infatti la rinunzia di Costante all'assedio come opera di B., anche se la ragione storica va ricercata nell'approssimarsi delle truppe di Grimoaldo; d'altro canto sembra che l'imperatore bizantino fosse ancora in grado di dettare condizioni, se a garanzia del loro rispetto portò con sé in ostaggio la sorella del duca, Gisa. Tuttavia B. abbatté l'albero áacro e per designazione del duca e acclamazione del popolo fu eletto vescovo di Benevento, ristabilendo così la cattedra episcopale rimasta vacante, come induce a credere il silenzio delle fonti, dalla fine del sec. V. Non è chiaro dal racconto agiografico se prima o dopo aver assunto la dignità vescovile il santo riuscì ad estirpare anche il culto della vipera che il duca, nonostante le promesse, avrebbe continuato ad adorare di nascosto nel suo palazzo: ma l'episodio dovrebbe essere più tardo, perché B. si sarebbe giovato dell'aiuto di Teoderada, la moglie di Romualdo, da lui non ancora sposata nel 663. Secondo la Vita il santo, approfittando della circostanza che il duca era fuori a caccia, e con la complicità di Teoderada, avrebbe portato via dal palazzo il simulacro e, fuso l'oro, ne avrebbe fatto ricavare un calice e una patena. Si disputa ancora tra gli storici se sia da attribuire a B. la conversione dei Longobardi del sud da un arianesimo ancora profondamente paganeggiante al cattolicesimo, conversione che alcuni vorrebbero invece far risalire al ducato di Arechi; certo l'analogia tra l'intervento di Teoderada e l'azione svolta dalla regina Teodolinda in favore del cattolicesimo tra i Longobardi del nord è piuttosto sospetta; né si deve pensare ad una conversione universale e istantanea sotto l'impulso di un evento straordinario. Tuttavia non si può disconoscere l'azione missionaria di B. e, pur togliendo dalla leggenda gli elementi di contorno (che l'anonimo agiografo innesta sul racconto dell'assedio desunto da Paolo Diacono), va attribuita a lui l'estirpazione degli avanzi di rituali germanici che erano sopravvissuti ad una conversione già in atto, ma non ancora totale.

Sulla base di un presunto privilegio di papa Vitaliano numerosi eruditi fanno poi risalire all'età di B. l'erezione della Chiesa di Benevento a metropolitana, con suffraganee Siponto, Bovino e Ascoli Satriano, ma il documento, che oltre tutto confermerebbe soltanto la giurisdizione su Siponto e sul santuario di S. Michele Arcangelo nel Gargano, èun'evidente falsificazione della metà del sec. IX, mentre deve ritenersi realmente avvenuta la donazione al vescovo della chiesa di S. Michele da parte del duca Romualdo, a cui egli l'aveva chiesta con l'intenzione di restituirla al culto dopo il saccheggio operato dalle milizie di Costante II, tanto è vero che in un placito del marzo 839, riportato nel Chronicon Vulturnense, mentre non si fa alcun accenno al privilegio di Vitaliano, si ricorda la cessione fatta dal duca, sia pure per contestarne la validità in quanto non conforme ai sacri canoni. D'altro canto anche il testo della Vita,sebbene non sia assolutamente chiaro, parrebbe alludere semplicemente alla cessione della "beati Michaelis archangeli domus, quae in Gargano sita est" e delle proprietà di cui essa godeva nel vescovato di Siponto.

B. intervenne al concilio romano del marzo 680, tenuto da papa Agatone in preparazione del concilio ecumenico costantinopolitano 11 (7 nov. 680 - 16 sett. 681), ma non a quest'ultimo, come sostengono diversi autori. Morì il 19 febbr. 682 e sotto questa data è ricordato, oltre che nel Martirologio Romano, nelle aggiunte - eseguite a Benevento verso la fine del sec. IX - al Calendario cassinese conservato a Roma nella Biblioteca Casanatense (cod. 64C: la stessa mano indica nel calendario, in corrispondenza del 14 luglio, la dedicazione di un oratorio eretto in suo nome a Benevento. Del culto prestatogli in questa città fa fede anche un manoscritto del sec. XI di quella Biblioteca capitolare (cod. 38) contenente tre inni in onore del santo, nei quali affiorano gli stessi elementi della Vita.

Il corpo di R. fu sepolto sotto un altare della cattedrale, ma successivamente se ne perse la memoria. Fu ritrovato nel 1124 - secondo la narrazione di Falcone Beneventano, che fu testimone oculare - allorché l'arcivescovo Roffredo, restaurando l'episcopio, fece abbattere l'altare: ebbe allora solenne sistemazione nella stessa chiesa. Reliquie delle sue spoglie sarebbero tuttavia pervenute al santuario di Montevergine già all'epoca di Guglielmo 1: alcuni degli elementi leggendari confluiti nelle narrazioni erudite posteriormente alla compilazione della Vita risalgono appunto alla tradizione di Montevergine, esposta dal monaco Ovidio de Luciis.

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